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18. Confessioni

"Hey, bell..."
Uno scossone rapido e il mondo, l'oscurità da cui stavo emergendo, cominciò a vorticare ai miei piedi.
"...dorment..."

Voci indistinte mi risuonavano nella testa, facendo solo aumentare la confusione e l'irritazione. Aumentarono a tal punto che dovevo trovare un modo per esprimere, oltre al mio sconcerto, pure il dolore che mi attanagliava la testa: mi voltai di lato e sputai per terra. In bocca avevo un inconfondibile sapore metallico.

"Così no, non sui miei calzoni!"
Era stata una voce cavernosa a protestare. Questa volta furono due scosse decise a partire dalle spalle e a rivoltarmi lo stomaco. Finii disteso di lato. E ancora non riuscivo ad aprire gli occhi.
"Questo tra un po' vomita, Phil, prendi l'acqua."
"Non divento il paggetto del ghiro. Se vuoi, fallo tu."

Un fiotto d'acqua tiepida mi si riversò in gola, poi venni leggermente schiaffeggiato fino a che ripresi conoscenza. E mi liberai del tutto, con grande rammarico (a me già non interessava più niente) di chi mi stava vicino.
"Soni..."
Percepii l'attenzione di due sguardi, sentii la loro perplessità a pelle e, così, quello che stavo per dire mi morì in gola. Per fortuna non avevano capito a causa della voce ancora impastata. Per fortuna gli altri sensi erano a posto. Ringraziai la sorte per avermi fermato in tempo e colsi l'occasione al volo per correggere il pasticcio: "Sono in?"
"In detenzione. Finché non ti scagionano per mancanza di prove o chessoio."
"Ah." Mi pulii le labbra con un polsino della camicia. Ci  misi un po' per farlo e, finalmente, capii perché mi ci volevano entrambe le mani: avevo le manette.

"Inizia la bella vita, caro il mio..."
Non riuscivo a vedere che delle ombre, tuttavia risposi d'istinto, riducendo gli occhi a due fessure: "Mike."
"Tanto piacere, Mike. Io sono il grande e magnanimo Phil e questo umile plebeo servitore che vedi al mio fianco è Jeff. Jeff, chiama la matrigna: Cenerentola non si sta proprio comportando bene. Guarda che pavimento!"
"Non stare ad ascoltare tutte le scemenze che dice. Piuttosto, che hai fatto?" Jeff si rimboccò le maniche con grande destrezza, nonostante fosse ammanettato (e non si può capire quanto lo ammirai, invidiai e guardai con la bava che mi colava sul mento... be', quest'ultima era per ben altri motivi, ma... sì, era diventato il mio eroe) e si sedette sull'unica brandina cigolante della cella. Io stavo rannicchiato per terra, con Phil che non riusciva a stare fermo.
"Inizia qui l'interrogatorio?" domandai, mettendo bene a fuoco chi mi stava davanti. Oltre ai movimenti, cominciavo a distinguere anche le belle facce che avevo di fronte.
"Noi usiamo prima le buone."
"Meglio approfittarne, ma sempre interrogatorio è," sorrisi, massaggiandomi collo e mandibola. Mi formicolavano persino i capelli: quanto tempo era passato da quando Simon mi aveva steso?

Non avevo voglia di raccontare. Volevo essere io a fare le domande, ma non ero decisamente in condizione. Tutta la circolazione da riattivare, i neuroni da stimolare, la mia reattività ancora assopita... Se fosse dipeso da me, avrei voltato le spalle al duo e augurato al mondo la buonanotte. Mi sarei risvegliato in una spiaggia ai Caraibi. In un'altra vita.
Ma forse era meglio accontentarli e capire con chi avevo a che fare per estorcere le informazioni che mi servivano. Possibilmente in modo adeguato e non sospetto. Inspirai appena appena e osservai i due tizi con cui ero rinchiuso.
Phil era un uomo sulla sessantina, faccia incartapecorita e mani nodose. Avrebbe dovuto essere alto. Quella era stata la prima impressione, almeno... Tuttavia se ne stava proteso in avanti, a causa di una leggera gobba che me lo faceva rientrare in una statura più accettabile. Attraverso la camicia (non più candidissima) gli intravedevo le costole: della pancia non c'era neppure l'ombra. L'ultima mantide religiosa, affamata e impotente. Nervosa. Gulp.
A quanto pareva, la specialità di Phil consisteva nell'irritazione altrui. A menare doveva pensarci Jeff, all'apparenza più calmo e composto, ma con una presenza fisica che non mi era poi così gradita. Doveva essere della stessa età o un po' più vecchio dell'altro. Un operaio, viste le spalle larghe, le mani massicce e le unghie poco curate. Il mastino della cella. Lavoravano assieme o si erano trovati là dentro per caso?

"Che ho fatto, eh?" risposi con calma, "Ho preso parte a una sparatoria."
"Quella del casinò," annuì Phil.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa: "Sei ben informato. Comunque sì, quella."
"E hai ucciso qualcuno?" domandò l'altro.
"Sì. E ferito."
"Allora ti metteranno a piede libero a breve," sbuffò Phil.
"Non credo proprio," sospirai, "Anzi, mi sa tanto che vi terrò compagnia. Sempre che voi non ve ne andiate prima..."
Mi complimentai mentalmente per il gancio lanciato, sperando che rispondessero senza impensierirsi troppo.

"Ci vuoi morti?" mi incenerirono. Niente male, gancio restituito.
"Ma no, no! Mi sono espresso male! Quello che intendo è se vi lasciano andare."

"E chi lo sa?" scansò Phil con un'alzata di spalle.
"Chi ci tiene qui," sorrise Jeff. "Avanti, facciamo continuare il ragazzo. Sembra avere una gran voglia di parlare."
Rivalutai Jeff in quel medesimo istante, e non in meglio.
"Che volete sapere di preciso?" tagliai corto. Iniziavo a non sopportare più il martello pneumatico che mi danzava sul cranio. Se mi avessero lasciato la lampada di Aladino con un solo desiderio, avrei optato per un antidolorifico al posto dei Caraibi.
"Che hai fatto prima..." di nuovo il mastino. Che abbaiasse ma non mordesse?
"Un po' di cavolate. Non è così anche per voi?" Ogni risposta era perfetta per incanalare altre domande. Non potevo lasciarmi sfuggire nemmeno un'occasione.
"Diciamo che starcene qui è uno dei nostri hobby preferiti, no, Jeff?"
"Uno strano hobby."
"Strano davvero."
"E quali altri passatempi avete, che vi hanno lasciato la libertà di dedicarvi a tempo pieno al vostro hobby principale?"

Dal sollevamento di sopracciglia e dallo scatto mascellare intuii di aver fatto un'ottima mossa. Avevo colto... Che cosa? Avevo cominciato a dubitare del mio sesto senso e delle loro reazioni. Erano tipi che andavano in escandescenze facilmente, non il mio forte, dunque.
"E quale stupido passatempo ti spinge a parlare a vanvera?" sbottò Phil.

"Suvvia, amici, che altro rimane da fare?"
"Prenderci a pugni."
"Civilmente," sottolineai.
"Sì può prendersi a pugni civilmente."
"Senza attirare l'attenzione?"
"Ma ti pare che non arrivino con pop corn e birra?"
Mi portai i palmi delle mani sul capo: "Non si può mai fare affidamento su nessuno."
"La legge della vita, caro mio."
Non partì nessun pugno e questo, non si può nemmeno immaginare quanto, mi fece piacere.
"Sentite, non ce ne andiamo da nessuna parte, tanto vale conoscersi. No? Perciò siate gentili e fate gli onori di casa. Civilmente."
"Il ragazzo ha ragione, Phil. Di tempo per misurarci ce n'è."
"Va bene. Allora partiamo noi. Ma faremo a turno. Noi risponderemo a una tua domanda e poi tu a una nostra."
"Siete in due..."
"Una ciascuno," sogghignò Phil.
"Sì, ma allora io ne faccio due."
"I conti non tornano," protestò.
"Phil, possiamo concederglielo."
Applaudii: "Ci mancherebbe! Dunque... Inizio io se non avete nulla in contrario."
"Avanti, altrimenti qui si fa notte."

"Perfetto. Da quanto state qui dentro?"
"Quattro giorni."
"Per quale motivo?"

Dei passi che non ci appartenevano si stavano avvicinando con una certa rapidità, chiudendo quel dialogo che con fatica e continue interruzioni ero riuscito a creare. Il rumore di una chiave inserita nella toppa non lasciò tempo per nessun'altra risposta. Tre giri e uno scatto. La porta della cella si aprì e nel mezzo comparve Simon affiancato da due guardie, uno con una barba da orso e l'altro rigido come una statua.
"Possiamo unirci anche noi a questo scambio di informazioni, signori?"
Avrei voluto assecondare l'urlo di disperazione che mi saliva dai visceri. Ma non era il caso. Mi buttai indietro con la schiena, toccando con la sommità della testa la parete unta e piastrellata. Desideravo tornare a essere incosciente per togliermelo da davanti agli occhi, guardare il soffitto non mi bastava: "Fammi un piacere. Passa più tardi."
già tardi."
"Dopodomani è tardi," corressi.
"Mai rimandare a dopodomani quello che puoi fare oggi..."

Phil mi si parò davanti, insofferente, prevenendo un'ulteriore rispostaccia: "Va bene, va bene! Piantatela! Amico, vattene fuori. Qui la bocca l'apriamo solo se necessario, altrimenti la teniamo chiusa. Se hai voglia di darle aria, prendi quest'occasione e vattene fuori."
"Ma sei sei più curioso di mia madre!" borbottai.

Ricevetti un combo ossuto di destro e sinistro al plesso solare, che mi meritai e che mi stese su un fianco, raggomitolato come un bambino.
Le guardie placcarono immediatamente la mantide prima che si dedicasse interamente al suo pasto, mentre Simon mi rimise in piedi: "C'era bisogno di questa sceneggiata?"

"Ne sentivo il bisogno," boccheggiai. Era vero: sentivo lo strano prurito dell'attaccabrighe.
"Potevi chiedere a me. Sai che lo faccio più che volentieri, e le porzioni sono sempre abbondanti."

"E secondo te... perché ho giocato d'anticipo? Simon... senti, ha ragione Phil... Basta così... Portami dove devi portarmi". Dovevo concentrarmi su qualcosa per non pensare a lei, per sapere di lei, per trovare un po' di pace e sedare la mia rabbia. Che Phil mi avesse morso senza che me ne accorgessi e mi stessi trasformando in una mantide mannara? Mi mancava aria per il colpo all'addome: uno dei sintomi?

"Ti decidi a parlare perché hai l'acqua alla gola?"
"No, sono completamente sommerso." Era vero: annaspavo.

Lo vidi trattenere la risata della vittoria mentre mi scortava fuori dalla cella e lanciava un'occhiata a una delle due guardie: "Paul, vieni anche tu."
La statua vicina alla pensione, un uomo dall'espressione impassibile e dalla divisa impeccabile, senza battere ciglio lasciò Phil e Jeff sotto la supervisione del collega barbuto e ci seguì. Pochi metri di corridoio spoglio e grigio, illuminato in tutto il suo splendore.

Entrammo poi in una stanza con due sedie già sistemate ai lati opposti di una scrivania minimal. Una lampada a soffitto dalla luce soffusa costituiva tutto l'arredo consentito. Accogliente come poche cose.
"Mettiti comodo, vecchio mio," mi invitò Simon, mentre Paul chiudeva la porta.
"Non sai quant..." mi bloccai, stupefatto da ciò che stava accadendo sotto i miei occhi.
"Oh, ho chiesto a Paul di toglierti le manette. Tanto qui non può succedere niente."
"Sicuro," convenni, misurando la stazza dei due agenti, "qui non vado da nessuna parte."
"Bravo. Ma intanto sei più a tuo agio."
"Come una quaglia impallinata, sì."
"Senti, a proposito di impallinamenti, la tua amica ferita..."
"Come sta?"
"Non ne ho idea."
"Ah".
"Che ci faceva con te in mezzo alla sparatoria?"
"Ci si è trovata in mezzo."
"Sarò più chiaro: che relazione ha con te?"
"Amichevole."
"Risparmiami, Mike."
"Che c'è? Non sono più libero di stringere relazioni amichevoli?"
"L'amicizia si basa su una cosa sola: o su verità o su pietà. La seconda dura fino a un certo punto, la prima deve esserci per forza di cose. Ora, per te è impossibile essere sincero – ed entrambi conosciamo il motivo – quanto alla pietà... Lei quanto può essere fessa da mettersi a farti da scudo?"
Le mie nocche si fecero marmoree, le venature ben in rilievo. Era iniziata la tortura. Psicologica, intanto.

"No, caro il mio Mike, la vostra amicizia si basa su qualcos'altro... interesse per qualcosa... Lei vuole qualcosa da te e tu da lei?"
Lo fulminai. Maledetto il mio orgoglio, si fa sentire solo quando non serve.
"Oh oh, bingo! Ma, Mike, toglimi una curiosità: quanto sa lei di te e tu di lei?"
Silenzio.
"Paul, carta e penna per favore."
Comparvero in pochi secondi.
"Ora mi scrivi nome e cognome della signorina, indirizzo, tutti i contatti che conosci. Io, al contrario di qualcuno che ama il mistero, sono parecchio curioso di sapere chi sta con me o contro."
"Simon, non so nulla di questa ragazza, l'ho incontrata ieri sera e poi tutto è avvenuto in un lampo."
"Certo, certo. Per fortuna ho preso la libertà di riprendere tutto con una telecamera. Ma dubito seriamente che quella sia lei al naturale. Dopotutto, lo sappiamo benissimo entrambi: una donna cambia completamente con un velo di trucco..."
"Senti, anche se te lo dicessi, il suo nome non ti porterebbe da nessuna parte. Di lei non so niente di niente."

Sapevo che sapeva che io sapevo. Non potevo farci nulla, mi accorgevo degli errori commessi troppo tardi. E la mia espressione allarmata e disgustata non faceva che peggiorare le cose.

"Peccato. Speravo mi rendessi la ricerca più facile, risparmiandomi tempo e denaro. Intanto le immagini sono già in giro da qualche ora. Secondo te, quanto impiegheremo a ottenere la sua posizione? Una donna ferita, in abito da sera, per strada..."
"Mi auguro che stia bene."
"Anch'io. Altrimenti come ti faccio dire quello che voglio?"
Lo guardai allibito: "Non starai ancora cercando..."
"Sempre, caro il mio ragazzo, sempre!"

"Sei senza speranza," sospirai dopo un tempo che parve interminabile.
"Mai quanto te." Simon era in piedi, a due spanne. Mi posò una mano sulla spalla, facendomi scricchiolare la clavicola. Era arrivato il momento.

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