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13. I campi

Tutti i ragazzi sapevano che per arrivare al villaggio dei sopravvissuti dovevano arrivare alle montagne del nord, e per giungere alle montagne del nord bisognava superare i campi e i boschi del fuori città.
Avevano già abbandonato le case crollate e i palazzi distrutti, le macchine rovesciate che intasavano le strade e i cadaveri mangiucchiati. Non c'era stato nessun addio particolare: oramai quella non era più la città che tanto amavano e conoscevano, la stessa dove da piccoli avevano giocato ai pirati o alle principesse rinchiuse nei castelli, in cui da adolescenti si erano conosciuti. Ora era solo un inferno, un luogo divorato dal dolore e dall'oscurità.
Lidia piangeva di nascosto, ma Thomas che si era accorto della cosa, la consolava dolcemente; Erick parlava con Ellie del più e del meno, lanciandole sguardi innamorati; Jack blaterava di videogame estinti con Calvin, ancor più nerd di lui; Nancy e George bisbigliavano qualcosa di non udibile dagli altri presenti.
Tutti stavano camminando su una stradina sterrata in mezzo a campi di grano dorato illuminato dal sole sempre più assonnato e pronto ad andarsene a letto. Ci avevano messo quasi tutto il giorno ad uscire dalla città e a trovare la giusta direzione, verso il nord. Alcuni erano ancora scioccati dall'avventura di Thomas ed Erick, ma tutti erano più sicuri stando insieme a due ragazzi che al loro primo attacco di Rinati, li avevano battuti su tutta la linea.
Le ombre si allungavano, come per ghermire le anime, stringere le forze ed ucciderle, costringendo le persone ad andarsene a dormire. La vegetazione si faceva sempre più folta ed ingarbugliata, lanciando lamenti animaleschi di scoiattoli o merli, chissà, forse infetti. Erano già tre ore che camminavano fuori città e finora andava tutto bene, addirittura sembrava che ci fossero meno Rinati in campagna. Comunque se il buio incominciava a bussare alla porta era meglio trovarsi un rifugio prima che riuscisse ad aprire.
In lontananza videro un tetto rosso, travi bianche che si stagliavano verso il cielo punteggiato di nuvole grasse.
<< Cos'è?>> chiese Erick.
<< Non so...è troppo lontano, non riesco a vedere bene.>> rispose Thomas, scrutando l'orizzonte.
<< Potremmo andare a controllare. Chissà, magari potrebbe essere un rifugio per la notte!>> esclamò Calvin entusiasta, felice di potersi finalmente riposare.
<< È ovvio che andremo a controllare! >> sbuffo' Nancy, roteo' gli occhi. Detto ciò, senza aspettarsi niente da nessuno si incamminò verso l'edificio misterioso in lontananza.
Tutti gli altri la fissarono scioccati, poi la imitarono.
C'era un campo di grano da attraversare. Le spighe erano alte quasi due metri buoni! Come avrebbero fatto a camminare e a vedere dove stavano andando?
Erick si voltò verso Thomas e gli chiese: <<Che fai? La segui?>>
<< Mi conviene. Siamo rimasti solo io, te e Lidia.>> rispose lui guardandosi intorno con un brivido. Erick fece spallucce, sorrise e scomparve tra la vegetazione dorata.
Thomas esitò. Si voltò verso Lidia, impaurita ed insicura. Le fece un sorriso confortevole, osò prenderle la mano destra.
<< Allora, lo facciamo insieme? Non avrai paura se ti accompagno io? >> la guardò con tenerezza.
<< No, se ci sei tu, niente fa paura...>>
Così, i due abbandonarono la strada sterrata e si inoltrarono nel campo alla destra. Subito, il giallo caratteristico del grano riempì gli occhi ad entrambi, mentre le spighe gli solleticavano la pelle morbida.
Lei, spaventatissima, si bloccò a metà strada. Il sole stava calando e tutto diventava scuro, aveva paura che un Rinato sbucasse da qualche parte e la afferrasse per poi farla fuori. Si tappò gli occhi con le mani. Voleva piangere ed urlare... ma c'era Thomas.
<< Ehi, piccola!>> piccola, aveva detto lui<< Non aver paura. Senti, mi è venuta un'idea! Tu rilassati e continua a tenere gli occhi ben chiusi.>>le mormorò con estrema dolcezza all'orecchio. Lidia decise di fidarsi, rimase immobile con le palpebre serrate. Nella sua mente galoppò il delizioso ricordo di lei a cinque anni, sullo scivolo del parco, da sola. Piangeva perché aveva perso suo padre, il sole stava per tramontare e le lacrime non smettevano di sguazzarle sulle guance. Non c'era più nessuno, nessuno che la potesse aiutare.
Si era nascosta dietro il dondolo, rannicchiata in posizione fetale. Chiamava sottovoce il nome del padre, dato che in quella città così nuova non conosceva proprio nessuno.
La piccola Lidia era persa nel suo pianto, quando ad un tratto, un bambino della sua stessa età le aveva picchiettato su una spalla.
<< Ehi, perche' piangi? >> le aveva chiesto lui. Era biondo, basso e magro, con un delizioso nasino a patatina, occhi profondi e marroni, bellissimi. Lidia, una volta scoperta la bellezza del bimbo sconosciuto si era vergognata ancora di più nel farsi vedere così. Perciò era scoppiata in un pianto inconsolabile, dietro quel dondolo a forma di delfino, con quel bambino biondo che non conosceva.
<< Ti ho spaventata? Scusa, se vuoi ho dei fazzoletti di Winnie The Pou.>> detto questo si era tolto dalla tasca del cappottino blu un pacchetto di fazzoletti con disegnato l'orsetto dei cartoni che a Lidia piaceva tanto. Allora, confortata da Winnie e dalla gentilezza del bambino, aveva preso un fazzoletto e ci si era asciugata le lacrime.
<< Grazie! Come ti chiami?>> gli aveva chiesto lei.
<< Thomas! Thomas Sangster! E tu?>>
<< Lidia! Lidia Bloom!>>
<< Hai perso i tuoi genitori?>>
<<Sì, non trovo più papà...>> Lidia, si ricordava ancora bene quel dettaglio, aveva sporto in fuori il labbro inferiore e stava per scoppiare a piangere di nuovo, ma Thomas le aveva porto la manina proponendole di andare a cercare suo padre. Lei aveva afferrato quelle dita così esitanti, si era alzata e insieme, i due avevano incominciato a perlustrare il parco in cerca del papà di Lidia e urlando "papà di Lidiaaa!"
Alla fine, il padre della bimba l'aveva trovato Thomas, anche il genitore cercava la figlia a sua volta.
Così, era giunto il momento del saluto tra i due nuovi amici.
<< Ciao, Lidia.>>
<< Ciao, Thomas. A che asilo vai?>>
<< A quello vicino alla piazza!>>
<< Anch'io!>>
<< Allora, ci vediamo lì?>>
<< Sì, certo!>>
La Lidia diciassettenne, quella del presente, si riscosse. Non riuscì a mantenere gli occhi chiusi come le aveva detto il Thomas diciassettenne, perciò schiuse appena le palpebre. Era in braccio a lui che, attento a non farle male, la stava portando all'edificio misterioso.
Lidia sorrise, piena di una gioia incontenibile. Avvicinò il viso al collo del ragazzo, gli posò le labbra sulla pelle, sotto la mandibola e gli lasciò un bacio tiepido, vellutato, un grazie per tutto. In quel momento le sembrò di baciare il piccolo Thomas dell'asilo e il Thomas diciassettenne della nube tossica. Li stava ringranziando entrambi per l'unica ragione: le avevano fatto ritrovare la via della spensieratezza.
Lui sorrise, ma non la guardò, si limitò a spostare la mano sinistra dalla schiena di lei alla sua testa, sorreggendola e accarezzandole i capelli lunghi.
Lei tra le braccia di lui, lui che confidava in lei.

Cari babbani miei, non potete immaginare! Non avevo mai scritto in vita mia cose così sdolcinate! Mi si sono cariati i denti con tutta questa dolcezza! Ma preparatevi a nuovi capitoli sdolcinati e a nuove ship, non solo tra Thomas e Lidia...( fa una faccina pervy...)
Comunque, votate, commentate!
Bye bye,
Dolenti, pivellini, babbani, fagiolini e velocisti o intendenti, divergenti e...basta o finirò a mezzanotte!
Ci vediamo al prossimo capitolo!
ILTSASID7🌈

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