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XIV

Alessandro iniziò a lavorare in biblioteca il lunedì della settimana successiva alla sua visita nell'ufficio del direttore.

Dopo un primo momento di spaesamento, dato perlopiù dal perimetro molto esteso della sala di consultazione, il ragazzo imparò velocemente come adempiere ai compiti che gli erano stati assegnati. Il lavoro in sé non era poi così difficile da svolgere poiché consisteva, in gran parte, nel catalogare i vari manuali presenti e di gestire il banco prestiti, tenendo conto delle varie scadenze e delle proroghe ad esso connesse. I due collaboratori che aiutavano Alessandro a eseguire quelle semplici mansioni non erano affatto tenuti in considerazione da quest'ultimo, e ciò non tanto a causa dei due anni di differenza che intercorrevano tra lui e loro, quanto per la loro flemma nel portare a termine perfino i compiti più elementari, caratteristica questa che più di ogni altra cosa mandava su tutte le furie il ragazzo, loro diretto supervisore.

Nonostante Alessandro si tenesse impegnato tutti i giorni con il lavoro alla biblioteca, pur non avendo ancora compreso secondo quali criteri egli fosse stato selezionato, dal momento che a suo modo di vedere le cose il colloquio si era basato solo su aria fritta, il ragazzo non faceva altro che pensare a Marta. Da questo flusso incessante di pensieri con al centro la figura di Marta, scaturiva una sorta di blocco emotivo che gli impediva di stringere qualsiasi rapporto, seppur effimero, con uno qualunque dei suoi compagni di sventura. Allo stesso tempo, trovava assurda l'idea che uno come lui, ancor prima di sentire la mancanza degli amici di una vita, dando però sempre per scontato che questi non lo avrebbero mai abbandonato e che, una volta uscito, li avrebbe trovati tutti insieme lì fuori ad aspettarlo, fosse diventato succube della tremenda sensazione di non poter più rivedere quella ragazza. E, a causa di ciò, non riusciva più a vedere uno scopo in qualsiasi cosa facesse, se non quello di cercare di far scorrere il più velocemente possibile i giorni su quel maledetto calendario che aveva affisso in camera.

Il pensiero di essere costretto a sprecare enormi quantità di tempo che nessuno gli avrebbe mai restituito, lo stava logorando dall'interno giorno dopo giorno e, nella sua lista dei problemi da risolvere prima di impazzire del tutto, questo era secondo solo al fatto che il direttore, almeno su una cosa, ci aveva visto giusto: la sua mente era rimasta ancorata alla vita che conduceva fuori da quelle mura e, fino a quando non si fosse imposto di gettarsi tutto alle spalle, la sua permanenza sarebbe sempre stata tormentata da cupi pensieri.

Fu solo arrovellandosi a fondo intorno a questi concetti che Alessandro riuscì a comprendere appieno quale fosse il vero obiettivo dell'istituto, partendo però dall'importante premessa che non era affatto necessario, come invece aveva pensato lui all'inizio, creare un clima di terrore internamente alla struttura, per far sì che i ragazzi da un lato si pentissero delle proprie azioni, e dall'altro non creassero problemi; bastava semplicemente far capire loro che tutto il tempo passato lì dentro a trascorrere una vita normale, per quanto priva di senso, avrebbero potuto spenderlo con chi avessero di più caro.

Questo meccanismo con il quale il direttore aveva intenzione di tenere a bada i ragazzi più problematici e pericolosi, assicurandosi allo stesso tempo il pentimento della maggior parte dei detenuti presenti nell'istituto, si basava su un ragionamento tanto semplice dal punto di vista logico, quanto efficace per il raggiungimento di entrambi gli obiettivi. Per trovare il bandolo di quell'intricata matassa, Alessandro partì dall'idea universalmente valida secondo la quale il terrore genera dapprima sottomissione e, in un secondo momento, una volontà ardente di sconfiggere la paura che scaturisce da esso. Quando ciò si verifica, nasce lo spirito di ribellione e tanto sarà grande l'oppressione subita, quanto il fuoco della sopravvivenza sarà alimentato dal vento della speranza di poter riuscire a trionfare sul proprio oppressore. Ma nel momento in cui non vi è alcun nemico da combattere, ci si viene a trovare in una situazione di stallo, quale era in effetti quella del carcere minorile "Beccaria". In questo modo, le menti si assopiscono e si rassegnano alla loro condizione, soffrendo a causa dell'infelicità di non poter essere libere, pur tuttavia senza avere la volontà di sovvertire l'ordine delle cose.

L'esempio che Alessandro elaborò nella sua testa per trovare la prova empirica del suo ragionamento, prendeva le mosse dai due diversi modi per ridurre in prigionia un essere umano: un uomo incatenato in una stanza vuota, percosso e umiliato, cercherà sempre un modo per fuggire dal proprio stato di prigioniero e metterà in atto qualsiasi disperato tentativo pur di riuscirci; lo stesso uomo, però, avendo a disposizione un intero edificio dal quale egli non potesse uscire, costruito su più piani e magari con anche un bel giardino interno, nel quale non gli mancasse niente, difficilmente proverebbe a evaderne.

Questo meccanismo psicologico influì sulla mente di Alessandro più che su quella di qualsiasi altro ragazzo rinchiuso nell'istituto, e ciò si verificò proprio perché lui fu l'unico ad aver trovato la chiave di volta di tutto il sistema. E, così come l'essere umano soffre sempre più in ragione del livello di consapevolezza acquisito, il quale, a sua volta, più si accentua e più genera sofferenza, allo stesso modo Alessandro non si dava pace all'idea che il gesto folle di quella mattinata fatidica, l'avesse portato a sprecare tutto il tempo che avrebbe potuto investire per recuperare la relazione, già fin troppo precaria di per sé, con Marta; e dentro di sé sapeva benissimo che la punizione sua più grande era rappresentata proprio da quell'incessante ticchettio delle lancette negli orologi, tremendo monito dell'inesorabile scorrere del tempo, e non tanto dal dover restare rinchiuso fra quelle quattro mura.

L'unico pensiero che gli permise di non perdere la testa fu che, una volta uscito da quel maledetto istituto, avrebbe provato a rimettere a posto le cose con Marta e si sarebbe dedicato a lei anima e corpo, cercando di rimediare a tutti gli sbagli fatti e ai torti che le aveva arrecato. Così, giurò a se stesso che non solo l'avrebbe riconquistata a qualunque costo, ma anche che non si sarebbe mai più separato da lei.

Ciò che Alessandro ignorava, però, era che qualsiasi guerra si vince sempre a partire dalle battaglie di minor importanza, mai solo ed esclusivamente dallo scontro campale.

E lui, di queste, ne aveva perse fin troppe.


FINE PRIMA PARTE

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