XIII
L'anno scolastico terminò di lì a poco e, in ragione degli ottimi voti conseguiti, Alessandro fu convocato dal direttore dell'istituto in persona, per sostenere un colloquio privato. Venne scortato da due agenti della polizia penitenziaria fino all'ingresso dell'ufficio, situato alla sommità di un'immensa scalinata, la quale gli sembrò essere piuttosto antica, dal momento che i gradoni della stessa non solo erano molto più ampi del normale, ma erano anche stati costruiti utilizzando il marmo, costoso materiale non più usato da tempo. Opere architettoniche simili non si vedevano tutti i giorni. Il ragazzo attese una decina di minuti nell'atrio principale, per poi essere scortato fino all'interno dello studio del direttore. Non appena quest'ultimo lo vide entrare, congedò i due agenti con poche parole chiare e concise. Nonostante l'ordine loro impartito fosse inusuale, udita la richiesta del superiore, le due guardie uscirono dalla stanza senza domandare ulteriori spiegazioni.
L'ufficio aveva le pareti tinteggiate di un colore giallo tenue, tipico delle caserme militari, e un soffitto alto almeno quattro metri. In questo Alessandro ci aveva visto giusto: il complesso che ospitava tutti gli alloggi delle guardie, e ovviamente anche quello stesso ufficio in cui si trovava lui stesso, doveva essere senza alcun dubbio dei primi dell'Ottocento. All'interno, l'ambiente si presentava in modo piuttosto spoglio, senza particolari ornamenti, né decorazioni, eccezion fatta per l'arredamento essenziale. Il ragazzo non ci impiegò molto per giungere alla conclusione che il direttore dovesse essere stato a suo tempo nell'esercito, o che avesse perlomeno svolto il servizio militare.
– Vieni avanti, ragazzo, accomodati pure. – Alessandro fece come gli era stato detto e, una volta avvicinatosi alla scrivania, poté notare più da vicino le fattezze di quell'uomo visto in quei mesi sempre di sfuggita e da lontano. Egli aveva capelli neri, tagliati alla maniera militare, con spruzzate di bianco in corrispondenza delle tempie e della fronte; spalle larghe tipiche di chi è dedito all'attività sportiva, e vestiva un gessato di colore grigio scuro a righe verticali azzurre. A completare il tutto, ci pensava la cravatta in seta, la quale era stata ricamata seguendo le sinuose linee di un elegante motivo color ocra chiaro. Alessandro non seppe spiegare il perché, ma nonostante ciò si sentì subito a suo agio alla presenza del direttore, benché la sua divisa logora e sbiadita apparisse come un pugno nell'occhio, soprattutto se messa a confronto con l'elegante completo di chi gli sedeva di fronte. Anche solo osservando la postura che quell'uomo assumeva semplicemente stando seduto sulla poltrona, con la schiena leggermente inarcata e le spalle all'infuori, era facilmente intuibile che fosse un uomo tutto d'un pezzo, di quelli determinati a tal punto da riuscire sempre a ottenere ciò che vogliono.
– Noto con grande piacere che sei stato in grado di distinguerti a livello scolastico non solo tra gli studenti della tua classe, ma anche tra tutti i ragazzi che frequentano i corsi dell'istituto. Per questo motivo, voglio proporti di lavorare nella biblioteca situata nel padiglione ricreativo, durante il periodo della pausa estiva. Ti verrà fatto un colloquio conoscitivo, al termine del quale saprai subito se sei risultato idoneo per il posto, oppure no. Nel caso in cui venissi scelto, sarai il responsabile di sala e in più avrai alle tue dipendenze due collaboratori, ragazzi come te, i quali seguiranno le tue indicazioni nello svolgimento dei loro compiti. Infine, avrai completo accesso al banco prestiti e a tutto il materiale cartaceo presente nell'edificio, tra cui monografie, periodici, riviste scientifiche, documenti dell'archivio e tanto altro ancora. Dipenderai funzionalmente solo da me e non sarai tenuto a rendere conto del tuo operato a nessuno, se non al sottoscritto. È un'ottima proposta, ti consiglio di rifletterci. –
– Se la paga è buona possiamo discuterne. Quindi le chiedo, direttore, di che cifra stiamo parlando? – All'udire la domanda di Alessandro, l'uomo storse per un attimo il naso, ma quella nota di disappunto sparì subito dal suo volto.
– Risponderò alla tua domanda nello stesso modo in cui me l'hai posta tu, senza giri di parole: guadagnerai più che a svolgere qualsiasi altro lavoro qui dentro. Ti basta? –
– Sì, direi che è abbastanza. –
– Bene. Cambiando discorso, invece, stavo giusto dando un'occhiata alla tua scheda personale. Qui leggo che sei un ragazzo disciplinato e volenteroso, anche se talvolta tendi a isolarti, evitando il contatto con gli altri componenti dell'istituto. Mi sembra strano visto che la tua scuola, poco prima che tu arrivassi qui, mi aveva inoltrato una descrizione caratteriale completamente opposta rispetto a quella attuale, eccezion fatta per i risultati scolastici che, da quanto posso vedere, sono sempre stati brillanti e in linea con il tuo profilo. Sapresti per caso darmi una spiegazione plausibile al riguardo? –
– Non ho niente da spartire con gli altri, quindi non ci parlo. In più non riesco a fidarmi di nessuno. Questo è quanto. –, rispose bruscamente Alessandro, facendo intendere che non aveva alcuna intenzione di approfondire il discorso aperto dal direttore.
– Ho capito, sei rimasto ancorato alla tua realtà precedente, ma tutto sommato stare qui non ti dispiace. Forse ti aspettavi celle anguste, feroci criminali come compagni di sventura e fucili puntati addosso ad ogni angolo di corridoio; invece non è successo niente di tutto ciò, ma al contrario ti sei reso conto che la vita qui dentro trascorre in maniera del tutto normale, essendo però, pur sempre lenta e inesorabile. È come se ti trovassi in una sorta di limbo nel quale senti la costante mancanza di un qualcosa che a parole non saresti in grado di spiegare. Nonostante questo, sono pronto a scommettere ciò che vuoi sul fatto che la vita qui dentro è meglio di quella che hai condotto fino ad adesso lì fuori, e di questo ne sono sicuro, ma sai che presto o tardi tutto tornerà come è sempre stato. Ti manca tutto, e allo stesso tempo non avverti la mancanza di niente. Dimmi, ragazzo, mi sto forse sbagliando? – Alessandro ebbe un sussulto. Non sapeva come avesse fatto, ma con qualche semplice frase il direttore era stato in grado di evidenziare il suo repentino cambio caratteriale, e il dirlo a voce alta sembrò scuoterlo dal torpore in cui era piombato durante i mesi trascorsi tra quelle mura. In soli pochi minuti da quando loro due si erano incontrati, egli aveva già messo ordine ai suoi pensieri e sciolto tutte le domande che lo attanagliavano, riuscendo a trovare per ciascuna di esse, una risposta adatta. Avvertiva la strana sensazione che quell'uomo, in realtà, lo conoscesse da molto tempo.
– In un certo senso, possiamo dire che ciò non si discosta poi tanto da quella che è la realtà dei fatti. Tutto sommato devo ammettere che la sua è una buona diagnosi –, rispose il ragazzo, abbassando lo sguardo all'altezza del bordo della scrivania.
– Bene, tolti i panni dello psicologo da quattro soldi, voglio farti i miei complimenti per i risultati raggiunti fino ad adesso. Spero che continuerai su questa strada. –
– Ho forse altre valide alternative? Fintanto sto rinchiuso qua dentro, non mi sembra proprio di avere alcun margine di scelta per poter cambiare il mondo. Mi accontento giusto di sparare quelle quattro cazzate sulla rivoluzione francese, così care ai professori. Poi, se son giuste, tanto meglio. –
– Ovviamente, non ne hai. Ma hai qualcosa di ben più importante: la facoltà che il mondo non cambi te. Vedi, Alessandro, dalla mia non ho solo tutte le esperienze fatte in età adulta, qualche capello brizzolato sparso qua e là, e dei soldi in più, rispetto a prima, sul conto corrente; bensì ho il ricordo del posto da cui provengo. Senza salde radici, è impossibile per un albero arrivare a toccare il cielo. –
– Non pensavo fosse anche un filosofo, direttore. La facevo più tipo da gazzetta dello sport –, rispose Alessandro accennando un sorriso. Per un attimo, sembrò aver ritrovato il sarcasmo di sempre. Il suo interlocutore sorrise a sua volta e parve compiaciuto dal fatto che il carattere del ragazzo stesse pian piano emergendo grazie a quella chiacchierata.
– E tu che tipo saresti? Sentiamo, parlami un po' di te. –
– Le dirò, a parte l'aver massacrato di botte uno stronzo che ha cercato di fottersi mia madre mentre questa era completamente ubriaca, l'aver utilizzato qualsiasi droga possibile e immaginabile e, infine, l'aver abbandonato l'unica ragazza che in cuor suo mi voleva bene, la quale ha addirittura cercato più volte di aiutarmi mentre io non facevo altro che correre dietro a ragazzine facili e perlopiù deficienti, direi che sono un tipo piuttosto nella norma. A tratti anche noioso aggiungerei. –
– Sì, direi che rispetto a quello che ho dovuto passare io per guadagnarmi questa poltrona, tu hai avuto un excursus piuttosto normale. Speravo davvero che tu potessi stupirmi con qualche storia incredibile, invece mi hai fatto solo un elenco di fatti banali e già ascoltati mille altre volte. – Non appena smise di parlare, il direttore accompagnò le sue parole con una fragorosa risata che spiazzò totalmente Alessandro, il quale rimase a fissarlo con sguardo attonito.
– Non so cosa ci trovi lei da ridere, ma a me sembra che ci sia solo da piangere. E come se non bastasse, guardi dove sono finito. –
– Ragazzo, non te la prendere, non voglio assolutamente sminuire la tua situazione, ci mancherebbe. Dico solo che dovresti mettere in conto che persone con vite ben più incasinate della tua, arrivate ad un certo punto, quello che io sono solito chiamare "di non ritorno", hanno deciso di tirare fuori i coglioni e ricominciare da zero. Parti da questo presupposto: sapere che, in questo preciso istante, metà della popolazione africana non sa se arriverà a domani perché non ha trovato nulla con cui sfamarsi, non ha mai aiutato nessuno a risolvere né la propria situazione, né i problemi ad essa connessi. Allo stesso tempo però, prova a concentrarti su uno a caso dei tanti ragazzi che sono lì, i quali non smetteranno mai di continuare a cercare quel pezzo di pane in più, di lottare per esso e, una volta trovato, magari lo divideranno anche con la sorellina più piccola vicino a loro. Questo sì che basta e avanza per farti sentire stronzo, a prescindere da quale sia la tua situazione di partenza! Siamo tutti responsabili per quello che non facciamo, ragazzo, nessuno escluso. –
Alessandro, mano a mano che il dialogo si spostava su considerazioni generali, e di conseguenza si allontanava da quella che era stata la sua esperienza individuale, arrivò ad analizzare il tutto da una prospettiva nuova, così terza e imparziale, e questo fece nascere in lui un insolito senso di frustrazione. Faceva fatica ad ammetterlo, ma quell'uomo aveva dannatamente ragione e visti sotto una luce differente dalla propria, sentiva che i suoi problemi erano stati, seppur in minima parte, condizionati dall'atteggiamento che aveva deciso di assumere per contrastarli. Proprio lui, che per anni aveva cercato di mettere un freno a ogni situazione difficile capitata nella sua vita, non era stato altro che parte del problema. Nonostante ciò, non si rassegnò all'idea di perdere quel confronto dialettico e trovò subito un modo per correre ai ripari, rispondendo a tono alle considerazioni avanzate dal direttore.
– Tutto giusto, direttore, ma lei non tiene conto del fatto che per ogni ragazzo che ci riesce, altri cento ne muoiono, mentre i figli provenienti da famiglie ricche, al massimo, possono scoppiare per il troppo champagne ingurgitato nell'ennesimo hotel di lusso. Quello che fotte tutti quelli come noi, non è il voler arrivare al traguardo prima degli altri, bensì è la partenza stessa. Ci sono gare alle quali non possiamo proprio iscriverci. –
– Pensi che sia così semplicemente perché poni te in rapporto con gli altri, come se fosse una specie di gara. L'unica persona con la quale dovrai gareggiare per tutta la vita, correndole sempre affianco e cercando di superarla più e più volte, sarà sempre e solo una: si chiama Alessandro Bottani, ovvero il signor "te stesso". Mi dispiace dovertelo dire, ragazzo, ma hai le ore contate. Senti questo ticchettio di orologio? Sei destinato tra pochi anni, relativamente parlando, a chiudere per sempre gli occhi e a diventare del buonissimo concime per vermi. Ora cerca di riflettere per un attimo soltanto: tutto quello che hai fatto fino ad adesso ti ha reso una persona migliore, o ti ha mai reso felice? Sai benissimo, senza che debba essere io a dirtelo, che la risposta a questa domanda è no. –
– E questo che diavolo dovrebbe c'entrare con il fatto che sono svantaggiato dalla nascita, rispetto agli altri ragazzi della mia età nati da fottutissime famiglie ricche? –
– C'entra eccome! Rendere povero un ragazzo ricco, così all'improvviso e solo per un tuo diletto personale, non renderà ricco te. E questo a meno che tu non faccia il ladro di professione –, ribatté prontamente il direttore, aggiungendo di proposito una battuta per non sovraccaricare eccessivamente l'aria di tensione.
– Capisco dove vuole arrivare, direttore, ma non conosco nessun altro modo di vivere; a parole è tutto perfetto, il problema si pone quando si passa alla pratica. –
– Frena, frena, ragazzo. Non sto assolutamente dicendo che il tuo modo di vivere sia sbagliato e che sia giusto ciò che penso io. Convincere le persone è soltanto un enorme spreco di tempo e di energie perché ognuno, in cuor suo, alla fin fine la pensa come vuole, nonostante tutti i grandi discorsoni che si possano fare per ore e ore. Quello che vorrei che tu capissi una volta uscito di qui, è che non solo hai le potenzialità di fare qualsiasi cosa tu voglia, ma che dovrai anche essere felice di continuare, giorno dopo giorno, a farlo. Devi far sì che tu possa dormire tre ore per notte senza avvertire nessun senso di stanchezza, e questo perché non stai più nella pelle all'idea di svegliarti per portare a termine il tuo lavoro. Poniti qualsiasi tipo di obiettivo e conquista il tuo pezzo di pane, qualsiasi esso sia. –
– Il mio problema è che non ho la più pallida idea di cosa mi renda felice, o di quale siano i miei obiettivi nella vita. So per certo che qualsiasi cambiamento non porta ad altro se non ansie e paure ben peggiori del rimanere nella propria condizione. Nel profondo, questo è il motivo principale per cui non me la sento di percorrere nessun'altra strada all'infuori di quella che già conosco. –
– Non posso essere io a definire i tuoi obiettivi, ragazzo. Ognuno li scopre pian piano, proseguendo con passo lento sul terreno battuto che ha davanti a sé –, e pronunciando queste parole, il direttore aprì il primo cassetto della sua scrivania e ne estrasse un piccolo volume, rilegato da una copertina in pelle rossa. Poco dopo riprese lentamente a parlare: – Io posso solo dirti quali motivazioni ho abbracciato anni fa, per trovare la forza di allontanarmi dalla brutta strada che ho iniziato a percorrere quando ero un po' più giovane di te. –
– Lei ci è riuscito grazie ad un libro? –
– Non solo grazie ad un libro, ma grazie alla letteratura in generale. Parti dal presupposto che fisicamente non puoi vivere più di una vita, all'infuori della tua; ciò che ora hai di fronte è l'unico strumento che hai a disposizione per poter vivere più vite alla volta, alcune di esse anche contemporaneamente. –
– E, mi faccia indovinare... per caso quello è proprio il libro che le ha permesso di fare tutto questo? –
– Sei sveglio, ragazzo, ma no non è questo. E questo perché ogni libro è in grado di farti vivere tutte le emozioni di cui hai bisogno, ma soprattutto proprio quando ne hai più bisogno. Quando avevo sedici anni, la famiglia del quartiere che inizialmente faceva affari con noi, decise che era giunto il momento di prendersi una fetta di territorio più grande. Così, piantarono una pallottola in testa a mio padre, il quale comandava la zona, e misero a posto le cose. Fu uno dei periodi più brutti della mia vita, mi ammalai gravemente e fui costretto a restare per mesi steso nel letto di un ospedale sperduto in periferia. Era come se il mio corpo si fosse, tutto ad un tratto, rifiutato di andare avanti e avesse deciso di non collaborare più. Il tempo era l'unica cosa che non mi mancava così, dopo settimane passate a fissare quelle quattro pareti bianche, iniziai a leggere i libri che mi portava mia zia Rosalba quando veniva a farmi visita. Tra i tanti che ho letto, vi era anche questo. –
– Mi dispiace, direttore, ma io e la letteratura non andiamo molto d'accordo. Diciamo che non ci sopportiamo a vicenda. Le assicuro, però, che si tratta di un rapporto reciproco. Ecco, non si potrebbe ripetere lo stesso esperimento su di me, ma ad esempio utilizzando i videogame? Male che va, posso sempre diventare un cecchino provetto ed arruolarmi nell'esercito. –
– Pensi che ti stia chiedendo il favore di leggere questo libro, ragazzo? Non è una richiesta, è un'imposizione. Quando l'avrai finito ci rivedremo qui nel mio ufficio e ne discuteremo insieme –, e così dicendo il direttore porse il libro al ragazzo, il quale sbuffò visibilmente.
Dopo un primo momento di adorazione per quell'uomo, e a seguito della sua bizzarra richiesta, Alessandro era giunto alla conclusione che sì, la sapeva lunga più di molti altri, ma su certe cose, come la storia della letteratura o del misterioso potere dei libri, sparasse le solite stronzate sentite per anni. Se il suo scopo era stato fin dall'inizio quello di imporgli di leggere un libro, non c'era bisogno di cercare di intortarlo con tutti i precedenti discorsi. Secondo il direttore, il ragazzo avrebbe dovuto fidarsi di lui e di lì a poco sarebbe arrivato perfino a ringraziarlo per quel dono.
Dopo essere stato invitato ad uscire dall'ufficio, Alessandro fece qualche passo in direzione della porta ma, prima di oltrepassarne la soglia, si fermò per fare un'ultima domanda: – Direttore, quindi mi farà sapere lei quando dovrò presentarmi per sostenere il colloquio? –
– Il colloquio? Ah già, mi sono dimenticato di dirti che è appena terminato. Il posto è tuo, ragazzo. –
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