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Capitolo 32

Aleys

Riaprii gli occhi debolmente, sotto i palmi sentii come tantissime puntine che mi stavano pizzicando il palmo. Probabilmente era della ghiaia.

Mi misi seduta lentamente mentre mi guardavo intorno, davanti a me si trovava una scalinata in marmo nero dove alla fine della scala c'era un trono con una figura seduta su di esso. Attorno non c'era nient'altro che una nebbia nera e fitta che scaturiva dalla figura seduta. Notai che anche tutt'attorno a me era completamente nero, facevo quasi fatica a delineare le forme della persona seduta sul trono, sempre se lo fosse stata.

«Ma guarda guarda chi abbiamo qui!» esordì una voce femminile proveniente dalla figura sul trono.

Aguzzai lo sguardo utilizzando le mie abilità da fenice, verso quella seduta reale e improvvisamente la figura di una ragazza bellissima molto più grande di me, mi apparve ad un palmo dal naso seguita da una nuvola di nebbia nera.

«Oh sì sei proprio tu. Quelle iridi rosse le riconoscerei su un milione» rispose sorridendomi. Mi pose una mano pallida e affusolata che afferrai di buon grado per rimettermi in piedi. La studiai e lei studiò me.

I capelli neri e boccolosi contornavano un volto pallido dalle forme armoniche e perfette, non un brufolo, non una cicatrice sulle guance o sulle labbra disegnate. Le iridi erano talmente nere che non si poteva distinguere il contorno della pupilla. Il fisico magro e tonico fasciato da un vestito di seta nero con lo strascico che svolazzava ogni volta che lei si muoveva.

Chi cavolo è questa ragazza?

«Tranquilla tesoro, ormai abbiamo tutto il tempo del mondo per discutere in santa pace» sussurrò guardandomi eloquente.

Serrai i pugni e contrassi i muscoli della faccia per non lasciar trapelare la mia confusione e ansia crescente.

Poco dopo mi diede le spalle e schioccò le dita. Improvvisamente un enorme portone di cui non si vedevano i confini verso l'alto era apparso davanti ai miei occhi. Era costituito da un metallo nero con intarsi argentati e contorti costituiti soprattutto da rose con spine che si contorcevano.

La ragazza appoggio la mano su un battente mentre sulla mano le apparvero dei tatuaggi che le si inerpicarono fino al volto.

Indietreggiai impaurita.

«Ti spaventi per così poco?» ridacchiò voltandosi verso di me, mostrandomi il volto coperto da vari tatuaggi di rune antiche mentre gli occhi erano diventati completamente neri.

«Benvenuta all'Inferno, sorellina» detto questo spalancò gli enormi portoni che davano su un bosco di alberi completamente spogli e scheletrici.

Lei si incamminò a passo sicuro inoltrandosi nell'intricato passaggio lasciato dai vari rami.

Dopo varie ore di cammino sbucammo in una radura di sabbia nera dove svettava un enorme castello nero al centro.

Entrammo e sentii un nodo alla gola.

È uguale al mio castello di quando me ne sono andata.

«Non è uguale, è proprio quello» sussurrò sicura mentre si inoltrava nel labirinto dei corridoi bui e stretti dalle pareti e il pavimento in fase di decomposizione.

Fortunatamente ad un certo punto la vidi fermarsi ed entrare in una stanza spoglia. I muri erano in decadimento come il pavimento dopotutto, la stanza era monocromatica, di un unico singolo colore: il grigio. Al centro torreggiava un divano in pelle nera che sembrava nuovo di zecca e un'altra poltrona abbinata di fianco ad esso.

Lei si accomodò sopra al divano accavallando le gambe invitandomi a fare lo stesso e solo in quel momento notai che non portava le scarpe.

Quando mi sedetti a mia volta la vidi chiudere gli occhi e concentrarsi facendo sparire tutti i tatuaggi.

«Beh partiamo dal fatto che sono davvero felice di vederti e di poterti parlare» iniziò ad un certo punto aprendo gli occhi lentamente.

«E perché saresti felice di vedermi?» domandai accavallando le gambe a mia volta. Lei mi sorrise ghignando.

«Perché sei morta, finalmente, dopo ben diciassettemila anni, ammetto che ce ne è voluto di tempo» sospirò

I-Io sono morta?

«Non è stato facile ma alla fine qualcun altro è riuscito ad ammazzarti. È un vero peccato che non abbia fatto in tempo a farlo per prima»

Come scusa? Allora io mi sono risvegliata qui. Mi hai detto che sono tua sorella. Mi hai fatto entrare nell'inferno. E mi dici che volevi essere tu ad ammazzarmi per prima, che è la prima volta in vita mia che ti vedo?

«Come ben sai Cameron ti ha detto parte della verità. Ma non spetta a me raccontarti il resto sia chiaro. Tu sei l'ultima fenice su questo mondo ad avere avuto l'immortalità. E cavolo non vedevo l'ora di ucciderti per potermi accaparrare la libertà, ma ho fatto tardi purtroppo, comunque io sono Dark. Una delle tue sorelle maggiori, che per la cronaca ti vogliamo morta tutte» abbassò lo sguardo, prima di sorridere per poi fare un balzo saltandomi addosso. Chiusi gli occhi aspettandomi di sentire le sue mani che mi stritolavano il collo. Ma invece lei mi trapassò il corpo quasi come se fossi incorporea.

«Cazzo! No!» strillò su tutte le furie. Alzandosi dalla poltrona. Mettendosi a girare avanti ed indietro tirandosi i capelli.

«Ma aspetta...» si girò di scatto verso di me con un luccichio malsano negli occhi «Se tu sei qui vuol dire... Vuol dire che... Hai attraversato un portale Ombra... Quindi... Sei in un mio territorio sorellina. Potrò finalmente ucciderti con le mie mani!» esultò felice mettendosi a saltare.

Sì già che bello...

Deglutii in imbarazzo e all'improvvisamente tutto iniziò a svanire. La mia visuale fu invasa dalla nebbia nera che alleggiava nella stanza prima che diventasse successivamente tutto buio.

«Aspettami sorellina. Sto venendo a prenderti»

Socchiusi le palpebre.

Sentii delle mani stringermi forte le spalle, quasi con disperazione. Le scariche elettriche scaturite da quel contatto mi arrivarono fino al basso ventre. Era il suo tocco. Era lui che mi stava toccando.

«Ti prego! Cazzo! Respira!» riuscii a mettere a fuoco quel tanto che bastava per riconoscere i tratti marcati del volto di Kevin contornati dai suoi capelli biondi sparpagliati.

Mi strinse forte in un abbraccio e tossicchiai cercando di capire cosa cavolo stesse succedendo.

Delicatamente, quasi come se fossi fatta di cristallo, mi adagiò sul terreno sabbioso e guardando in alto notai il soffitto costituito da pura roccia grezza.

Eravamo in una caverna.

Con movimenti lenti mi rimisi seduta spaziando con lo sguardo intorno a me.

La grotta era ampia e spaziosa, all'uscita della caverna si vedeva un muro di roccia imponente. Mi alzai in piedi barcollante raggiungendo l'uscita e sotto ai miei piedi si aprì un baratro.

L'oscurità lo avvolgeva rendendolo spettrale. Era profondo e mortale. Chiunque abbia la sfortuna di caderci dentro sarebbe caduto nelle viscere dell'oscurità infinità.

«A-Aleys torna dentro» sentii la voce di Kevin come soffocata interrotta da vari colpi di tosse.

Cosa...?

Mi voltai e tronai all'interno, trovando Kevin ansimante seduto contro un muro roccioso.

Corsi da lui preoccupata, apriva a stento gli occhi, la faccia era imperlata di sudore ma le sue mani erano gelide, la fronte scottava. Era messo da panico.

«Kevin...Cosa...?» cercai le parole giuste per porgere la domanda ma non le trovavo. Non ci riuscivo.

«Sto bene» sussurrò ma poco dopo ricominciò a tossire ed un rivolo di sangue gli scese lungo il labbro.

No, che non stai bene.

Mi accovacciai di fianco a lui prendendo il mio cristallo appeso alla collana pronta ad utilizzare le mie Lacrime di Fenice, ma lui mi fermò.

«Peggioreresti la situazione, fatina» sussurrò mentre un tremito gli sconquassava il corpo.

Serrai la mascella, la scorsa volta aveva funzionato... Non è la stessa cosa? Perché adesso sta male? Come ci siamo arrivati qui? Cosa è successo?

Mi sedetti anche io contro il muro di roccia poco lontano da lui ma mantenendo una certa distanza.

«Io sono nato già rotto, e questo è solo un piccolo pegno per i miei errori. Per le mie pazzie. Per la mia vita. Per ogni cosa io faccia devo pagare. È questa la mia maledizione. Tu devi starmi lontana Aleys. Perché se cedessi diventeresti anche tu come me, e questo non posso permetterlo» ricominciò a tossire grumi di sangue per poi accasciarsi sul pavimento in posizione fetale.

Mi alzai nuovamente e corsi da lui. Come poteva ridursi così? Cosa voleva dire "io sono nato già rotto"? "è questa la mia maledizione"? Cosa intendeva?

Mi sedetti di fianco a lui iniziando ad accarezzargli la schiena. Le cose però non miglioravano, la faccia era contratta in una smorfia di dolore mentre con le braccia si abbracciava l'addome. Ad un certo punto lo sentii irrigidirsi e poco dopo vomitò sangue. Indietreggiai sconcertata per poi riavvicinarmi a lui. Aveva perso i sensi da un po', sentii il suo battito cardiaco sul collo ma era quasi impercettibile.

L'ansia mi assalì lo stomaco.

Dovevamo uscire da qui.

Serrai i pugni e la mascella, dovevo uscire e cercare aiuto.

Mi affacciai sul baratro nero che si estendeva sotto di me. Presi un bel respiro e mi voltai verso la parete iniziando la scalata. Guardai verso l'alto ma il buio avvolgeva anche quello, possibile che fossimo rinchiusi in due baratri? Ma iniziai comunque la salita.

Afferrai l'ennesimo appiglio frastagliato graffiandomi le dita. Ero sfinita, il dolore alle braccia mi invitava a mollare questa salita inutile e senza fine ma il mio cervello la pensava diversamente.

Digrignai i denti dandomi la spinta nuovamente cercando un nuovo appiglio ma un rumore proveniente dal basso mi fece voltare il capo.

Non fui abbastanza veloce per reagire perché un enorme tentacolo nero spuntato fuori da chissà dove mi afferrò per la vita stritolandomi. Sentii le ossa del bacino scricchiolare sotto la potenza di quella presa e urlai di dolore.

Ero stata catturata come sicuramente anche Kevin, le braccia doloranti e le mani sanguinanti non aiutavano certo a cercare di liberarmi.

L'essere aumentò la stretta su di me ed urlai di dolore nuovamente prima che diventasse tutto buio.

Era davvero questa la mia fine?

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