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Una normale adolescente americana avrebbe pensato che a 18 anni avesse ancora tutta la vita davanti, ma io non lo ero.
Il mio paese mi aveva insegnato che la vita è fatica e, soprattutto, che può esserti tolta in qualunque momento, da chiunque, che sia Dio o uomo.
Alcuni però, invece di togliertela completamente, possono prenderne un pezzo. Che sia importante o meno è sempre un pezzo di vita.
A me ne avevano tolto uno, uno solo, ma fondamentale: mio padre.
Era successo l'anno precedente, era stato un incidente con l'auto... tutto a causa di una lastra di ghiaccio.
Sapevo che era stato Dio a portarmelo via e non lo accusavo per questo, perché avrà avuto i suoi motivi -discutibili o meno-, ma questi motivi pretendevo di saperli! Perché lui? Era una persona perbene, aveva un lavoro umile e mi voleva un bene dell'anima! Perché lui?
Ogni volta che ci pensavo mi dicevo che non dovevo piangere, che non serviva a nulla versare lacrime, che bisognava andare avanti con una consapevolezza in più, poi però scoppiavo comunque in singulti incontrollati. È bene piangere le persone che sono venute a mancare e lui a me mancava da morire...
Mia madre ed io ci eravamo trasferite a New York grazie al lavoro che svolgeva. Le avevano offerto un posto come giornalista nel centro di Manhattan e lei ne approfittò per allontanarsi dal paese in cui aveva perso l'unico uomo che avesse mai amato veramente.
-Ekaterina...- mi richiamò dolcemente mia madre. Mi asciugai velocemente le guance, smisi di guardare il vuoto oltre la finestra e mi girai. -Come stai?
-Tutto bene, mamma.- 'Va tutto bene' sarebbe dovuto essere il nostro motto da quel momento in poi. -Tu?
-Come al solito,- rispose con un sorriso tenero, mentre i suoi occhi trasmettevano una leggera tristezza, -quando metti a posto la tua roba?- chiese indicando le valigie ancora intatte. -Domani andiamo ad iscriverti nella high school qui accanto.
E con quelle parole mi abbandonai ad altri monologhi mentali sulla scuola.
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