Non immaginavo che New York fosse così bella. È anche vero che era la prima volta che ci andavo, ma ero rimasta letteralmente a bocca aperta.

I grattacieli surreali, i grandi parchi, tutto così maledettamente perfetto.
Tranne forse per una cosa...

-Ekaterina, ti muovi? Non è una vacanza questa. Avrai tutto il tempo per ambientarti e visitare la città- pronunciò mia madre, sempre delicata nei modi. Ma aveva ragione, non era una vacanza. Ci sarei vissuta veramente lì. Ancora mi pareva incredibile.

Mi ripresi dai miei sproloqui mentali da adolescente e attraversai la strada con cautela, tenendo ben salde le valige che mi trascinavo dietro.

Sembravo entrata in uno dei film americani che vedevo in Russia, con le case tutte vicine le une alle altre, col loro proprio pezzo di giardino, che affiancavano le strade. Soffocai un gridolino da ragazza poco matura, quindi mi ripresi e, invece di guardare con occhi sognanti il palazzo che si innalzava di fronte a me, lo osservai per quel che era.

Un edificio grigio, forse anche un po' lurido, decorato da tanti graffiti. Non avrei vissuto nell'attico di chissà quale grattacielo con una jacuzzi sul balcone, ma nemmeno in una topaia, pensai e, soprattutto, sperai. Dopotutto, avremmo vissuto nel Bronx, il quartiere malfamato della Grande Mela.

Una volta arrivata al terzo e ultimo piano, mi aspettavo il peggio del peggio -date alcune cose che vidi nei piani inferiori, cose che non vi sto a dire- ma mi dovetti ricredere. Il nostro nuovo appartamento era bellissimo: tutto arredato in stile moderno, provvisto di un salone con angolo cucina, due camere matrimoniali e un bagno. Non era esattamente ciò che avevo in Russia, ma era molto meglio.

Ero sicura che mi sarei divertita un sacco nella nuova città.