39. "A domani"
Dopo quel giorno passato a baciarci nel suo appartamento, Alexander partì per New York senza preavviso. Doveva incontrare uno scrittore che stava lavorando alla stesura del suo terzo romanzo.
Erano stati tanti i messaggi che ci eravamo scambiati. Ma il più bello che mi aveva mandato era stato: "Buonanotte amore, a domani".
Quelle parole scatenarono in me emozioni forti. Non tanto perché mi aveva chiamata "amore" ma perché mi aveva detto "a domani" e..."a domani" era la promessa più bella che mi potesse fare.
Dopo quel messaggio, la stessa sera mi sentii felice e mi addormentai serena. Anzi, non desideravo altro che svegliarmi l'indomani per ritrovarmi un suo messaggio e così fu il giorno dopo e quello dopo ancora.
Il lavoro procedeva bene e Jay mi portava sempre le ciambelle in ufficio. Probabilmente perché Alexander non era in giro a controllarlo.
Una settimana dopo la partenza di Alexander, varcai la soglia del mio ufficio come ogni mattina, intenta nel svolgere il mio lavoro nel migliore dei modi ma quando chiusi la porta dietro di me, lo scattare della serratura mi fece sussultare.
Mi voltai e lo vidi. Lì, in tutta la sua bellezza.
Indossava dei pantaloni neri e una camicia bianca sbottonata che lasciava intravedere alcuni dei suoi tatuaggi sul petto.
«Sei tornato» sussurrai.
«Sempre» rispose.
Iniziò a guardarmi in un modo così intenso che sentii le mie guance avvampare.
«Com'è andata a New York?» Gli domandai andando verso la mia scrivania per appoggiare tutto quello che tenevo tra le mani.
Non abbe il tempo di voltarmi, che Alexander mi raggiunse abbracciandomi da dietro.
Sorrisi.
«Bene, lo scrittore è a buon punto. Sono riuscito a convincerlo ad apportare alcune modifiche che potrebbero migliorare il romanzo».
«Sei bravo nel tuo lavoro» dissi convinta.
«Anche se...».
«Anche se?».
«Avevo la testa completamente altrove».
«Dove?» Chiesi. «Dove l'avevi la testa?».
«A Chicago... a te».
Sorrisi. Di nuovo.
«È stata una lunga settimana, non pensi?» Continuò.
«Sì, è stata decisamente una lunga settimana» concordai.
Mi era mancato.
«Ti ho pensata tutto il tempo».
Alexander mi scostò i capelli dietro l'orecchio per poi avvicinare le sue labbra al mio collo.
«Adoro questo profumo» mi girai appena, quanto bastava per osservare il suo viso. «Pesca e lillà».
Eravamo passati dal farci la guerra al desiderarci ardentemente.
Le sue mani sui miei fianchi che curiose iniziarono a scendere sempre più giù fino ad arrivare alle mie cosce.
«Sei sempre stata mia Foster, sempre» sussurrò nel mio orecchio con voce calda.
Mi voltai e lo guardai.
«Stiamo sbagliando?» Gli domandai improvvisamente. «Stiamo sbagliando a fidarci di nuovo l'uno dell'altra?».
«Forse, ma non ne abbiamo già fatti tanti di errori Charlotte?».
«Io sono stanca di far finta che tra di noi sia finita».
«Forse perché tra di noi, non è mai finita?» Chiese.
Sapevo che da lì a poco saremmo arrivati ad un punto di non ritorno.
«Anche io ti ho pensato molto in questi giorni» gli confessai.
«Ah sì?».
«Sì».
«E a cosa hai pensato nello specifico?».
«Ai nostri baci dell'altro giorno».
«E...?» Insistette.
«E mi sono sentita proprio come tanti anni fa».
«Ti batteva forte il cuore?» Assottigliò gli occhi. Come se stesse cercando di leggermi dentro. «Stavi bene o... o ti sentivi in colpa?» continuò non ricevendo nessuna risposta da parte mia.
«Se te lo dico non ti monti la testa, vero?» gli chiesi facendolo ridere. Scosse la testa.
«Non mi sentivo così bene da non so più quanto tempo» ammisi. «Quindi per te va bene avermi di nuovo nella tua vita?».
«La verità è che non mi sono mai rassegnata a una vita senza di te, Noel...» dissi e nello stesso istante, Alexander afferrò il mio volto per poi scaraventarsi sulle mie labbra.
E mentre le nostre labbra si ritrovavano dopo tempo, i nostri corpi iniziarono a sentire il bisogno di avvicinarsi sempre di più.
Le mani di Alexander si appoggiarono sul mio collo, poi di nuovo sui miei fianchi e infine mi afferrarono sollevandomi stino a farmi sedere sopra la scrivania. Per la sorpresa emisi un gridolino.
«Molto carina questa gonna» osservò Alex accarezzando il tessuto dalla cinta fino ad arrivare alla cerniera che era posizionata dietro.
«È solo una gonna, che ho comprato un po' di tempo fa ma non ho mai indossato prima d'ora».
«Mi piace, ti sta bene. Aderisce perfettamente al tuo corpo» commentò osservandomi attentamente.
Le sue dita afferrarono la cerniera facendola aprire, poco alla volta. Appoggiai le mani sulle sue possenti spalle, e sollevandomi leggermente lo aiutai a sfilarmela.
Non provai imbarazzo. Alexander conosceva già il mio corpo.
Era stato il primo a vedermi nuda.
«Bella... molto bella ma adesso non mi piace più» disse ma io lo fermai.
«Per favore, non lanciarla per terra, si formerebbero delle fastidiose pieghe che poi potrebbero notare i colleghi» Alexander mi guardo divertito. Scosse la testa per poi appoggiare l'indumento su una delle due sedie davanti alla mia scrivania. Prima però, la piegò. Mi fece ridere.
«Madame, permette?» Domandò indicando la mia camicetta.
Annuii e così lui la sbottonò, me la tolse e poi anche quest'ultima piegò. «Sono stato bravo, no?».
«Bravissimo» concordai.
«Questi però... gli altri non li vedono» indicò il mio intimo.
Scossi la testa ma prima che lui potesse togliermi altro, lo fermai.
«Sei il mio capo» gli ricordai.
«Per te, io non sono il capo, per te, io sono semplicemente Alexander».
«Ma... il sesso tra colleghi, in azienda, non è proibito qui?» Lo stuzzicai.
«E chi ha parlato di sesso, Foster?» Domandò facendomi arrossire «Noi non faremo sesso... noi faremo l'amore che è ben diverso!» Fece l'occhiolino.
«Ah sì?» Alexander stava giocando e io, insieme a lui.
«Sì, decisamente. Io sono un capo modello e tu un'impiegata modello!».
«Adesso sei di nuovo il capo?».
Si morse la lingua.
«Beh perché se tu fossi il mio capo, capisci bene che io non potrei mai farti questo...» dissi avvicinando le mie labbra al suo collo. Lo baciai. «O questo...» afferrai i bordi della maglietta per poi tirargliela via.
«Te l'ho detto Lottie... sono semplicemente Alexander per te» disse sussurrando sulle mie labbra.
«Bene» riposi. «Sarebbe stato un peccato, non trovi?».
«Un vero peccato, sì» concordò per poi fiondarsi nuovamente sulle mie labbra.
Questa volta però il bacio fu ancora più intenso rispetto a prima, come se questi pochi minuti avessero alimentato ancora di più il loro bisogno di contatto. Un bacio urgente e prepotente il nostro.
Alexander si allontana soltanto alcuni secondi da me per osservarmi, si morde il labbro per poi afferrare entrambe le bretelle del mio reggiseno. Lo tira via con forza facendo cadere per terra i gancetti.
«Te ne ricomprerò uno nuovo» disse.
Scossi la testa, cosa ci stava prendendo?
Eravamo riusciti ad aspettare anni prima di rivederci, mentre adesso, sembrava che ogni secondo passato lontano fosse troppo da sopportare.
Portai le mani sul suo jeans, abbassandogli la cerniera.
Alexander mi aiutò a tirarglieli via insieme ai boxer, ma prima di gettarli per terra, mi guardò divertito.
«Li piego? Per evitare le pieghe?».
«Quanto sei stupido?» Risi.
Alex si morse il labbro e prima di buttarli per terra, prese dalla tasca posteriore un preservativo.
Alzai un sopracciglio. «Cammini sempre con uno di quelli in tasca tu?».
«No piccola, ma te l'ho detto, mi sei mancata in questi giorni e non potevo non portarne in ufficio, uno o...due oggi».
«Certo... certo» finsi di comprendere il suo ragionamento ma Alexander non mi diede nemmeno il tempo per replicare che si precipitò nuovamente su di me per ricominciare a baciarmi. Questa volta il bacio fu più lento. Come se entrambi avessimo bisogno di prenderci del tempo per assaporarci.
«Ti sono mancato?» Domandò guardandomi dritto negli occhi.
«Sì, ti ho pensato anche io questa settimana» rispose ma lui scosse la testa.
«Ti sono mancato in questi anni?».
«Vorrei dirti di no, ma sai già la mia risposta».
Sorrise come un bambino, proprio come faceva l'Alexander adolescente che mi fece innamorare.
Avevamo bisogno di sentirci, di esserci l'uno per l'altra per stare bene.
«Doveva andare così» mi lasciai sfuggire. «Forse quello non era il nostro momento».
«Hai ragione, non eravamo pronti».
«Adesso... adesso lo sei?».
«Sì, Charlotte. Non ho più paura di dirti quello che provo».
«Nemmeno io, Alex... nemmeno io» dissi stringendolo a me.
Finalmente stavo tornando a respirare.
Alexander mi sfilò anche le mutandine.
Mi sentivo emozionata proprio come tanti anni fa, certamente ero un po' più consapevole e sicura, ma seppur non fosse la prima volta con lui, quando i nostri corpi si unirono, mi tremarono le gambe e il cuore come se lo fosse.
Alexander mi guardò intensamente negli occhi.
Senza vergogna, voleva trasmettermi con il suo sguardo tutto ciò che stava provando. E fu in quel preciso istante che tutta la rabbia e il dispiacere accumulati negli anni precedenti lasciarono il mio cuore. Non contava più niente. C'eravamo solo noi.
Avvolsi le mie gambe attorno alla sua vita per poi stringerlo.
E lui fece la stessa cosa con le sue braccia attorno al mio corpo. Come se non volesse più farmi andare via. Nemmeno per un secondo.
I nostri corpi danzavano all'unisono.
Le sue mani esploravano sicure il mio corpo, dal mio volto, scivolarono fino al mio collo, proseguendo fino ai fianchi per poi arrivare alla curva del mio sedere spingendomi contro il suo corpo.
Ci eravamo ritrovati, dopo tanto tempo.
E seppur fossero passati anni dall'ultima volta in cui avevamo fatto l'amore, i miei sentimenti per lui non erano cambiati.
Ansimai il suo nome proprio quando anche lui sospirò il mio sulla mia pelle.
Eravamo arrivati a un punto di non ritorno. Ci eravamo cascati di nuovo, i nostri cuori ci erano cascati di nuovo. Ma l'amore non svaniva, nemmeno dopo tutti questi anni.
L'amore era amore. Indipendentemente dal tempo passato lontano a farci la guerra.
La verità era che dovevamo soltanto trovare il momento perfetto. Il nostro momento.
Ci sdraiammo sulla scrivania, abbracciati l'uno all'altra mentre i nostri respiri affannati riempivano la stanza.
Guardammo in silenzio il tetto.
Non avevamo parole per descrivere la chimica che c'era stata tra di noi.
Era stato perfetto. Noi eravamo perfetti insieme.
E sorrisi pensando a come una volta eravamo inseparabili, poi la vita ci ha costretti a diventare due perfetti sconosciuti e alla fine, di nuovo perfetti insieme.
Ci stavamo rivestendo quando qualcuno bussò alla mia porta.
«Lottie?» La voce di Jay mi fece sobbalzare.
«Pensi ci abbia sentiti?» Domandai ad Alexander che alzando le spalle non mi rassicurò per niente.
Alzai gli occhi al cielo.
«Si?» Domandai affrettandomi nel rivestirmi.
Feci segno anche ad Alexander di sbrigarsi ma quando lo sguardo mi andò sulla scrivania, notai che tutto quello che una volta era su di essa, adesso si trovava per terra.
Indicai ad Alexander di sistemare e lui mi guardò compiaciuto.
«Fai presto!!» Gli ordinai mentre a passo lento raggiunsi la porta, facendo attenzione ad aprire la serratura.
«Jay, ciao!» Lo salutai tenendo la porta socchiusa.
«Ma buongiorno!» Mi sorrise lui. «Come stiamo questa mattina?».
«B-Bene» risposi. Ci aveva forse sentiti? «Tu?».
«Alla grande, a proposito... ho portato la colazione!».
«Fammi indovinare... ciambelle appena sfornate?» Domandò la voce dietro di me.
Mi guardai dietro per poi notare Alexander seduto sulla mia sedia con le gambe sulla scrivania. Indossava gli occhiali da lettura mentre fingeva di leggere qualcosa sul portatile.
Aprii la porta permettendo a Jay di entrare. Come se volessi dimostrargli che Alexander era nel mio ufficio perché stavamo soltanto lavorando.
«Ehilà Noel!».
«Donovan, sai che tutti questi zuccheri fanno male, vero? Ricordo male o tuo zio Ron soffriva di diabete?».
«Sì ma la colazione è importante, Alex! Seppur io mangi ogni giorno ciambelle, poi fuori di qui mangio sano e faccio anche molta palestra. Tu dovresti saperlo, no? Frequentiamo la stessa da quando ci siamo trasferiti a Chicago!».
Alexander si tolse gli occhiali, si alzò e a passo sicuro ci raggiunse.
«Charlotte ha già fatto colazione questa mattina - disse facendomi l'occhiolino, sapevo a cosa si stesse riferendo- quindi la sua la prenderò io! Alla fine, sono o non sono il capo qui?».
Trattenni il sorriso cercando di mantenere la serietà.
Jay lo guardò male per poi alzare gli occhi al cielo.
«Sai cosa? Prendile entrambe... nominandomi lo zio Ron mi hai fatto venire l'ansia! Amico, questo è scorretto!».
«Lo faccio per te, Jay. Lo faccio per te, lo sai che ti voglio bene, no?».
Il ragazzo annuì per poi porgere ad Alexander la scatola con i dolci.
«Vado da Flo, lei tiene sempre una scorta di barrette dietetica nella sua scrivania».
«Bravo, è così che si fa!» Lo incoraggiò Noel.
Quando Jay uscì dal suo ufficio, Alexander richiuse la porta.
«La vuoi una ciambella?» Mi chiese aprendo la confezione per poi afferrarne una. L'addentò.
«Sei una persona orribile!» Gli dissi pizzicandogli il braccio.
«Ahi!! Che ho fatto?» Domandò con la bocca piena.
«Ai traumatizzato Jay, ecco cosa! Quel ragazzo non mangerà più ciambelle in vita sua!».
«E allora?» Rise. «Così non avrà più la scusa di portarti la colazione ogni mattina!».
«Non sarai mica geloso?».
«Io? No, no... no» rispose addentando nuovamente il dolce.
Stava decisamente mentendo.
«Dammene un po'!» Dissi avvicinandomi a lui, diedi un morso alla sua. «Adoro quella al caramello!» Commentai ripulendomi la bocca dalle briciole. «Adesso però... se non ti dispiace, dovrei lavorare!».
«In realtà, mi dispiace tantissimo» affermò malizioso. «Dopo tutti questi zuccheri, avrei bisogno di fare altra attività fisica. Che ne dici? Di nuovo sulla scrivania o... sul divano?».
Alzai gli occhi al cielo.
«Tu sei fuori di testa Alex!» Risi imbarazzata.
Improvvisamente sentii le guance avvampare.
Avevo paura che qualcuno potesse sentirci.
Non volevo che pensassero che io fossi qui soltanto perché Alexander e io stavamo insieme. Volevo che mi rispettassero e che non mi guardassero con occhi diversi.
Improvvisamente mi venne l'ansia.
«Devi andare via!» Gli ordinai andando verso la porta, riaprendola.
«Perché? Non ho fretta!».
«Tu no, ma io sì! Ho un libro che devo leggere. Io ci lavoro qui, o te lo sei forse dimenticato?» Lo guardai male.
«In teoria, anche io lavoro qui...».
«Sì, ma in pratica ti trovo sempre a gironzolare tra i corridoi!».
«Adesso che ci sei tu ho una scusa in più per fare una pausa ogni tanto, non trovi?».
«Alex!».
«Va bene, va bene... vado nel mio ufficio ma... passo a prenderti all'ora di pranzo».
«Ok» gli sorrisi.
Alexander si avvicinò a me per lasciarmi un bacio sulla bocca ma io lo frenai mettendo una mano sul suo petto.
«Cosa fai?? Potrebbero vederci!» Sussurrai guardandomi attorno. Per fortuna non c'era nessuno nei paraggi.
«Allora?» Chiese come se fosse la cosa più normale del mondo.
«Non... non voglio che lo scoprano così!» Spiegai riferendomi agli altri.
Alexander sospirò ma capì.
«Beh comunque sia, sono felice di aver vinto contro le ciambelle di Jay. Non potevo più vederlo qui con te ogni mattina!».
«Vai!» Lo rimproverai.
«Niente più ciambelle!» Canticchiò uscendo. «Niente più ciambelle piccola!».
L'indomani mattina, Jay mi portò un frullato proteico per colazione.
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