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30. Mille motivi

Ero così tanto scossa per quello che mi era appena capitato che non mi accorsi che il suo braccio era ancora attorno alle mie spalle. Dietro di noi Margot che a passo veloce e con voce stridula provava a raggiungerci attirando la nostra attenzione.

«Come stai?» mi chiese Alexander ignorando spudoratamente Margot.

«Sto bene» mentii.

«Non ti credo» continuò.

Mi irrigidii scostandomi dalla sua presa.
«Sto bene» rimarcai. «Grazie per avermi difesa» dissi imbarazzata.

«Non devi ringraziarmi, lo avrebbe fatto chiunque».

«Alexander, fermati!» Margot era ormai a pochi passi da noi.
Ci voltammo e la osservammo.

Era arrabbiata con Alexander per averla lasciata al bar da sola. «Si può sapere che diavolo succede? Adesso prendi a pugni la gente per difendere lei?».

Lei, parlava di me come se io non fossi presente.

«Quel bastardo si meritava una lezione per come l'ha trattata!».

«Poteva anche difendersi da sola!» continuò lanciandomi un'occhiataccia.

Non avevo voglia di starla a sentire.

«Io me ne vado» comunicai ai due.

«Lottie, aspetta. Ti accompagno a casa».

«No» scossi la testa. «Ho bisogno di fare due passi».

«Vengo lo stesse con te».

«No».

Per quale motivo avrebbe dovuto?

«Voglio stare da sola».

«Sentila» disse Margot. «Non ti è nemmeno riconoscente per quello che hai fatto».

«Margot, basta!» la rimproverò Alexander sorprendendo entrambe.

«Come scusa?».

«Mi hai sentito. Non è il caso di parlare di lei in questo modo. Ne ha già passate troppe».

«E allora?».

«L'essere gentili con gli altri non costa nulla!».

«La gentilezza non è per tutti» mi lasciai scappare facendomi odiare ancora di più da lei.

Ma non mi importò.

La guardai dritto negli occhi senza paura.

Poi, spostai il mio sguardo su Alexander.

«Grazie ancora» dissi senza lasciar trapelare il mio malessere.

Mi voltai e andai via.

Durante il tragitto verso casa ricevetti un messaggio da Beatrix. "Si può sapere che diavolo è successo?"

"Niente di che, non preoccuparti!"

"Niente di che? Sicura?
Qui ci sono tutti i clienti incazzati neri con Diego!"

"Beh... se l'è cercata Bea. Mi ha trattata male per andare dietro a un cliente stronzo"

"Questo vecchio bastardo adesso mi sentirà!"

"Bea, non importa. Non lavorerò più per lui."

"E ci credo!
Ps. Il signor Koler mi ha appena raccontato tutto."

"Pensavo che Diego fosse una brava persona. Pensavo ci tenesse a noi!"

"Già..."

     "A quanto pare faceva così solo per non farsi dire di no alle ore di straordinario non pagate."

Bea non rispose per circa un'ora. Poi si fece viva chiamandomi.

«Dove sei?».

«Mi trovo al Centennial Wheel».

«Che ci fai là?».

«Non lo so nemmeno io. Avevo bisogno di schiarirmi le idee».

«Beh comunque sia, i clienti mi hanno raccontato come ti ha difesa Alexander».

«E allora?».

«Avrei tanto voluto vederlo».

«Non ti sei persa nulla di che e poi...».

«E poi?».

«Non è un bene per te partecipare a queste situazioni nella condizione delicata quale sei!».

«Oh ma piantala, anche a fagiolino sarebbe piaciuto!».

«Come no!» risi.

«Beh comunque sia, adesso siamo entrambe senza lavoro».

«Cosa? Perché?».

«Come perché? Secondo te potrei mai lavorare per Diego dopo il modo in cui ti ha trattata. Doveva difenderti, invece ha dato ragione a quel pazzo!».

«Non avvilirti per me Bea, per favore. Fa male al bambino!».

«Va bene, va bene...».

«Adesso come faremo?» domandai all'improvviso realizzando,forse, solo adesso che entrambe non avremmo più percepito nessuno stipendio.

«Ci inventeremo qualcosa, vedrai!»

«Abbiamo bisogno entrambe di lavorare» dissi sconfortata.

Io dovevo aiutare la mia famiglia e Beatrix... beh lei era incinta!

«Disturbo?» una voce alle mie spalle mi fece sussultare.

Mi voltai e lo vidi.

Lì, in tutta la sua perfezione.

I muscoli trasparivano dalla maglietta verde militare.

«Ti richiamo» mi rivolsi alla mia migliore amica.
«Non dirmi che è lui!» urlò Beatrix sentendo la voce del nuovo arrivato.

«Sì, ti richiamo più tardi» la salutai sperando che la voce squillante della ragazza dell'altra parte del telefono, non fosse arrivata anche al ragazzo.

«Alexander, che ci fai qui?».

«Ti ho seguita».

«Mi hai seguita?» chiesi sconvolta.

«Sì, ti ho seguita».

«E perché l'hai fatto?».

«Perché avevo voglia di assistere a una scenata di gelosia da parte di Margot» rise.

«Perché mai dovrebbe essere gelosa di noi?».

«Non saprei, forse perché insieme siamo belli».

«Una volta, forse» replicai.

«Ancora adesso. Siamo un po' più vecchi ma siamo lo stesso molto belli».

«A differenza della tua, la mia autostima non è cresciuta col passare degli anni».

Alexander sorrise scuotendo la testa.
«Adesso stai un po' meglio?».

«Sto bene, te l'ho detto».

«Sì, ma so che non è la verità».

«Non mi conosci».

«Sì, ti conosco e anche meglio di chiunque altro».

«Una volta, forse» ripetei. «Il tempo passa Alexander, e le persone cambiano».

Il ragazzo mi porse la mano.
«Che c'è?».

«Vieni con me?».

«No».

«Perché no?».

«Mi hai fatto una domanda, le risposte due; sì o no e io ti ho risposto di no».

«Allora riformulo, vieni con me».

«Dove?» chiesi forse un po' curiosa.

«Lì» indicò.

«No».

«Hai paura?»

«No è solo che non ho voglia di andare da nessuna parte con te».

«Forse, anni fa, avrei accettato il tuo no come risposta ma adesso che ti ho ritrovata insisto».

«Senti Alexander, dimentichiamoci di tutta questa storia di Martin, tu vai per la tua strada mentre io andrò per la mia. L'essere entrambi a Chicago non deve influenzare le vite di nessuno».

«Penso sia troppo tardi, non credi?» chiese porgendomi ancora una volta la mano.

«Vieni con me».

«Perché lo fai?».

«Perché non farlo?».

«Potrei darti mille motivi».

«Potresti, ma non lo hai ancora fatto e questo mi basta».

«Ti basta per cosa?».

«Per restare».

«Saresti dovuto restare tanti anni fa».

«Non era il nostro tempo».

«Perché, adesso sì?».

«Lo scopriremo, se solo me ne darai l'opportunità».

Scossi la testa.
Mi alzai ma senza afferrare la sua mano.

«Perché vuoi andare proprio lì?»
domandai cambiando discorso.

«Perché da lì si vede quasi tutta Chicago».

Sospirai.

«Allora? Che fai? Vieni a fare un giro con me su quella ruota panoramica?».

«Sì».

-

C'erano momenti in cui ti sentivi forte, invincibile, pronto a superare ogni intemperie e in alto. Così in alto come se potessi toccare il cielo con un dito. E poi c'erano anche momenti dove ti sentivi piccolo, fragile, dolorante e in basso. Così in basso che era difficile pensare di potercela fare, di nuovo.

Io mi sentivo proprio così su quella ruota panoramica; in alto, ma quando andava giù, così in basso.

Chicago era meravigliosa di sera.

Chicago era sempre meravigliosa.

Ma questa città era riuscita in pochi anni a portarmi via tanto e allo stesso tempo a ridarmi altrettanto.

«Il tuo posto preferito?» chiese all'improvviso.

«Forse questo» mi lasciai sfuggire incantata.

«Forse lo è anche per me».

Mi lasciai sfuggire un sorriso.

«Voglio che tu stia bene, Charlotte» disse iniziando a ignorare il paesaggio.

«Lo vorrei anche io. Ma la verità è che non è semplice».

«Non lo è mai» ammise.

«Oggi ho perso il lavoro e non ho il coraggio di dirlo a mio padre. Non voglio farlo preoccupare Alex. Lui ha già così tanti pensieri per la testa che... insomma, non voglio aggravare ancora di più la situazione»

«Allora non dirglielo, non farlo preoccupare inutilmente».

«Stai scherzando? Anche se non glielo dicessi, lui lo verrebbe lo stesso a scoprire. Siamo quasi a fine mese e...».

«Digli semplicemente che ti sei licenziata perché avevi voglia di provare a fare altro».

Risi scuotendo la testa.

«Se solo fossi fortunata. Se solo riuscissi a trovare un nuovo lavoro senza dover aspettare chissà quanto tempo».

«Domani hai impegni?» domandò.

«Domani sarei dovuta andare a lavoro» sorrisi amaramente «Comunque no, perché? Altro giro sulla ruota?».

«No, voglio solo che tu venga con me in un posto».

«Di nuovo? No grazie».

«Charlotte, per una volta fidati di me!».

«L'ho fatto Alex, l'ho già fatto».

«Lo so, ma ti chiedo di farlo ora».

Ci pensai su. Ma non riuscii a dargli una risposta.

«Hai il numero di Martin, no?» cercò di farmi ridere. «Usalo. Se domani cambi idea, mandami un messaggio».

Annuii.

Il giro era appena finito.

Alex mi aiutò a uscire dalla cabina.

«Hai fame?».

«In realtà è tardi, dovrei tornare a casa».

«Già... dovresti» mi porse ancora una volta la mano. «Ma qui vicino c'è un posto dove fanno della pizza buonissima».

«È veramente buona?».

«Ottima».

«Allora va bene».

«Ti ha invitata sulla ruota panoramica?» chiese Beatrix mangiando un panino a tre strati.

«Sì e poi siamo andati a mangiare la pizza».

«Quindi ti ha anche invitata a cena!».

«Esattamente».

«È o non è un sorriso quello che vedo sul tuo volto?» Domandò sgranando gli occhi sospettosa.

«Perché mai dovrei sorridere? Stiamo parlando di Alexander Noel».

«Non lo so, dimmelo tu».

«Bea, mia carissima e incintissima Beatrix, Alexander e io siamo solo due vecchi conoscenti che si sono ritrovati ad abitare nello stesso quartiere per puro caso».

«Conoscenti, eh?».

«Conoscenti... o due perfetti sconosciuti, come piace a me definirci».

«Perfetti sconosciuti?» rise.

«Sì».

«Sconosciuti? Vi conoscete da una vita!».

«Abbiamo passato un po' di anni insieme, ma poi ci siamo persi. Io non lo riconosco più Bea. Abbiamo condiviso una parte della nostra vita, ma poi lui ha deciso di andarsene. Quindi, no. Io non lo conosco Beatrix, come lui non conosce me. Crescendo si cambia».

«Lottie...».

«Eravamo tutto mentre adesso non siamo niente».

«Sarà, ma ti ha invitata a uscire anche domani».

«E non so cosa abbia in mente» sospirai. «Perché vuole vedermi ancora?».

«Il perché lo scopriremo tra meno di 24 ore. Piuttosto, il tuo panino lo finisci?».

La guardai ridendo.

«No, ma tu sì! Tieni!».

Le nostre risate vennero interrotte dall'arrivo di un nuovo messaggio.

«Non dirmi che è lui» sussurrò Bea curiosa.

«È lui» risposi.

«Che tempismo! Parli del diavolo e...».

«Mi ha scritto un indirizzo».

«Conosci il posto?» chiese alzandosi per andare ancora una volta verso il frigo.

«No» risposi pensierosa. Mi avvicinai alla finestra.

Osservai il suo palazzo. Le tende erano chiuse e la luce accesa.

Mi spostai per paura di essere vista.

Tornai da Beatrix.

«Vuoi vederlo?» disse sorseggiando un bicchiere d'acqua.

«Non so cosa voglio» ammisi per poi sentire mio padre e Matt rientrare in casa.

«Non dire una parola!» minacciai la mia migliora che divertita fece segno di cucirsi la bocca.

Al messaggio non risposi, meditai tutta la notte se andare oppure no. Ma alla fine, la curiosità prese il sopravvento.

L'appuntamento era per le 9:30 ma erano le 8:30 e io ero già al posto d'incontro.

Di Alexander nessuna traccia.

Mi trovavo davanti ad un palazzo di molti piani, moderno e con i vetri oscurati.

Mi guardai attorno, quella era davvero una bella zona.

Una di quelle che non sono solita frequentare e mi sorprese essere lì.

Passarono all'incirca altri venticinque minuti quando una mano si posò sulla mia spalla.

Sobbalzai.

«Buongiorno Foster».

Mi voltai per ritrovarmi davanti il bellissimo sorriso di Alexander.

«Buongiorno» risposi imbarazzata.

Improvvisamente tutta la mia sicurezza stava iniziando a vacillare.

«Come stai oggi?» chiese spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Bene» mentii.

«Hai detto a tuo padre del lavoro?» chiese un attimo dopo.

Scossi la testa.

«Bene. Sono felice che tu abbia ascoltato il mio consiglio».

«L'ho fatto solo perché non ho voglia di farlo preoccupare per me».

«Beh comunque sia, non c'è motivo che lo sia. Forza, seguimi».

«Dove?» domandai restia.

«Charlotte, fidati di me».

Decisi di non replicare ancora e seguirlo.

Ormai ero lì e non me ne sarei tornata a casa senza una spiegazione. Perché questo nostro incontro?

«Sei mai stata qui prima d'ora?» chiese indicando il palazzo davanti a noi.

«No».

«Bene, allora è la tua prima volta!».

Aprì la porta a vetri permettendomi di passare.

Il palazzo era più bello dall'interno.

Tantissime persone si muovevano frenetiche parlando tra di loro.

«Alexander, buongiorno» una ragazza della nostra età e dai capelli corti e biondi ci raggiunse.

«Flo, ciao! Ci sono novità?» le chiese baciandola sulla guancia.

«Non ancora, ma lui ti sta aspettando nel suo ufficio».

«Ottimo, allora non lo faccio aspettare» Alexander le sorrise per poi rivolgere il suo sguardo verso di me.

«È lei?» domandò la ragazza senza nemmeno salutarmi.

«Sì, è lei».

«Pensi sia adatta?».

«Non lo penso, ne sono certo!».

La risposta di Alexander mi fece sogghignare. Mi piacque la sua risposta. Soprattutto perché fece andare via Flo stizzita.

«Andiamo» Alex mi fece segno di seguirlo.

«Aspetta, per cosa sarei adatta?» domandai iniziando a sentirmi in ansia pur non sapendo il perché.

«Lo vedrai» fece l'occhiolino per poi dirigersi verso l'ascensore.

«Alexander, che ci facciamo qui?» continuai a chiedere.

«Dammi cinque minuti Lottie, cinque minuti e avrai tutte le risposte che vuoi».

L'ascensore arrivò e noi entrammo.

Alex ammaccò il pulsante per l'ultimo piano e l'imbarazzo scese tra di noi.

Iniziai a guardare i miei piedi.

Quella mattina mi ero vestita con un semplice vestitino bianco a fiori rossi e delle converse del medesimo colore.

Mi sentii improvvisamente inappropriata.

Anche se Alexander era vestito casual, tutti lì dentro sembravano fin troppo eleganti per due come noi.

«Sei perfetta» disse cercando di rassicurarmi.

Arrossii.

«Pensavo andassimo a fare colazione fuori» ammisi sorridendo.

«Perché no? Magari dopo il colloquio? Conosco un posto perfetto dove...».

«Oh...aspetta. Aspetta. Frena! Che hai detto?» domandai facendomi prendere dal panico.

Alexander scoppiò a ridere.

«Andrà tutto bene!».

«Tu mi hai organizzato un colloquio? Cioè, io sto per fare un colloquio? Adesso??».

«Adesso!» confermò.

Mi portai entrambe le mani sul viso.

«Accidenti a te, Alexander Noel!» piagnucolai.

Io ero una persona super timida e avevo bisogno di tempo per prepararmi psicologicamente a ogni singolo giorno della mai vita, figuriamoci in vista di un colloquio!

Alexander afferrò entrambi i miei polsi tirandomi via le mani dal volto.

«Sei bellissima, Lottie» disse guardandomi dritta negli occhi.

«Non aver paura».

«Ma io ho paura! Che impressione darò vestita così? Potevi almeno avvertirmi prima!».

«Così?» rise «Hai un semplice vestito che per giunta ti sta davvero bene!».

«Sembro un'adolescente! Avrei potuto mettere qualcosa di più formale!».

«Guarda me! Ti sembro uno che dirige un'azienda?».

«Tu che cosa?» chiesi stupita pentendomene subito. «Cioè, non che tu non possa dirigere un'azienda ma vestito così...».

«Perché? Come sarei vestito?» rise.

«Sembri un fotomodello di Versace!».

Mi presi un attimo per ammirarlo meglio.

I capelli legati in una coda.

Stivaletti neri, jeans dello stesso colore molto aderenti e strappati sulle cosce e per finire una camicia a fantasia bianca e nera sbottonata sul petto.

«Beh, effettivamente questa fa veramente parte della collezione Versace!» mi prese in giro indicando la sua camicia.

«È molto bella» ammisi. «Ti sta bene».

«Lo so, ma... grazie».

Scossi la testa divertita.

«Per non parlare di tutti gli anelli che porti. Prima non li sopportavi e adesso nei hai più tu che mia zia Trecy».

«Zia Trecy, come sta?».

«Bene, è sempre più egocentrica ma tu la stai raggiungendo».

Alexander mi guardò divertito.

«Sono tutti eleganti qui» mi lasciai sfuggire prima che le porte dell'ascensore si aprirono.

«Vuoi tranquillizzarti? E poi guardami, sono più bello io o...Jay?».

«E chi è Jay?» chiesi sempre più confusa.

«Jay, eccoci!» Continuò Alexander.

«Noel! Signorina Foster, benvenuta» una voce alla nostra destra attirò la nostra attenzione.

«Grazie» sussurrai incerta.

«Lui è Jay!» Alexander andò verso un ragazzo moro, vestito come se dovesse andare ad un matrimonio. I due si abbracciarono.

«Allora, come stai?» chiese Alex a Jay.

«Sto bene e tu? Oggi ti vedo carico!».

«Per forza, oggi dovremmo chiudere quell'accordo con il signor Lee».

«Accidenti, è vero! Beh, in bocca al lupo!».

«Grazie amico. Ma dimmi, Royce?».

«È nel suo ufficio e ha già bevuto quattro caffè».

«Ma è ancora presto!».

«Lo so, ma oggi lui è nervoso».

«Beh, ci penserò io a calmarlo» rise mentre io mi sentii male.

Chi era nervoso? Chi era Royce?

«Royce è il mio socio» rispose Alexander come se mi avesse letto la mente. «Si occupa lui del personale».

"Ah bene." pensai fra me e me.

«Io vado ad archiviare queste carpette. Se hai bisogno di me, mi trovi nel mio ufficio».

«Ottimo, buon lavoro amico!».

«Anche a te Alexander. Signorina Foster... spero di rivederla presto!».

«Sì, sì va bene ma adesso ora vai. Non hai del lavoro da fare?» rispose Alexander appoggiando un braccio sulle mie spalle.

«Hai ragione. Vado!».

«Vai!» rise Alexander per poi dirigermi dal lato apposto.

«Royce è un mio caro amico» iniziò Alex. «Ti presenterò a lui, ma in realtà lui sa già chi sei».

«E chi sarei?» domandai cercando di apparire il più tranquilla possibile.

«Charlotte Foster, la mia Charlotte Foster» rispose bussando a una porta.

«Avanti!» sentimmo dire.

«Respira» mi sussurrò Alexander all'orecchio.

Il suo profumo per un attimo mi fece rivivere vecchi momenti. Vecchie sensazioni.

Respirai.

Poi Alexander aprì la porta.

«Royce, lei è Charlotte».


•Spazio Autrice•
Ciao lettori! Come state?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Domanda: secondo voi, di cosa si occupa Alexander insieme al suo socio Royce?
Che lavoro verrà proposto a Charlotte?
Tirate un po' a indovinare!
Nel frattempo io vado a scrivere il nuovo capitolo. Io ho già tutto in mente 😉
Un abbraccio e buon sabato sera a tutti!
Luana

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