25. Il tempismo era tutto nella vita!
La notte non dormii.
Non chiusi occhio per la scoperta sconvolgente del giorno prima. Alexander era sempre stato qui. Per tutti quei mesi Alex era stato a un passo da me.
Mi faceva dannatamente male la testa, oltre che il cuore, ma dovevo andare avanti. Non potevo pensare a lui tutto il giorno!
«Io vado a lavoro» informai mio padre e Matt che se ne stavano seduti in cucina a fare colazione con i dolci di ieri.
«Lottie?» mi chiamò papà.
«Sì?».
«Tu sapevi di Alexander?».
«No» risposi. «Cioè sapevo che abitasse a Chicago perché l'ho incontrato tempo fa in un locale, ma non sapevo che abitasse in quel palazzo!» indicai fuori dalla finestra.
«Che strana coincidenza!» si lasciò sfuggire Anthony.
«Eh già» concordai. «Adesso vado o farò tardi» li informai salutandoli con un bacio sulla guancia. «A dopo famiglia!».
«A dopo bambina mia!».
Quella mattina decisi di non aspettare l'ascensore, scesi di corsa giù per le scale.
Uscì dal portone ma quando mi diressi verso la macchina lo vidi. Non lo avevo incontrato per mesi interi e adesso lo incontravo ogni giorno?
Alexander era appoggiato alla mia auto mentre con un sorrisetto compiaciuto inviava un messaggio a chissà chi.
«Buongiorno» lo salutai attirando la sua attenzione.
Alex alzò lo sguardo e mi guardò.
«Buongiorno» rispose.
Ci fu imbarazzo tra noi.
Io guardavo lui e lui guardava me.
«Posso fare qualcosa per te?» chiese.
«Come scusa?».
«Perché te ne stai lì a fissarmi?».
Alzai un sopracciglio per la sua arroganza.
«Quella è mia» spiegai indicando l'auto sulla quale, il sedere sodo di Alexander, era appoggiato.
«Oh» sussurrò, gli venne da ridere.
«Già, oh» alzai gli occhi al cielo.
«Stai uscendo?» domandò senza spostarsi di una virgola.
«Secondo te? Se mi serve l'auto è normale che io stia uscendo. Di certo non posso portarmela a casa» risposi acida. Perché voleva saperlo?
«Giusto» rifletté. «E dove vai?».
«Che ti importa?» interrogai.
«Nulla, solo curiosità. Sai le persone normali conversano se incontrano altre persone normali».
«Ah quindi fate così voi persone normali?» domandai sarcastica.
Stare con lui mi metteva in uno strano stato di agitazione. Saltavo subito sulla difensiva.
«Effettivamente tu sei tu, Lottie. La normalità non è poi così eccitante».
Alzai un sopracciglio. Che intendeva dire con questo?
Cercai di non dare peso alle sue parole e ignorandolo mi avviai verso il lato guida.
«Beh... allora ti auguro una buona giornata» lo salutai senza degnarlo di uno sguardo.
«Buona giornata a te, Foster».
-
Arrivai a lavoro con venti minuti di ritardo.
«Lo so, ti chiedo scusa» dissi a Diego quando varcai la soglia del Black and White Muffin.
Diego scosse la testa ma divertito mi porse un caffè.
Era particolarmente gentile quella mattina.
«Grazie» gli sorrisi.
«Di nulla, ma adesso vai da Beatrix. Oggi abbiamo più clienti del solito!».
«Corro!».
Raggiunsi la mia migliore amica.
«Buongiorno stellina!» la salutai lasciandole un bacio sulla guancia.
«Buongiorno bellezza!» mi sorrise lei porgendomi il grembiule.
«Allora, di cosa volevi parlarmi?» le chiesi mentre mi apprestavo a preparare l'ordine di un cliente.
«Oh nulla di importante» mi sorrise togliendomi dalle mani il vassoio.
«Vado io, tu finisci il caffè».
Quella mattina eravamo più indaffarate che mai.
Beatrix si allontanò da me per servire il cliente.
Ma non le lasciai via di scampo e una volta che fu di nuovo al mio fianco, continuai con le mie domande.
«Sai che io ci sono, vero?».
«Certo» rispose.
«Sai che con me puoi confidarti su tutto, giusto? -annuì- Bea... non mi convinci. I tuoi sorrisi, sono forzati. Io ti conosco meglio di chiunque altro! Non puoi mentirmi, dovresti saperlo! Insomma, prima lasci Harry e poi all'improvviso non chiedi più il mio aiuto per scegliere quali snack comprare al supermercato!».
«Gli snack?» domandò confusa.
«Niente, lascia perdere! - cercai di trattenere una risata- Ieri dove sei stata?».
«Da nessuna parte».
«Hai detto che avevi un impegno importante, dove sei stata Bea?».
«Te l'ho detto Lottie, da nessuna parte. Alla fine sono rimasta a casa» sussurrò abbassando lo sguardo.
Afferrai le sue mani costringendola a guardami negli occhi.
«Io ci sono. Non vado da nessuna parte».
«Lottie...» Beatrix scoppiò a piangere e io la strinsi a me.
Diego ci raggiunse ma si bloccò non appena sentì i singhiozzi di Bea.
Lo vidi preoccupato.
D'altronde non potevo biasimarlo.
Chi aveva avuto l'occasione di conoscere Beatrix sapeva che quella ad essere forte era sempre lei.
Personalmente, non l'avevo mai vista piangere mentre io, in confronto alla mia migliore amica, ero un fiume in piena.
Con lo sguardo feci segno a Diego di continuare lui con gli ordini.
Portai Beatrix fuori, sul retro del locale.
Lei si accese una sigaretta ma prima di portarsela alla bocca rimase a guardala per alcuni secondi, poi la gettò via calpestandola.
Lei non rifiutava mai una sigaretta.
«Che ti prende?».
Scosse la testa.
«Non lo so» rispose. «In realtà lo so, ma non sono in grado di ammetterlo nemmeno a me stessa».
«Dove sei stata ieri?» le domandai con più insistenza.
«Dal dottore».
«Dal dottore?» chiesi portandomi una mano sul cuore. «Stai male? Bea cos'hai? Ti prego parla perché sta per venirmi un esaurimento nervoso!!».
La mia migliore amica scosse la testa.
«Non sto male».
«Allora... allora che sei andata a fare dal dottore?».
«Vedi, c'è una cosa che devi sapere».
«Cosa? Cosa devo sapere?» il tono della mia voce risultò visibilmente preoccupato.
«Ti prego di non dirlo a nessuno. A nessuno Charlotte, capito? Solo io e te. Okay?».
Annuii. Mi chiamava Charlotte solo quando le cose si facevano davvero serie.
«Cosa non devo dire a nessuno?».
Beatrix mi sorrise.
Mi prese entrambe le mani per poi appoggiarle sulla sua pancia.
«Bea... hai un virus intestinale, vero? Ti fa male la pancia, non è così? Se è per la flatulenza, tranquilla, conosco un rimedio naturale infallib...».
«Lottie, sono incinta».
Rimasi a guardarla senza dire una parola.
Come folgorata, me ne stavo lì a fissarla.
Scostai per un momento le mani dal suo corpo.
Quasi come se il suo ventre fosse diventato improvvisamente lava incandescente.
Non che noi due fossimo delle piccole adolescenti, per carità ma il tempismo... diamine a noi era sempre mancato il tempismo nella vita.
Ero sotto shock ma, questa volta, toccava a me trasmettergli forza e soprattutto coraggio.
Aprii bocca dopo alcuni interminabili minuti cercando di sdrammatizzare.
«Cazzo, meno male! Pensavo di dover sopportare le tue puzzette anche a lavoro!».
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