wound at sunset
«Ciao Linds, finito di studiare?» sentii dire da Dylan, dall'altro capo del telefono.
«Dylan, ho bisogno che tu venga a casa mia, ora.»
Ero uscita da qualche minuto dalla doccia, e sentivo più di prima la ferita bruciare sulla schiena a contatto con il tessuto ruvido e ispido dell'accappatoio.
«Cosa succede? Lindsey, stai bene?» Dylan sembrava più preoccupato di quanto mi sarei aspettata.
«Si, abbastanza. Stavo facendo la doccia e ho... Ti prego, vieni qui e basta, lo vedrai da te.» avevo la voce rotta dal pianto, dovuto al dolore sulla schiena.
«Sono lì in cinque minuti.» rispose, per poi chiudere la chiamata.
Rimasi per qualche secondo con il cellulare ancora attaccato all'orecchio, nell'attesa che succedesse qualcos'altro, ma mi svegliai dai miei pensieri sentendo per l'ennesima volta in pochi minuti il bruciore della ferita.
Mi decisi a controllarla, quindi levai l'accappatoio e mi posizionai di spalle allo specchio ruotando la testa per quanto riuscissi, in modo da vedere il più possibile il mio riflesso.
La ferita partiva da circa metà della schiena, percorrendola in verticale fino alla base del collo.
Non riuscivo a capire quanto fosse profonda, provavo in ogni modo a raggiungerla con le mani ma riuscivo solamente a toccarne una parte poco al di sotto del collo che non sembrava per nulla grave.
Sospirai e rinunciai a controllare la ferita, poi mi ricordai di Dylan e attraversai il corridoio fino alla mia stanza coprendo il più possibile il mio corpo nudo con l'accappatoio, anche se la casa era vuota.
Una volta in camera mia recuperai i pantaloncini e la maglietta che usavo per dormire e li appoggiai sul letto, mentre cercavo di infilare l'intimo senza tirare troppo la pelle della schiena.
Dopo essermi solamente fatta più male di prima cercando di allacciare il reggiseno, lo rimisi al suo posto e trovai un'altra maglietta decisamente più larga che nascondesse le forme del seno.
Sentii il campanello di sotto, quindi mi sbrigai a infilare i pantaloncini e scesi le scale.
«Entra.» dissi aprendo la porta a Dylan.
Lui non mi diede il tempo di dire altro che mi strinse in un abbraccio silenzioso ma carico di significato.
Schiacciai la mia faccia nell'incavo del suo collo, cercando di non pensare alle sue mani premute sulla mia schiena che mi procuravano un dolore terribile.
Resistetti, non volendo staccarmi da lui per nulla al mondo.
Dylan avvicinò le sue labbra alla mia testa, sfiorando con un bacio leggero i miei capelli ancora bagnati, che iniziavano a gocciolare anche sulla sua maglia.
Singhiozzai, smisi di trattenere le lacrime realizzando che di certo non era la prima volta che mi vedeva piangere, e magari nemmeno l'ultima.
«Quando hai finito di infradiciarmi la maglietta, dimmelo.» sussurrò vicino al mio orecchio, aprendosi in uno splendido sorriso.
Ridacchiai, trovandomi a piangere e ridere contemporaneamente.
Dylan spostò delicatamente con una mano il mio viso dal suo collo, in modo che lo guardassi negli occhi, poi con il pollice asciugò le ultime lacrime che segnavano il mio viso.
«Mi vuoi dire cosa succede?» continuava a parlare sottovoce, come se avesse paura che da un momento all'altro avrei avuto una crisi.
Annuii debolmente con la testa, e gli afferrai una mano senza smettere di guardarlo negli occhi.
«È meglio che tu venga a vedere.» dissi, poi lo condussi su per le scale fino al bagno.
Lì gli lasciai la mano per spostare la tendina della doccia e indicargli prima la scritta sul soffitto e poi la lima per unghie infilzata nel muro con il rispettivo disegno e la scritta sottostante.
«Chiamiamo la polizia.» disse deciso Dylan.
«Sì, ma non ora. Domani iniziano gli esami e non sarebbe certo d'aiuto avere la casa infestata da poliziotti.» risposi, mentre lui osservava attentamente la scena.
«Quello è sangue?» chiese, indicando con un dito prima la limetta e poi il fondo della vasca dove c'erano alcune macchie rosse.
«Mi sono fatta male con la lima. Ora che ci penso dovrei disinfettare la ferita.» gli risposi per poi aprire il cassetto sotto il lavandino, straripante di cerotti, garze e farmaci.
Presi un batuffolo di cotone e lo imbevvi di disinfettante, poi appoggiai il flacone vicino al lavandino.
Mi posizionai come prima, dando le spalle allo specchio e girando la testa il più possibile per vedere il riflesso della mia schiena.
Sollevai la maglietta in modo da scoprire solo una piccola parte della ferita, contorsi il braccio fino ad arrivare ad essa e cercai di tamponarla con il cotone senza grandi risultati.
Vidi nello specchio il riflesso di Dylan che si avvicinava lentamente con un sorrisetto stampato sulle labbra, quasi godendosi la scena.
Scosse la testa, e io sbuffai rumorosamente in modo che mi sentisse.
«Vuoi una mano?» allungò un braccio con il palmo rivolto verso l'alto, invitandomi a cedergli il batuffolo di cotone.
«No, grazie. Ce la faccio benissimo da sola.» risposi, mentre cercavo in ogni modo di raggiungere la minuscola parte di ferita scoperta dalla maglietta.
Lui mi continuava a guardare con aria divertita, e io mi arresi al fatto che mi serviva il suo aiuto.
Alzai gli occhi sospirando e lanciai a Dylan il batuffolo di cotone.
Lui lo afferrò al volo e si mise a ridere.
«Testarda, eh?» disse.
«Fai alla svelta, a quest'ora dovrei essere già a letto.»
«Cosa? Ma se c'è ancora il sole fuori!» esclamò, bagnando di nuovo il cotone con il disinfettante, dato che io lo avevo strizzato tutto sulla mia mano.
«Solo perché è estate, in questi giorni il sole tramonta alle nove e mezza.» dissi, per poi girarmi di spalle in modo che potesse arrivare alla ferita.
Dylan prese il bordo della mia maglietta con una mano, mentre nell'altra teneva il cotone.
La sollevò delicatamente, scoprendo quasi metà della mia schiena, e lo sentii fermarsi.
«Cosa c'è?» chiesi.
«Pensavo fosse una ferita da nulla, non mi avevi detto di esserti aperta in due la schiena.» rispose sarcastico, mentre iniziava a esercitare una leggera pressione con il cotone lungo la prima parte della ferita.
Calò il silenzio: lui sembrava concentratissimo, mentre io stringevo i denti per non urlare dal dolore.
«Dylan, mi stai facendo malissimo.» dissi sottovoce.
«Togliti la maglietta, non riesco così.» non c'era una punta di malizia nella sua voce, ma io ebbi quasi un collasso cardiaco.
«Stai scherzando, vero?»
«Era solo un'idea, è che non ci vedo niente.» rispose, alzando le spalle.
"Buttati".
Per la prima volta nella mia vita, fu l'unico pensiero che riuscii a formulare.
Afferrai il bordo della maglietta che Dylan aveva lasciato scendere lungo i miei fianchi, facendola tornare alla sua posizione naturale.
Presi un respiro profondo, poi me la sfilai.
Sentivo il suo sguardo su di me, avrei davvero voluto vedere la sua espressione in quel momento, ma mi limitai a dargli ancora le spalle.
Avevo ancora il tessuto azzurro tra le mani, e istintivamente lo tenni sul mio corpo in modo da coprire il petto e la pancia.
Per qualche minuto, il silenzio regnò sovrano.
Dylan si era fissato su uno stesso punto della ferita, pensai che probabilmente doveva esserci dello sporco da rimuovere.
«Quanto è profonda la ferita?» chiesi, rompendo il silenzio.
«Non lo so, non so quanto possa essere grave.»
«Giusto, scordavo che mentre io salverò vite umane tu imparerai come pensare per non so quanti anni di università.» dissi sarcastica.
Dylan appoggiò una mano sul mio fianco nudo ed ebbi un fremito.
«Non ti va a genio la filosofia, vero?» non lo vedevo in faccia, ma immaginai che stesse sorridendo dal suo tono di voce.
Continuava a percorrere con il cotone tutta la lunghezza della ferita, lasciando una scia umida e fredda di disinfettante.
«Non ne capisco il senso.» risposi.
«Quella è la parte migliore. Pensa al perché della vita. Perché noi siamo qui, ora, con del cotone e del disinfettante?» sorrisi, senza che lui smettesse di tamponare sulla ferita.
Sentivo il suo respiro, la sua mano un po' tremante sul mio fianco, poi continuò a parlare.
«Non è difficile, basta porsi delle domande.»
Faceva lunghe pause tra una frase e l'altra, e nel silenzio lo sentii lasciare il cotone da qualche parte per poi appoggiare la mano dietro il mio collo, proprio accanto a dove finiva la ferita.
«Chi siamo realmente?» abbassò il tono di voce, e fece scorrere lentamente la sua mano lungo la mia spalla.
«Perché siamo tutti così diversi?»
Intanto che parlava, continuava a sfiorare la mia pelle, percorrendo la mia schiena dall'alto al basso.
«Da dove vengono le nostre sensazioni, i nostri sentimenti?»
Si fermò di colpo, non riuscivo a smettere di ascoltarlo.
Poi riprese a parlare, e in un sussurro pronunciò l'ultima domanda.
«Che cos'è l'amore?»
Sentii tremare le sue mani sulla mia schiena.
«Dylan, stai tremando.»
«Io...» sospirò, mi accorsi di quanto fosse difficile parlargli senza guardarlo in faccia.
Mi portai una mano sul fianco, in corrispondenza della sua, in modo che smettesse di tremare, o almeno che si calmasse un po'.
«Ho sentito che Emily ha intenzione di tornare in città. I suoi genitori si sono trasferiti qui mentre noi eravamo al college, e uscendo di casa ho incontrato sua madre. Mi ha detto che lei dovrebbe arrivare tra qualche giorno, per venire a trovarli.» disse, con aria abbastanza assente.
Non riuscivo a capire se fosse felice di rivederla o se non lo volesse affatto.
«Hai paura? Della reazione di Emily nel vederti, intendo» chiesi.
«Non lo so, non...» sospirò, poi si allontanò un po' da me appoggiandosi con il corpo al lavandino, senza però staccare le mani da me.
«Non so neanche se voglio vederla.» a quella sua affermazione mi sentii stranamente sollevata.
Dylan portò una mano sul mio fianco, mentre l'altra era ancora in corrispondenza della mia vita.
Mi tirò a sé, e io non opposi la minima resistenza.
Feci un passo all'indietro, trovandomi ancora più vicina a lui, che allacciò le sue braccia attorno al mio corpo.
Mi ritrovai con la schiena contro il suo petto e le gambe in mezzo alle sue, leggermente divaricate.
«Poi, adesso ci sei tu.» sussurrò Dylan, appoggiando la sua testa sulla mia spalla.
Sussultai, probabilmente se ne era reso conto, dato che sorrise divertito.
«Cosa intendi?»
Allontanò leggermente il viso dalla mia spalla e si girò per guardarmi negli occhi.
Sentivo io mio cuore martellare nel petto, speravo solo che non fossi diventata troppo rossa.
Dylan schiuse le labbra, e pronunciò quelle parole con una dolcezza che mi fece quasi sciogliere tra le sue braccia.
«Sai bene cosa intendo.»
Non osavo staccare le mie braccia dal mio corpo, reggendo ancora la maglietta sopra il mio petto, ma la voglia di sfiorarlo era tanta.
Abbassai lo sguardo, essendo imbarazzata per l'ennesima volta, e notai il suo orologio.
Le 21.06, era tardi.
«Dylan, devo andare a letto.»
Lui annuì leggermente, poi guardò qualcosa dietro di me.
Mi girai, stava osservando la finestra.
«Ho un'idea.» affermò, con aria soddisfatta.
«Cosa?» iniziavano a spaventarmi le sue idee.
«Tu vestiti, lo vedrai.» rispose sorridendo.
Ero un po' titubante, ma alla fine mi allontanai da lui sempre dandogli le spalle e infilai nuovamente la maglietta.
Lui mi afferrò una mano, corse fuori dal bagno e lo seguii cercando di stare al suo passo.
«Dylan! Mi vuoi dire cosa vuoi fare?» chiesi nuovamente.
Lui aprì la porta di casa dopo avermi fatto scendere le scale, mi spinse fuori dalla porta e la richiuse alle sue spalle.
«Sbrigati, abbiamo poco tempo. Sali in macchina.» gridò, mentre occupava il posto del guidatore.
Un leggero e fresco venticello mi fece rabbrividire, mi ricordai di essere in pigiama.
«Dylan, sono in pigiama!» gridai in risposta, a qualche metro dall'auto.
«Non dobbiamo mica andare dalla regina d'Inghilterra.» sbottò lui, accendendo il motore.
Raggiunsi la macchina, mi sedetti sul sedile del passeggero e Dylan partì a tutta velocità.
«Me lo dici dove andiamo ora?» chiesi ancora.
«Ti fidi di me?» disse lui.
«Certo, ma non mi piacciono le sorprese.»
«Bene, te le farò amare.» sorrise, e io alzai le spalle.
Ci furono diversi minuti di silenzio, interrotti dal caotico chiasso delle auto in strada, poi Dylan lasciò l'autostrada e imboccò una statale.
«Ma dove diavolo stiamo andando, in capo al mondo? Pensavo che sarebbe stato un viaggio breve, e dovrei anche andare a dormire.» sbuffai, iniziavo davvero a preoccuparmi.
«Rilassati, ne varrà la pena. E poi, andresti davvero a letto alle nove?»
«Ne va del mio esame!» risi, non lo pensavo davvero.
In effetti, avrei preferito di gran lunga stare sveglia tutta la notte a parlare con Dylan.
Continuammo sulla statale deserta per circa una ventina di minuti, poi svoltammo ad un uscita senza cartello di indicazione.
La strada si faceva più stretta e sconnessa, e nel frattempo il cielo iniziava a tingersi di uno splendido arancione.
Schiacciai le mani contro il finestrino, e cercai in tutti i modi possibili di fissare nella mia mente l'immagine delle nuvolette rosa all'orizzonte, che sul lato maggiormente illuminato sembravano quasi dorate.
«Ti piace, vedo.» disse Dylan, guardandomi di sfuggita per poi incollare nuovamente lo sguardo sulla strada.
Adesso eravamo in salita, ci dirigevamo verso un'altura qualche chilometro davanti a noi.
Continuavo ad ammirare l'inizio del tramonto di quella sera e immaginavo, vergognandomi leggermente della mia infantilità, di poter fluttuare tra quelle nuvole tanto soffici da sembrare panna, arrivando a toccare il cielo con un dito.
«Tieni un po' di sorpresa per dopo, Linds. Ti giuro che sarà da mozzare il fiato.» disse Dylan, richiamandomi alla realtà.
Mi girai verso di lui e gli sorrisi, già estasiata all'idea di qualcosa si migliore di questo splendido panorama.
Dopo nemmeno una decina di minuti ci trovavamo quasi in cima alla collina, nel cono d'ombra da essa creato.
Dopo quello che credo fosse almeno il dodicesimo tornante, la strada era completamente deserta, e il profondo silenzio era interrotto solamente dal rombo del motore in salita.
Dopo qualche minuto, Dylan accostò l'auto al bordo della strada, e scese dal veicolo.
«Dai, vieni! Ora arriva la parte migliore.» mi incitò lui, e io mi catapultai fuori dalla macchina.
Lo seguii, scavalcammo il guardrail e ci trovammo nell'erba.
Lui iniziò a correre verso la cima della collina, e io cercai di tenere il suo passo.
«Dylan, aspetta!» gridavo e ridevo contemporaneamente, mentre i ciuffi d'erba più lunghi mi solleticavano le caviglie.
«Muoviti, o ti perderai il meglio!» rispose, girandosi verso di me e scendendo di qualche passo, raggiungendomi e afferrandomi per una mano.
Salimmo, io più che altro mi feci trascinare, e una volta quasi sulla cima Dylan si fermò.
«Vieni qui.» indicò con un dito un punto davanti a sé, e quando arrivai qualche passo davanti a lui mi posò le mani sugli occhi, impedendomi completamente la visuale sulla collina.
«Ora cammina lentamente, o finirai per ucciderci tutti e due.» disse, piuttosto divertito dalla situazione.
«Non sei rassicurante, lo sai?» non stavo nella pelle, mossi con cautela gli ultimi passi verso la cima della collina guidata dalla voce di Dylan.
«Ci siamo, sei pronta?»
Annuii, e lo sentii spostare lentamente le sue mani dai miei occhi fino alle mie spalle.
Davanti a noi, il disco rosso e infuocato del sole stava lentamente calando su una distesa d'acqua cristallina che si espandeva ben oltre quanto riuscissimo a vedere.
Le nuvole avevano le più varie sfumature e tonalità di colore, dal rosso intenso all'azzurro più tenue, facendo da contorno al sole che rifletteva i suoi raggi dorati sulla superficie del mare.
Un venticello fresco mi scompigliava i capelli, e per interminabili istanti mi sentii sollevata da terra, tutt'uno con l'indescrivibile paesaggio che si stagliava di fronte al mio sguardo.
«Allora, ti piace?» mi sussurrò Dylan.
«Io... Lo adoro.» risposi, altrettanto a bassa voce, senza riuscire in alcun modo a staccare lo sguardo dal tramonto.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, io con gli occhi puntati sul l'orizzonte e Dylan con le mani intrecciate alle mie, condividendo con me quell'incredibile paesaggio.
«Chissà come deve essere bella l'alba in questo posto.» immaginai.
«Non va bene il tramonto?» chiese lui.
«No, no, non fraintendermi. Questo è stupendo, è che ormai abbiamo tutti visto così tanti tramonti che diventano una cosa abituale, non più speciale. L'alba probabilmente non ha molto di diverso dal tramonto, per quanto riguarda la luce o i colori, ma per vedere un'alba bisogna essere tenaci, mettersi ad aspettare che dal buio più profondo spunti un bagliore di luce sempre più forte, bisogna lottare. È questo che la rende speciale rispetto al tramonto. Lo abbiamo reso una cosa comune, ed è lo straordinario quello che inseguiamo per tutta la vita.»
Si mise affianco a me, guardandomi intensamente.
«Allora non ci sono solamente numeri e formule matematiche in questa testolina.» si avvicinò, e mi passò una mano tra i capelli.
«Me lo hai insegnato tu...» dissi di getto, incredibilmente senza pentirmene.
Dylan si aprì in un sorriso, e feci altrettanto guardando di nuovo quei fantastici occhi così comuni, eppure per me così straordinari.
Prima che me ne rendessi conto ero stretta ancora una volta tra le sue braccia, e le sue labbra erano delicatamente premute sulla mia fronte.
«Inizio a pensare che sia tu lo straordinario, Lindsey.»
Il mio cuore perse nuovamente un colpo nel giro di un'ora, e sorrisi tra me e me, come una ragazzina che parla della sua prima cotta.
Rimanemmo così, immobili l'uno tra le braccia dell'altro, a guardare l'ultimo bagliore della giornata spegnersi nel mare, per poi lasciare posto, lentamente, a uno spicchio di luna bianco.
Le stelle sembravano accendersi poco a poco, come comandate da interruttori, e non osavo nemmeno chiedermi quanti milioni di luci riuscissi a vedere quella sera.
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«Grazie di avermi riaccompagnata a casa, è stata una serata fantastica.» dissi, aprendo la portiera seguita da Dylan.
«Figurati, mica potevo lasciarti lì sulla collina.» rispose lui.
Arrivai davanti alla porta di casa, e istintivamente cercai le chiavi.
«Non hai chiuso quando siamo usciti, prima.» mi ricordò Dylan.
«Giusto, me ne ero scordata.»
Alzai le spalle, era decisamente giunto il momento di salutarlo.
«Io vado a dormire, buonanotte.» affermai, poi abbassai la maniglia e aprii leggermente la porta, ma la mano di Dylan mi fermò prima che potessi entrare in casa.
Mi girai verso di lui, e rimasi per qualche secondo in attesa di una sua reazione.
Si avvicinò a me, trovandosi a qualche centimetro di distanza dal mio corpo.
Appoggiò una mano dietro al mio collo, poi si avvicinò al mio viso, e accadde tutto in un attimo.
Le sue labbra erano davvero a contatto con le mie, si stavano davvero sfiorando in un bacio tanto soffice da farmi sciogliere.
Dylan mi stava davvero baciando.
Chiusi gli occhi, e dopo qualche istante lui si staccò da me.
«Buonanotte, Lindsey.»
-angolo autrice💕
Non sono morta✋
Ci ho solo messo un'eternità a finire il capitolo, e spero davvero che ne sia valsa la pena😏
Come al solito, vi chiedo di votare e commentare se vi è piaciuto il capitolo✨
Bye👋
;justobrien❤️
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