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laugh out loud


Mia madre mi accompagnò fino al divano, dove si sedette a distanza di sicurezza da me.
Io non avevo staccato lo sguardo da mio padre, incredula di fronte a quelle parole, tanto che speravo di aver sentito davvero male.
Lui sospirò profondamente, poi guardò la mamma, che annuì.
Si alzò dalla sedia e si piazzò con tutta la sua stazza in piedi di fronte a me.

«Lindsey, devi sapere che io e tua madre ti abbiamo sempre amata, e ti abbiamo sempre sostenuta nelle...» lo interruppi, mentre come al solito lui divagava nella speranza di farmi scordare l'obbiettivo della conversazione.

«Taglia corto, veniamo al sodo.» dissi, come se parlassi ad uno sconosciuto e non a mio padre.

Lui alzò gli occhi al cielo, sapevamo entrambi quanto fossimo diversi e quanto fosse difficile sopportarsi a vicenda.
Ormai con lui dovevo sempre scendere a compromessi, o non avremmo mai trovato un punto d'accordo.

Papà riprese a parlare.

«Circa un anno e mezzo prima che nascessi tu, io e tua madre attraversammo un periodo di crisi, litigavamo in continuazione e non ci fidavamo più l'uno dell'altra. Io mi comportai da idiota, iniziai a vedermi con una donna che conoscevo semplicemente di vista, Julie, tre volte a settimana e la nostra relazione divenne particolarmente... Intima.» marcò con la voce l'ultima parola, proprio per farmi capire ciò che intendeva.

«Tu la tradivi con una che nemmeno conoscevi? E tu, mamma, non lo hai lasciato dopo che hai saputo di tutto questo?» scattai in piedi, gridando con tanta rabbia che sentivo la mia testa sul punto di esplodere.

«Tesoro, siediti e ascolta tuo padre.» intervenne mia madre, e io obbedii.

Lui aspettò che mi calmassi, poi riprese a raccontare.

«Come ti ho detto, vedevo Julie tre volte a settimana, fino a che non scoprimmo che era rimasta incinta.
A quel punto dovetti dirlo a tua madre, eravamo già sposati e non volevo commettere un errore ancora più grande tenendole nascosto un figlio di cui non era la madre. Una figlia, anzi. Julie la chiamò Annabeth, e io non parlo più a quella donna da quando ho visto nascere la piccola, tua sorella.» abbassò la voce pronunciando le ultime parole, ma sfortunatamente per lui capii tutto al volo.

«Mi avete mentito, per più di diciotto anni avete fatto finta di niente. Devo farvi i miei complimenti, siete ottimi bugiardi.» sussurrai, non avevo bisogno di gridare perché le parole colpissero i miei genitori.

Mi alzai, e senza voltarmi indietro uscii di casa con finta indifferenza, cercando di nascondermi dai miei mentre piangevo.
Eppure non sentivo le lacrime, non singhiozzavo come sempre più spesso mi ero ritrovata a fare in queste settimane.
Ero sola, in silenzio con il mio dolore.
Avevo odiato e perso una sorella che non sapevo di avere, avevo desiderato che sparisse dalla faccia della terra e così era accaduto.

Iniziai a camminare, senza una meta.
Seguivo i miei piedi, non la mia testa e nemmeno il mio cuore.
Non seguivo più nessuno, nemmeno me stessa.
Poi mi venne in mente Lucas, mentre io avevo odiato mia sorella lui la aveva amata, aveva tutto il diritto di sapere la verità.

Arrivai nei pressi di casa sua, percorrendo la stessa strada dove Anmabeth mi aveva raccontato di lei e il mio ex fidanzato, e ora provavo una sensazione del tutto nuova nei suoi confronti.
Compassione, ora la capivo.
Ora che condividevamo qualcosa sentivo come se tutto fosse diverso, ma lei non era qui per saperlo.

Arrivai a casa di Lucas, suonai il campanello e dopo qualche decina di secondi venne ad aprirmi Dylan.

«Buon pomeriggio, come stai?» chiese premuroso.

«Non sono dell'umore giusto. Dov'è Lucas? Devo parlargli.» chiesi, mentre lui sembrava sorpreso.

«Sta arrivando, mi ha scritto un messaggio qualche minuto fa. Cosa devi dirgli, scusa?» gli piaceva curiosare nella mia vita, a quanto pare.

«Senti io...» iniziai cercando di evitare l'argomento, ma pensai che avrebbe soltanto potuto aiutarmi il suo parere.

Lui si chiuse la porta alle spalle e restò sulla soglia di casa con me, attendendo che parlassi.

«Annabeth era mia sorella, mio padre era anche suo padre.» arrivai al nocciolo della questione senza mai giri di parole, come facevo sempre quando ero nervosa.

Dylan sgranò gli occhi, poi mi fece un cenno della testa come per chiedere conferma, e io annuii.

«Non è possibile, la rossa?» Dylan sembrava quasi divertito, ma quando notò come lo guardavo male tornò serio.

«Ah, sta arrivando Lucas.» indicò un punto dietro di me, e vidi il biondo che stava per attraversare la strada.

Stavo per andargli incontro, ma mi accorsi di una macchina grigia che si dirigeva ad una velocità folle verso le strisce pedonali.
Non avrebbe mai frenato in tempo, il danno sarebbe stato devastante.
"Smettila di pensare, agisci." Il mio subconscio mi risvegliò dalle mie preoccupazioni.

«Lucas! Corri, veloce!» gridai a squarciagola, attirando l'attenzione del biondo verso di me, e gesticolano terribilmente facendogli segno di venire verso di me.

Lui si accorse dell'auto, ma non ci fu nemmeno il tempo di rendersi conto della situazione che l'impatto con l'auto fece rabbrividire anche me.
Vidi Lucas rotolare sul parabrezza e sul tettuccio dell'auto per poi cadere a terra mentre il guidatore non si degnò nemmeno di fermarsi.
Il biondo era steso a pancia in su sull'asfalto, completamente immobile.

Non riuscivo a pensare, ero paralizzata dalla paura, Dylan invece corse verso il corpo immobile dell'amico.
Appoggiò l'orecchio al petto di Lucas, restando in completo silenzio per diversi secondi, poi si rivolse a me.

«Respira!» gridò.

---

«Non esiste un abbonamento all'ambulanza, per caso?» disse sarcastico Dylan, mentre tornava verso di me.

Il suono delle sirene si stava affievolendo, mentre il veicolo con Lucas e i paramedici sfrecciava verso il pronto soccorso più vicino.

«Almeno lui è vivo...» aggiunsi, ripensando a come Annabeth non avesse nemmeno avuto un'opportunità di salvarsi.

Abbassai lo sguardo verso le punte dei miei piedi, come se fossero particolarmente interessanti.
Dylan continuò a parlare.

«Comunque non sembra così grave, sarà qualche rottura di ossa o...»

«Si dice frattura.» precisai

«Cosa vuoi che ne sappia?» alzò le mani, in segno di innocenza.

«Lo sa anche il cagnolino di mia zia, Dylan.» mi piaceva prenderlo in giro, per una volta non ero io quella che doveva difendersi.

Lui sbuffò, poi si passò una mano nei capelli come faccio sempre io quando sono nervosa.
Dopo un breve silenzio, riprese a parlare.

«Tu credi che ci sia dietro qualcosa? Tipo un serial killer o altro di quelle cose che si vedono nei film?» diceva tutto come se la cosa non lo riguardasse, ma mi trattenni dal fargli notare che avevamo trovato entrambi i cadaveri o quasi-morti insieme.

«Spero che non ci sia nessun assassino in giro per la città, perché...» iniziai, ma lasciai la frase nell'aria.

Non avevo mai considerato l'opzione di un assassino, mi sembrava così irreale ma ora pareva la più sensata delle proposte.

«...perché?» Dylan mi incitò a continuare, e io lo guardai sgranando gli occhi.

«Il fatto che io non voglia un assassino in città non è abbastanza, devo anche dirti che non voglio morire a nemmeno diciannove anni?» sbottai, e scoppiammo a ridere entrambi.

Ci ridemmo un contegno, cercando di non incrociare i nostri sguardi per smettere di sghignazzare.

«Wow, ti va un caffè? Ci vorrebbe proprio.» propose Dylan.

«Certo, andiamo al bar?»

«Lucas ha la caffettiera, possiamo stare qui.» indicò la porta di casa, e mi accorsi che non mi ero ancora mossa dal vialetto da quando c'era stato l'incidente.

Sorrisi, e finalmente mi smossi da lì.
Entrammo, e iniziammo a rovistare nella credenza cercando la caffettiera.
Riuscimmo a recuperare il caffè macinato e misi sul fuoco la moka, poi mi buttai sul divano seguita a ruota da Dylan.

«Allora, l'università?» chiesi.

«È arrivata qualche giorno fa una mail dalla scuola, "lei è stato ammesso alla facoltà di Filosofia, eccetera eccetera..."» disse lui gesticolando.

«Mi aspettavo una reazione migliore, insomma... Si parla dell'università.» dissi, pensando che forse ero io che l'avevo presa troppo seriamente, non che fosse una novità.

«No, non fraintendermi. Sono al settimo cielo, ma non potrò stare da Lucas per sempre. Ora che mi hanno preso all'università sto iniziando a cercare casa.» rispose Dylan, mentre l'adorato rumore del caffè che borbottava nella moka mi fece sorridere.

Ora che ci pensavo, non bevevo un buon caffè da almeno una settimana.

«Vado io. Espresso, vero?» disse alzandosi dal divano.

«No, lungo.» risposi, mentre lui alzava le sopracciglia.

Lo guardai male, si può non sapere cos'è un caffè lungo?

«Non l'ho mai fatto, cosa devo metterci?» disse Dylan, prendendo e mostrandomi una tazzina rossa.

Mi alzai, scuotendo la testa.
Lo raggiunsi, e mi fece spazio.
Versai nella sua tazza azzurra e nella mia un po' di caffè, poi aggiunsi al mio dell'acqua.
Il rumore regolare del cucchiaino che girava nella mia tazzina, insieme al rumore di Dylan che beveva già il suo caffè, erano gli unici suoni nella stanza.

Stavo per portarmi finalmente il caffè alla bocca, ma le braccia di Dylan mi colsero alla sprovvista, stringendosi attorno alla mia vita mentre il suo mento si appoggiava sulla mia spalla.

«Profumi di espresso.» dissi sorridendo imbarazzata, poi bevvi in un paio di rapidi sorsi il mio meritatissimo caffè.

«Perspicace, la ragazza.» rispose, dandomi un pizzicotto su un fianco e facendomi sussultare.

Risi, avevo da sempre sofferto tantissimo il solletico.
Poggiai la mia tazzina accanto a quella vuota di Dylan.

«Immagino che tu sarai un altro di quegli scorbutici che non soffrono un minimo il solletico e si divertono a far soffocare tra le risate le proprie amiche.» io ero sempre stata una di quelle che rideva soltanto guardandole, quindi sarei decisamente stata svantaggiata.

«Infatti.» disse lui, e io sbuffai.

Poi gli diedi un pizzicotto all'altezza dell'ombelico, e lo vidi contorcersi dalle risate, e mi tornò il sorriso.
Mi avvicinai di nuovo a lui.

«Bugiardo.» sussurrai soddisfatta, mentre lui si arrendeva al fatto di essere pessimo a mentire.

«Beh, prima di farmi il solletico dovrai prendermi.» disse, avvicinandosi ancora di più.

«È una sfida?»

«Assolutamente sì.» le nostre fronti stavano per toccarsi, e io iniziai a sentire il battito cardiaco accelerare fino a raggiungere la velocità di un'auto in corsa.

Allungò la mano fino a stringermi il fianco, e io mi piegai in due ridendo.
Continuò, fino a che non iniziai a perdere il fiato dalle risate.

«Non vale!» riuscii a biascicare tra gli ansimi, mentre lui indietreggiava qualche passo guardandomi.

Lo guardai male, poi lo raggiunsi e questa volta iniziai io a riempirlo di solletico, mentre lui continuava a sghignazzare.
Dylan iniziò a correre, e lo inseguii girando in tondo tutto intorno al divano, poi lui cambiò senso e mi trovai io ad essere inseguita.
Mi afferrò per il busto, mi sollevò da terra e mi fece sdraiare sul divano mettendosi in ginocchio tra le mie gambe.
Intanto continuava a torturarmi con il solletico, le sue mani si muovevano sulla mia maglietta leggermente sollevata dal fatto che fossi sdraiata.

Sentivo le sue dita sfiorarmi la pelle, e piano piano i pizzicotti si trasformarono in carezze, che si addentravano sempre più sotto la stoffa della mia maglietta, fino a quando capii che non si trattava più di solletico.
Mi trovai ad ansimare, questa volta non per le risate.
Sentivo le sue mani arrivare a sfiorare le coppe del mio reggiseno e soffermarsi facendo leggermente pressione su esse, per poi tornare in basso fino a sotto l'ombelico.

Non potevamo essere solo amici, gli amici non fanno questo, pensai.
Era già un punto a mio favore, ma come al solito pensavo e ripensavo.
"Buttati".
Le parole di Dylan mi tornavano continuamente in testa, e non potevo fare altro che dargli ragione per l'ennesima volta.

Una sua mano scivolò sotto il mio corpo, fino a posizionarsi sul mio gluteo destro.
L'altra era sul bordo dei miei jeans, esattamente sotto il mio ombelico, e sentii le sue dita addentrarsi all'interno dei pantaloni fino a sfiorare e alzare leggermente l'elastico delle mie mutandine.
Si sporse verso di me e poggiò le sue labbra sulla mia clavicola, per poi continuare quell'incredibile tortura guardandomi negli occhi.
Inarcai la schiena sotto il suo tocco, iniziavo a essere posseduta dalle emozioni, smettevo di pensare finalmente.

Poi fu lui a fermarsi, facendo tornare le mani sulle mie anche.
Cercai di calmarmi, un po' delusa da ciò che sarebbe potuto essere molto di più.

Lui staccò le mani dal mio ventre, e poggiò gli avambracci ai lati del mio corpo, reggendo il suo peso ma facendo combaciare perfettamente i nostri corpi.
Avvicinò il suo viso al mio, e prese fiato anche lui.
Sospirò, poi sussurrò dolcemente:

«Credo che per questo dobbiamo aspettare ancora un po'.»

-angolo autrice💕
Ehi! Non sono morta, sono solo in trasloco e non ho potuto aggiornare🙅
Mio dio, le visualizzazioni non fanno che aumentare😍
Sono davvero davvero contenta che la storia piaccia almeno un po', e ringrazio tantissimo tutti quelli che votano e commentano abitualmente i miei capitoli🌺
Detto questo posso anche togliere il disturbo⚡️
Bye🎈

;justobrien❤️

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