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4.

"Mio caro Fabrizio,

mi rendo conto che questa lettera ti sembrerà prematura, soprattutto perché sono le ventitré e e trentasei, ci siamo congedati da poco e mi hai appena scritto di essere arrivato a casa, ma ho sentito il bisogno di buttare giù ciò che sento in questo momento.

Non sono una persona che ama i giri di parole e le perifrasi, preferisco sempre essere molto diretta, e mi auguro che la cosa non ti spaventi: per questa ragione, non perdo altro tempo con queste righe (mi pare di avere già esagerato, che ne dici?) e vengo al dunque. Ti segnalo, giusto per dovere di cronaca, che è da un pezzo che non avevo le proverbiali farfalle nello stomaco mentre scrivevo, e insomma, è una cosa bella.

Comunque sia.

Credo che tu ti sia reso conto di quanto sono attratta da te.

Considerato come sei, presumo che tu sia abituato a simili sguardi, ma a maggior ragione suppongo che tu l'abbia riconosciuto subito, ma mi sembrava comunque corretto farti una vera e propria dichiarazione: e, dato che via WhatsApp lo trovo molto triste e freddo, ho scelto di affidarmi alla carta.

So che abbiamo parlato per un totale di neppure tre ore, ma l'attrazione è un sentimento inspiegabile, che non nasce quasi mai in maniera razionale: forse dista molto da una persona rigorosa e metodica come te, ma sono certa che tu possa comprendermi.

I tuoi occhi brillanti, le tue mani salde, il tuo modo di gesticolare, il modo in cui ti si increspa la fronte quando rifletti, il tuo non scadere mai nella volgarità, il tuo modo di pronunciare le sibilanti, tutto questo mi porta ad essere attratta da te, e parlo solo di ciò che riguarda la mera sfera fisica. Non perderò ulteriore tempo indugiando su invece quelle mentale e spirituale, che risulta molto più complesso da sbrogliare e analizzare: anzi, credo che concluderò qui questa mia missiva, con la speranza di prima espormi a voce e solo dopo consegnartela. Chissà, magari potremmo riderne.

A giovedì.

Un abbraccio,

Silvia."

Piega a metà il foglio, lo infila in una busta trovata per caso e ficca il tutto nel primo cassetto della scrivania: non lo rilegge, non ne controlla gli eventuali refusi, certa che l'emotività vinca sulla forma perfetta. Poi, controlla il cellulare: ad esclusione di quelli di Ginevra, ora impegnata come babysitter notturna a qualche isolato da lì, nessun messaggio.

Riflette un paio di istanti, poi clicca sull'icona di WhatsApp e, incurante delle dicerie che vorrebbero la donna sottomessa e in attesa, pigia l'icona che ritrae il viso di Fabrizio e inizia a digitare.

"Sono molto felice di averti conosciuto, comunque. Ho passato una serata davvero piacevole, spero che per te valga lo stesso. Buonanotte, o buongiorno, in caso lo leggessi domani mattina."

Invia e attende, speranzosa: l'ultimo accesso risulta di pochi minuti prima, quindi non esclude che possa leggerlo di lì a momenti.

Infatti, dopo neppure un minuto, le doppie spunte si fanno blu.

Ma non arriva risposta, e Silvia non può che provare un moto di delusione, prima che il suo cervello si attivi a fornirle una spiegazione razionale.

"Forse ha letto mentre si stava preparando per andare a dormire. Forse è già a letto, ha gettato uno sguardo al cellulare e si è girato dall'altra parte. Le ipotesi sono molte, non fasciamoci la testa."

Si prepara a sua volta per andare a coricarsi, senza riuscire a darsi pace: controlla le notifiche del cellulare in maniera febbrile, tentando di illudersi che quell'improvvisa simbiosi con lo smartphone sia giustificata dalla mancanza di sonno (a causa di Fabrizio, ma non vuole certo ammetterlo a se stessa), da un improvviso desiderio di scorrere l'intera bacheca di Facebook e, in contemporanea, da quello di controllare che le impostazioni del suo cellulare non presentino ipotetici problemi di notifica o ricezione. Personalizza le notifiche di Fabrizio per non trasalire ogni volta che le arriva un messaggio e che, ogni volta e con puntuale delusione, si conferma di Ginevra.

Gli occhi iniziano a bruciarle di sonno e fastidio per la luce artificiale, portandola a cedere di malavoglia a un riposo venato di un'iniziale inquietudine.

~*~*~*~

"Ciao, ti chiedo scusa per il lungo silenzio. Ne sono stato felice anche io, è stato interessante; a giovedì."

«Ginny!» tuba, allegra, saltando sulla sedia e spillando un po' di tè dalla tazza: Ginevra sussulta, poi la squadra con un'occhiata storta.

«E poi vorresti dirmi che non sei una sottona?»

«"Interessante"!» strilla, incredula «Fabrizio mi ha appena definita "interessante"!» prosegue, sventolando lo smartphone sotto il naso di Ginevra, che le risponde con un cenno di assenso poco convinto. Silvia non ci fa caso: Ginevra ha dovuto fermarsi dai bambini più a lungo del previsto ed è ancora piuttosto assonnata, perciò è normale che non sia entusiasta quanto lei.

«Non mi hai ancora detto com'è andata ieri sera» le fa presente, biascicando ancora un poco le parole: Silvia fa spallucce, con finta noncuranza.

«Abbiamo parlato. Cioè, ha parlato, più che altro, ma l'ho lasciato parlare volentieri, almeno ho scoperto qualcosa in più su di lui.»

Si anima, Silvia: gli occhi le si spalancano un poco, un lieve nodo si stringe nello stomaco e la voce si fa più acuta. Ginevra finge di non notarlo, più che altro perché non ha ancora voglia di far partire uno dei loro soliti battibecchi.

«Ad esempio?»

«Ama il cinema» spiega. «Cioè, quello lo immaginavo, però ora so che il suo regista preferito è Béla Tarr, che ha fatto una notte in bianco per guardare in una volta sola "Satantango" e ha visto tantissimi film indie, mai sentiti e mai distribuiti nelle sale! È un pozzo di cultura!»

«Solo cinematografica, però» le fa notare Ginevra, con una lieve nota di asprezza. «Vi rivedete?»

Silvia, stavolta, strilla.

«Giovedì!» annuncia, prolungando all'estremo quell'ultima vocale e alzando i pugni con aria vittoriosa. «Non vedo l'ora, sono...» esita, «non trovo neanche le parole, davvero.»

Ginevra le dà una pacca sulla spalla: «Ma non ci stai sotto, tranquilla. A proposito, non gli rispondere» prosegue, mentre si alza a prendere un paio di fette di pane in cassetta da tostare e indicando il cellulare, «faresti la figura di quella che non aspettava altro.»

«Non credi che sia scortese tacere del tutto? Almeno un "A giovedì", non gli ho mica risposto subito, c'è stata comunque un minimo di attesa, no?»

Ginevra fa spallucce: «Vita tua, decidi tu come incasinartela. Ma sì, in effetti non hai torto.»

Silvia osserva a lungo lo schermo, indecisa su come rispondergli, quasi intimorita da quell'uso peculiare e serioso della punteggiatura in quel semplice messaggio via chat. Riflette a lungo, scrive il breve messaggio che ha suggerito a Ginevra, poi lo cancella e riprende a scrivere.

"Grazie. Come stai? :)"

Invia. Le spunte di ricezione si colorano presto di blu, ma Fabrizio non risulta connesso e tace.

"Forse gli serve tempo" lo giustifica Silvia. "Forse ha da fare. Forse mi risponderà durante la pausa pranzo. Di sicuro mi risponderà a pranzo."

«Oddio, quanto è tardi!» Ginevra interrompe il flusso dei suoi pensieri. «Devo sbrigarmi, ho un colloquio!» strilla e, senza darle tempo, si chiude in bagno.

Silvia osserva ancora il cellulare, speranzosa, e seguita a farlo anche e soprattutto quando Ginevra esce, certa che prima o poi compaia una risposta.

Ma la risposta non arriva: non a pranzo, non a cena, non la mattina successiva, neanche dopo il suo messaggio di buongiorno, all'apparenza noncurante. Non arriva dopo un giorno di silenzio, un SMS serale del giorno dopo e uno mattutino di quello dopo ancora, fino alla mattina di giovedì.

"Come ci organizziamo per stasera?"

«Alla buon'ora!» esulta Silvia, felice che Ginevra in quel momento non sia presente, mentre sente il petto aprirsi come se avesse ripreso a respirare solo allora.

"Dato che la volta scorsa sei venuto da me, stavolta vengo io da te! Stessa ora di giovedì?"

La risposta è repentina: un assenso. Poi un nuovo messaggio.

"So che non è bello da scrivere, ma stasera ti devo parlare."

A differenza del solito, quella frase non accresce i suoi timori: anzi, appena Ginevra torna a casa glielo fa presente, iniziando a ideare supposizioni su quali siano gli argomenti di cui vuole trattare quella sera.

Anche se, secondo loro, le ipotesi al vaglio sono tanto minime da ridursi a una sola: Fabrizio la ricambia e le ha scritto per accrescere il senso di aspettativa.

Quella sera, Silvia si prepara con cura ancora maggiore della settimana passata, preme il più possibile sull'acceleratore della sua Matiz color carta da zucchero e e si fionda da lui che, puntuale, la aspetta splendente nella sua eleganza sbarazzina: Silvia non gli piomba addosso e non lo stringe in un abbraccio appena scende dall'auto solo per studiare il suo approccio, e lui si limita a un saluto distaccato. Ma va bene così, ci sarà tempo per parlare.

«Cosa intendevi col tuo messaggio di oggi?» incalza subito lei poco dopo aver ricevuto la sua consumazione, dell'acqua sporca di cannella che tenta di essere tè chai.

Esita, Fabrizio. Ottimo segno.

«Sì... So che ti sembrerà una domanda strana e precipitosa, ma...»

È in palese imbarazzo: fa scorrere l'indice sul bordo della sua tazza, ricolma di tè gunpowder tanto fumante da appannargli gli occhiali, seguendone la forma, senza riuscire a sostenere lo sguardo di Silvia.

«Io e te ci stiamo vedendo come semplici amici e senza secondi fini, vero?»

Sono seriamente tentata di spostare gli aggiornamenti al martedì, o non dare direttamente giorni fissi: alla fine, tendo sempre a dimenticarli!

La mia scarsa fantasia riguardo agli spazi autrice non ha mai fine, ahivoi.

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