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uno

Faccio un respiro profondo.
Mi chiamo Vita, ho sedici anni.
Sono alta un metro e settantaquattro e peso cinquanta chili. Ho gli occhi verdi e dei lunghi capelli neri.
Come ogni mattina esco dal portone di casa ripetendomi chi sono e chi voglio diventare.
Oggi non è una gran bella giornata, il cielo è pieno di nuvoloni grigi che minacciano pioggia e il vento soffia freddo, sarei volentieri rimasta sotto le coperte tutto il giorno.
Mi stringo nel mio giubbotto di pelle nera, forse dovrei cominciare a pensare un po' meno all'estetica e un po' più al fatto che vestita così potrei prendere una polmonite.
Da ormai due anni faccio questa strada per recarmi a scuola, cinque minuti a piedi, una passeggiata piuttosto monotona se non fosse per il fatto che incontro ogni volta persone diverse. Uomini in giacca e cravatta che camminano reggendo una valigetta, donne che tengono la mano ai loro bambini con quelle facce stressate e stanche, ma sotto sotto felici di quello che hanno.
E io?
Io sarò mai così?
Arrivo al cancello e mi dirigo all'entrata con passo sicuro.
Storia, raggiungo la mia classe e prendo posto davanti, sono la prima come al solito.
Non ho amici in questa scuola, non perché io sia antipatica o un essere particolarmente asociale. Semplicemente la fortuna non gioca a mio favore, riesco sempre ad avere problemi con le persone.
Le ragazze mi guardano storto, invidiose della mia bellezza. Le vedo fissarmi nei corridoi, sono talmente stupide da pensare che io non mi accorga quando sparlano alle mie spalle. Mentre i ragazzi, loro si limitano a guardarmi da lontano a causa della mia reputazione di "spaccacuori seriale", già è così che mi definiscono. Niente di complicato, significa che ho dato buca a molti ragazzi.
Qualche anno fa ho persino cominciato a tenere una lista, una lunga lista di quelli che si sono illusi di potermi avere. È una cosa maniacale lo so, ma in qualche modo reputo questo un talento e più il numero di membri della lista aumenta più mi sento soddisfatta.
Cominciano ad arrivare i miei compagni ma come non detto nessuno occupa il banco di fianco al mio, pazienza ormai ci sono abituata.

Le sette ore di scuola sembrano interminabili, all'uscita come sempre ad aspettarmi c'è quella che considero la mia migliore amica, Roza, lei è speciale, riesce sempre a farmi ridere e ne ho davvero bisogno.
- Eiiiii - urlo saltandole addosso.
- Amo non sono tornata dalla guerra, ci siamo viste ieri...ah! Così cadiamo - non fa in tempo a finire la frase che finiamo tutte e due per terra ridendo come delle svitate.
- Che facciamo oggi? -
- Potremmo andare a casa mia e studiate un po' dal momento che domani ho una verifica e nessuna intenzione di prendere un'altra insufficienza - risponde.
- Sì forse hai ragione, dovrei cominciare anche io a fare la secchiona - la prendo in giro.

- Basta ho il cervello che scoppia - si lamenta Roza dopo un ora di studio.
- Si hai ragione, per oggi può bastare - decreto riponendo i libri nello zaino.
- Ma se hai passato il pomeriggio a rompermi le scatole! - protesta.
- Dettaglio insignificante -
- No senti, parlando di cose serie -
- Oh mio dio mi spaventi -
- Ma hai visto come era conciata oggi la Fornari? - e fa quella buffa espressione di sempre, quando disapprova qualcosa.
- No grazie al cielo non la ho incontrata - rispondo scocciata, non mi va di parlare di quella zoccola.
- Reggiseno pantaloni a vita bassa e rossetto rosso...poi quei suoi capelli biondi insopportabili, insomma si vede lontano un chilometro che sono finti! -
La guardo scocciata.
- Okay, okay ho capito cambiamo discorso - ragazza perspicace Roza.
- No, è meglio che vada mia madre si chiederà dove diavolo sono finita -
- Come vuoi - fa accompagnandomi all'ingresso.
La saluto con un bacio sulla guancia ed esco da casa sua.
Accidenti, piove.
Le gocce d'acqua scendono lente da un cielo grigio e coperto di nuvole.
Un tuono.
Cinque secondi.
Un lampo.
Poi la pioggia comincia a cadere un po' più velocemente e di colpo diventa un diluvio in piena regola.
Amo quando piove e sono per strada senza un ombrello, non scherzo, amo quando succede.
Cammino lentamente guardando il marciapiede e sento una straordinaria sensazione di libertà, alzo la testa e sulle mie labbra spunta un sorriso. Uno di quelli che significano una felicità malata, una felicità non reale, una felicità che è piuttosto un rifiuto di ammettere che sei nella merda fino al collo. Vedi il mondo, pensi a qualunque cosa e cerchi di gioire di quel poco che hai, ti senti indistruttibile per un arco di tempo limitato, una o due ore al massimo poi tutto torna così schifosamente piatto, normale e seguono giorni e giorni di sconforto in cui pensi che non andrai più avanti e capita anche che perdi il senso della vita. Fortunatamente però, fin quando c'è anche solo un briciolo di speranza, e a mio parere c'è sempre, ti accorgi che vale la pena sopravvivere sperando di trovare qualcosa per cui vivere davvero.
Solo quando varco la soglia del portone del mio palazzo mi rendo conto che forse non è stata una grande idea, però a pensarci bene chissene frega, sono completamente fradicia e col trucco colato e allora?
Salgo le scale e per poco non scivolo.
Rido.
E la mia risata rimbomba in tutto il palazzo, rido più forte.
Rido fino a quando mi rendo conto della pateticità della situazione, fino a quando i pensieri negativi e i problemi si impossessano di me e la risata si trasforma in singhiozzi strozzati.
Mi accascio contro la parete del secondo piano, non ho più la forza di salire, fa così freddo qui.
Cado nel sonno stremata dai brividi e dal pianto, prima lentamente, poi tutto d'un tratto, come ci si innamora direbbero molti, io però mi innamoro troppo e troppo in fretta.

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