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dodici

Scendo dalla metro e mi immetto nel traffico caratteristico di una città così grande.
Il marciapiede è sovraffolato di persone provenienti da paesi diversi, tanto che quasi mi scordo di essere in Italia, la mia terra.
Eh già, perché in un mondo così globalizzato possiamo ancora parlare di nazioni e di etnie?
Un lato di me pensa che il ritenersi appartenenti ad uno stato in particolare o ad una cultura, mettere radici perenni in territorio conosciuto ed emancipare totalmente qualsiasi diversità del modo di pensare altrui, sia una cosa sbagliata.
Io mi ritengo cittadina del mondo.
Una mina vagante, in termini pratici.
Però penso anche che sia bello e comunque giusto sapere di avere certe origini e riconoscersi in quelle stesse.
Una cosa però è certa: viaggiare libera dall'ignoranza.
Viaggiare rende liberi.
Arrivo ad un semaforo e attendo che scatti il verde, non so se più per il fatto che sto andando in un'agenzia di modelle o per i pensieri patriottici che la mia mente concepisce, mi sento esaltata, euforica.
Okay Vita calmati.
Magari non ti prendono neanche.
Attraverso ancora sovrappensiero e...
Cazzo.
Sbatto contro quello che potrebbe benissimo sembrare un armadio, viste le dimensioni.
- scusa mi dispiace tantissimo non so davvero dove ho la testa - comincio a blaterare.
Alzo la testa.
Il cameriere di quel bar!
Che figura non lo ho nemmeno chiamato.
- eii - sorrido timidamente.
- eii - risponde sfoderando un sorriso perfetto.
Gli occhi azzurro ghiaccio splendono alla luce del sole e si intonano perfettamente ai capelli color miele.
- sai, quando do il mio numero ad una ragazza è perché mi aspetto che lo usi - ironizza.
Già.
- si, lo so e volevo farlo credimi. Ma ho avuto un sacco di impegni e... -
- tranquilla stavo solo scherzando - fa una risatina.
Cara Vita, ti vieto di sbagliare un'altra volta.
Amare toglie ogni tipo di libertà.
- hai tempo di prendere un caffè? Sempre se ti va -
- c-certo, in realtà preferisco il The - mi mordo il labbro.
E l'agenzia?
Oh, fanculo ci andrò un'altra volta.
- blea, hai proprio dei gusti orribili - fa una smorfia.
Detto ciò ci incamminiamo alla ricerca di un bar e ne troviamo uno a pochi metri, un posto decisamente non grazioso come quello in cui lavora il mio accompagnatore ma ugualmente piacevole e soprattutto molto moderno.
- quando mi alzerò di qui avrò un gran mal di schiena - mi lamento indicando la bassa poltrona in cuoio marrone con uno schienale molto basso.
- in effetti non ha l'aria di essere molto comoda - sentenzia sedendosi.
Il cameriere passa a prendere le ordinazioni e, un altro punto a sfavore del locale, i ragazzi che lavorano qui dentro non si possono definire delle bellezze.
- a proposito, non ci siamo ancora presentati. Ashton Hall - mi porge la mano.
- Vita Verdi - sorrido leggermente imbarazzata - di dove sei? - chiedo poi incuriosita.
- Staten Island, Stato di New York -
È di New York!
Sgrano gli occhi per la sorpresa.
- raccontami di te e di come sei arrivato qui - chiedo sempre più incuriosita.
Un The e due caffè dopo sapevo che Ashton è nato a Brooklyn, ha ventun'anni e si è trasferito in Italia perché gli sembrava un posto apparentemente tranquillo al riparo da un padre molto ricco che di professione faceva nientemeno che l'avvocato e progettava per lui un avvenire per cui non si sentiva affatto tagliato.
- lavoro in quel posto per pagarmi gli studi, ma soprattutto perché mi hanno detto che certe bellissime ragazze milanesi hanno l'abitudine di fare colazione fuori la mattina - dice con un sorrisetto.
Arrossisco per l'imbarazzo.
Ha un accento meraviglioso, il modo in cui storpia le parole mi fa assolutamente impazzire.
- e tu Vita, parlami di te -
- Ho sedici anni e prima che ti piombassi addosso in mezzo alla strada stavo andando in un'agenzia per un lavoro come modella - alle mie parole sembra rabbuiarsi.
- c'è qualche problema? - chiedo.
- sedici anni - ripete in uno stato do trance, come se io non gli sedersi davanti.
- si e allora? - comincio ad essere infastidita.
- no, nulla. Dal tuo aspetto mi sembravi un po' più matura -
- il tempo si misura in anni, la maturità in ciò che si è vissuto - rispondo secca alzandomi in piedi di scatto.
Mi prende il polso - no ti prego, non andartene. Non volevo ferirti, mi dispiace. Forse ho avuto paura, sono stato uno stupido - mi sfiora la mano con i polpastrelli e un brivido mi percorre la schiena.
- devi avere paura di essere denunciato per pedofilia? Così mi fai spaventare - ironizzo.
- direi di no bimba, sai di solito frequento ragazze un po' piu grandi - dice facendomi l'occhiolino.
- non per questo più mature - sorrido maliziosamente.
- sai, vorrei rivederti - mi guarda intensamente.
Annuisco con un mezzo sorrisetto e estraggo una penna dalla borsa.
Gli prendo la mano e ci scrivo il mio numero sopra.
- tipico di una sedicenne -
Faccio una smorfia.
Alla fine si offre di accompagnarmi a casa, dato che fra poco farà buio.
Ci dirigiamo verso la sua auto e in poco la raggiungiamo.
Davvero una bella macchina.
- un regalino di papà - fa spallucce come se stesse parlando di una caramella.
Prendo posto sul sedile in pelle beige di fianco a lui e mentre mi metto la cintura parte, forse un po' troppo velocemente.
Vedo la città sfrecciare fuori dal finestrino e penso che essere in macchina con un uomo di cinque anni più grande, che quindi non è più un ragazzino, mi fa sentire davvero più matura. È come la conferma del fatto che lo sono realmente, al di fuori di quello che credo di me stessa.
Arriviamo davanti casa mia.
- sono stato bene -
- anche io - dico scendendo dall'auto e lo saluto con la mano mentre spingo il portone.
Giro le chiavi nella toppa, tolgo le scarpe e appoggio la borsa sul mobile.
Quando mi giro li vedo tutti li, zitti, distribuiti sui due divani bianchi del soggiorno.
Cosa sta succedendo?

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Sono molto molto giù di morale ma questa settimana mi impegnerò comunque nella storia e ho deciso di pubblicare un altro capitolo venerdì
Baciii

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