Capitolo 5. No escape
Ero ancora sorpresa di come, in mezza giornata, la storia del salvataggio di Timmy aveva fatto il giro di tutto il paese. Ora, ero diventata la tata eroina che aveva salvato il figlio dei suoi vicini. Quando Timmy si era svegliato, avevano provato a chiedergli come mai si era allontanato in quel modo da casa sua. Tutto quello che aveva saputo dire era che non se lo ricordava. Aveva spiegato ai suoi genitori che ricordava solo il momento in cui era andato a dormire la sera e il momento in cui si era svegliato in braccio a suo padre.
Stacy e Rupert avevano pensato che Timmy stava diventando sonnambulo e io, non avevo aperto bocca a riguardo. Io sapevo la verità, ma avevo deciso di non dire nulla. Mi avrebbero presa per svitata e avrei solo peggiorato la situazione per Timmy: era un bene che non ricordasse nulla dell'accaduto.
Doveva essere stata un'esperienza traumatica essere rapito in piena notte e portato lontano nel bosco...
Sospirai.
Ora, avevo un altro problema a cui pensare.
Avevo preparato una borsa. Dentro ci avevo messo qualche ricambio di vestiti e tutto il necessario per la doccia, qualche snack per il viaggio, i miei farmaci e le siringhe di insulina, una macchina fotografica digitale, delle pile, il laptop e il caricabatterie. Avevo messo tutti i miei risparmi nel portafoglio e se fosse stato necessario, avevo anche una carta di credito per poter prelevare i miei risparmi in banca.
Era quello che avevo da parte per l'università, ma qui ci andava di mezzo la mia vita e avrei sempre potuto riguadagnarmeli.
Avevo anche già pensato alla scusa che avrei detto a mia madre e cioè che sarei partita per il campeggio con una mia ipotetica amica di nome Brenda. Non sarebbe potuta durare a lungo come scusa; ma per il momento era sufficiente come copertura.
Poi, avevo pensato di scrivere a Karen.
Le avevo inviato un messaggio per posta elettronica e avevo scritto tutto quello che mi era successo: dalla notte in cui avevo incontrato Toby a quello che era accaduto proprio quella mattina. Non avevo idea di come l'avrebbe presa, ma prima di tornare in Finlandia, avrebbe avuto poco più di una settimana per mandare giù la cosa ed ero sicura che alla fine, mi avrebbe creduto. Lei era fatta così.
Si erano fatte le sei di sera e il sole stava smontando al crepuscolo. Il cielo si era incendiato di un incandescente rosso fuoco e la luce rossa che filtrava dalle finestre conferiva alla casa un'atmosfera spettrale.
Ero irrequieta. A dire il vero, mi sentivo così da quando avevo lasciato il bosco con Rupert e Timmy. Le parole di Toby si stavano rimescolando nella mia testa, facendola quasi andare in burnout.
Stavo aspettando che mia madre tornasse dal lavoro per dirle la scusa che avevo preparato, magari abbracciarla e respirare un po' del suo buon profumo, prima di andarmene per chissà dove.
Esattamente, non avevo ancora stabilito una meta. Toby mi aveva detto di allontanarmi il più possibile e così, avevo pensato di andare a Tampere, a una cinquantina di chilometri da qui. Alcune lacrime iniziarono a bruciarmi gli occhi, ma le rimandai subito indietro e per distrarmi decisi di accendere la televisione in soggiorno.
Non volevo guardare niente in particolare, solo volevo sentire un po' di rumore, così da non sentire troppo quel pesante senso di desolazione e abbandono di cui la casa era infestata. Non c'era nulla di interessante su Nickelodeon, a parte una puntata di Spongebob che avevo guardato almeno cinque volte da Timmy, così cambiai canale e lasciai sul telegiornale.
"Oggi, la gente deve ancora fare i conti con le misteriose onde elettromagnetiche che continuano a interferire per alcune ore del giorno con le radio e i cellulari della regione. All'inizio questo problema non sembrava serio, fin quando alcuni abitanti non hanno iniziato a lamentarsi di non essere riusciti a mettersi in contatto con le linee di emergenza nel momento del bisogno. Qui con noi, abbiamo il Professor Eric Lars, un ricercatore e fisico quantico che sta conducendo degli studi su queste misteriose onde elettromagnetiche".
All'improvviso sobbalzai sul divano, quando riconobbi il mio ex-professore di fisica delle superiori.
«Che mi venga un colpo!». Ribattei stupita e allo stesso tempo, emozionata.
"Professor Lars, cosa ci sa dire di queste onde elettromagnetiche? Perché stanno creando tutti questi problemi?". La giornalista avvicinò il microfono per intervistarlo.
"Tutti abbiamo studiato che le onde elettromagnetiche sono una forma di energia che si propaga nello spazio e nel tempo, di cui la nostra atmosfera ne è abitualmente invasa. Quello che sta capitando qui, è un fenomeno che Erwin Schrödinger spiegò tramite..."
«Il paradosso del gatto di Schrödinger!». Dissi, ripetendo esattamente le sue stesse parole. Era il mio argomento preferito in fisica quantistica.
"...un esperimento mentale che servì a spiegare il fenomeno della sovrapposizione di onde elettromagnetiche. Quando due onde esistono nello stesso luogo e nello stesso spazio, si crea un'interferenza. E l'effetto finale sarà... "
«... una distorsione». Ripetei ancora le sue parole.
"Quindi, lei sostiene che il problema sia dovuto a delle semplici interferenze?". Domandò la reporter.
"Esatto. Interferenze create da un enorme campo elettromagnetico".
"Grazie Professor Lars. Da Katy è tutto, a voi la linea in studio".
Spensi la televisione.
[Toby's P.O.V.]
Si stava facendo buio e io stavo diventando sempre più impaziente.
Ero rimasto per un'ora buona al limitare del bosco, a fissare la porta di casa sua e aspettare di vederla uscire. Le avevo detto di sbrigarsi, che cosa stava aspettando?
Di sicuro, non avrei avuto una risposta, standomene qui fermo tutto il tempo ad aspettare che accadesse qualcosa.
Quella notte Lui sarebbe venuto a cercarla. Per fortuna, di giorno andava in una specie di letargo e non usciva fin quando non era buio, per finire con le sue vittime. Quando non avrebbe più trovato quel bambino, avrebbe impiegato due secondi per capire chi era stato e dove poteva trovarlo.
Non mi era del tutto chiaro come facesse a trovare le sue vittime, visto che non poteva avvalersi di un olfatto o di una vista sviluppata.
Però, quel che sapevo era che non falliva mai.
Una volta, Masky mi aveva spiegato che era qualcosa che aveva a che fare con le onde elettromagnetiche. Sì, doveva essere con quelle che Lui riusciva a capire cosa pensavano, poteva entrare nella loro mente e creare allucinazioni o semplicemente, controllarli come fossero stati burattini nelle sue mani.
- Hehe – mi uscì fuori una cupa risata.
In fondo, anche noi eravamo suoi burattini... già, ma eravamo dei burattini pensanti e in cambio di una nuova vita, dovevamo solo proteggere un segreto e far credere alla gente che Slenderman non esistesse.
Ci aveva dato qualcosa in cambio... o almeno, io mi sentivo cambiato. Una volta soffrivo di crisi epilettiche e ne avevo almeno una ogni due settimane; ma da quando ero diventato un Proxy, ero guarito. Ora, potevo anche fare a meno di prendere le medicine.
Già... ma Slenderman non è la panacea per tutti i mali e stare vicino a lui, ha i suoi costi. Io l'ho visto. Ho visto cosa succede a chi gli sta per troppo tempo vicino: perde la sua sanità mentale e impazzisce. Hoody non aveva più rimasto un briciolo di umanità e ormai, nemmeno io, sapevo cosa c'era dietro quella maschera di stoffa.
Prima o poi, questo destino sarebbe toccato anche a me... ma non oggi.
A passo veloce mi incamminai verso la sua casa, tenendo sottocchio la situazione e controllando che nessuno per strada mi vedesse.
[Jenny's P.O.V.]
Si stava facendo tardi e mia mamma non era ancora tornata a casa. Le avevo fatto sei squilli, ma tutte le volte aveva risposto la segreteria telefonica.
Sbuffai e cercai di non andare nel panico, continuando a pensare che prima o poi avrebbe visto le mie chiamate e mi avrebbe risposto. Magari era stata solo trattenuta al lavoro oppure si era fermata a ordinare delle pizze per cena.
Non avevo nulla di cui dovermi preoccupare.
- THUD! -
Sobbalzai. Avevo appena udito un tonfo provenire dal piano di sopra. A giudicare al rumore, doveva essere stata la mia finestra e sembrava che qualcosa di pesante fosse caduto sul pavimento.
Poi, sentii dei sinistri scricchiolii.
Il cuore aveva preso a martellarmi nel petto e il panico stava prendendo il sopravvento. Guardandomi un po' intorno, afferrai il manico della scopa e uscii dalla cucina, per salire le scale e andare al piano di sopra; mentre stavo percorrendo il corridoio per avvicinarmi alla porta della mia stanza, avevo stretto tra le mani il manico della scopa, continuando a prestare ascolto agli scricchiolii.
Quando mi trovai abbastanza vicina, intuii che doveva esserci qualcuno nella mia stanza. Presi un grande respiro e afferrai la maniglia. - Calma Jenny... magari è solo il vento... solo il vento... o forse un animale... - . Cercai di tranquillizzarmi, anche se ormai non smettevo più di tremare.
Girai la maniglia e con un rapido gesto, aprii la porta.
Niente.
Non c'era niente o nessuno nella mia stanza, solo la mia vecchia finestra rotta che era rimasta aperta e stava cigolando in modo sinistro.
Levai un sospiro di sollievo e mi avvicinai per chiuderla.
Poi, dopo aver fatto dietrofront per tornare in soggiorno ad aspettare mia madre, mi trovai a pochi passi da un paio di occhi scuri che mi fissavano dietro due lenti arancioni.
«Wah!». Mi sfuggii un urlo per lo spavento.
Toby se ne stava davanti a me, con le mani affondante nelle tasche dei jeans. Indossava la stessa felpa verde fango e le maniche a righe, con cui lo avevo visto quella mattina. E come sempre, insieme agli occhialetti arancioni steampunk, portava quella strana maschera che copriva solo la sua bocca e le mani erano coperte da un paio di guanti neri di pelle.
«Scusa, mi hai spaventata Toby». Dissi, vergognandomi di avergli urlato davanti alla faccia. Neanche un secondo dopo, avevo iniziato a chiedermi cosa ci facesse nella mia camera.
«Perché non te ne sei andata?». Domandò secco.
«Oh beh... ecco, io stavo...». Biascicai, prima di essere interrotta.
«Jenny non s-sei al sicuro q-qui. Stanotte Lui t-ti verrà a cercare». Balbettò.
E detto questo, non mi lasciò neanche il tempo di reagire che mi afferrò per un braccio e mi trascinò nel corridoio e poi giù per le scale, fino al piano di sotto.
«Aspetta!». Lo interruppi un secondo nella foga e lui allentò la presa sul mio braccio. «Che cosa ne sarà di mia madre? E Timmy? Non verrà a cercare anche loro?».
«Lui vorrà solo te». Tagliò corto.
- Come faceva ad esserne tanto sicuro? - mi stavo chiedendo, mentre afferravo la borsa che avevo preparato, prima di precipitarmi fuori di casa con lui. Non avevo altra scelta se non fidarmi e basta.
Camminammo lungo il marciapiede.
Non c'era nessuno per strada; era normale, a quest'ora tutto il vicinato era seduto a tavola a consumare la cena e ascoltare i notiziari.
«Dove hai pensato di andare?». Chiese Toby, interrompendo il silenzio.
«A Tampere».
«Come ci si arriva?».
«In autobus».
Mi accompagnò fino alla fermata più vicina e diedi una rapida occhiata agli orari, i quali informavano che la prossima linea diretta alla grande città sarebbe passata tra quarantacinque minuti.
Nel frattempo, il sole era scomparso dietro le nuvole e una pallida luce giallo-oro si stava riflettendo sulle lenti arancioni di Toby.
Mi voltai verso di lui, notando che i suoi occhi stavano guardando lontano, in un punto fisso, verso la foresta che circondava Thur. Mi sembrò come paralizzato. Guardai nella stessa direzione e mi sentii gelare il sangue nelle vene.
Avevo riconosciuto la maglietta a righe di Timmy prima di vederla scomparire dietro un albero, accanto al sentiero che si addentrava nel bosco.
«Timmy!». Lasciai cadere la borsa, pronta a precipitarmi verso di lui; ma Toby mi bloccò appena in tempo... e solo allora, capii perché lo aveva fatto.
Al limitare della foresta, era comparsa una figura incappucciata e stava guardando proprio nella nostra direzione. In un primo istante, non riuscii a capire perché il suo volto fosse così scuro... poi, intuii che stava indossavano una maschera.
Toby mi lasciò la spalla, per estrarre le accette dalla cintura e in quello stesso istante capii che eravamo in pericolo. Dentro di me sentivo che non avrei mai più dimenticato quella notte.
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