L'ultima lucciola d'agosto
Notte senza luna e senza stelle.
Negli occhi del gufo, rannicchiato sul ramo della quercia più antica, il buio di mezzanotte si confondeva e perdeva nelle sue pupille nere.
Tutto era nulla.
Sembrava il dipinto immobile di un pittore svogliato che aveva dato alla sua tela un unico, cupo, colore. Non si udivano versi di animali, né parole di uomini. Neanche le foglie che da lì a pochi mesi avrebbero abbandonato il proprio padre per tornare alla terra, si accarezzavano o bisbigliavano malinconiche fra di loro com'erano solite fare sempre nelle notti di fine agosto. Silenzio regnava come un monarca muto che aveva fagocitato ogni cosa tra le sue labbra cucite, stringendo nelle proprie fauci una preda che non poteva urlare.
Quand'ecco che, all'improvviso, le piume del volatile si alzarono sospinte da qualcosa: il primo vento fresco era arrivato fischiando impetuoso, facendo oscillare le cuspidi dei pini di montagna, i filari dei vigneti, scacciando le nuvole nel cielo verso ovest e Silenzio lontano da quei luoghi che non gli appartenevano. Il vento era giunto per far ricordare a tutti la vita. Con le nubi lontane, la luna aveva ripreso il suo posto, illuminando ogni cosa: i monti della Laga con il Gorzano che svettava impetuoso, la vallata, gli animali che iniziavano a sbucare dai cespugli e dalle tane con i loro piccoli al seguito.
Il gufo si rese conto di due figure che non aveva notato sino ad allora. Erano sedute sul tronco di un albero caduto molto tempo addietro, esattamente un anno prima, proprio quando lui aveva messo ala, per la prima volta, dentro quella foresta. Uno era un cucciolo di bipede umano, l'altro un esemplare abbastanza giovane ma con discreti inverni sulle spalle. Il rapace spiccò un volo sul ramo più vicino a loro. Gli piaceva ascoltare le storie degli umani di terre lontane, di sogni, speranze, amore, e oramai erano parecchi mesi che i sapiens non avevano più tanta voglia di raccontare. E così, anche se la caccia notturna non aveva ancora portato frutti, decise, nonostante le rumorose rimostranze del suo stomaco, che sarebbe valsa la pena starli a sentire.
La luna piena illuminò anche loro e fu in quel momento che il gufo, con i suoi occhi che tutto vedevano, capì che uno dei due non era più di questo mondo.
"Giochiamo?" Il bambino spiccò un salto sul prato ed, euforico, si mise a saltellare come un grillo davanti al ragazzo.
"Adesso no, Mattia..." rispose il ragazzo facendogli cenno delicatamente con la mano di rimettersi seduto vicino a lui. "Ora voglio parlare un po'."
"Uffa, fratellone!" Disse sbuffando il piccoletto, incrociando le braccia in segno di disappunto. Ma quando i suoi occhi incontrarono il sorriso dolce del fratello non potè far a meno di sospirare sconfitto e dopo aver alzato lo sguardo al cielo, riprese il suo posto sul tronco.
Ci furono parecchi attimi di silenzio, infine il bambino gli chiese:
"Perché mi hai portato qui, stasera?"
"Non ti ricordi? Quella notte che scappasti da casa perché mamma ti aveva messo in punizione fui io che ti ritrovai, addormentato proprio in questo punto. Sapevo che l'altura davanti al nostro paese era il tuo nascondiglio preferito."
"Ah! È vero. Mi ricordo che quando mi svegliai stavi ronfando accanto a me come un cinghiale." Portò i palmi delle mani davanti alla bocca per smorzare, senza buoni risultati, una fragorosa risata di cuore.
"Già... quando ti vidi dormire così beato, avvertii mamma e papà che saremmo ritornati per pranzo e che non si sarebbero dovuti preoccupare. Dopodiché, esausto, mi sdraiai vicino alla mia piccola peste preferita." Mosse la mano come per accarezzargli i capelli neri ma si fermò a mezz'aria, ricordandosi forse che quel gesto non lo poteva più fare. La ritrasse appoggiandola sulle gambe e, senza staccare lo sguardo da essa, la serrò in un pugno. Prese un lungo respiro, come per calmarsi, e continuò a parlare:
"Come stanno mamma e papà?"
"Bene." Rispose il piccoletto iniziando a muovere le gambe che non toccavano terra.
"Sono contento. E... sono ancora arrabbiati con me?" La voce gli si strozzò in gola mentre stava formulando la domanda.
"Arrabbiati perché sei... andato via?" Gli chiese Mattia mentre i suoi occhi rimasero fissi su una coccinella che dondolava su un filo d'erba.
"Sì..."
Rispose con un "no" prolungato, mentre l'insetto spiccò il volo perdendosi tra le luci di un gruppo di lucciole di passaggio dietro di loro.
"Ale, guarda che belle!" Disse Mattia indicandole.
Alessandro si voltò e, osservandole, gli brillarono gli occhi ripensando a estati passate che non c'erano più, nelle quali un padre e un figlio, di notte, camminavano lungo il sentiero della montagna per cercare gli insetti luminosi.
"Lucciole ad agosto. Osservale, Mattia, domani potrebbero non esserci più. La natura non smetterà mai di stupirci!"
Il piccolo disse una frase che raggelò l'aria intorno.
"La natura, a volte, fa tanta paura." E indicò un punto nella valle, dove prima sorgeva il loro bellissimo paese natale. Al suo posto c'erano solo macerie e case abbattute. Quella scena assomigliava ad un puzzle che un bambino capriccioso aveva buttato all'aria perché non era stato in grado di completare.
"Voi... avete sofferto tanto?" Gli chiese Alessandro mentre una lacrima cominciò a scivolargli giù.
Il bambino si corrucciò e gli disse: "Non piangere, fratellone." Si alzò in piedi sul tronco posando il suo piccolo indice sulla gota di lui, ma quella goccia di tristezza passò attraverso il suo minuto dito fino a scendere giù lungo il mento. Ora che la luna li illuminava appieno si poteva scorgere chiaramente che il piccolo Mattia era uno spettro.
La sua risposta fu spietata ma sincera, detta con quell'ingenuità e con quel candore che solo i bambini posseggono: "No. Noi non abbiamo sofferto. Altri sì e tanto."
Alessandro scoppiò a piangere disperato perché conosceva tutti gli abitanti di quel bellissimo borgo e con molti di loro aveva condiviso tanto nella sua vita. Tutte persone che non c'erano più, oramai. Quando infine riuscì a placarsi il piccolo gli chiese come mai era tornato in quei luoghi.
"Perché voglio ricostruire, perché voglio mettere le mie conoscenze al servizio di queste popolazioni. In Giappone, dove sono andato a terminare i miei studi per un anno, ci sono terremoti molto più forti di quelli che si sono verificati qui da noi. E le loro case rimangono in piedi e non ci sono morti."
Mattia fece un'espressione meravigliata, il fratello continuò: "Hai ragione, piccolino mio, la natura a volte fa tanta paura, ma l'uomo deve essere pronto ad affrontarla quando si arrabbia. È per questo motivo che voglio costruire case che non temeranno più i suoi momenti di pazzia. Abitazioni nelle quali i bambini e i loro cari potranno dormire sereni sempre."
"So che lo farai, che lo farete." Gli rispose Mattia. "Sai, quando ti ho visto tornare nel nostro paese non ho resistito e sono scappato via come quella sera per poterti raggiungere." Divenne mogio in viso, poi continuò. "Ma questa è l'ultima notte che mi è stata concessa per poterti stare vicino."
I due si guardarono per minuti, desiderosi di darsi un abbraccio che non si sarebbero potuti dare.
"Tra poco sarà mattina, e io scomparirò per sempre. Che facciamo?" Domandò il piccolo mentre i suoi occhi riflettevano le stelle. Le sue gambette si muovevano avanti e indietro nell'aria come a scandire i secondi che passavano.
Alessandro si alzò energicamente dal tronco e, invitandolo con una mano a fare lo stesso, gli disse sorridendo: "Giochiamo?"
I due giocarono per tutta la notte sull'altura. Giocarono come non avevano mai fatto in tutta la loro vita. Anche il tempo stesso, forse commosso dalla loro storia, si dilatò in quei momenti facendo diventare i secondi minuti e i minuti ore. Quando la luna andò a riposare dietro ai monti Mattia si sdraiò sul prato e disse al fratello:
"Il sole arriverà a breve... ti va di addormentarti con me come quella sera?"
Il ragazzo non se lo fece ripetere e si coricò accanto a Mattia. Mentre gli occhi di Alessandro si stavano chiudendo e i primi raggi del mattino inondarono la vallata, il bambino gli sussurrò: "Mamma e papà sono molto orgogliosi di te, ci tenevano a fartelo sapere." Alessandro che già dormiva ma riusciva a sentire ancora le parole del piccolo nel suo orecchio, sorrise e la sua voce riuscì a scappare dalle catene di Morfeo per uscire fuori dalla sua bocca e rispondergli: "Non vi dimenticherò mai."
E fu così che il gufo vide i due addormentarsi mentre il sole si alzava nel cielo. Ed è così che il piccolo, ammantato di luce, scomparve nelle iridi dorate del rapace come l'ultima lucciola d'agosto.
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