42
I colloqui proseguivano ininterrottamente da giorni. Camila scrutava l'orizzonte ogni mattina, sorprendendosi di non trovarlo in fiamme; si aspettava sempre il peggio, ma sovente scopriva di averlo vissuto solo nei suoi sogni.
L'attesa era peggiore della battaglia. Era restando immobili, continuando a dormire nel proprio letto e mangiare gomito gomito con gli amici di sempre che si avvertiva più violentemente la loro futura assenza. Ma se la battaglia univa, la quotidianità separava. Sul fronte si stringevano accordi, ma al quartier generale si disgregavano alleanze da quando la notizia di Camila aveva fratturato le opinioni. Chi aveva combattuto al suo fianco, ignorava totalmente la sua provenienza, reale o cittadina che fosse; chi invece l'aveva conosciuta solo passeggiando per i corridoi, avrebbe preferito respirare aria tossica tutta la vita che condividere una particella pura con Camila.
I borbottii, le imprecazioni, gli sguardi cagneschi giungevano tutti alla cella di Camila attraverso gli occhi bastonati di Lauren. Improvvisava sorrisi di cortesia, ma non c'era niente di gentile nelle sue parole aride. Tentava di confortarla, ma il peso della malattia le curvava le spalle, quello delle opinioni le affossava le pupille; pareva dover scomparire in un sonno eterno da un momento all'altro, ma trovava la forza di sorriderle fra una sbarra e l'altra per offrirle un pertugio di evasione che le sue mani da sole non potevano scavare.
«Come stai?» Era Camila a chiederlo per prima, tendendo disperatamente le mani verso la corvina, come se la reclusione non l'affliggesse, ma la tormentasse solo la lontananza da lei. La sua cella non era di ferro, bensì di passi, paradossalmente.
«Bene.» Rispondeva, ma il suo sorriso stanco non era credibile. Voleva alleggerirle la prigionia, rassicurandola che il ferro non la divideva da nessun cambiamento. Ma Camila, invece, era spaventata da quanti gliene stesse nascondendo. Non domandava oltre solo perché Lauren aveva l'aria di chi si era premunito di aria sufficiente solo per dettare le parole già prefissate; una virgola in più avrebbe rovinato la sua recita, e per lei pareva essenziale portarla avanti, come se illuderla del suo benestare fosse l'unica cosa che la rendesse ancora utile ai suoi stessi occhi.
Camila pretendeva di crederci, ma negli occhi di entrambe veleggiava la bugia, ed erano mari sempre troppo vicini per non solcare l'orizzonte della consapevolezza.
«I colloqui proseguiranno ancora.» Riprese fiato, allentò leggermente la presa sulle sue mani attraverso il ferro. «Non abbiamo una fine certa, ma continuano a rimbalzare sulle stesse complicazioni.» Scosse leggermente la testa, concedendosi forse l'unico spiraglio di scoramento. «Comunque non demordiamo fino alla fine.» Si schiarì la voce e indossò il medesimo sorriso di prima, pentendosi di aver fatto trapelare le verità del suo cuore avvilito. Non poteva credere di essere tanto deludente per Camila. Se solo avesse saputo che per la ragazza, invece, era l'eroina di due Mondi: quello dei ribelli e il suo.
Camila intuiva già dalle sue parole che il sottile filo teso fra le due parti dell'Isola, era solo una fune che presto o tardi avrebbero iniziato a tirare, fino a far sprofondare uno o l'altro Mondo nel burrone che li separava da sempre. Da quella voragine dipendeva il futuro dell'intera umanità e per scoprire quale esso sarebbe stato, Camila sapeva di doversi affacciare nelle sue profondità sperando di fare un salto abbastanza ampio per oltrepassarle anche. Lo sguardo turbato di Lauren le rifletteva la medesima consapevolezza. Nessuna delle due si illudeva di poter vincere senza ricorrere alle armi, ma entrambe fingevano fosse così per gli occhi esausti dell'altra.
Una sera, Lauren si presentò più accasciata del solito. Trascinava il suo corpo attraverso la stanza e sorrideva malgrado il peso dei suoi stessi muscoli; costringeva le pupille a schiudersi malgrado il fascio di luce e faceva di tutto per apparire nella forma fisica migliore, ma ogni sforzo impoveriva solo di più la sua performance. Tese le mani verso Camila come suo solito. Appoggiò la spalla contro le sbarre, adagiandosi contro di essa e parlò conteggiando le parole sulle dita, come se non potesse sprecarne nemmeno una: «Nessuna novità, ma non si demorde.»
Camila deglutì. La guerra non le faceva paura, ma combatterla senza Lauren sì. Si era ribellata per portare giustizia nel Mondo ingiusto di suo padre, ma era diventata una ribelle per essere giusta nel Mondo di Lauren. Avrebbe vinto anche senza di lei, ma non avrebbe voluto più occhi per guardare un nuovo Mondo senza di lei.
Quella sera, mentre riprendeva fiato dopo aver pronunciato solo poche parole, Camila si appellò a lei, domandando una cosa ancora più ardua di una guerra: «Lauren, devi prendere la medicina.»
Era la prima volta che Camila strappava il sipario al suo teatro. Inspirò a fondo. Non era riuscita a convincerla fino alla fine dei suoi giorni: «Lo faccio, tutti i giorni.»
«No.» Dichiarò, stringendo più forte le sue mani, con tutta l'energia che aveva e che invece mancava a Lauren per contraccambiare. «Devi prendere il farmaco a lungo termine. Il Rematil.»
Lauren strabuzzò gli occhi, fissandola attraverso la grata. Fu l'unico momento in cui il muro tornò a ricordarle da dove venissero e quanto lontane fossero: «Sei impazzita? Come puoi chiedermi una cosa del genere?»
«Lauren...»
«No! Mia sorella è morta, Camila. Morta. Per non prendere quel farmaco del cazzo e tu credi che lo prenderò io? Non hai idea di chi io sia. Non puoi averla perché tu non sei come noi.» I denti stretti e la mandibola serrata le ricordavano Normani. L'aveva vista star bene solo nell'ultimo respiro. La terrorizzò domandarsi se sarebbe stato quello l'unico momento in cui avrebbe visto Lauren star bene di nuovo. Le tenne le mani per timore di averle già perdute per sempre.
«Hai ragione, ma questa guerra possiamo vincerla solo con te. Pensa a tutte le persone che hanno bisogno di te.» Le afferrò il viso fra le mani, avvicinandolo alle sbarre: «Compresa me. Non posso farcela senza di te. Non c'è Mondo in cui vincere mi sia concesso senza averti lì.» Le lacrime le rigavano il volto. Nemmeno quando l'avevano imprigionata si era sentita tanto in trappola. Nemmeno la sua cella, ad oggi, la rinchiudeva tanto quanto il dolore di non poter far niente.
Gli smeraldi di Lauren parevano grafite. Incise quello sguardo nei suoi ricordi, odiandolo fin da subito; sapeva che ogni volta sarebbe riaffiorato alla sua mente, si sarebbe sentita morire, perché quello fu il primo giorno in cui perse un pezzo di lei che nessuno le restituì più.
Lauren si riscosse in un sospiro. Si guardò intorno spaesata, quasi avesse cancellato la percezione del momento. Era confusa, non sapeva dove si trovava e lo scoprì solo quando le mani di Camila le carezzarono il volto ancora caldo. Delle immagini sfocate trapelarono nella cortina della memoria e subito abbassò lo sguardo, vergognandosi di aver combattuto tutta una vita per essere giunta al giorno di perderla prima di aver lottato anche solo un minuto.
Annuì grevemente: «Domani prenderò le medicina.» Sussurrò, sentendosi assassina di sua sorella per la seconda volta.
«Si.» Convenne Camila, sollevata. La strinse più vicina a sé di quanto potesse. Il ferro le disuniva, ma le mani si trovavano anche attraverso le sbarre: non c'era luogo dove le loro dita non arrivassero a sfiorarsi. Non era così da sempre, ma lo sarebbe stato fino alla fine.
*****
Lauren presentò i primi miglioramenti quasi da subito. A parte l'indicibile stanchezza, la malattia non aveva attecchito radici più profonde, per il momento. Il Rematil le sradicò tutte nel giro di pochi giorni. Tornò a camminare dritta e disinvolta, prestante come un tempo e padrona, soprattutto, del suo, di tempo. Camila tentava di contenere la gioia, assicurandosi di non disonorare la memoria di Taylor e nemmeno tradire il sacrificio di Sofia, ma vederla in forma smagliante la scarcerava da qualsiasi prigione, anche da quella di ferro.
Lauren riprese a raccontarle la sua intera giornata, ad aggiornarla anche su dettagli insignificanti. Si assicurò di portarle libertà, spensieratezza, audacia. Ma le portava anche le stesse notizie. I colloqui proseguivano serrati. Gli eserciti non si erano stancati di fronteggiarsi attraverso il muro, separati dalla vista, ma uniti nella sorte. I soldati campeggiavano sul fronte e i cittadini di Island Side vivacchiavano in tende o accampamenti arrangiati. Tutti pronti a morire o ad abbracciarsi.
Arriva sempre il momento di scegliere se aprire le braccia o serrarle sui fucili e avevano atteso anche troppo per scoprirlo. Avevano concordato un ultimo giorno per contrattare la pace. Ed era arrivato.
Lauren e Camila sedevano sul pavimento, dalle parti opposte della cella, opposte come i loro destini.
«Credo che qualcuno verrà a chiamarci, prima o poi.» Sospirò Lauren, godendosi gli ultimi momenti della sua libertà dentro quattro mura; la vera prigionia cominciava là fuori.
«Non possiamo far altro che aspettare.» Patteggiò col medesimo sospiro Camila. Era una linea di respiri, sul fronte, che scandiva il ritmo del Mondo.
Il silenzio ingombrava la stanza e la loro testa, producendo sui pensieri un effetto stimolante. Quelli potevano essere gli ultimi momenti in cui parlare, dunque era bene liberarsi dal peso delle parole per scendere leggeri nell'Aldilà. «Come ti immagini se tutto questo non fosse esistito?» Domandò Lauren.
Camila si voltò lentamente a scrutarla. Non comprendeva se la malattia rendesse le domande inadeguate o se fosse un modo come un altro di evadere dalla realtà prima di puntarle il fucile contro. Nell'incertezza l'assecondò.
«Mi sarebbe piaciuto andare in skateboard. Fare tardi a scuola, ma sgridare mia sorella per aver fatto lo stesso. Avrei mangiato più schifezze che cibi sani e mi sarei lamentata del caldo, ma avrei odiato il freddo. Mi sarei impegnata troppo tardi per essere la persona che i miei genitori avrebbero voluto, ma alla fine sarei stata contenta di aver seguito il mio istinto e non l'assicurazione finanziaria. Avrei alzato il dito medio a tutti gli automobilisti maleducati e inzuppato le ciambelle nel caffè. Avrei anche evitato le relazioni e trascorso la maggior parte del tempo a camminare vicino al mare, ma poi sarebbe arrivato qualcuno a farmi cambiare idea e so che prima o poi avrei guardato il mare pensando a lei. Non riesco a immaginare che tipo di cereali mi sarebbe piaciuto, forse quelli più grassi.» Sorrise tiepidamente. Non si era mai concessa di fantasticare e adesso scopriva perché. Dissolte le parole, restava solo il ferro, ed era solo una delle tante celle che nelle loro vite le ingabbiavano.
Lauren era rimasta rapita. Aveva sognato quel Mondo più spesso di lei, perché non aveva niente da perdere, era nata già senza niente. L'unico vantaggio di non avere niente, era potersi permettere tutto a basso costo. Nessuna ferita poteva davvero sanguinare su braccia abituate a scottarsi.
«E tu?» Chiese Camila una volta rinsavita.
Lauren rimase in silenzio. Aveva viaggiato in vite lontane tanto tempo da conoscere i dettagli dei suoi sogni meglio di quelli di ogni realtà conosciuta, ma il racconto di Camila era stato talmente appassionato da rendere superflui i suoi. Inspirò a fondo e le sorrise tenuamente, come aveva sempre fatto in quelle settimane per proteggerla: «Senza armi.» Disse lapidaria.
Camila la fissò a lungo, senza replicare. Piano piano, però, prese ad annuire solennemente e con calore. Si, solo senza armi si poteva essere davvero qualcun altro, qualcuno con un futuro.
Riposarono la testa contro la parete fredda e tornarono a pazientare, sedendosi nella sala d'attesa dei loro Mondi immaginari, dove la peggior notizia che si potesse ricevere era sempre la migliore paragonata a quella che stavano attendendo.
Il Sole tramontò e la sera portò ancora più angoscia. I fuochi all'orizzonte erano ancora accesi, in segno di pace, ma le mille lanterne su i due fronti disseminavano la vista di anime irrequiete. Camila e Lauren sospiravano di tanto in tanto, chiedendosi quando l'alito di vento avrebbe spento per sempre le fiaccole, donando pace all'umanità o demandando sacrifici per ottenerla.
Quando le loro speranze si erano fatte vane come l'oscurità, la fiamma si estinse. L'orizzonte si compattò sul dorso del muro di cemento. Le sorti erano state tratte e a breve sarebbero state anche schierate. Lauren scattò in piedi, col fiato sospeso e le spalle intirizzite. Si voltò verso Camila. La stava già guardando. Era arrivato il momento di conoscere il destino non solo del Mondo, ma anche di Camila. Quest'ultima protese una mano attraverso le sbarre. Venne raccolta subito. Poteva essere l'ultima volta che si toccavano da alleate. Non conosceva le richieste del Re, ma conosceva suo padre e avrebbe patteggiato per la pace solo in cambio di sua figlia.
La porta si schiuse e Drake fece capolino. Il suo aspetto cupo pareva migliorato dall'ultima volta. Forse anche lui aveva deciso di assumere il farmaco per non morire se non per la spada nemica.
«Lauren. Abbiamo un verdetto.»
Il fiato si spezzò nell'aria. L'aria spezzò il fiato.
«Il Re non ha accettato i nostri compromessi. Domani sarà guerra.» Si rigirò qualcosa in una mano, poi la lanciò nella sua direzione e Lauren l'afferrò anche al buio, come se conoscesse quella mossa da molto tempo prima di compierla.
La corvina annuì grevemente. Virò verso Camila e le mostrò il bottino nella sua mano: una chiave. Aprì la grata di ferro, donandole libertà. Non sfuggì all'occhio attento della ragazza la contrazione delle spalle di Drake. Fece spola fra i due, avvertendo l'elettricità di un segreto pungerla. «Che succede?»
«Ho fatto un patto con i ragazzi.» Dichiarò Lauren, tenendo lo sguardo basso. «Se il Re avesse voluto la pace, il tuo destino si sarebbe deciso democraticamente, per alzata di mano.»
Malgrado la crudeltà della decisione, Camila non ne rimase sorpresa per più di qualche istante; sapeva bene come si prendevano certe scelte ai piani alti.
«E in caso di guerra?» Domandò, occhieggiando prima l'uno e poi l'altro. Nessuno dei due la guardava. Gonfiò il petto aspettandosi il peggio, ma le parole di Lauren definirono un ulteriore Mondo che nemmeno la sua fantasia poteva immaginare.
«Tu avresti comandato l'esercito.»
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