41
Il silenzio paralizzò i muscoli a tutti.
Nessuno si mosse, quasi per un istante temessero di doversi inchinare, non ricordando chi era Camila. Il Re era sempre stato lì, come avevano potuto non capirlo? Il Re era sua figlia e sua figlia era lì.
«Che cazzo dice questa stronza?» Farfugliò a fior di labbra Drake, guardandosi attorno sperando di aver capito male. «Ma che cazzo dice!!» Tuonò, scuotendo il fucile fermo nella sua mano.
Nessuno aveva il coraggio di dire niente o di muoversi dalle loro posizioni, quasi potessero morire sbattendo un ciglio.
«Stronza, figlia di...» Ringhiò a denti stretti, marciando verso di lei. Spianò il fucile nella sua direzione, fino a piantarlo contro la sua fronte. «Spero per te sia uno scherzo perché ti faccio saltare il cervello.» Abbaiò a denti stretti, rabbioso. Camila rivede Normani, la sua malattia almeno.
«Drake, smettila.» Disse Dinah, facendo le veci di Lauren perché la sua voce era scomparsa, risucchiata in chissà quali angoli del suo essere.
«Hai capito chi é questa stronza? Hai capito o no!!» Il fucile dibatteva la coda troppo violentemente, come la coda di una lucertola staccata dal corpo.
«Ho capito, Drake, cazzo! Ma solo lei può salvarci, evitarci una guerra che costerà la vita di milioni di persone! Abbassa l'arma, cazzo, o ti punto la mia alla nuca!» Fece crocchiare il fucile per sottolineare la sua convinzione.
Le pupille dilatate di Drake, i suoi denti digrignati e le spalle ingrossate non promettevano bene, ma in qualche modo le parole di Dinah lo persuasero e abbassò l'arma, imprecando.
Camila inspirò, riprendendo fiato dopo averlo trattenuto a lungo. Gli sguardi restavano bassi o distratti, ma comunque lontani da lei. Qualcuno non la osservava per non ucciderla, qualcun altro per non temerla; in entrambi i casi avrebbero perso di più loro.
Camila inumidì labbra e gola, mantenendo un'attitudine composta, malgrado dentro di lei tutto si stesse scomponendo. Istintivamente cercò lo sguardo di Lauren, ma era chiedere troppo. Rimirava altrove. Avevano bisogno di lei, ma non la voleva. Poteva salvare il Mondo, ma senza l'ausilio dei loro sguardi.
Lentamente si mosse verso la sedia, si accomodò e si concentrò solo sullo schermo. Il monitor rifletteva il suo volto; anche lei, se non avesse convissuto nelle sue stesse spalle, avrebbe distolto lo sguardo. La ragazza che era diventata, era per lei che agiva; non sopportava la vista della principessa. Lei era una ribelle nel corpo di una reale, lo era da sempre. Ma tutto il Mondo l'avrebbe sempre vista come una principessa infiltrata nei panni di una rivoluzionaria. Avrebbero riso di lei, oggi e nei libri di storia, almeno che non dimostrasse di poter effettivamente cambiare le sorti della guerra.
Migliaia di soldati puntavano le armi contro Island Side. Milioni si uomini gli sfidavano con le mani. Tutti tenuti in sospeso da una sola persona: Camila.
Il ragazzo che prima aveva manomesso lo show di Alejandro, adesso smanettava ancora più veloce infiltrandosi nelle reti. Imprecava e si innervosiva spesso, ma non demordeva mai. Infine, davanti agli occhi di Camila, apparve prima un'immagine sfocata e poi i pixel unirono il volto di suo padre. Alejandro doveva aver subito lo stesso processo perché il cipiglio roccioso si fece pianura sulla sua fronte.
«Camila... Non sai quanto tempo ti ho cercato. Va tutto bene? Sei stata rapita? Sei ferita?»
La ragazza strinse i denti e scosse la testa: «Non sono stata rapita, nessuno mi ha toccato un capello. Ho scelto io come vivere, per una volta.»
Il tono austero e l'espressione adamantina non lasciavano spazio ai dubbi e nemmeno alle speranze. Alejandro Inspirò a fondo, quasi avesse sperato nel il tempo per ottenere un perdono che non sarebbe mai arrivato.
«Vedo che il Mondo cambia, ma non mia figlia.» Scuoteva leggermente la testa, affranto; non poteva conquistare tutto con le armi.
«Invece ti sbagli.» La voce rotta non era voluta, ma il suo cuore soffriva la perdita di anni e paventava quella della vita stessa solo per affermarsi in un Mondo che suo padre aveva scolpito a suon di piombo e cemento. «Sono cambiata eccome. Non sono più la ragazzina di un tempo, anzi. Sono una donna adesso e come tale comando come comandi tu.» Non era vero, tutti nella stanza trasalirono, ma rimasero in silenzio. Non importava quanto quella bugia li disgustasse, serviva per proteggere il loro vero capo.
«Che cosa comandi? Una fabbrica di chiodi?»
«Comando l'esercito di uomini che é venuto al confine contro i tuoi burattini.»
«I miei burattini hanno un fucile, Camila. I tuoi sono solo contadini che non sanno a cosa vanno incontro.»
«Lo sanno eccome. Lo sanno proprio perché hanno vissuto da sudditi, da contadini, ma liberi di pensare come la volessero. Dovevano solo trovare il coraggio di dirlo ad alta voce.»
«E tu saresti la loro voce?» Inclinò le labbra in un ghigno. Lo aveva sempre fatto fin da quando Camila credeva che fare un passo significasse camminare.
«Non hanno bisogno della mia se ne hanno già una.» Strinse i pugni per non stringere i denti e mostrarsi vulnerabile. «Ma non hanno bisogno nemmeno della tua.»
Alejandro smise di sghignazzare e inspirò. Sua figlia voleva unificare il Mondo che lui aveva diviso e, in un recesso recondito di sé stesso, avvertiva l'eco della sconfitta. Era un suono quasi impercettibile, ma la sua voce si fece ancora più grossa: «Ascoltami bene, Camila. Non so cosa tu ti sia messa in mente, quanto lontano tu sia disposta a spingerti, ma vi raderemo al suolo, uno ad uno, se oserete sfidarci ancora!»
«Pure io?» Domandò recisa: «Pure io morirò come loro?» Non gli stava chiedendo se le volesse bene- non voleva il suo bene e non poteva scommettere su un fattore tanto labile-, lo stava mettendo davanti ad una scelta. Se lui l'avesse uccisa come gli altri, avrebbe riconosciuto la sua ribellione; se invece l'avesse ascoltata, avrebbe salvato parte dell'erede che Camila stava strangolando dentro di sé.
«No.» Sospirò. «No se non mi costringerai.»
Camila annuì grevemente. Lo avrebbe costretto, ma più tardi. Ora lo avrebbe ingannato. «Allora fallo per me. Dacci modo di parlare. Invia una delegazione al confine, soldati fidati. Noi invieremo la nostra. Tenteremo di trattare, di scendere a compromessi e salvare la vita a migliaia di persone. Compresa la mia... E anche la tua.»
Nella stanza le teste scattarono come molle, ma la mano di Lauren placò i bollenti spiriti. Sapeva che Camila stava mentendo, bastava fosse il Re a non capirlo.
Alejandro indagò il suo volto, tentando di scorgervi un riflesso di tradimento, ma era difficile notare la luce se il volto scuro era quello di sua figlia. Avevano subito delle perdite e sicuramente Island Side ne avrebbe accusate il doppio se avesse sciolto l'esercito, ma non si sarebbe giunti a nulla. Lui voleva la pace, così da dormire tranquillo nella sua reggia. E poi, un massacro non avrebbe giovato ai suoi esperimenti e tantomeno ai suoi rifornimenti di medicine.
«D'accordo.» Accettò laconico. «Invierò un gruppo di sette uomini sul confine. Disarmati. Anche i vostri dovranno esserlo. Le decisioni le scopriremo sul campo di battaglia.» Fece una pausa. I suoi occhi la osservarono ancora un momento, ma non riconobbero niente di ciò che prima conosceva. «Spero di rivederti sana e salva a palazzo, la prossima volta.» Il collegamento decadde.
Lo sfrigolio dello schermo era l'unico suono udibile. Camila tornò a rimirare il suo riflesso nello schermo. Non sapeva chi delle due stesse guardando e quale fosse la peggiore.
«Bene.» Drake ruppe il silenzio, poi afferrò Camila per il braccio e la strattonò. «Tu conoscerai il verdetto dalla cella.» La spinse verso l'uscita, senza che l'altra protestasse. Non era nemmeno più interessata a conoscerlo, voleva solo sapere di poter essere ricordata per aver fatto una cosa buona. Dinah seguì malvolentieri Drake, ma sapeva bene come essere l'ombra di un malato.
Gli altri lasciarono la stanza. Solo Lauren non abbandonò le mura. Stese le braccia sulla scrivania e piegò il capo, sospirando sonoramente. Un pugno colpì ferocemente la superficie, ma fu la prima lacrima a sfregiarla davvero.
*****
La cella altro non era che una gattabuia senza niente all'interno. Le sbarre erano state saldate sommariamente, un uomo di stazza e muscolatura superiore le avrebbe sradicate in un secondo, ma lei non restava più forza per tentare di scappare dalle sue prigioni.
Nessuno era andata a trovarle per ore. Forse i colloqui erano giunti al termine, forse dovevano ancora iniziare. Non conosceva le sorti del Mondo così come non conosceva le sorti di sé stessa.
Seduta contro la parete, incideva disegni sul pavimento, raschiando con l'unghia fino a scavare delle linee. Scalfiva nella polvere un Mondo che aveva conosciuto solo nei sogni e che sarebbe rimasto solo lì, ora che i suoi segreti erano stati svelati.
La porta gracchiò. Scattò in piedi, sperando di scorgere Lauren, ma rimase delusa nel riconoscere Dinah. Le aveva portato la cena: due mele e un po' d'acqua. Fece passare tutto attraverso le sbarre. Camila ringraziò con un cenno del capo; era sicura che non volessero sentire nemmeno la sua voce.
Dinah tentennò qualche istante, come se non ricordasse di trovarsi dalla sua parte dell'isola e credesse di essere lei a dover implorare pietà malgrado la cella non fosse la sua. O forse voleva solo dirle qualcosa che però non disse mai. Mentre si allontanava, Camila litigò con la sua volontà per proferire parola, ma non ebbe la meglio come non l'aveva avuta per tutti gli anni prima di allora.
Tornò a sedersi sul pavimento, consumò la cena e attese il sonno portasse riposo.
La notte pareva ancora più buia fra le mura di quella cella. I colloqui erano ancora in corso perché nessun cannone era rimbombato all'orizzonte e nemmeno nessuno si era presentato a giustiziarla; avevano ancora bisogno di lei.
Il Mondo solcato nel pavimento si era quasi dissipato. Nemmeno la polvere le offriva una casa.
La porta gracidò di nuovo. Dovevano essere passate molte ore da quando era stata rinchiusa lì, non aveva più cognizione del tempo. Scattò in piedi nuovamente, pregando Lauren fosse venuta per lei. Si tenne a distanza dalle sbarre, quasi temesse che avvicinarsi potesse sdrucire i suoi desideri.
Nella densità dell'ombra emersero i lineamenti della corvina. Appena la identificò, si precipitò contro la grata di ferro. «Lauren, per favore, devi ascoltarmi. So che non vuoi farlo, che sei arrabbiata, ma...»
«Ti ho portato dell'acqua.» Tagliò corto, allungando la mano ma tenendo lo sguardo basso.
«Lauren, ti prego.» Camila afferrò la sua mano invece della bottiglietta, tremando su di essa. «Lo so che mi odi, ma ti scongiuro di credermi. Non ho mai fatto il doppio gioco, mai! Soprattutto con te.»
La corvina non la degnava di uno sguardo. La mano era molle nella sua. Camila spintonava il buio con le ciglia, tentando di individuare nella sua espressione un sentimento, ma era imperscrutabile.
«Lauren, ti giuro che non credevo di arrivare a tanto, ma non l'ho mai fatto per lui, mai! Lo odio quanto voi e amo questa causa, amo te, lo sai. Ti prego, credimi.» Il suo corpo fremeva così come le parole sulle sue labbra così come le lacrime ai suoi occhi così come le ginocchia sulle sue gambe.
Lauren inspirò profondamente e adagia alzò lo sguardo su di lei. Camila non sapeva cosa immaginare, ma sapeva di doversi aspettare il peggio.
«Mi dispiace.» Mormorò Lauren. Mai, in nessuna vita però, avrebbe immaginato di udire quelle parole.
Camila corrugò la fronte. Le labbra si schiusero, ma non produssero suono. Scosse impercettibilmente la testa, senza comprendere dove collocare quelle parole dentro di sé.
«Non ti ho saputo proteggere.»
Il cipiglio della corvina si infittì ancora, se possibile. Adesso era Camila a scrutare il volto di Lauren, tentando di capire perché avesse lei l'aria colpevole. La penombra occultava il suo viso, ma rilucevano i suoi occhi. Camila fece un passo indietro, quasi barcollando.
«Lo sapevi.» Sibilò senza fiato, portando la mano che prima teneva la sua sul cuore.
Lauren non rispose.
«Tu... tu lo sapevi.» Il respiro affannoso non lasciava spazio ai pensieri, ingolfando polmoni e testa.
Il suo silenzio era più che eloquente.
«Come, insomma.. come? Da quanto?» Perché le pareva così orribile che lei sapesse? Doveva essere contenta, invece era terrorizzata, quasi fosse stata lei quella ad essere usata.
«Quel giorno che ti ho "presentato" Rose. Vi ho sentite parlare quando sono tornata. Ho sentito abbastanza.» Fece una pausa. «Ho messo insieme i pezzi e ho capito perché era tanto importante per te sconfiggere il Re, perché non sopportavi di essere metà di lui. Ho chiesto a Rose se fosse così, se fossi davvero la principessa. Ha negato, ma poi le ho detto che solo sapendolo avrei potuto proteggerti da tutto e da tutti. E così ha confessato.» Ammise.
Camila si guardò attorno, ma non aveva nessun luogo dove scappare, ogni angolo la riportava al centro della stanza dove tutte le verità confluivano in un'unica ferita.
«Perché non me l'hai detto, perché non l'hai chiesto a me?»
«Perché so che certi segreti non siamo pronti a dirli al Mondo finché non sappiamo come dirli a noi stessi.»
Camila avanzò di nuovo verso le sbarre, gli occhi lucidi ma le mani tese: «Potevi fermare questa guerra molto prima, bastava ricattare mio padre, considerarmi un ostaggio...»
«Non lo avrei mai fatto.» Scosse la testa. «Perché amo la causa, ma amo anche te.» Strinse le mani nelle sue attraverso il pertugio di ferro; il loro spiraglio attraverso il muro, qualsiasi esso volesse essere.
Camila era ancora troppo sconvolta per rispondere, ma annaspava con le mani come se tenerle entrambe non fosse ancora abbastanza.
«É per questo che, che ultimamente mi evitavi? Sapevi chi ero e hai iniziato a dubitare delle tue decisioni?» Non l'avrebbe biasimata.
Lauren deglutì e serrò le palpebre. Se ne era accorta, aveva addirittura creduto di esserne il motivo. E forse sarebbe stato meglio perché avrebbe accettato più facilmente la notizia, ma doveva deluderla.
Scosse flebilmente la testa, la presa delle sue mani si allentò. Non aveva paura di dirlo ad alta voce, ma aveva terrore di cosa quella voce potesse fare alla guerra, alla causa, a Camila.
«E allora?»
Lauren inspirò a fondo, i suoi occhi faticarono a trovare quelli di Camila, ma non si danno certe notizie a sguardo basso; si affronta il dolore negli occhi di chi lo riceve, se lo si ama.
«Scappavo da me stessa perché credevo che standoti vicina avresti compreso il mio di segreto.»
Lo sfarfallio delle sue ciglia nella notte come uno stormo di lucciole sperse nel buio: «Ma che dici, Lauren?» Scosse la testa, non comprendendo e avendo paura di comprendere dallo sguardo abbattuto dell'altra.
«Sono malata, Camila.» Sussultò.
Non l'aveva ancora detto a nessuno, nemmeno a sé stessa, ma lo sapeva. Sentiva le radiazioni ammorbarla ogni giorno di più, il Sole bruciava sulla pelle e la scottava il più delle volte. Aveva dato tutto ai suoi amici, ma non aveva preservato nemmeno le briciole per sé. E la malattia non risparmiava gli eroi.
«No...» Sussurrò senza fiato. «É impossibile... Tu non puoi... tu...» Non concepiva come fosse possibile che il fato si abbattesse anche su coloro che lottavano per farne le veci. Su coloro che amava.
«No.» Ripeté determinata: «No!» Tuonò, ma era la sua paura a urlare.
«Camila, ti prego. Ascoltami. Adesso non é il momento di parlare di ciò. Proprio perché abbiamo meno tempo, devi ascoltarmi. Tu sei la nostra unica possibilità di vittoria. Ascoltami adesso.»
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