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Osservare le cose da lontano, molto spesso, era più facile che farlo da vicino. Arrivando sul confine di Island Side Camila aveva capito perché.
Dalla finestra di camera sua la città fantasma soleva essere un accrocco di metallo e ruggine, e per quanto si fosse sforzata negli anni di dispiacersi per il suo scheletro fuligginoso, non era mai stata capace di provare compassione vera. Forse perché la distanza la incastonava in quella che pareva essere niente più che una brutta cartolina. Adesso, invece, era costretta a ingrandire l'immagine, ad esserne parte. Le strade dapprima nascoste dietro i tetti scalcinati ospitavano i suoi passi insicuri e li accoglievano con buche e spazzatura dimenticata ai bordi dei marciapiedi. I negozi aperti erano pochi e indispensabili. Non vi erano vetrine adibite esclusivamente per soddisfare i capricci di gola o i vizi di tessuto; si ritenevano fortunati se potevano mangiare ogni giorno e indossare vestiti che li coprissero sia dal caldo che dal relativo freddo.
Camila era solita alzare lo sguardo per contemplare le stelle, ma quando sollevò il mento si imbatté in un denso strato di pluviscolo nero; il cielo le si disfaceva sulla punta del naso. Si chiedeva se ancora ve ne fosse uno, di cielo, almeno su quella parte dell'isola. Probabilmente per molto abitanti di Island Side non era nemmeno un problema, se non ci fosse stato o se addirittura li fosse caduto addosso. Erano talmente impegnativo arrivare al giorno dopo che avevano smesso di chiedersi se ve ne volessero uno in più.
«Cavolo, non se la passano per niente bene.» Notò Ally, guardandosi attorno ancora incredula. Se inizialmente non le era parsa una buona idea portare le pistole, adesso era contenta Shawn gliene avesse allungata una.
«Non era certo necessario arrivare fin qui per capirlo.» Ribatté scontrosamente Alex, l'unico ragazzo che Ally guardasse senza diffidenza.
Camila avrebbe voluto dar manforte alla sua amica, ma era ancora attonita. Nemmeno dal punto più alto di tutta River Side -ovvero la sua camera- riusciva a vedere le pessime condizioni in cui versavano i loro vicini. Aveva ragione Ally. Nascondevano la loro miseria più di quanto si potesse immaginare. Il silenzio che era calato sul gruppo aveva smorzato un po' l'entusiasmo della serata. Tutti a quel punto si domandarono se fosse una buona idea proseguire. Se avevano sottovalutato qualcosa di talmente tanto evidente, avrebbero potuto sottovalutare anche altro. Il che sarebbe potuto risultare fatale. Eppure Shawn era fin troppo sicuro di voler continuare. Forse la baldanza era dovuta alla pesantezza della sua tasca, dove il calcio della pistola non era eclissato nemmeno così tanto bene. Ma qualsiasi fosse il motivo riuscì comunque a spronare gli altri a seguirlo.
Vagarono a vuoto per una manciata di minuti prima di scovare un bar. Shawn esultò euforico e si diresse all'ingresso senza attendere la comitiva. Pareva un bambino al luna park, ma bastava guardarsi attorno per comprendere quanto poco ci fosse di divertente.
La nuvola di fumo che la investì la fece tossicchiare, attirando gli sguardi dei commensali. Non che non li tenessero d'occhio già da prima, ma comunque Camila abbassò gli occhi su i suoi passi e si mimetizzò ai suoi amici. Il locale era più grande di quanto si fossero immaginati da fuori, ma restava minuscolo anche solo in confronto alle loro camere da letto. I tavoli rotondi occupavano più della metà dello spazio, mentre le spalle nerborute dei clienti riempivano l'altra metà. Chi cazzo me l'ha fato fare?
«Ehi!» L'allegria di Shawn la riscosse. «Tieni.» Le allungò una birra e brindò con lei imbiancandosi le labbra di schiuma.
Anche gli altri si erano fatti servire e ora sedevano al bancone, perché era l'ultimo angolo disponibile. Camila si aggregò.
«Ragazzi, questa birra è cento volte più buona della nostra.» Sgranò gli occhi Shawn, su di giri. Non credeva possibile aver trovato qualcosa di migliore da River Side. Se si fosse guardato attorno, secondo Camila, avrebbe trovato molte cose migliori, invece.
La ragazza teneva gli occhi puntati sul suo bicchiere, ma non si azzardava ad avvicinarsi nemmeno al bordo. Aveva la sensazione che sarebbe stato sufficiente un movimento, uno piccolo anche, a far scoppiare la polveriera tensiva su cui erano letteralmente seduti.
«Shawn, penso che ora possiamo anche andarcene.» Disse timidamente Erik. Le sue pupille si muovevano più rapidamente rispetto a quelle degli altri, forse per deformazione professionale. Tutti nella sua famiglia, lui compreso, indossavano l'uniforme militare. Quindi sapeva riconoscere una minaccia prima che divenisse pericolo.
«Oh andiamo, non siate noiosi!» Colpì la superficie legnosa con un pugno e poi, come se niente fosse, si immerse nuovamente nella sua restante birra, sorridendo e parlottando fra sé e sé.
Due ceffi si erano voltati a studiarlo. Il barista, però, aveva fatto un cenno per tranquillizzarli ed entrambi avevano stretto i denti e virato prospettiva.
«Ascolta, Shawn. Abbiamo bevuto, ma adesso possiamo visitare la città e...»
«State tranquilli, è tutto sotto controllo.» Con la mano toccò la pistola nella sua tasca e fece scorrere lo sguardo su tutto il locale, con arroganza.
«Shawn, io credo che Ally abbia ragione. Adesso dovremmo proprio...»
«Volete stare zitti maledizione?!» Sbottò irato, scagliando il bicchiere sul pavimento. Il rumore del vetro fece sussultare Camila, ma furono le occhiate accigliate a spaventarla davvero.
Il barista si era avvicinato con calma, ma con meno calma aveva indicato Shawn: «Ragazzo, quello lo devi pagare.»
Shawn tentò di smussare la tensione con un sorriso sghembo, ma sapevano tutti che presto avrebbe complicato le cose più di quanto avesse già fatto. «Si si, dopo paghiamo tutto. Però ora dammene un'altra, ok?» Non era andato lì per divertirsi, ora Camila lo intuiva. Era andato lì per dimostrare loro chi comandasse. Per sentirsi una volta come suo padre, da sempre direttore nei dipartimenti militari.
«No, prima si ripaga il danno, dopo si beva. Sono le regole da queste parti.» Stese le braccia muscolose sul bancone e indirizzò un'occhiata gelidamente determinata in direzione di Shawn.
«Mh, ma vedi c'è un problema.» Il ragazzo raccolse la tacita sfida sporgendosi anch'esso verso di lui. «Noi non siamo cittadini di "queste parti", dunque...»
«Shawn, adesso basta.»
«Dunque le vostre regole potete ficcarvele su per il culo. Chiaro?» Annuì piano piano, conferendo alla sua persona un'aria minacciosa che non poteva comunque competere con le reali minacce annidate in quel luogo.
«Adesso, mi verserai una birra in questo...» Protrasse la mano verso un bicchiere pulito, ma prima che potesse sfiorarlo una mano si strinse attorno al suo polso e lo tenne saldamente ancorato al bancone.
Shawn gemette e alzò lo sguardo sul suo carceriere. «Ti ha detto che devi pagare per bere. Giusto, Joe?» La ragazza di fronte a lui si era materializzata dal nulla, cogliendo tutti alla sprovvista.
«Lascia perdere, Normani.» Scosse la testa il vecchio barista, stufo di loro. «Andatevene e basta.» Bofonchiò seccatamente.
Normani non aveva ancora allentato la presa, però. Nemmeno Shawn, per quanto male potesse avvertire, aveva retroceduto. La sua prosopopea era ancora vivida nello sguardo che li univa.
«Pretendete di venire qui a comandare, ma siete solo dei ragazzini.» Digrignò i denti la ragazza, stringendo ancora un po' la morsa per poi rilasciarla tutta insieme. «Sparite e non fatevi vedere mai più.» Passò in rassegna ogni volto, come per imprimerselo bene. Si sarebbe ricordata di loro quando sarebbe arrivato il momento propizio per distruggere la loro di città.
Shawn non sembrava però più intimorito e tantomeno comprensivo. Quando la ragazza gli diede le spalle, lui eruppe in una risata fragorosa che non aiutò affatto la situazione.
«Tu sei...» Continuò a ridere, sbellicandosi. Era l'unico suono nel locale percepibili. Tutto il resto rimaneva immobile, in attesa della prossima mossa. Normani non si trattenne più e balzò nuovamente verso di lui, stavolta per essere meno clemente della precedente, ma appena la mano abbrancò il collo del ragazzo, Shawn estrasse la pistola e gliela puntò alla tempia.
Nel locale tutti scattarono in piedi, ma restando fermi sul posto. Non gli importava che fossero dei ragazzini sconsiderati, a loro bastava sapere da dove venissero per trattarli come tutti gli altri abitanti di River Side. Non fu dunque l'indulgenza a contenere i bollenti spiriti, ma una voce.
«Può bastare così.» Il tono rauca ma pacato non ammetteva repliche né aiuti.
La ragazza corvina si stagliò fra Normani e Shawn. «Adesso ve ne andrete e non vi farete vedere mai più.» Sentenziò, tenendo gli occhi fissi sull'arma. Sembravano tutti estremamente tranquilli, forse perché scene del genere erano pane quotidiano per loro, ma non per Camila e gli altri.
Loro erano tutti ipotizzati e fossilizzati dalla paura. Shawn era fuori di sé. Non erano sicuri di come sarebbe finita la serata a quel punto. Camila deglutì. Non aveva molto da perdere rispetto a loro. Si approssimò alle spalle di entrambe, ponendosi sulla traiettoria dell'altra donna, cosicché adesso tutti e quattro erano come le punte di una croce. Con molte probabilità la propria, pensò Camila.
«Shawn, adesso basta.» Modulò la voce affinché non tremolasse. «Hai bevuto troppo e stai esagerando.» Il ragazzo però non la guardava neppure. L'unico sguardo che aveva su di sé era quello della corvina. Rischiavano entrambe di trovarsi nel mezzo del fuoco incrociato.
«Adesso torniamo a casa.» Ordinò con più autorevolezza di quanto credesse di possedere. «Torniamo a casa.» Ripeté stavolta in direzione della donna corvina. I suoi smeraldi la trafiggevano e non comprendeva se fosse sorpresa della sua decisione o semplicemente arrabbiata. Si limitò ad annuire flebilmente.
«Shawn.» Ribadì Camila ancora una volta e qualcosa nella sua espressione mutò. Un ghigno malizioso li storpiò le labbra per un istante, poi si arrese.
Abbassò la pistola. «Va bene, non è successo...» Provò a giustificarsi, ma prima che potesse terminare la frase il pugno di Normani l'aveva fatto barcollare all'indietro. Qualcuno gli sfilò la pistola, ma non avrebbe saputo dire chi. Fu tutto un gran trambusto.
Ally si mise a urlare quando il sangue sgorgò dal naso dell'amico. Erik e Alex si lanciarono nella mischia, ma solo per separare e allontanare i ceffi che si facevano strada a suon di spallate per unirsi alla rissa. Normani e Shawn erano aggrovigliati in una lotta confusa, dove pochi colpi andavano a segno, ma quelli che lo facevano provocavano non pochi danni. Camila non sapeva bene cosa fare, ma prima che se ne rendesse conto si era incamminata nella loro direzione e stava strattonando Normani, la quale aveva infine prevalso e ingabbiava Shawn al pavimento per colpirlo con facilità.
«Lascialo, cazzo!» Si dimenava senza ottenere nulla.
Non aveva mai ferito nessuno, non ci aveva mai neanche pensato, ma l'adrenalina agì per lei. Serrò il pugno e lo issò in aria. Le nocche si erano sbiancate, ma anche le sue guance. Tremava di paura, ma era pronta. Chiuse gli occhi e rilasciò andare il braccio come una molla. Il dolore non arrivò. Forse aveva mancato il bersaglio. Quando schiuse le palpebre, di fronte a sé non vi erano più i due lottatori, ma due grandi occhi verdi. La mano della corvina era stata più svelta e aveva bloccato il pugno prima che raggiungesse la destinazione. I lineamenti erano induriti dalla rabbia, anche i suoi muscoli fremevano, poteva percepirne il tremolio sul suo polso.
«No.» Disse soltanto.
Camila rimase impassibile a rimirarla. Le mancava il respiro. Credeva che l'avrebbe urtata, invece la lasciò andare appena Shawn, insanguinato e sciancato, si accostò a loro.
«Andiamocene, muoviti!» Artigliò la sua spalla trainandola. La mano della ragazza si scollò, ma non il suo sguardo minaccioso. Non fecero nemmeno un metro che Normani ostruì la loro strada.
Camila era ancora girata di spalle, non aveva distolto lo sguardo dalla corvina, dimenticandosi per un istante del subbuglio attorno a loro. Sentiva di non dover abbassare la testa, per dimostrare cosa però?
Normani fece volteggiare lo schienale rotto della sedia verso Shawn, ma lui vide arrivare il colpo e lo scansò in tempo. Sfortunatamente Camila udì appena il sibilo dell'aria. Non registrò la minaccia e venne colpita da essa. Cadde a peso morto in avanti, ma non le sembrò di toccare terra, qualcosa la sorresse prima. Ma il Mondo era già divenuto buio.
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Aprire gli occhi non era mai stato così difficile. Solo schiudere le palpebre le costava una gran fatica. Una fitta lancinante la percosse sulla nuca. Fece scivolare la mano su quella porzione , ma la ritrasse immediatamente. Un taglio le solcava il cuoio capelluto. Sui polpastrelli era rimasto un alone rossastro inconfondibile. Non ricordava cosa fosse avvenuto e tantomeno quanto tempo fosse passato. Avrebbe dovuto chiederlo ai suoi amici, perché...
I suoi occhi schizzarono da una parte all'altra della stanza. Balzò all'indietro sulla brandina dove aveva riposato. Attorno a lei non riconosceva niente. Quella non era la sua stanza. Era sicuramente una torre, ma non la sua.
Si tirò a sedere e malgrado il dolore e la fatica che dovette compiere per mettersi in piedi, si trascinò tenacemente verso l'unica finestra da cui filtravano i raggi del rinnovato giorno.
Coprì la bocca con una mano. Poteva vedere casa sua da lì. Non era mai stata così lontana. Era ancora sull'isola, ma sulla parte sbagliata. Non dormiva affatto nella sua camera, ma nella sua cella.
Prima che potesse accreditare una delle mille teorie che le si affollavano in testa, qualcuno aprì la porta.
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