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Se la rabbia si fosse potuta misurare in passi, i suoi sarebbero stati chilometri. Se la guerra si fosse potuta scatenare con uno sguardo, nel sottosuolo era arrivata la fine.

L'udito ovattato isolava Camila dai segnali esterni. Era immune ai sintomi del Mondo. Schiava dalla nascita di celle dorate, stava per irrompere in tutte le sue prigioni. La menzogna e l'ingenuità, i suoi carcerieri, stavano per perire con lo stesso ferro con cui avevano costruito le sue sbarre. Un uomo in gabbia non si accontenta mai del cielo, perché se la libertà gli è concessa, la vendetta gli è dovuta.

Svoltò l'angolo. Il caricatore pieno come le sue tempie e la mano leggera come il suo cuore. A malapena ricordava dove si trovasse e perché. Le importava solamente di sua sorella. Tutti gli altri erano ombre lontane.

Aprì la porta della stanza  dove ricordava di essere entrata l'ultima volta. Due dottori interagivano con l'interno attraverso un interfono. Rimase acceso quando i proiettili sferragliarono nella stanza. Una cristalleria di ossa che si infrangeva. Lo sguardo vacuo di Camila rimase fisso oltre il vetro. I due scienziati al suo interno si erano voltati verso di lei. Non sapevano chi fosse, ma la certezza di ciò che li attendeva aveva già paralizzato i loro muscoli. Tessiture glaciali di vene congelavano i loro cuori conservandoli qualche secondo prima di disgelarsi in una calda pozzanghera. Camila spalancò l'uscio e senza guardare in faccia nessuno fece fuoco. Non ebbero nemmeno il tempo di protestare o di realizzare. Erano già a terra.

Il lettino al centro della stanza ospitava l'unico respiro ancora in vita. Sofia stringeva i pugni e le palpebre, tenendo il capo all'indietro verso la luce, aspettandosi di andare in quella direzione a breve. Invece non furono le pallottole a sfiorarle la pelle, ma una carezza sulla fronte. Schiuse lentamente gli occhi, temendo fosse l'ultimo inganno della morte. Aprendoli scoprì invece che l'inganno, ancora una volta, apparteneva al Re. Sbarrò le pupille e tentò di articolare una parola, ostacolata dal laccio sulla bocca.

«Va tutto bene.» La rassicurò dolcemente, slegando uno ad uno le manette che la immobilizzavano. «Ora ci sono io.» Un'unica lacrima traversò la sua guancia, bagnando interi fiumi disseccati. Nemmeno la pioggia poteva rimpolpare quelle acque, ma in un'unica lacrima erano stati ridisegnati oceani.

Camila fece attenzione a sganciare cautamente le catene. L'arrossamento della pelle non nascondeva le croste. «Va tutto bene.» Ripeteva instancabilmente; era una voce rivolta più a sé stessa che alla sorella. Camila, fra le due, era la più indifesa. Sofia aveva dovuto fare della difesa la sua abitudine, mentre gli attacchi di Camila erano lezioni ancora da imparare.

Appena le gambe furono libere, passò ai polsi. Si chiedeva come fosse possibile che battesse un battito sotto lo strato di ferite.

«Dobbiamo andare da quella par...» Prima che potesse terminare la frase, Sofia la spinse violentemente, allontanandola.

Camila barcollò, più col pensiero che con i talloni. Corrucciò la fronte, scrutando ogni fremito della ragazza per comprendere in quale si nascondesse sua sorella.

«Stai lontano da me.» Farneticò. L'additò con ossa tanto tremanti quanto fragili. «Non ti avvicinare.»

«Sofia...» Scosse la testa, confusa. «Sono io.» Le sorrise rassicurante, protendendo una mano, ma Sofia balzò ancora più velocemente all'indietro.

«Non toccarmi.» Balbettò. Gli occhi lucidi erano l'ultimo baluardo della sua innocenza. Non restava nessun sogno da portarle via.

«Sofia, ti prego.» Disse con voce rotta Camila, facendosi forza solo per non obbligare Sofia ad esserlo per tutte e due. Ancora. «Sono venuta a portarti via da qui. Ti prego.»

«Tu mi hai abbandonato.» Le labbra screpolate si bagnavano solo delle sue lacrime docili. «Tu hai lasciato che mi facessero questo.»

«No. No, Sofia. Non lo sapevo, ti prego devi credermi.» Scosse energicamente la testa. Non la biasimava per essersi inventata una storia dove i buoni non esistevano, ma voleva raccontarle che ora ne avrebbero scritta una dove i buoni avrebbero anche riconquistato ciò di cui erano stati derubati. Insieme.

«Lui.. Lui mi ha portato qui.» Gridò straziata, stringendo la maglietta al petto, consunta come il suo cuore. «Lui ha detto che tu... che tu eri d'accordo.» Il dolore nella sua agonia pareva una ferita più profonda di tutte quelle scavate sui polsi.

Camila schiuse le labbra, attonita: «No.» Scosse piano la testa. Era impossibile. Ma Sofia annuiva, screziata da lacrime. «No, lui... no. Non può averti detto... Io non lo sapevo. Non lo sapevo.» Indietreggiò fino al muro, appoggiandosi ad esso. Se non fossero state nel sottosuolo, sarebbe sprofondata ancora più in basso.

«Tu lo sapevi.» Piangeva. Ai suoi occhi, non c'era nessuno al Mondo che l'avrebbe protetta. La sua famiglia l'aveva mandata a morire, chi altro poteva proteggerla?

«Io non lo sapevo. Non lo sapevo.» Ripeteva, scuotendo la testa sconvolta.

«Anche se fosse. Anche se non lo avessi mai saputo. Guarda cosa sei diventata...» Si guardò attorno, osservando la stanza cosparsa di sangue, i corpi stesi al suolo. «Pensi di essere tanto diversa da lui?»

Il cuore di Camila cadde in un pozzo senza fine. Trafitto e sconfitto. Poteva anche vincere la guerra, detronizzare suo padre, ma nessuna spada avrebbe risarcito le ferite procurate da un'altra. E quella non avrebbe mai smesso di sanguinare. Aveva ragione. Sofia aveva ragione. Non era stata migliore del Re, anzi! Se fosse stato lì, sarebbe stato fiero di lei, della nuova erede al trono. Poteva sbarazzarsi delle sue catene, ma la sua ombra l'avrebbe sempre perseguitata. Scendeva anche dal suo trono per afferrarla nei recessi del Mondo. Il suo Mondo.

«Forse non lo sapevi, ma ora quanto vale? Ora so che non sei migliore di lui.» L'espressione contratta spezzava disgusto.

«L'ho fatto per te. Ho fatto tutto questo per te.» Incespicava, ignara di come si fossero trovate a quel punto.

«L'hai fatto per te! Come lui! Io non sono nessuno, non valgo niente per voi! Volevi solo dimostrargli di essere capace! Volevi ti temesse, ecco tutto!» Sbraitò con una voce ricolma di un astio senza fondo. Camila capì solo allora la cruda verità. Aveva trascorso troppi anni nel sottosuolo, ora nemmeno riportarla in superficie le avrebbe ridato fiducia nella presenza della luce. Avrebbe visto buio persino di fronte al Sole. Le sue paure erano vicoli ciechi. Poteva salvarla, ma non l'avrebbe riavuta mai.

«Sofìa...» Prima che potesse terminare, Lauren entrò piano nella stanza.

Si guardava attorno spaesata, incapace di comprendere -o meglio di accettare- da dove provenisse tutto quello sangue. Camila sostava di fronte ad una ragazzina impaurita; i loro piedi galleggiavano in pozzanghere rosse.

Fece spola fra le due. Per un istante non seppe su chi puntare il facile, quindi lo tenne solo stretto al petto.

«Camila, dobbiamo andare.» Scandì ogni parola, lentamente. «Non c'è più tempo, tra poco i rinforzi ci staranno addosso.» Intrappolò i suoi occhi con le sue reti di ciglia e tentò di trascinarla verso riva, ma le onde erano più impetuose di quanto sospettasse.

«Io non vengo da nessuna parte con lei.» Sputò velenosamente Sofia. Preferiva la tortura se a garantirle la salvezza era sua sorella. Forse, invece, non credeva più nemmeno nella salvezza. Non era destinata a camminare sul Mondo, solo a concimarlo.

«Non mi interessa come risolverete la questione. Dovete farlo in fretta e fuori di qui.» Impartì a denti stretti, perentoria. «Se non vuoi uscire, resterai.»

«No!» Sbottò Camila, rimirando prima Lauren e poi Sofia dal fondo del suo odio. «Non resterai qui un cazzo di minuto in più! Siamo venuti a liberarvi e tu vuoi rifiutare la libertà!?»

«La libertà!?» Un ghigno sardonico le increspò le screpolature delle labbra. «Che libertà ci sarebbe a casa?»

Camila intuì il problema. Uno dei tanti, perlomeno. Sofia aveva meno paura di essere torturata che di guardare negli occhi l'uomo che le aveva dato il Mondo solo per toglierlo. Lei non cercava vendetta, era troppo stanca persino per la rabbia: voleva trovare solo riposo per le sue ferite, un luogo dove le cicatrici non si sarebbero riaperte più. Nient'altro.

«Io non sto più lì.» Disse aspramente Camila, donandole un'ultima possibilità ma scarna di dolcezza. «Adesso vivo dall'altra parte dell'isola. Loro sono ribelli.» Spiegò, notando l'espressione allibita sul volto della sorella. Quasi quasi quel mare di sangue iniziava a somigliarle ad un'unica goccia. La differenza non era nella crudeltà, ma nella mano di chi la professava.

«Andiamo via, per favore.» Le tese la mano, sperando che stavolta non vi scorgesse più un'arma ma uno scudo dove proteggersi.

Sofia tentennò. I passi dei militari nel corridoio si facevano sempre più pesanti e vicini. Non c'era più tempo. Forse il Mondo non era mai stata la sua casa, ma poteva sempre dormire fra le sue mura. Afferrò la mano di Camila. Il tempo di uno sguardo e presero a correre verso la direzione opposta, inseguite dalle voci roboanti dei militari, impreparati a contrattaccare non sospettando nemmeno la minaccia. Le urla erano più veloci delle pallottole.

Gli altri ragazzi erano già stati messi in salvo prima che le guardie li raggiungessero. Aspettavano solo loro, per andarsene. Normani e gli altri attendevano all'ascensore, spazientiti e trepidanti. Vedendoli arrivare, trafelati e a perdifiato, impugnarono le armi e le puntarono alle loro spalle, senza saper bene a cosa sparare, ma premendo ugualmente il grilletto. Lo scroscio di piombo frastornava le orecchie, tanto da appannare la vista. Quando furono abbastanza vicine, i ragazzi scivolarono all'interno dell'ascensore. Camila allungò Sofia verso Normani e poi si fece da parte per far passare Lauren, ma lei era voltata di spalle e sparava alla cieca. Camila si immise nell'abitacolo, afferrò per la spalla la corvina e la trainò all'interno. Lauren brancolò, aggrappandosi a lei. I loro occhi, così vicini, vibravano più del fuoco incrociato. Normani premette il pulsante e le porte si chiusero... quasi.

«Perché cazzo non si chiude?!» Sbraitò Dinah per sovrastare il fragore dei proiettili.

«Devono aver avviato una procedura d'emergenza.» Gridò Linda, scatenando una pioggia di imprecazioni più tagliente del piombo.

«Quell'ascensore è chiuso!» Urlò Normani: «Deve essere l'unica via d'uscita non sottoposta all'allarme generale!»

«Dobbiamo raggiungerlo!» Impose Lauren. «Quante granate abbiamo?!»

«Due!» Strillò Drake, aprendo la sua mano con i regali esplosivi sul palmo.

«Okay. Ne lanciamo una e corriamo in quella direzione sparando. Una volta arrivati, lanciamo l'altra e aspettiamo che si apra l'ascensore. Una volta dentro continuiamo a sparare. E poi corriamo più veloci di un cazzo di treno. Tutto chiaro!?» Gridò Lauren. Anche sopra il rumore degli spari udì e riconobbe tutte le voci e solo una volta assimilate tutte diede il via al piano B.

Drake si approssimò alle porte e lanciò la granata. Dinah e Normani aprirono la fessura, allagandola. Tutti presero a correre, mitragliando proiettili a raffica.

Dinah emise un gemito dolorante: «Non ce la faccio più!»

«Andate!» Urlò Normani, facendo spola fra Camila e Dinah. Le due si scambiarono uno sguardo scettico. «Cazzo muovetevi!» Le incitò.

Dinah lasciò andare la porta, indolenzita, e cadde fuori dall'abitacolo. Lauren la coprì dall'altra parte, bersagliando i nemici attraverso il fumo. Camila, istintivamente, afferrò la metà d'acciaio lasciata incustodita, tenendola aperta.

Normani la guardò dritta negli occhi: «Tocca a te.»

«No.» Scosse la testa. «Prima tu.»

«Porca puttana. Non farmi girare i coglioni. Vai!» Gli occhi lucidi non erano dovuti al pizzicore della polvere. Era una firma indelebile su un destino già scritto a cui voleva in tutti i modi porre un punto da sola.

«No.» Esalò senza fiato. «No, Normani.»

«Ehi, principessa.» Un ghigno mansueto e lontanamente affabile le increspò le labbra: «Questo posto lo abbiamo fatto saltare in aria, cazzo.» Sghignazzò. «Fallo anche col resto.» Il suo sguardo la trapassò. Buttò giù i suoi di muri.

«E promettimi una co...» Prima che potesse finire la frase, la bocca di un fucile si affacciò nello spiraglio, pronta a lanciare un grido a pieni polmoni verso Camila. Normani l'afferrò prima che potesse far fuoco verso la ragazza e il rumore degli spari risuonò sulla porta esterna, rimbombando nelle orecchie. Erano come mosche in una lattina.

Il militare cadde a terra, incastrandosi nel pertugio, tenendolo schiuso.

«Andiamo, adesso!» Esortò Camila, ma agli angoli della bocca di Normani un rivolo di sangue pitturava il suo sorriso.

«Merda.» Disse con un filo di voce, inciampando nella vita stessa e atterrando nelle braccia di Camila, più molli delle sue membra scucite dai proiettili.

Camila la trattenne con tutte le sue forze: «No, cazzo no! Adesso ti porto dall'altra parte e... Cazzo!» Continuava a scivolare sulla pozza di sangue, faticando a sollevare il peso di entrambe.

«Principessa...» Sibilò con un sospiro affaticato.

Le urla di Dinah dall'altra parte squarciavano la carne più dei proiettili. Lauren la tratteneva con un braccio e sparava con l'altro. Con gli occhi, però, osservava solo Camila che per la seconda volta si trovava a cullare la morte fra le sue braccia. Tutto quel sangue nelle sue mani intonse avrebbe iscritto una vita diversa. Nelle sue vene sarebbe scorso più il sangue dei morti che delle sue arterie. Un battito di voci più che di muscoli.

Le lacrime sul volto di Camila la costringevano a faticare maggiormente. Sui talloni scivolava senza via di ripresa; un pesce dibattente lontano dall'acqua, una lotta persa in partenza, ma ostinata a non abbandonare il campo di battaglia nemmeno a costo di scavarsi la fossa.

«Vattene.» Sussurrò Normani, ma per una volta non era astio a muovere le sue parole bensì compassione.

«No.» La strinse con forza a sé, come se potesse suturare le sue ferite con le braccia: «No!»

«Devi prometterlo, principessa.» Respirò attraverso il sangue, fissandola dritta negli occhi.

Camila tirò su col naso. Non poteva far altro che accompagnare il suo viaggio su una barca di promesse. Sperava quello bastasse per raggiungere l'altra sponda del fiume. Almeno nell'aldilà la ribellione non doveva raggiungere il suo animo. Non doveva combattere guerre per una Pace mai conosciuta su questa Terra.

«Cosa, Normani?» Si ricompose come meglio poteva.

«Questa guerra vale più di tutto... Promettimi che... che metterai sempre la vittoria al primo posto.» Le afferrò il viso con la mano tremante e sanguinosa. «Davanti a tutti, Camila.» Furono i suoi occhi, però, a sporcarla davvero.

Sapeva cosa le stava chiedendo, per questo vacillò. Alcune promesse si possono sigillare solo di fronte alla morte; se l'indomani fosse garantito, non si pronuncerebbero mai: «Prometto.» Deglutì.

«A tutti...» Esalò ancora una volta, a denti stretti, come aveva sempre vissuto. Poi il suo braccio si afflosciò verso il suolo e tutta la resistenza svanì dalle spalle, restando però impressa nelle pupille. Per sempre.

Camila rilasciò andare un singhiozzo e si chinò sul suo petto. Non sentiva più il suo cuore. Tutto quel sangue e nessun atrio in cui scorrere. Si chiedeva se ne fosse rimasto uno a lei. Anche solo un brandello. Ma oltre al battito non avvertiva alcuna presenza. L'eco di una voce che poteva benissimo essere la sua, una bandiera stesa al vento, niente di più.

«Te lo prometto, te lo prometto.» Ripeté, poi scostò il suo corpo sul pavimento e le chiuse gli occhi.

Gli altri la spronavano a correre, ma le loro urla ormai erano divenute un'abitudine come i proiettili: non ne percepiva più il frastuono con i timpani ovattati. Le sfiorò un'ultima volta la mano spoglia, legando un giuramento più duraturo di qualsiasi anello. Fu un addio. Attraversò il pertugio, slanciandosi con forza verso l'altra parte. I suoi compagni ora mitragliavano nel fumo, sperando non più per difendersi, ma per abbattere chiunque avesse ancora gambe per stare in piedi. Le stesse che avevano tolto a Normani. La mano di Lauren si protese verso di lei e la strattonò a sé. La cinse nel suo abbraccio, proteggendola da da sé stessa con il petto e con la schiena dal Mondo.

«Premi il pulsante!» Gridò Drake verso Linda, che eseguì l'ordine malgrado l'agonia straziante di Dinah.

Camila si aggrappò addosso a Lauren, indolente ai proiettili e al Mondo che scheggiavano. La terra le aveva tolto già troppo per potersi curare di essere la prossima.

Le porte si chiusero promettendoli di riportarli in superficie. Tutti tranne uno.

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