20
La notte era tramontata nel cielo, ma Camila dubitava avrebbe mai abbandonato gli occhi di Lauren. In un giorno colmo di speranza per lei, aveva dovuto sottrarle tutte alla corvina. Adesso sapeva cosa significava essere suo padre, solo che a Camila non piaceva per niente, ma neanche Lauren la odiava per quello.
Dopo la confessione si era rinchiusa nel silenzio, racchiudendosi nel suo sguardo pensieroso e impenetrabile. Adesso ricordava anche perché il muro non le era mai piaciuto: forse la proteggeva, ma le rendeva impossibile scoprire da cosa. La stessa sensazione l'avvertì quel giorno, di fronte al marmoreo momento di riflessione della corvina.
C'erano voluti due lunghi giorni per sbeccare il vaso del silenzio, poi Lauren, improvvisamente, si era presentata alla porta della sua stanza e le aveva chiesto se cortesemente potesse accompagnarla da Taylor. La verità gliel'avrebbe spiegata lei stessa, ma aveva bisogno di qualcuno che conoscesse i dettagli. Lei probabilmente aveva preferito dimenticarli, dopo averci convissuto quarantotto ore ininterrottamente. Mentre traversavano i corridoi, Lauren la precedeva e Camila registrava ogni sospiro che le ingrossava le spalle, rimpicciolendo il suo cuore. Per un attimo, ebbe la sensazione di trovarsi lì solo per spalleggiarla. Ma in quel caso avrebbe bussato ad altre porte... No?
Taylor era perennemente avvolta nella penombra. La luce troppo intensa provocava un mal di testa lancinante, nella maggior parte dei casi. Il fascio nitido proveniente dal corridoio la investì in pieno. Lei scansò rapidamente il capo, ma non abbastanza da ignorare l'espressioni affrante delle ragazze. Era rinchiusa da diverso tempo in quella stanza per aver dimenticato il Mondo, ma ricordava bene come si comunicassero le brutte notizie. E aveva il sentore che quella fosse peggiore di tutte le altre, compresa la notizia che l'aveva relegata fra quelle quattro mura.
Lauren si sedette vicino al letto, giunse le mani sulle ginocchia divaricate assumendo una postura autoritaria, ma commise l'errore di abbassare gli occhi; lei non avrebbe permesso a nessuno di carpire le sue debolezze, nemmeno di fronte a nessuna spada avrebbe supplicato pietà. Ma se in gioco c'era la vita di sua sorella, ogni lama sarebbe divenuto il suo altare.
Purtroppo, però, le radiazioni avevano spodestato qualsiasi Dio. Restava un cielo sgombro e un trono occupato. Tutti ora si inginocchiavano solo davanti al Re, ma nessuno si aspettava davvero niente, perché il loro Dio aveva un solo volto ed era lo stesso di chi aveva frazionato l'inferno in terra.
«Dimmelo e basta.» Mormorò fioca Taylor. Ogni giorno la stremava sempre di più.
Lauren, spiazzata, schiuse la bocca, ma la verità era un macigno che cercava di risalire il pendio delle sue labbra. Scosse impercettibilmente la testa. Era la stessa persona che possedeva uno stuolo di combattenti al suo servizio, ma a volte tutti dimenticavano che in realtà non era più di una ragazza cresciuta troppo in fretta fra una primavera e l'altra. Avere più spine che petali non significava essere pronti a pungere.
Le pupille vitree della ragazza cercarono lo sguardo fisso di Camila. Lei non lo aveva distolto. Sapeva che nel mare di dolore ogni scialuppa era meglio di qualsiasi onda d'incertezza.
«Il Rematil è prodotto dai laboratori Remax.» Inspirò profondamente. Era la seconda volta che guardava negli occhi una sorella lasciandola a morire. «Prelevano il sangue dai soggetti per sintetizzare le fiale.»
Le pupille di Taylor si dilatarono alla velocità con cui il buco nell'ozono aveva dilaniato il cielo. Le radiazioni forse non potevano toccarla, ma lo sguardo di Taylor non avrebbe mai smesso di contagiare i suoi pensieri.
«Che figli di puttana.» Imprecò raucamente, strappando un sorriso genuino a Lauren. Uno spiraglio di gioia in un cielo pieno di tristezza.
«Tu sei la prima a saperlo. Non lo abbiamo detto a nessun altro.» Con lo sguardo cercò l'appoggio da parte di Camila che annuì. «Quindi, se continuare a usare le fiale o meno, è una decisione che spetta solo a te.» Le nocche delle mani le si sbiancarono per l'aumento di pressione esercitata sulla stretta molle di Taylor.
«Lauren, non dire cazzate.» Le rivolse un'occhiata austera e indefettibile. «Butta via tutte le mie fiale. Parlane con gli altri e decidi cosa vogliano farne delle loro.»
La mascella della corvina restava serrata per attenuare il fremito. Ebbe la forza di fare solo un cenno. Conosceva già risposta prima di sentirla, aveva impiegato due giorni proprio per accettarla; ma vederla concretizzarsi era impegnarsi per l'inizio di futuro migliore, ma un futuro senza sua sorella.
«Va bene, faremo così.» Una lacrima solitaria le scivolò sul viso, ma l'asciugò prima che Taylor riaprisse le palpebre. «Faremo così.» Annuiva più energicamente, perché aveva solo una mano libera e troppe lacrime da nascondere.
Camila rimase defilata al suo posto, ma non riuscì a mantenere quella posizione a lungo. Si approssimò cautamente a Lauren, rivalutando la decisione ad ogni passo; alla fine le toccò la spalla e affabilmente le disse: «Ci penso io.»
Lauren, come l'ultima volta, portò una mano sulla sua, ma stavolta coscienziosamente, stringendola grata. Camila contraccambiò con maggior verve. Solo allora Lauren eruppe in un pianto squassante, tentando di contenersi solo per la sorella, ma invano.
Camila si allontanò lentamente. Non poteva far niente per sedare di Lauren, ma sperava di poterlo diminuire assumendosi le responsabilità del leader per permetterle di essere solo Lauren per più di un minuto. Anche i suoi singhiozzi l'avrebbero ammorbata più di ogni altra malattia. Forse questa era la sua via di redenzione: ammalarsi del dolore altrui, per scontare la pena di non averne avuto mai.
Dinah e Normani stavano dirigendo le operazioni nel seminterrato. Avevano recuperato delle scorte inutilizzate e intendevano smerciarle ai più bisognosi. Camila si affacciò in punta di piedi, conoscendo bene la reazione avversa di Normani alla sua presenza, specialmente in momenti di squadra: lei non ne faceva parte.
«Dobbiamo sbrigarci. Forza Marion, che cazzo! Micheal, davvero? Un solo scatalone? E muovi quel culo!» Perlomeno non è un trattamento speciale, si consolò Camila udendo gli ordini scorbutici di Normani già dalla rampa delle scale. Sapeva che sotto le mentite spoglie del caratteraccio della ragazza si celava il timoroso bisogno di sfuggire ad una delusione, perché in quel Mondo tutto, prima o poi, moriva, specialmente gli uomini... specialmente gli amici.
Dinah era il pendolo della sua giornata: ne influenzava l'andamento, assieme alla malattia. Anche per questo Camila non riusciva a contraccambiare il fervente risentimento della ragazza, perché, al suo contrario, non aveva un valido motivo per odiarla, ma solo ragioni per capirla. Lei stessa si era odiata, una volta scoperta la verità; quella gente conviveva con tale verità da sempre. Quando si trattava di lei, non voleva difendersi dalle delusioni, bensì evitarne altre ai suoi compagni.
Camila si affiancò con passo felpato, ancora inconsapevole delle proprie parole. Si era sforzata, ma pensare la riportava sempre alla scena nella stanza di Taylor. Lauren aveva avuto un lusso che lei non era sicura di poter ricevere in quella vita: poter dire addio a chi amava, essere perdonata per tutti i giorni che alla sorella non sarebbero stati concessi. Quel privilegio era come cenere: una vana consolazione alla fine della guerra; ma, proprio come la cenere, non sarebbe sopravvissuto a lungo.
«Tu che ci fai qui!» Normani le andò incontro pestando il terreno. Aveva già affilato le sue sopracciglia e in tasca, sicuramente, custodiva armi ben più taglienti.
Dinah si voltò di scatto, confusa. Sgranò gli occhi notando la sagoma inoffensiva della ragazza; balzò in piedi per sbarrare la marcia di Normani. Quest'ultima ribolliva, ma lo sguardo educativo dell'amica fece evaporare la rabbia in uno sbuffo seccato. Dinah fu la prima a rivolgersi a Camila.
La sua occhiata la rimproverò silenziosamente. Non era colpa sua, ma solitamente, le persone normali, non andavano incontro ad un cannone acceso. Certo, Camila aveva oltrepassato il muro e detto addio alla sua vita; non si scansava dalla gettata, piuttosto accendeva tutte le micce sui cannoni. «Tutto bene?»
Camila sbirciò l'espressione cagnesca di Normani alle sue spalle, poi riportò lo sguardo su quella più affabile di Dinah. Sapeva già per chi delle due sarebbe stato più difficile. Scosse lentamente la testa, senza guardare nessuno oltre le sue scarpe. Loro attesero. «Forse dovremmo parlare in privato.» Suggerì Camila.
«Tu non ti allontani con lei da sola, chiaro?» La minacciò Normani. Si preoccupava per l'incolumità della persona sbagliata, ma iniziava ad avere il presentimento che tutti lì proteggessero più le persone care che loro stessi.
«Intendevo dire, con tutte e due.» Sottolineò Camila, restando impassabile di fronte al dito minaccioso di Normani. Era una novità. La sua flemma, era una novità. Una novità che non passò inosservata agli occhi vigili di Dinah che, già prima di appartarsi, avevano intuito di dover assistere ad un'altra brutta notizia.
Camila si appoggiò contro uno dei tanti scatoloni di alluminio vuoti; le altre due la imitarono, ponendosi di fronte a lei. Prese un bel respiro e raccontò la verità, daccapo e ininterrottamente; temeva che una minima pausa avrebbe compromesso tutto il discorso, costringendola a ricominciare la tortura dall'inizio. La fine non fu migliore, per nessuno. Il velo di silenzio scambiava promesse anche senza celebrazioni religiose, ma unendo entrambe in un'unione altrettanto indivisibile. Camila contemplava da fuori le loro espressioni, comprendendo bene lo sconforto di tutte e due.
«Non c'è molto da fare.» Esordì Normani: «Non prenderò più le medicine.»
«Non dire scemenze.» Intervenne a gamba tesa Dinah. «Ne hai bisogno per sopravvivere. In questi mesi sei migliorata tantissimo.»
«A discapito di altri.» La fulminò Normani, scuotendo impercettibilmente la testa di fronte a quelle che riteneva essere obiezioni insensate.
«Loro continueranno a morire anche se tu smetti di curarti! Finirà solo quando li fermeremo noi!» Il suo tono roboante era solo una delle tante facce della disperazione.
«Questo non significa che moriranno per me.»
Camila sospirò. Non poteva far niente per Normani, non poteva far niente per Dinah. Iniziava davvero a sospettare che la sua pena per aver ricusato il potere del trono fosse quella di essere relegata in un Mondo dove poteva essere solo impotente. Nessuna corona pesava tanto.
Dinah inspirò profondamente, fissando gli occhi incorruttibili dell'amica. Non c'era pegno che avrebbe comprato la somma del suo sacrificio, nemmeno il dolore di chi restava a scontarlo.
«Vuoi fare come vuoi? Vuoi dimostrare di essere un'eroina fino in fondo? D'accordo! Ma non lo farai senza avermi ricambiato il favore.»
Normani si accigliò: «Che favore?»
«Il favore di doverti restare vicina mentre morirai.» Dirlo ad alta voce scosse anche le spalle di Normani, ma si riassemblarono subito, come pezzi di lego ad incastro.
«Va bene.» Annuì: «Che cosa vuoi in cambio?»
«Un'ultima iniezione.»
«No.» Disse recisa, senza nemmeno pensarci. «No.»
Dinah azzerò le distanze con un passo e affondò il dito nel suo petto, proprio al centro, dove batteva il cuore, la corte a cui si stava appellando. «Tu me lo devi.» Sibilò a denti stretti. «Mi devi del tempo per.. per farmene una ragione.» Deglutì faticosamente, ricacciando indietro lacrime e imprecazioni.
Normani riempì i polmoni. Non poteva proteggerla da una delusione se la delusione gliela dava lei stessa. Abbassò lo sguardo e fece un solo cenno di assenso. Dinah recuperò l'ossigeno perso fino a quel momento e si voltò verso Camila annuendo. La ragazza colse il suggerimento, provvedendo a procurarsi una fiala. Quando tornò, Normani aveva già il braccio preparato, ma il pugno serrato. Si sarebbe odiata quella sera per aver accettato il sangue di un suo compagno, ma si sarebbe odiata di più per aver fatto versare a Dinah lacrime di rassegnazione. Camila si approssimò e stappò la fiala. La ragazza contrasse i muscoli, anche quelli del volto. Camila la rimirò per ottenere il suo consenso finale. Normani annuì e la prima volta non era lei che stava odiando.
Camila, quella sera, si prese un momento per isolarsi. Il tetto dell'edificio non permetteva una vista tanto vagheggiante quanto quella offerta dalla sua corte, ma si sentiva meglio ad osservare le luci lontane di River Side che il grigiore spento di Island Side. Adesso quella era la sua casa e per una volta non voleva distruggere il tetto sotto il quale riposava, ma doveva trovare un modo per non farlo crollare. Erano loro a vivere nell'ombra, ma sapeva che era suo padre a tramare piani oscuri. Non c'era bisogno di uno scettro per sconfiggerlo, ma di un esercito, risorse ed armi sì, e loro avevano a malapena il primo.
«Dovrò cambiare posto.»
Sussultò sorpresa dalla voce alle sue spalle. Lauren richiuse prudentemente la porta, avvicinandosi allo scalcinato tavolo dove sedeva Camila.
«Mi hai fatto prendere un colpo.» Si portò una mano al cuore, inalando più aria per compensare quella persa.
Lauren sorrise sotto i baffi, accomodandosi accanto a lei. «Bella serata, si vedono quasi le stelle.»
«Bella serata, ma giornata orribile.» Rettificò Camila, amareggiata.
La corvina la occhieggiò mentre teneva il mento all'insù: «Abituati. Non lo dico per dire. Qui, tutti i giorni, c'è un motivo per non essere felici.» Camila spostò gli occhi nei suoi: «Bisogna sempre trovarne uno per non darsi per vinti. Ricordatelo.» Era un consiglio, ma la perentorietà lo travestiva da ordine. Forse era solo l'abitudine.
Camila annuì e Lauren si sentì libera di tornare ad ammirare il cielo.
«Tu hai un motivo?» Chiese Camila. «Un motivo per non darti per vinta.»
«Mia sorella lo era.» Abbassò gli occhi dal cielo al pavimento, probabilmente non desiderava ricordarsi quanto lontane sarebbero state tra poco. «Ma adesso solo abbattere quel palazzo mi tiene in vita.» I suoi smeraldi divenivano onice a contatto con l'oro del palazzo. Camila annuì, distogliendo lo sguardo. Anche il suo ritratto, in fin dei conti, campeggiava fra le mura che Lauren voleva bruciare.
«Stanno morendo troppe persone, Camila.» Giustificò la sua rabbia, notando l'espressione distaccata dalla ragazza.
«E non quelle giuste.» Soggiunse con voce rotta, lanciando uno sguardo verso il lato est: il cielo raccoglieva grida, ma il sottosuolo le scagliava.
Lauren corrugò la fronte, ma non avanzò domande, attese che fosse Camila a parlare. «Anche mia sorella sta morendo.» Era la prima volta che lo diceva ad alta voce, era la prima volta che lo diceva a qualcuno. Lauren conosceva quel dolore, avrebbe capito anche il suo.
«Anche lei è malata?»
Camila scosse la testa: «No.» Una lacrima le rigò la guancia, ma si sforzò per mantenere intatta la voce. «Mia sorella muore per curare gli altri.» Inizialmente la dichiarazione non attecchì, ma bastò intercettare lo sguardo di Camila per comprendere cosa intendesse.
Lauren drizzò le spalle, schiuse la labbra ma balbettò soltanto. Sapeva che sua sorella si stava sacrificando, ma questo non le aveva impedito di salvare Taylor. Qualcosa negli occhi di Lauren mutò. Per la prima volta non la vedeva più come una ragazzina capricciosa, ma come una di loro: pronta a sacrificare ciò che amava per il bene degli altri. Era nata fortunata, ma era cresciuta nella disgrazia. Di questo non aveva colpa, solo ferite.
«Camila..»
«Li fermeremo, Lauren.» Anche il suo sguardo era cambiato, incupendosi come il cielo sopra di loro. «Li fermeremo e so anche come.» Ma adesso erano le stelle a guardare loro e la notte a vacillare chiedendosi se un nuovo giorno sarebbe arrivato, e se sì, cosa l'aspettava davvero?
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