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18



La notte stava calando, ma per lei era l'alba di un nuovo giorno. Mentre il maledetto Sole tramontava all'orizzonte, Camila ne varcava un altro. L'ombra del muro alle sue spalle si gettava con facilità oltre il suo stesso corpo; l'unica a poterlo fare.

Camila si faceva baciare un'ultima volta dall'ombra di River Side; d'ora in poi non avrebbe l'avrebbe osservata da lontano, ma a differenza di tutti gli altri, non ne avrebbe invidiato nemmeno la metà.

Bernard le sostava davanti, tronfio. Nascondeva il dispiacere sotto il petto austeramente all'infuori.
Gli aveva tenuto puntato un fucile fino a poco tempo fa, ma lei gli sorrise: «Non fare del male a Shawn. Lui non c'entra niente.» Era l'ultima volontà che esprimeva.

Bernard inspirò rumorosamente. La sua unica risposta fu un assenso del capo. «Buona fortuna.»

Camila sbirciò il palazzo alle sue spalle, poi di nuovo l'uomo: «Tu ne avrai più bisogno.» Ciò che contrasse i muscoli di Bernard non fu l'arroganza, ma l'assenza di pentimento. Lo aveva capito quel giorno in macchina, quando le sue preghiere evidentemente erano giunte troppo tardi: Camila non provava rimpianto per la sua scelta, solo rimorso per la sua passata vita.

Bernard le fece un cenno reciso, decretando la sua uscita di scena. Fine dello spettacolo, il sipario si chiudeva per un pubblico cieco e i suoi attori si inchinavano per un finale senza applausi. Tutto finto, tutto finito. Camila inalò a pieni polmoni e non si prese alcun momento per i ringraziamenti, nessuno le consegnò un bouquet per la recita: i fiori glieli avrebbero portati sulla tomba. 

Bernard era l'ultimo a vedere la principessa togliersi la corona, spogliarsi ad ogni passo di un giorno in più di vita. Camila non si voltò nemmeno sopraggiunta sulla soglia. L'unica cosa che avvertì, forse per la prima volta, fu il gravare dei ricordi immalinconirla. Pesavano più dell'oro, ma si potevano fondere allo stesso modo: solidi affetti che si liquefacevano in poltiglia.

Sorrise tenuemente. Non le restava nulla di vero da portarsi dall'altra parte, solo il suo brutale orgoglio.

Era pronta a scoprire cosa significava essere una schiava di suo padre, ma era anche pronta a dimostrargli che tanti schiavi insieme potevano anche far crollare il regno dove sedeva.

Per Island Side erano stati anni di assedio, giorni di resistenza. Ma a River Side sarebbe bastata una notte per capitolare, una notte lunga come tutte le loro vite, date e tolte. Camila si voleva assicurare di arrivare almeno all'alba di quella luna.

Varcò la soglia senza esitare. Bastò che le porte alle sue spalle si richiudessero per privarla della sua identità. Era stata una principessa, un erede al trono, la figlia del Re, la futura Regina. Ora doveva accontentarsi di essere solo Camila.

Uno dei soldati sull'altra sponda le consegnò furtivamente pochi spiccioli, forse tutto ciò che aveva. Era un altro ribelle, un uomo che dalla divisa pretendeva vera giustizia. Camila lo ringraziò a fior di labbra e si incamminò verso l'unico sentiero che conoscesse, ma stavolta nessun albero e nessun camion avrebbero nascosto la sua illecita presenza. Era una di loro.

                                        *****

Si guardò attorno stranita. La stanza conteneva a malapena una brandina e un armadio. La finestra era stata asserragliata con del vecchio legno, solo qualche sprazzo di luce filtrava attraverso le fessure.

Doveva abituarsi, non c'era dubbio, ma non voleva lamentarsi il primo giorno. La porta si aprì inaspettatamente.

«Scusa l'attesa.» Dinah barcollò all'interno, trasportando delle coperte di lana. Si stagliò nervosamente davanti a lei, quasi temesse un giudizio spiacevole. «Quello che siamo riusciti a trovare.» Si strinse nelle spalle, passandole il bottino.

«Andranno bene, grazie.» Le appoggiò  da parte, sorridendo tiepidamente.

Dinah Annuì impacciata. «Nervosa? Per le votazioni di domani, intendo.»

Per restare nella struttura la maggioranza doveva accettare la sua presenza. Non era molto fiduciosa, ma sapeva di avere un sì dalla ragazza e questo lo rincuorava. Scosse fievolmente la testa, abbozzando un sorriso.

«Forte.» Annuiva insensatamente Dinah: «Forte, si.» Non trovò altri argomenti con cui riempiere il silenzio, così si congedò: «Allora ci vediamo domani. Buonanotte.»

Camila la ringraziò e rimase immersa nel silenzio della stanza angusta. Rifece il letto, tentò di dare un senso alla sua nuova quotidianità, ma faticava a trovarlo. Non si era pentita, aveva solo dimenticato di fare i conti con la solitudine. Le poche cose custodite nelle tasche, le poggiò all'interno dell'armadio; non aveva altro con cui riempirlo. Tutto quel vuoto non la disturbava: la rispecchiava.

Si sedette sul bordo, ma non riuscì a restarci a lungo. Non c'era modo di scappare dalle sue angosce. Più le mura erano strette, più i pensieri si comprimevano. Si alzò. Camminò. Si rimise seduta. Si alzò. Si avvicinò alla porta. Tornò a sedere. Si alzò. Stavolta sbirciò fuori dall'uscio. Il corridoio era silenzioso. Si avventurò cautamente verso l'esterno. Non aveva un luogo preciso dove dirigersi, ma nelle ultime settimane non aveva vissuto allo stesso modo? Fece un giro di ricognizione. Conosceva il posto, ma adesso era divenuto (forse) casa sua; era lo stesso, ma diverso. Ispezionò immotivatamente tutti i piani, faticando a reprimere l'impulso di nascondersi ogni volta che qualcuno le camminava vicino; doveva ricordare a sé stessa che non vi erano più diversità fra loro, ma anche nessun rapporto: l'unico legame a unirli era il rancore passato. Schivava i loro sguardi per timore di scovare un rifiuto. Se l'indomani non avesse ricevuto la maggioranza, non sapeva davvero cosa avrebbe fatto. A quel punto sarebbe più stata neanche Camila, ma solo una disperata.

Proseguì il giro, distraendosi.

Dietro alcune stanze provenivano schiamazzi o borbottii. Trascorrevano la notte uguale a tutte le altre. La sua presenza non aveva intaccato alcun ritmo. Non sapeva se fosse un bene o un male, ma fra poche ore la luce mattutina glielo avrebbe rivelato. L'assemblea era indetta agli albori del nuovo giorno.

Ad ogni angolo c'era qualcuno, ma nessuno che la salutava. Non era importante, comunque; aveva speso gran parte della sua vita ad essere ignorata da guardie impassibili, l'unica differenza adesso era che gli sguardi si abbassavano di proposito e non per dovere.

Dopo l'ennesima svolta a vuoto, Camila si ritrovò davanti alla porta di Taylor. Forse aveva volteggiato tanto solo per evitare proprio quel luogo, ma alla fine l'istinto aveva prevalso sul raziocinio.

Non aveva dimenticato. Avrebbe voluto farlo. Ma non poteva. Il muro le toglieva tutto, fuorché la memoria. Dietro quella porta c'erano due sorelle: entrambe morivano per colpa di suo padre, solo che una sarebbe morta una sola volta, l'altra non avrebbe smesso. Camila serrò i pugni. Per ora non aveva potuto salvare sua sorella, ma non avrebbe permesso a nessuno di lucrare sul suo strazio.

Mise una mano sulla maniglia, si guardò le spalle e sgusciò all'interno in punta di piedi. Taylor dormiva. Le fiale erano poggiate sul cassettone. Se non posso annientare la fonte, distruggerò il prodotto. Lo sguardo si adombrò. Si mosse attentamente nella stanza, riducendo al minimo il rumore.

Camila aveva raggiunto l'estremità del letto, quando Taylor mugugnò: «Lauren?»

Cazzo. Si girò lentamente verso di lei, impreparata come sempre. Taylor strizzò gli occhi per definire la sagoma nella penombra. Li aguzzò ancor di più riconoscendola. «Tu sei la ragazza delle fiale.»

Camila farfugliò alla cieca. Non aveva un motivo per essere lì, nessuna scusa per spiegarsi.

«Lauren mi ha parlato di te.» La voce era talmente sottile da credere di essersi confusa. Di me?

«Siediti.» Si sforzò per fare un cenno verso la sieda.

Camila tentennò, spaesata virò lo sguardo sugli angoli bui, infine accolse l'invito accomodandosi.

L'illuminazione era scarsa, ma non occultava le occhiaie marcate sul suo volto talmente pallido da parere trasparente. Le medicine l'aiutavano a restare lucida, ma avevano un blando effetto sulla stanchezza fisica. La sua malattia aveva raggiunto uno stadio troppo critico per regredire.

«Sei nuova, vero?» Si accertò di non aver perso totalmente le facoltà cognitive.

Camila Annuì debolmente.

«Sei nata a River Side. Vero anche questo?» Sorrise fiaccamente, alzando a mezz'aria un dito mesto.

«Ah.» Schioccò la lingua. «Di poche parole Lauren, ma precise eh.» Scherzò, fortunatamente senza offendere Taylor che tossicchiò per la risatina.

«Per questo sono io la simpatica di famiglia.» Rise di nuovo, ma il respiro la tradì impedendole di svagare la mente. «Ero.» Si corresse, portando una mano sul petto affaticato. «Ora sono la zavorra.»

«Perlomeno non sei un'intrusa di River Side.» Commentò, tentando di celare lo sconforto nel tono sommesso.

Taylor occhieggiò la ragazza: «Non devi esserti fatta molto amici.»

Camila la rimirò e scosse la testa sorridendo.

«Beh, non è una buona idea stringere la prima amicizia con una pazza.» Si indicò mestamente, ma anche lei non perdeva la tranquillità nella voce; chi partecipava a lungo, sapeva come sdrammatizzare al gioco della malinconia.

«Sei la sorella di Lauren, ci credo tu sia diventata pazza.» Sgranò gli occhi Camila, alludendo all'attitudine intrattabile della corvina.

Taylor ridacchiò. Era la prima volta che qualcuno non si faceva scrupoli a trattarla come una persona normale, senza fermarsi di fronte alla sua malattia. La faceva star bene.

«Lauren è più docile di quanto credi.» Rispose. «Le hanno affibbiato una parte che lei recita molto bene, ma oltre il copione è una ragazza come te.» Pareva più un consiglio che una lusinga.

Camila Annuì, ma non disse niente.

«Lei si fida di te.» Addusse Taylor.

«Ecco su questo non siamo concorde.» Replicò, arricciando il naso come se avesse odorato una pessima fragranza.

«Non ha mai fatto entrare nessuno qui, oltre i medici.» L'affermazione la lasciò interdetta, togliendole le parole, ma stavolta in senso buono. «Forse fidarsi è una parola troppo grossa per una come mia sorella, ma ti vede al suo pari.»

Le giornate estenuanti le avevano lasciato solo un filo di voce, anche respirare pareva doloroso. Camila le poggiò una mano sulla sua, sul petto; era il suo modo di chiederle di non sforzarsi ulteriormente. Taylor accennò un sorriso riconoscente che depistava comunque dall'enorme sforzo.

Camila attese che si assopisse, ma il battito cardiaco sul monitor prese a incurvarsi. I picchi improvvisi allertarono Camila.

«Taylor, Taylor!» La riscosse, ma gli ansiti non si placarono.

«Cazzo, cazzo!» Gli spasmi andavano di pari passo con i picchi.

Perlustrò concitatamente la zona, sperando di stanare qualche aiuto. Le fiale sul cassettone scintillavano come proiettili. Camila udì il suo respiro farsi greve, ma non aveva tempo di riflettere se voleva salvarla. Si fiondò verso il cassettone e abbrancò nel grappolo, afferrando una fiala.

Si avvicinò al letto e le immobilizzò il braccio. L'ago era pronto. Camila osservò la goccia sulla punta. Quante vite innocenti ci volevano per una sola goccia? Vacillò. Taylor, sotto di lei, si dibatteva fino allo stremo. Camila serrò la mascella e anche la mano, stringendo la siringa. Iniettò il liquido dentro la vena, tremando anche lei. 

Il fremito della ragazza si attenuò piano piano. Camila si afflosciò sulla sedia, gettando a terra la fiala svuotata. Le aveva salvato la vita, per ora, col sangue di sua sorella. Un sacrificio per un altro. Doveva abituarsi a quella quotidianità. 

Se Sofia salvava le vite col sangue, lei il sangue lo avrebbe fatto sgorgare.

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