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17



Tua madre e tua sorella sono rimaste coinvolte in un incidente. Comprimeva la testa per zittire la voce, ma continuava a sentirla. È una tragedia, ma ne usciremo più forti. Tu regnerai anche per loro. Suo padre l'aveva convinta a ponderare il peso dello scettro con quella manfrina. Tutto falso! Tutto!

Stordita e trafelata giaceva sul pavimento. Non aveva il coraggio di guardare una seconda volta; non aveva le forze di alzarsi. Il dottore avrebbe a breve scoperto la sua presenza, ma nemmeno l'orrore di essere colta in flagrante la spronava a mettersi in piedi. Il cuore batteva all'impazzata, ma i muscoli non reagivano. Erano schiacciati al suolo dal peso dei ricordi più di quanto lo fossero dalla gravità.

«...Si, il dottor Slavik non rispondeva, il che è strano.» La voce dapprima udita nell'aria, adesso proveniva dal corridoio. Erano troppo vicini per scappare. Forse aveva una possibilità nascondendosi, ma doveva sbrigarsi.

Si appoggiò alla parete per ergersi. Sentiva il terreno sotto di lei inghiottirla, ma non capiva quanto del suo corpo era rimasto da inghiottire: ogni parte di sé aveva perduto consistenza.

«Ce ne occupiamo noi, signore.» Toni più perentori si accostavano.

Camila si guardò attorno, cercando un nascondiglio improvvisato. La stanza era piccola, non esistevano scappatoie. Un'altra porta, però, collegava una stanza all'altra. Si voltò un'ultima volta verso il vetro. Sua sorella era distesa, probabilmente più impaurita dall'attesa del dolore che dal dolore stesso. Si ripromise che quella non era l'ultima volta che l'avrebbe vista. La maniglia alle sue spalle tremò; Camila sgusciò verso la stanza affianco, richiudendo la serratura, cauta a non produrre rumore.

Sgattaiolò verso il corridoio guardandosi le spalle. Doveva compiere pochi passi per raggiungere l'ascensore, ma qualsiasi poteva essere fatale.

Il friggere di un walkie talkie la mise in guardia un attimo prima di avanzare. Si appiattì contro la parete, strizzando gli occhi fino a dolerle le palpebre. La sentinella tirò a dritto; lei tirò un sospiro di sollievo. Aveva quasi raggiunto l'ascensore ormai, ma vide delle ombre spandersi rapide come acqua in fondo al corridoio. Sbucavano di fronte a lei. Presa dal panico, allungò il passo fino alla porta più vicina, pregando che qualcuno da lassù la benedicesse anche quella volta. Richiuse lentamente la maniglia, stavolta accertandosi di aver girato la chiave nella toppa. Si voltò aspettandosi di incontrare un nuovo scempio, invece trovò solo un mare di polvere. Era finiti negli archivi. O almeno, una sottospecie.

Gli scaffali stracolmi e disordinati contenevano anni di segreti e malfatte. Camila non sapeva dove iniziare, ma non poteva lasciarsi sfuggire una fonte di informazioni illimitata come quella. Scelse ad estrazione uno di essi, infilandosi nel mezzo. Estrasse una pliche e lesse sommariamente le informazioni. Era l'identikit di un ragazzo, ma innocente; la sua unica colpa era essere nato immune. La sua prigione quel luogo dimenticato da Dio. Camila saltellò da una riga all'altra, unendo i pezzi con il dito. Anni... corporatura presentante... risponde neutralmente ai test... litri di sangue donato 16. Sangue? Cosa facevano col suo sangue? Aprí un'altra pagina. Un'altra faccia innocente, un altro ragazzo condannato. Stesse informazioni. Sangue donato 20 litri, 10 fiale. Alcune righe obliterate, impossibili da decifrare. Parole sparse per un'ignara. Scartabellò un fascio più tozzo, pescando in fondo all'abisso del marcio. Altri nomi, altri anni, altri litri di sangue. L'immagine dei bambini emaciati le balenò davanti agli occhi come un flash. Avevano perso tutto quel peso a causa di questo salasso incomprensibile. Rimise a posto il fascicolo e si spostò sullo scaffale adiacente.

Stavolta non scovò nomi e visi, ma motivi e ragioni.

Tutti gli abitanti, tutti, venivano classificati il giorno della nascita in base alle loro caratteristiche genetiche. E tutti erano diversi fra loro. I più giovani, come già sapeva, avevano sviluppato una sorta di immunità, capace di tenerli lontani dai pericoli delle radiazioni ma non dalle grinfie di Remax. Su una carta intestata, l'anno di fondazione risaliva a quarant'anni prima. Ma i bambini avevano iniziato a scomparire -o a ritornare, ma irriconoscibili- solo dieci anni prima. Forse nell'arco di trent'anni, con le nuove tecnologie e soprattutto sotto la dittatura di Alejandro, avevano intensificato gli esperimenti fino a trovarne uno funzionante. Camila non capiva. Fino alla rivelazione.

Erano stati molto accorti, ma piluccando informazioni il quadro si completava da solo. In un altro fascicolo, un medico di nome Taleb, aveva inciso la loro condanna a morte. Abbiamo scoperto che, indipendentemente dal quantitativo di sangue ricavato dai soggetti immuni, riusciamo a produrre la metà di fiale Rematil, pertanto richiediamo il doppio dei pazienti.

Camila chiuse di colpo la cartella, portando una mano alla bocca. Si aggrappò alla mensola per non oscillare. La cura veniva prodotta dai bambini. Da quelli immuni perlomeno.

Malgrado l'enorme segreto venuto a galla, la sua mente mulinava attorno a due verità ineluttabili. Sofia è immune... Ho curato la sorella di Lauren con il sangue della mia.

Ripose il fascicolo con mano malferma. Appoggiò la testa contro la mensola, inalando l'odore torrefatto della carta. Il palazzo dove aveva vissuto tutta la sua vita cresceva sotto un terreno pieno di ossa e sangue. Anche su quello della sua stessa sorella. Una bella rosa sopra un cimitero.

Scuoteva la testa rinnegando il bombardare dei pensieri, ma le lacrime le rigavano ugualmente il volto. Poteva negare tutto, ma non i fatti. Inalò profondamente, sollevando la testa china.

Non aveva più dolore, l'aveva consumato tutto; ora era la rabbia a consumare lei. I pugni serrati e gli occhi aperti. Lì, nel sottosuolo del terrore, aveva preso una decisione incoercibile.

Lei non avrebbe solo fatto parte della Resistenza. Lei sarebbe stata la Rivoluzione.

*****

L'aria fredda della giornata non raffreddò le sue guance paonazze. Il fuoco che le ardeva dentro era inestinguibile. Né il Sole della malattia poteva equivalerlo, né la mano della morte poteva spegnerlo. E nemmeno quella di suo padre.

Tenne la testa alta mentre navigava fra la folla, senza nascondersi dietro cappucci o maschere. Tutti si affrettavano verso i propri impegni a sguardo basso, tranne lei: teneva gli occhi puntati in alto. Non invocava l'aiuto del cielo, preannunciava la disfatta del palazzo. Le svettanti guglie erano quelle ad aver bisogno del supporto della volta celeste, perché Camila possedeva già l'aiuto della terra. E non parlava di River Side. E la sua terra nessun cielo era abbastanza grande da racchiuderla.

Le rifiniture auree, i merletti barocchi, le terrazze inutilmente debordanti: sempre immacolate, mai rumorose. Tutto quel silenzio nascondeva urla agghiaccianti che non avrebbero mai abbandonato gli incubi di Camila. Marciava fra la folla seminando battaglia, pronta a raccogliere guerra ai cancelli del palazzo. Sapeva anche che quella era l'ultima volta che osservava l'imponente castello da vicino. La prossima volta o l'avrebbe guardato dalla sponda opposta o l'avrebbe guardata dall'alto. O dal basso. Non era ancora sicura se le spettasse un ruolo in paradiso o all'inferno. Ma, proprio come stava facendo adesso, si sarebbe presa il suo posto.

Quel giorno ogni passo era fatale, ma nessuno era fatalità. Camila si stagliò davanti ai cancelli dorati. Fece un giuramento mentre le guardie lo aprivano, sconvolti vedendola dall'altra parte del perimetro. La prossima volta nessuno mi dovrà aprire, li butterò giù da sola. Non sapeva se la sua rabbia poteva spodestare suo padre, ma equiparare il suo potere sì.

«Principessa, ma come...» Balbettò una delle guardie fidate del Re, l'unico ad avere diritto di parola con l'erede al trono, ma anche il primo a perderle, le parole.

Camila gli poggiò una mano sulla spalla, fissandolo intensamente: «Grazie.» Era un ringraziamento corale, agli uomini che avevano dato la loro vita in cambio di quel ridicolo pennacchio in testa, e tutto ciò per proteggerla. Ma nemmeno loro, adesso, potevano salvarla.

L'uomo si accigliò preoccupato, ma Camila lo sorpassò prima di cambiare idea. C'erano anche delle cose belle in mezzo a quell'orrore, ma non erano abbastanza per dissuaderla. Proseguì la sua ascesa verso il palazzo, incorniciando la bandiera in uno sguardo di imperdonabile sfida. La fine dei tempi proveniva proprio da colei che l'aveva battezzata.

I grandi battenti dorati squarciarono l'ingresso con un boato, ma era il suo dei suoi passi a produrre più frastuono. Le guardie osavano posare lo sguardo su di lei, forse a viso scoperto per la prima volta. Avvertivano la sua collera, si disperdeva più in fretta della radiazioni e ammalava di terrore tutt'intorno.

Attraversò i corridoi della sua infanzia, ripercorse le orme della sua vita e disse addio per sempre a quei fantasmi. Prima di andare da suo padre doveva esorcizzare una volta per tutti gli spettri della sua regalità. Si diresse verso la stanza della pittura, l'unica inviolata da anni. Lì era l'ultima volta che aveva visto sua madre viva, nessuna mano aveva più toccato alcun pennello. Camila afferrò il più grosso e si trascinò dietro la scala, stridendola volontariamente a terra. E fece quel che doveva già essere fatto. Ad opera conclusa non si disturbò ad occultare le tracce della sua effrazione: voleva che fossero ben chiaro a tutti chi era l'autore.

Ora mancava la sala del Trono. In tasca aveva tutto ciò che le occorreva per affrontarla: rabbia e un coltello.

A grandi falcate si lasciò indietro i pavimenti spogli, fino all'interminabile tappeto rosso snodato nella sala del Re. Il flusso ematico del lusso a breve si sarebbe mischiato a quello di suo padre.

Alejandro era seduto sul Trono, sorridente e compiaciuto di un Mondo costruito sulle spalle di innocenti. L'ira di Camila rimbombò con violenza nell'enorme androne. L'uomo alzò la testa su di lei. Glielo lèsse subito negli occhi: era rimasto solo la parte giudice, il padre era già morto. Erano pari. Anche la figlia in Camila era morta.

«Camila, a cosa devo il piacere?» Domandò sollevando il mento.

Nessuna risposta, solo passi. Aggrottò le sopracciglia, strinse lo scettro quasi fosse un salvagente. Stava arrivando la marea.

«Camila...?» Tentò nuovamente, ma ancora silenzio.

La ragazza era arrivata ai piedi del Trono. La gradinata slanciata verso la seduta reale era percorribile solo dal Re. Nessuno poteva sfiorarla, nemmeno per pulirla. Camila lo rimirava trucemente, fremendo incollerita. Alejandro comprese che non era lì per parlare. Ammutolì.

Camila avanzò un passo. Aveva appena messo piede nel proibito. Alejandro sbarrò gli occhi: «Camila, stai attenta a ciò che fai.»

Imperterrita proseguì, scalino dopo scalino. Più lei saliva, più il Mondo sprofondava. Lo sentiva dentro le ossa. Alejandro sosteneva il mento acuminato verso di lei. Voleva incuterle timore; non sapeva che la sua più grande paura era niente in confronto alla rabbia.

«Camila!» Urlò, tentando di connettersi con lei, ma non era rimasto più niente di vivo sotto il dolore.

Percorse gli ultimi passi e una volta di fronte a lui, sguainò il coltello dalla tasca e si avventò contro il suo collo. Lo sguardo invasato era l'ultima cosa che il Re avrebbe ricordato.

«Come unica consolazione,» sibilò a denti stretti, premendo la lama contro la sua pelle. «Ti lascerò morire da Re.»

Alejandro inspirò a fondo, guardandola senza traccia di nervosismo: «Che delusione.»

Camila tutto si sarebbe aspettata, fuorché quelle sue ultime parole.

«Mia figlia crede di uccidere il Re con un misero coltello.» Scosse la testa, come un uomo deluso dal brutto voto del figlio. Una pagella che durava da tutta la vita.

«Nemmeno tu puoi sopravvivere ad una lama.» Digrignò i denti Camila, tagliandogli appena la pelle per dimostrare le sue parole.

«No, certo.» Non si scosse. «Ma i proiettili sono più veloci di un coltello.» Un sorriso sornione gli carezzò le labbra ispide.

Camila aggrottò le sopracciglia. Non comprese fin quando alle sue spalle un'onda di fucili rumoreggiò.

«Principessa, abbassi l'arma o saremo costretti a sparare.» Uno dei tanti fantocci di suo padre eseguiva solo gli ordini del Re. Era arrivata tardi. In qualche modo, sapeva già tutto.

I muscoli della ragazza tremarono incerti. Io magari vado all'inferno, ma tu vieni con me. Pensava accecata dallo scintillio della lama, ma poi, ricordò che le vere fiamme bruciavano i vivi e non i morti.

Rivede i gli occhi del bambino, giocosi anche nel dramma. Sentì le feroci urla di sua sorella, inafferrabili dal sottosuolo dell'isola. Ripensò agli occhi di Lauren, accesi e vitali anche in mezzo al grigiore. Non poteva morire con lui, solo allora lo comprese: il trono sarebbe rimasto anche senza Re. Doveva distruggere le radici.

Con un ultimo tremito, lanciò un breve grido e lasciò cadere il coltello a terra. Alejandro non aveva perso il suo aplomb nemmeno per un secondo. Era tranquillo perché se fosse morto lo avrebbe fatto nel suo luogo preferito.

«Camila, adesso torna giù, per favore.» La ragazza riconobbe solo in quel momento la voce. Socchiuse gli occhi amareggiata: un piccolo errore l'aveva incastrata.

Si voltò lentamente, solo per veder confermati i suoi dubbi. Bernard stava mirando al suo cuore.

«L'hai saputo così?» Chiese con voce atona Camila, dando le spalle al Re.

«Bernard tiene il suo studio sotto sorveglianza. Shawn non ha visto le telecamere, stupido ragazzo.» Sghignazzò. «Suo padre è bravo negli interrogatori.»

Camila inspirò. Quindi anche lui era nei guai, e per colpa sua. Ecco perché Bernard aveva lo sguardo ricolmo di rancore: desiderava solo una scusa per premere il grilletto.

Ridiscese adagia gli scalini; svuotata dalla rabbia non le rimaneva più nulla. Se l'avesse uccisa ora, non avrebbe sentito niente. Pensava solo alle persone che si lasciava dietro, agli ultimi e ai dimenticati, coloro che non avrebbero avuto più possibilità di lotta.

Poggiò il piede di fronte a Bernard, ancora statuario. La canna dell'arma le scaldava il cuore freddo.

Alejandro, dall'alto del suo Olimpo, decideva le sorti come un Dio ma con la mano del Diavolo. Attese imperturbabile la sua sentenza. Lui l'aveva amata solo quando le aveva promosso il Trono. Adesso non vedeva altro che una ragazzina viziata, convinta di poter sfidare il Mondo con un coltello da cucina.

«In ginocchio.» Disse.

Camila non si piegò.

«Ho detto in ginocchio!» Tuonò.

Bernard fu costretto a intervenire, costringendola a genuflettersi. Adesso i loro occhi si incrociavano di nuovo. «Come cambiano in fretta le cose, no? Prima volevi uccidermi e ora sei tu in punto di morte.» Un ghigno soddisfatto le fece provare pena per tutti quelli che erano passati di li prima di lei.

Alejandro percepiva la sua grandezza guizzargli nelle braccia, espandersi in tutto il corpo. Un secondo cuore. Ma, abbacinato dal fervore del potere, non si era reso conto degli sguardi dei suoi uomini. Sotto gli elmi, gli occhi di tutti titubavano, lo ignoravano. Non erano fieri di lui come al solito; erano disgustati. Alejandro passò in rassegna i lembi dei loro volti e comprese che nessuno di loro lo avrebbe più guardato con la gloria di prima, se avesse processato sua figlia. Erano fedeli al suo nome proprio perché difendeva le loro famiglie. Ma se era capace di uccidere a sangue freddo la sua ultima figlia, allora cosa ne avrebbe fatto delle loro?

Alejandro unì le mani davanti alla bocca storpiata. Non poteva perdere la fiducia dei suoi uomini in tempi critici. Doveva trovare una soluzione e lo fece nel minor tempo possibile.

«Tu, mia figlia, hai osato minacciarmi di morte, per giunta sul mio Trono. Una delle offese più ignobili che si possano muovere al proprio Re. Al proprio padre.» Filtrava il risentimento in un finto dolore, ma gli occhi di Camila conoscevano le sue maschere a memoria. «Sei accusata di tradimento, tentato omicidio e effrazione in proprietà privata del regno.» Sa anche quello.

«Sono crimini per cui qualsiasi uomo verrebbe ucciso e ringrazierebbe se potesse morire con dignità.» Batté il pugno contro il bracciolo dorato. «Io invece oggi ti grazio. In nome dell'amore che ho provato per te, figlia mia.» Quanta falsità.

«Ma i tuoi crimini non possono essere perdonati, pertanto vivrai la vita che hai scelto, al di là del muro. Sei bandita da questo palazzo, per sempre.» Arricciò il naso, non era contento. Solo la sua reputazione l'aveva salvata, nient'altro.

«Addio, Camila.» Fece un cenno a Bernard. «Portatela via.» L'uomo obbedì, esercitando più forza di quanta fosse necessaria per alzarla.

La strattonò verso l'uscita, ma prima di abbandonare per sempre suo padre, sbraitò: «Tornerò a ucciderti! Mi hai sentito!? Morirai per mano mia!!»

Le urla non si diradarono nemmeno durante la notte. Tutti udirono lo spettro aggirarsi negli angoli bui della villa; sussurrava nei loro incubi, ma non ne era il mostro. Tutti si rigiravano nelle coperte, occhieggiando la porta della propria stanza. Non avevano ansie su chi andava, ma su chi restava.

La mattina dopo l'orrore non era terminato. Tutti si radunarono di fronte ad un quadro. Il quadro. Alejandro alzò gli occhi per vedere una grossa X tinteggiare il volto di Camila. Non aveva solo perso sua figlia, ma anche il suo ricordo. Quel gesto sprezzante spazzò via ogni residuo di affetto e di pace.

Era guerra.

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