15
Il Mondo scorreva nel finestrino. Quello che ne rimaneva almeno. Nessuno di loro faceva caso alla differenze, solo Camila, che era l'unica a riconoscerle. Non poteva credere che l'artefice di cotanta disgrazia fosse l'uomo che l'aveva cresciuta. L'unica cosa in comune fra il suo Mondo e questo era il colore similare tra dell'oro del palazzo e la sabbia della landa.
«Che cosa mi devo aspettare?» Domandò Camila, senza riuscire ad intercettare nemmeno uno dei loro sguardi.
«Niente di buono.» Mugolò Normani, seduta davanti. Dinah annuì, Lauren si astenne dalla conversazione.
Camila provò a carpire ulteriori indizi dalle loro espressioni addolorate, ma l'unico volto a rivelarle la verità fu quello della città.
«Dio mio.» Fu l'ultima parola che pronunciò prima di perderle tutte.
Il paesaggio dilaniato venne sostituito da visi dilaniati. Il manto della strada era meno terreo delle loro occhiaie, ma più resistente delle loro ossa. Definirli fantasmi era un'offesa, perché gli spiriti avevano un passato da vendicare, loro erano solo sconfitti. Niente in loro era etereo, non finché rimanevano ancora brandelli da strappar via. Se osservare i corpi esangui, le braccia scarne, i volti inespressivi era già abbastanza doloroso, ciò che indignava era vederlo sui bambini. E quelli erano solo bambini.
«È un altro Sottosuolo?» Domandò attonita.
«No.» Rispose per la prima volta Lauren, senza ricambiare lo sguardo Attrvaerso lo specchietto. «La loro colpa non è essere malati.» Sospirò sonoramente. «La loro colpa è essere immuni.»
Camila si girò di scatto, sbarrando gli occhi. «Immuni a cosa?» Fece finta di non capire, perché le pareva impossibile la spiegazione più logica.
«Immuni alla malattia, alle radiazioni. Loro non sviluppano la patologia, mai.»
«Nemmeno voi, ma non significa che siate immuni, giusto?» Faceva spola fra le due come una pallina del flipper, tentando di colpire la verità prima o poi.
«No,» scosse la testa Dinah, «noi siamo solo fortunate, per ora.»
«Allora qual è la differenza?» Aggrottò le sopracciglia.
«La differenza è nella generazione, a quanto pare.» Proseguì Lauren, sempre concentrata a guardare avanti. «Non in tutti, ma nella maggior parte.»
«Le radiazioni aumentano ogni giorno. Prima o poi la nostra resistenza cederà. A qualcuno succede prima, a qualcuno succede dopo.» Sollevò le spalla Dinah: era così, non c'era altro da fare.
«Ma non a loro.» Commentò Normani. Non riuscì a capire dal suo sguardo assorto se fosse invidiosa della fortuna o dispiaciuta per la loro sorte. Forse l'una non escludeva l'altra. Anzi sicuramente.
«Come fate a saperlo?»
Dinah ridacchiò, ma priva di umorismo: «La vera domanda è: perché non lo sai tu?»
Camila guardò ognuna di loro. Avevano risposte che a lei non erano state date. «Beh perché... Perché...» Scuoteva la testa in cerca di una ragione, ma nessun alibi sosteneva la tesi.
«Te lo dico io perché.» L'aiutò Dinah, ma con l'aria di chi salvandola dall'annegamento non le faceva affatto un favore. «Perché loro non mandano i loro bambini nei laboratori. Ci mandano solo i nostri, per curare i vostri.»
Camila tremava a chiederlo, ma sapeva di non potersi tirare indietro ormai. «Loro chi?»
«I cittadini di River Side.» Sputò velonosamente Normani, incrociando lo sguardo di Camila nello specchietto. Si anche tu, le stava dicendo.
«No...» Bisbigliò la ragazza, deglutendo.
«Si, Camila.» Confermò desolata Dinah, allungando una mano verso di lei. «Purtroppo è così. I militari si presentano a casa delle famiglie, portano via i bambini e lasciano delle provviste in cambio. I più fortunati non tornano più, quelli meno fortunati continuano a vivere qui, abbandonati a loro stessi.»
«Come... Come fanno a sapere che...» Incredula tentava di dare una forma al puzzle.
«Da anni i laboratori esaminano i nostri cittadini a campione. Senza medicine, alcuni di noi, vivano quanto voi: perché?» La risposta non la sapeva indovinare. «Perché nel tempo abbiamo sviluppato una certa resistenza e tale resistenza pare trasformarsi in immunità. I ricercatori hanno notato un vero e proprio cambiamento nel DNA di questi bambini.»
«Ma non servirà comunque.» Si intromise Lauren, austera. «Non servirà perché se la malattia non li uccide, lo fanno ogni giorno i vostri scienziati. La cura costerà migliaia e migliaia di soldi, potrete permettervela solo voi. A noi resterà questo.» Fece un cenno verso un bambino scalzo, trascinato dal suo peso effimero verso il nulla. Camila intercettò il suo sguardo vitreo: anche quello conteneva il nulla. Gli avevano lasciato solo un corpo, ma nessun motivo per esserne grati. Adesso capiva perché la morte, ad Island Side, non era sempre il male maggiore. Quello lo scontavano vivendo.
La macchina accostò. Normani fu la prima ad uscire e Dinah le andò indietro. Le pupille sgranate di Camila dovevano ancora abituarsi alla vista attraverso il finestrino; non sapeva come guardare tutto da più vicino di così. In fondo le barriere l'avevano sempre protetta, ma ora scopriva che? In realtà, proteggevano più bugie che persone.
«Ci si fa l'abitudine poi.» L'affermazione di Lauren allietò i timori, ma non i sensi di colpa.
«Non so se te l'hanno mai detto,» si voltò verso di lei mostrando l'ultimo sorriso della giornata. «Sei una pessima bugiarda.»
Lauren accennò un sorriso pacato che Camila colse solo per metà, perché la corvina guardava fuori dal finestrino: preferiva osservare una sofferenza atroce ma conosciuta, piuttosto il dolore scomposto di Camila, di cui non sapeva assolutamente nulla se non che doveva evitarlo.
La corvina le concesse ancora qualche momento per decidersi, condividendo tacitamente il peso dell'attesa con lei. Appena Camila aprì la portiera, anche quella di Lauren la seguì. Normani distribuiva delle coperte e delle caramelle, senza suscitare alcun tripudio gioioso. Dinah serviva un pasto -freddo ma pur sempre un pasto- e dell'acqua.
«Che cosa fate voi qui?» Chiese Camila, percependo la presenza di Lauren alle sue spalle.
«Aiutiamo. Aiutiamo come possiamo.» Incrociò le braccia al petto, il tono si affievolì: «Quando possiamo.»
«Queste sono le provviste del camion?» Si voltò verso di lei.
Annuì: «In parte, sì.»
Anche altri ragazzi, sopraggiunti con altri mezzi, stavano distribuendo beni di prima necessità. Altri, invece, erano semplicemente accovacciati a parlare con loro. Si chiedeva quale argomento potesse ancora interessare la loro rubata giovinezza.
«Io che posso fare?» Bisbigliò caduca, sfaldando lentamente ogni parola.
«Quello che vuoi.» Il rumore della portiera attirò la sua attenzione. «Io distribuirò qualche pasto, tu intanto fai un giro.» La consigliò, avviandosi verso una fila di bambini pazientemente in attesa.
Camila si guardò attorno, spaesata e affranta. Non c'era niente da salvare, era tutto caduto, sia fuori che dentro. Pensò di non essersi mai sentita così impotente e fragile. Nemmeno la rabbia riusciva a sfondare la diga del triste stupore. Muoveva cautamente i primi passi, angosciata di aggiungere dolore ad un luogo già ferito. Si sentiva un gigante in un mondo di formiche; si muoveva in bilico, temendo di ferire persino i granelli sotto le suole.
Una coppia di ragazzini le camminava vicino. Avevano le stesse mani sporche, ma intrecciate. Le spalle a stento sostenevano la maglietta, sempre più grande del loro busto ma meno lisa della loro anima. Si erano innamorati prima, dopo o durante la tragedia? Ciò che contava é che non avevano smesso, d'amare. Camila, invece, si. Nel terreno arido cresceva più vita che nel suo cuore torrido: non era rimasto niente dove seminare speranza, solo nelle radici dell'odio faceva primavera.
Lo sguardo perso cercò appiglio attorno a lei. Lauren la stava guardando da lontano, ed entrambe, investiti dai medesimi sentimenti rancorosi, pensavano la stessa cosa: Adesso chi è che somiglia a chi?
Un bambino attirò la sua attenzione strattonandola debolmente per i pantaloni. Aveva occhi grandi con cui guardare uomini piccoli. Le mimò il gesto di mangiare con la mano sporca di fango. Camila allungò la mano su una delle tante ceste disseminate a terra. Si inginocchiò per guardarlo negli occhi. Gli porse la merendina, ma le sue dita intirizzite continuavano a fallire. Camila gli sfilò dolcemente la confezione dalle mani e pretese di faticare pure lei, suscitando un sorriso tiepido nel volto intimidito. Affannata, strappò la plastica, asciugando una goccia di sudore dalla fronte. Il sorriso sulle sue labbra livide continuava a crescere. Camila aveva mani più tremule delle sue, ma si costringeva a non mostrarlo. Divide a metà la merendina, porgendogli prima una parte e tenendo per dopo l'altra. Il bambino addentò titubante il soffice impasto, gustandolo senza avidità. Camila annuì, sorridendogli. Lui guardava l'altra metà. Camila pensò temesse di non riceverla, così gliela porse, rassicurandolo. Lui spostò i suoi occhioni in quelli lucidi di Camila e le spinse dolcemente la mano verso la bocca. La ragazza corrugò la fronte, confusa. Lui le afferrò la mano e la condusse verso di lei, mostrandole la bocca piena come per istruirla su cosa fare. Lui aveva lo stomaco vuoto da giorni, ma voleva condividere l'unica merendina con lei. Quel bambino, prosciugato da tutto, deprivato della sua stessa voce, valeva il doppio di suo padre. Nessuna corona pesava più del dolore.
Camila scosse la testa, trattenendo con una smorfia le lacrime. Lui insistette. Camila scuoteva più energicamente la testa, tendendo la merendina nella parte opposta. Aveva fame, gli si leggeva nelle clavicole acuminate, nelle guance scavate, ma non voleva lei restasse senza. Camila diede un morso alla merendina e il bambino annuì sorridente. Camila non riuscì a contenersi più. Lanciò le braccia attorno alle sue spalle esili e lo strinse forte. Non voleva che la vedesse piangere; i suoi grandi occhi non meritavano altri dolori. Approfittò del momento per lasciarsi andare, nascosta dalla sua vista. I singhiozzi le squassavano il petto, ma lui era troppo piccolo per capire. Anche lei avrebbe voluto esserlo. Ma di piccolo era rimasto solo il cuore, disseccato.
Tutti i ragazzi presenti, chi fugacemente chi a viso aperto, assistevano combattuti alla scena. Nessuno l'aveva ringraziata per aver dirottato il camion e lei non aveva voluto alcuna riconoscenza. Se ne accorgevano solo ora però, di quante crepe condividessero con lei. E non erano certi di quanto le similitudini potessero condizionare il loro pensiero. Lauren la fissava intensamente, percependo il respiro farsi più greve. Si poneva la medesima domanda ma aveva già una risposta. Tante crepe scavano una voragine, e una voragine può inghiottire un mondo... O un impero.
Il dolore della ragazza aveva scosso tutti, ma per altri era stata una rivelazione senza ritorno. Si scambiavano occhiate furtive, dubitando di poter ignorare ciò che ormai tutti pensavano: nata nel mondo opposto, ma uguale a noi, possibile?
Evidentemente il muro divideva generazioni intere, ma non diversificava le sofferenze, anzi! Paradossalmente le univa.
Camila aiutò instancabilmente. Un pomeriggio di felicità non ripagava un'infanzia di stenti, ma la distraeva. Conobbe tanti altri ribelle, ragazzi poveri cresciuti contro i doveri di River Side e contro anche la morale di Island Side. Combattevano nell'ombra per un mondo senza parti, ma a malapena sapevano cosa stavano facendo. Sembravano più grandi della loro età, ma con la stessa irrequietezza dei loro coetanei. Si sentivano già adulti pronti alla guerra, ma corteggiavano con la timidezza degli scolari. Provava ammirazione per loro, ma anche pena: non esiste soldato privo di sacrificio.
Avevano trascorso metà della loro vita a perdere, ma per vincere dovevano ancora sacrificarne l'altra metà. Erano nati guerrieri anche senza divisa, e avevano intenzione di rimanerlo anche senza medaglie. Stringeva la mano ad ognuno di loro mal grondando stima, ma li portava tutti dentro al cuore come una ferita aperta. La loro gioventù bruciata, per la mia, si incideva per sempre una cicatrice. La loro guerra sono io, ecco cosa diceva ogni goccia di sangue.
Ciò che aveva visto prima di quel giorno l'aveva convinta a far del bene, ma era stata quell'esperienza a persuaderla ad annichilire direttamente la fonte del male. Loro lottavano, ma era lei ad impugnare le armi. Non lo sapevano, forse non lo avrebbero mai saputo, ma la Regina stava mangiando i suoi stessi alleati, annientando la stessa scacchiera dove lei stessa era stata calata. Non c'era un finale prevedibile, ma era disposta a qualsiasi conseguenza. Loro avevano già dato la vita per la causa, ora lei dava alla causa una ragione di vita.
«Dove sono i laboratori?» Erano appena rientrati al quartiere generale, ma non c'era tempo da perdere.
«Adesso ci riposiamo, poi ne parliamo.» Convenne Lauren, senza autorità stavolta solo molto stanca dagli eventi.
A frapporsi fra lei e un'ora di riposo ci fu la mano di Camila: «Per favore, non posso restare molto.» La pregò grintosamente. Gli smeraldi di Lauren baluginavano dai suoi occhi alla mano stretta sul suo braccio. Lei poteva essere la leader, ma Camila era la sua stessa legge.
Lauren scosse impercettibilmente il capo: «Ti stai mettendo in guai più grossi di te.» Si assicurò di scandire ogni parola mentre inchiodava i suoi occhi, ma Camila non fece una piega.
Lauren si arrese in un sospiro. Era esausta, non aveva energie per ostacolare quelle fiammeggianti di Camila. «Non so dove si trovano, ma i soldati che portano indietro i ragazzi hanno una "R" marchiata sul petto.» Indicò il cuore. Camila Annuì. Anche lei aveva una "R" marchiata lì, quella della Resistenza.
«Lauren,» la voce rotta non le svelava niente di nuovo, sapeva come si sentiva, ma rimase pazientemente in attesa. «So che non ti fidi di me, non ti chiedo di farlo.» La guardò dritta negli occhi, sperando che l'ardore della verità bruciasse via il velo di menzogne che era costretta a indossare. Le nozze con le bugie erano un matrimonio senza amore, per lei.
«Allora cosa mi chiedi.» Sospinse leggermente il mento in avanti, sfidandola gentilmente.
I loro sguardi si scottavano l'un l'altro, ma nessuna fiamma rabbiosa strinava le loro palpebre. Erano aperte dal rispetto, che valeva più della fiducia per due nemiche.
Camila afferrò Lauren con entrambe le mani. La corvina serrò la mascella, ma non si oppose. Traeva forza da lei e su di lei la riversava. Ciò che stava per dichiarare, però, si sarebbe riversato solo ed unicamente su di lei. E lei era pronta.
«Voglio prendere parte alla rivoluzione.»
Lauren non lo sapeva, ma adesso la Regina si
giocava la possibilità di fare Scaccomatto al Re.
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