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Aprì gli occhi su Mondo del tutto diverso, ma più familiare di quello che aveva lasciato.

La notte era trascorsa quietamente. Anche il rientro al palazzo era stato privo di intoppi. Nessuno aveva notato la sua assenza, questo perché tutti a stento notavano la sua presenza. Non si sentiva più di un'estensione di suo padre: i complimenti ricevuti dai nobili erano in realtà adulazioni per il Re; la premura della servitù solo ordini del Presidente messi in pratica. Suo padre aveva tanti titoli, a lei a malapena spettava un nome. Ora più di adesso, dopo aver trascorso del tempo nella valle della disperazione, si avvedeva di quanto poco luccicasse la sua vita anche con in mezzo all'oro. Mentre osservava l'orizzonte di cemento dalla sua finestra, realizzava di non essere niente di più di una pedina in una scacchiera territoriale: da questa parte era l'unica erede al trono, senza di lei tutto l'impero sarebbe caduto con un soffio; dall'altra parte era la persona più ricercata per mettere il Re sotto scacco matto. Una regina, ma di quale fronte? Sospirò.

Poche settimane prima non credeva che trasgredendo un semplice confine avrebbe pensato di riscrivere tutti gli altri. Non l'aveva programmato. E nemmeno ora stava programmando niente. Erano gli eventi a fluire spontaneamente in una direzione; un fiume che scorrendo inciampava nella stessa pietra. Anche quel giorno aveva un obiettivo da portare termine, obiettivo delineato proprio dagli eventi, o meglio... Da Dinah.

Rose barcollò all'interno della stanza. Sorrideva come ogni mattina, malgrado il peso del vassoio.

«Buongiorno, signorina.» Adagiò la cospicua colazione sul letto. «Posso aiutarla in altro?» La postura ossequiosa e lo sguardo basso, reverenziale, non erano solo segno di rispetto, ma sintomo di una generazione intera.

«Si,» serrò i pugni dietro la schiena, come le aveva insegnato sua nonna. «Devo conferire con mio padre. Puoi occupartene tu, per favore?» Rose annuì e si affrettò ad esaudire i suoi desideri.

Forse non aveva ancora scelto su quale fronte schierarsi, ma aveva smesso di essere una pedina. La scacchiera era aperta, la partita in movimento: era ora che la Regina si muovesse.

Alejandro aveva preso la richiesta di Camila come un'offerta di pace, il che lo aveva rallegrato enormemente. Si era lasciato ammorbare dalle angosce, ma in fin di conti Camila restava solo un'adolescente in fase di transizione; era normale la ribellione contro l'autorità, e chi più di lui poteva personificarla? Aveva sopravvalutato le schermaglie fra padre e figlia, scambiandole per lotte fra Re e principessa. Nessun timore, insomma.

Camila varcò la soglia della sala del Re con andatura aulica. Solitamente la temperanza tronfia della figlia lo indispettiva, ma adesso un sorriso compiaciuto gli solleticò la barba. Non bramava altro che un Presidente indomito quanto lui per il trono.

«Buongiorno, va meglio oggi?» Lo sguardo dolce di un padre crudele, il sorriso amorevole di un uomo arido.

«Tutto bene, e tu?» Sosteneva la minaccia dello scettro nella mano di suo padre con la baldanza di chi aveva già subito troppe condanne per temerne un'altra.

«Sto molto bene oggi.» Ammiccò fiducioso, carezzando il bracciale del trono dove sedeva: l'unico figlio a cui voleva davvero bene.

«Mi fa piacere.» Articolò un'incrinatura delle labbra talmente sghemba da non poter essere definita sorriso. Ma suo padre non carpì alcuna discrepanza. Difficile notare le differenze se non l'aveva mai guardata davvero.

«Cosa ti conduce da me?» Chiese Alejandro.

La giustizia. «La tregua.»

Il sopracciglio scattò all'insù: «Ti ascolto.»

«Pensavo che per appianare le divergenze delle ultime settimane ci fosse bisogno di un momento di quotidianità.» Stazionò valorosamente di fronte alla scalinata che conduceva al trono. Lo stemma reale ricopriva la parete alle spalle di Alejandro. Camila immaginava di usarlo come tovaglia per le celebrazioni indette una volta capitolato suo padre. Intanto gli sorrideva.

Alejandro scrutò a lungo la sua espressione, dunque le fece cenno di continuare.

«Mi piacerebbe invitare a cena Shawn e suo padre. D'altronde non gli abbiamo mai ringraziati per avermi aiutata quella notte, no?»

«Vuoi che ringrazi la persona che ti ha aiutato a contraddire le mie regole?» Si prosciugò la distensione dal suo volto. Non era arrabbiato per la trasgressione, era indignato per averla commessa a suoi danni.

«Shawn è un ragazzo come me, niente di più. Ed è mio amico. Ho bisogno di trascorrere una serata in tranquillità e non credo di poterlo invitare a cena fuori.» Sollevò le spalle, attendendo un giudizio di cui conosceva già l'esito. L'orgoglio di Alejandro era incommensurabile, ma il suo desiderio di un erede lo prevaleva.

«E così sia.» Sentenziò infine, lanciandole un'occhiata disseccata dalla benevolenza iniziale. Sua figlia lo sfidava ancora, non con le mosse di sempre ma la lama era la stessa. «Manderò una macchina a prelevare entrambi nel tardo pomeriggio.»

Camila occultò un sorriso in un inchino riconoscente. Alfiere e torre pronti per essere mangiati.

*****
Sfoggiava il suo miglior vestito, ma nascondeva le armi migliori. Non sapeva impugnare uno spadaccino, tantomeno maneggiare una spada ed era impedita col coltello, eppure in procinto di tagliare le risorse di suo padre come nessuna lama avrebbe fatto mai.

Nessuno degli ospiti sospettava qualcosa, ma in tal caso la gonna svolazzante era lì per cancellare ogni dubbio. Bernard e Shawn erano stati scortati fino alla sala imperiale, dove i piatti da prima portata erano stati già assortiti. Shawn rimase ammaliato dalla freschezza naturale dell'amica, ma Bernard non rilassò di un millimetro la postura marziale. Era da anni che serviva l'esercito, da anni che lo supervisionava: sapeva riconoscere una minaccia. Camila sorrise ad entrambi.

«Benvenuti.»

«Sei splendida.» Le baciò una guancia, rapito.

«Grazie.» Gli sorrise vicino all'orecchio, civettuola.

Planò verso Bernard, ricmponendosi: «Collonello.»

«Camila.» Un contenuto cenno del capo rispettò il galateo senza condirlo di eccessi stucchevoli.

Si scambiarono uno sguardo eloquente, interrotto dall'arrivo di Alejandro. Tutti si inchinarono, fuorché Camila. Lei era l'unica che guardava suo padre negli occhi quando entrava in una stanza.

«È un piacere avervi a palazzo.» Richeggiò l'entusiasmo dell'uomo, condizionando le reazioni degli invitati.

«Anche per noi, presidente.» Rispose Bernard.

Alejandro gli strinse la mano, elargendo sorrisi plastici.

«Signore.» Si annunciò Shawn, che per non tremare come una foglia aveva sicuramente subito il lavaggio del cervello dal Collonello.

Alejandro si stagliò lentamente davanti a lui, in tutta la sua imponenza. Schiuse le mani sulle sue spalle, offrendogli un'occhiata fraterna. «Tutto è perdonato, Shawn.» Gli sorrise, rassicurandolo. Sembrava una scena commovente, ma si offriva a chiunque, in punto di morte, il perdono.

«Beh, vogliamo accomodarci?» Esortò gli uomini in livrea a mettersi in moto. Senza perdere tempo, le sedie vennero scostate in attesa dei commensali.

Nessuno parve notarli, erano ombre col papillon. Camila, prima di sedersi, si voltò un attimo e sussurrò un: «Grazie,» che terrorizzò il maggiordomo. La prima regola che impartivano a palazzo era "non rivolgere la parola alla figlia del re", ma nessuno ti insegnava come comportarti se era lei a farlo per prima, perché nessuno dubitava della sua ribellione. Si limitò ad un fugace cenno, per poi dissolversi in un angolo della sala.

Alejandro e Bernard coinvolsero Shawn nei loro piani militari, ogni tanto azzardò un parere personale, accolto sempre con silenzio ma impegno. Camila non spiccicò parola e nessuno la interpellò. Contemplava la scena da spettatrice, masticando lentamente ogni informazione. Non si sentiva più visibile dei maggiordomi, solo che invece di un angolo le era stato riservato un lato della tavola. Ma in fondo era ciò che voleva: scomparire.

«Signore, era tutto delizioso.» Scodinzolò Shawn, volgendo al termine della cena.

«Concordo. Per una volta mio figlio ha detto la cosa giusta.» Risero dei rancori sotterrati.

Camila rimirava alla scena con sorriso celato. Aveva avuto più interazione con i maggiordomi che con loro, e la servitù non le rivolgeva parola.

«Bene,» constatò forse stupendo tutti della sua effettiva presenza. «Ottimo come sempre.» Sorrise in direzione di tutti loro, ripiegando accuratamente il tovagliolo.

«Sono contento sia stato di tuo gradimento.» La coccolò Alejandro, ottenendo un blando assenso.

Bernard la squadrava meticolosamente. Sedeva al tavolo con l'uomo più potente del Mondo, ma lo sentiva tremare solo quando guardava lei. Possedeva l'innocenza di una ragazzina, ma gli occhi navigati di una donna. Nella sua carriera aveva assistito a tanti scontri a fuoco, ma sapeva bene che il pericolo maggiore proveniva sempre dal silenzio.

«È stato un piacere cenare con voi,» disse sorniona. «Adesso vorrei avere il permesso di trascorrere un po' di tempo con Shawn.» Si stampò l'espressione più candida possibile.

Alejandro serrò la mascella. Non gli piaceva l'idea di lasciare sua figlia nelle mani di un ragazzo tanto incosciente, ma non poteva nemmeno offendere il valore di suo padre. Non era un comportamento da Re. «Certamente,» disse con un tono più ruvido della barba che massaggiava. «Andate pure.»

Nemmeno Bernard, rimasto educatamente muto, pareva contento della richiesta, ma dissimulò. Camila si allontanò fianco a fianco col suo amico, spostando la partita in camera sua.

«Cavolo, non pensavo tuo padre mi avrebbe perdonato tanto facilmente.» Sorrise rincuorato quando la porta si fu chiusa e due piani del palazzo si frapposero fra lui e il Re. Si lasciò cadere a peso morto sul letto, ridacchiando.

Camila si appoggiò contro la scrivania, a braccia conserte. Non condivise la gioia dell'amico, ma attese pazientemente che svanisse per richiamare la sua attenzione.

«Va tutto bene?» Si corrucciò Shawn, osservando tramontare la luce dal volto spensierato di Camila.

«Adesso mi ascolterai bene, perché non abbiamo molto tempo.» Tagliò corto, mettendolo sia sugli attenti che in guardia.

«Che sta succedendo?» Non si raccapezzava del cambio repentino nell'umore della ragazza, soprattutto non ne indovinava le ragioni.

«Ho bisogno del tuo aiuto.» Fece una pausa, inspirando coraggio. «E non te lo sto chiedendo per favore.»

Shawn si alzò lentamente in piedi, inclinando il capo. «Camila...»

«Ogni settimana partono dei rifornimenti dalla nostra base alle posizioni dei militari disseminati ad Island Side...»

«Ma di che diavolo parli...?»

«...Sono stracolmi di provviste e soprattutto di medicinali.»

«Questo non ci riguarda...» Scuoteva flebilmente la testa, aggrottando il cipiglio.

«Ci riguarda perché la lista di quei camion viene stilata da tuo padre ogni settimana.»

«E quindi?» Oscillava il capo, tentando più di che altro di dissuaderla anche solo dal pronunciare quelle parole.

«E quindi dovrai cambiare la destinazione di uno di essi. La postazione 47 è stata sgombrata da settimane, così il camion viene inviato alla base centrale per poi essere smistato successivamente. Devi prendere la lista e scrivere 47 nella casella vuota...»

«Come fai ad avere queste informazioni?» Gli tremeva la voce, oltre le mani.

«...Una volta inviato il camion alla stazione 47, una squadra dall'altra parte lo recupererà e nessuno si accorgerà dell'errore. Sembrerà solo uno sbaglio a monte, una dimenticanza. Ne verrà spedito subito un altro. Nessun danno.»

L'afferrò per le spalle, scuotendola in preda al panico: «Come fai, Camila?» Il respiro mozzato dall'ascia della paura, lo sguardo imperturbabile della ragazza a inchiodarlo ai suoi pensieri. «Sono informazioni riservate. Nemmeno io le conosco. Come puoi saperle tu?» Conosceva l'unica risposta plausibile, ma sperava comunque in un miracolo. Non gli venne concesso. Camila abbassò lo sguardo; sospirando confermò le sue paure.

Shawn sollevò le mani tremule, deglutendo: «Sei tornata lì...»

«Shawn.»

«Tu... Tu sei... Sei una di loro adesso?» Le lacrime si aggrumvano alla fine dei suoi occhi. Un recipiente pronto a rovesciarsele addosso.

«No, non sono nessuno.» Scosse la testa.

«Certo che lo sei! Sei l'erede al trono, dio Mio!» Gli pareva di vivere un incubo, solo che da quello non c'era risveglio, ma solo un sonno profondo in cui Camila era sprofondata.

Pensò di spiegargli tutto, ma non aveva idea di come disegnare la sua rivoluzione agli occhi di un cieco. «Shawn, ti chiedo questo favore.» Inalò rumorsamente. «Tu sei mio amico da sempre, sei l'unica persona della quale mi fidi.» Stavolta fu lei ad afferrarlo per le mani, ma le trovò flaccide ed inerti. «Ho bisogno di farlo, ne ho bisogno più di ogni altra cosa.» Lo pregò dignitosamente.

«Ti stanno obbligando? Ti minacciano?» Si adombrò, cercando giustificazioni al suo comportamento.

«No, santiddio, no!» Gridò, ricomponendosi un attimo dopo. «Shawn, se tu sapessi...» Una lacrima le rigò il viso, un'altra le incise il respiro. «Se solo tu sapessi.» Singhiozzò soffocando i gemiti con il palmo della mano.

Shawn guizzava lo sguardo su di lei senza comprendere dove la crepa si fosse aperta, senza sapere come richiuderla. «Va bene, va bene. Stai tranquilla, ti prego, Camila.» L'attirò fra le sue braccia, carezzandole il capo. Lui era più grande di quasi un anno, ma lei sembrava sostenere un milione di vite.

Le custodì il volto bagnato fra le mani. Le rivolse uno sguardo amorevole, dicendole: «Lo farò, va bene? Ma poi dovrai spiegarmi questa storia, Camila. Stai rischiando, stai rischiando moltissimo.» Lui aveva paura per tutti e due, mentre lei pareva solo stanca.

«Lo so,» si asciugò le lacrime con la manica. «Ma ho meno da perdere di quanto tu creda.» Scrollò le spalle, nascondendo il broncio in un sorriso amaro.

Shawn inspirò profondamente. Non era pronto a fare altre domande; le risposte spaventavano tutte le sue certezze. La strinse di nuovo al suo petto, cominciando a pensare che si era appena messo in guai grossi.

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