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Si alzò una mattina presto.
Guardò la sua stanza vuota e si soffermò sulla sveglia che suonava.
La spense e si preparò per andare a scuola.
Girovagava per casa, tutti dormivano. Uscì di casa con le cuffie e prese tutti i mezzi per andare in quell'inferno.
Nessuno lo salutava, guardava o ci parlava. Camminava dritto verso la sua meta, lasciando poi lo zaino sul pavimento, all'ultimo banco.
Neanche i professori lo interrogavano o lo rendevano partecipe. Lui studiava sempre da solo, quindi la scuola per lui era inutile.
Prese il libro tanto per, aveva ancora le cuffie indosso.
Alle 9.00 entrò il suo compagno di banco, in ritardo come al solito.
Si guardarono e si strinsero la mano. Una complicità unica.
"Anche oggi mi hanno ignorato palesemente, stupendo no?" Scrisse uno.
"Beh, meglio così. Fanno schifo,io ci ho a che fare.. ma non è divertente come stare con te." Rispose l'altro.
Quest'ultimo venne richiamato dalla professoressa e gli fece una domanda che manco gli altri alunni avrebbero saputo. Lui rispose correttamente, facendo stupire un po' tutti, tranne il nostro protagonista. No, lui lo conosceva da anni, sapeva già i suoi comportamenti.
A ricreazione stettero in silenzio ma si guardavano continuamente.
"Tomasz" disse il ritardatario.
"Dimmi zachariasz?"
"Ti va di andare in quel posto dopo scuola?
"Ho capito già che intendi. Va bene". E si ammutolirono.
Passarono le ultime 3 ore a non dirsi niente ma a tenersi la mano. Usciti da scuola corsero a prendere l'autobus.
"Sempre la solita storia AHAHAH". Risero allegramente insieme e si abbracciarono.
Scesero Al capolinea e cominciarono a salire, verso la montagna.
"La proasima volta avvisami zachariasz, almeno mi metto le scarpe adatte e mi porto le nostre cose."
"Io le ho! Tranquillo".
E camminarono per circa 40 minuti e si sedettero lì, a guardare il cielo e le nuvole.
"Problemi in casa vero?"
"Si."
"Tuo padre vero?"
"Si."
"E tua sorella pure vero?"
"Ovviamente."
"Continuano a farti del male vero?"
"Vuoi vedere?"
"Si."
E si tolse la maglietta, mostrando tanti ematomi e taglietti nella candida pelle.
"Questo l'hai fatto tu vero?" Indicò i tagli sulle braccia.
"Si."
Tomasz sapeva già la risposta, chiedeva per avere conferma. Prese il suo zaino e gli disinfettò tutti i tagli. Era solito portarseli dietro, sapeva del suo amico.
Sapeva già che Zachariasz aveva un amico comune, la lametta.
"E invece tu? Mamma e papà non ci sono vero?"
"Già... come sempre no?"
"Ti ha toccato."
"Si."
"Mostrami."
"Non posso"
"Perché." Si stava innervosendo. Il silenzio creatosi metteva in imbarazzo tutti e due. Si levò la maglietta e i pantaloni mostrando segni di abusi. Lo sapevano tutti e due chi era stato, ma non potevano dirlo. Ogni parola a riguardo, poteva creare conflitto nei genitori di Tomasz, finendo così per essere picchiato. Non solo il danno,pure la beffa.
"Quando la smetterà di farti ques-" fu interrotto.
"Mai."
Che parola strana. 3 lettere piene di significato, che da sole però non fanno niente. Messe in un altro ordine, farebbero anche 'ami". Ma sono così diverse. La prima indica un tempo impossibile, l'altra un'azione. Insieme fanno un'azione impossibile. Ma non era il loro caso. Erano innamorati ed insieme formavano una coppia stupenda. Stupenda per loro almeno.
I loro genitori non approvavano certamente, ma nessuno glielo avrebbe mai detto.
Salivano sempre in quella casetta in montagna, ci stavano tutta la notte e poi la mattina presto andavano a scuola.
Era la loro dimora, il loro paradiso, dove nessuno sarebbe mai entrato. Giocavano per i campi, saltavano, scherzavano. Anche se erano tremendamente feriti, insieme diventavano una cosa sola. Appena furono stremati, si coricarono per terra tenendosi la mano.
"Voglio que-"
"Si."
E si unirono in un bacio limpido e armonioso. Si guardavano attentamente, come se non si conosceressero. Sorrisero insieme, amandosi.
"Dormiamo qui o a casa?"
"Qui."
Non mangiavano mai quando salivano in montagna, non ne avevano bisogno.
Erano così pieni di amore e gioia, che la fame non la sentivano. Non avevano telefono né computer, niente di tecnologico. Solo la sveglia, visto che alle 5 dovevano essere svegli. Non avevano bisogno della tecnologia lì, la loro felicità bastava per riempire tutte le mancanze. Si misero a letto insieme, continuando a giocare e scherzare, per poi baciarsi e coccolarsi, calando così il silenzio.
Alle 5 suono la sveglia, si alzarono felici e insieme, svolgendo le solite routine di ogni mattina. Presero l'autobus per tornare a scuola e arrivarono quasi in anticipo.
tutti li ignoravano, non gli importava della loro esistenza.
La fame si fece sentire a ricreazione, visti gli odori che furono sprigionati da ogni pacchetto o scatola dei compagni. Brontolò per prima la pancia di Tomasz e poi insieme a quella di zachariasz. Non avevano soldi né cibo dietro. Quindi, rimasero a ridere tra di loro, visto che dalla loro pancia proveniva un boato.
"C'hai fame?"
"Nooo, ma che dici? Pure tu hai fame". E risero.
Tornarono a casa.
"Dove sei stato" chiesero i genitori di ognuno, con poco e reale interesse. Risposero in coro a distanza "in montagna".
'Noi andiamo, mangia quello che trovi" Dissero i genitori. Uno trovò del pane vuoto, l'altro un po' di formaggio.
"Anche tu senza cibo vero?"
"Già. Cosa hai trovato tu?"
"Pane"
"Io formaggio. Aspettami che vengo e mangiamo insieme".
E si incontrarono di nuovo. Passarono il pomeriggio a studiare insieme e felici. Sorridevano.
Questo era l'importante.
Il loro sorriso gli permetteva di sognare, credere in un futuro migliore.
Almeno, fino a che non rientrò il fratello di Tomasz.
Ammutolirono, conoscendo la gelosia enormemente presente in un corpo così minuto di un 20enne.
"C-ciao Januariusz.."
"Che stavate facendo."
"N-niente"
'Dopo ne parliamo."
Quel dopo voleva dire solo abusi.
Le lacrime scorgagavano sul viso di Tomasz, mentre Zachariasz cercava di calmarlo.
Voleva scappare, ma non poteva: era minorenne.
Si chiusero in stanza, parlando così poco, lasciando trasparire i singhiozzi e i lamenti.
Zachariasz tornò a casa a malincuore, sapeva cosa aspettava al suo amante e sperava solo che potesse andare meglio.
"Vieni subito qui."
"Non stavamo facendo niente, te lo giuro..." e pianse, come ogni altra volta.
Ma non importava, doveva solo essere punito. Frustato. Abusato. Violentato.
Sapeva che non era normale, ma cosa poteva fare? Subire.
Stremato durante la notte si alzò, cercando di medicarsi. I genitori erano in casa stranamente e lo videro ridotto in quel modo.
Tacquero e annuirono, non gli importava niente.
Il sangue usciva dalla sua pelle, ma non importava.
Era stato rifiutato dai suoi genitori.
Si rese conto solo in quel momento che nella sua vita poteva fare poco se fosse rimasto lì. Prese uno zaino e ci mise tutto quello che poteva, rubando qualche soldo.
Aveva dietro un tenero pupazzo, che non avrebbe mai lasciato, manco morto.
Gli ricordavano i suoi nonni, persone così dolce e gentili.
Piangeva al ricordo,furono uccisi davanti a lui da bambino. Aveva solo 7 anni, ma dovette sopportare.
Zachariasz era già presente nella sua vita.
Si era intromesso con i suoi problemi, nella vita trafficata di Tomasz, non lasciandogli scelta.
Doveva accettarlo e basta, non poteva cacciarlo. Anche se avesse tentato, non sarebbe riuscito. Questo perché il carattere irrompente e rivoluzionario del compagno non l'avrebbe mai permesso.
Tomasz uscì di mattina presto, Andando a scuola. Sentiva che nelle mani aveva un peso enorme: la sua vita.
Che fare? Buttarla e passare all'illegalità o combattere?
Da solo non avrebbe mai potuto, così decise di condividere questo grandissimo peso con lui.
"Vado a vivere lì."
"Capito. Vengo anche io."
"Si? E che farai con i tuoi."
"Stessa cosa potrei dire a te."
Vennero interrotti da un professore invadente, incapace di comprendere i veri sentimenti dei due ragazzi. Però era stato costretto dal preside, doveva avvicinarsi per forza.
"Posso parlarvi ragazzi? Sono il vostro professore di filosofia"
"No"
E il discorso fu spento.
Il professore strinse i pugni e camminò via, imprecando sottovoce.
Non era normale che degli alunni si prendessero tutta questa confidenza.
Loro discussero in silenzio, soltanto guardandosi negli occhi.
Un occhio versò una lacrima di dolore, un qualcosa di insopportarbile da sostenere.
Era straziante per Zachariasz vedere il suo migliore amico nonchè fidanzato piangere per qualcosa che non poteva risolvere.
Come poteva risolvere un problema così?
Forse una soluzione c'era. Macabra e pericolosa, ma possibile.
Lo strinse a sé rassicurandolo.
'Tranquillo, andrà tutto bene".
Che bella frase. Piena di significato per tutti, ma per loro era una dichiarazione di amore.
Significava avere fiducia nell'altro, credere nel futuro, reggersi in piedi ancora.
Perché loro riuscivano, anche con tutti questi problemi, a reggersi ancora? Anche se erano attaccati a un filo, erano mano nella mano.
Ogni cosa feriva tutti e due o cambiava tutti e due.
Questo vuol dire amore.
Credere nell'altro, sorridere e piangere per lui. Non trascurarlo, non sentirsi inutili, ma sempre pieni di emozioni.
Loro si amavano, come nessuno ha mai fatto tutt'ora.
Una complicità unica.
Salirono in montagna, sorridendo e piangendo allo stesso tempo.
Può capitare soltanto quando si pensa questo. Sorridere mentre si piange, è un controsenso assurdo. Però succede.
Quando piangi per qualcosa e continui, manco più Ti ricordi perché. Guardi il tetto, ti distrai, ricordi una cosa e sorridi.
È un pianto liberatorio con un sorriso pieno di profondità.
Tenendosi la mano entrarono nella casa, permettendo a Tomasz di sistemare le sue robe.
Zachariasz pensava. Pensava a come avrebbe potuto attuare il suo piano, come rendere felice il suo amato.
Le idee coincidevano in un solo punto: liberarsi dei genitori.
Tomasz piangeva, dimostrando i suoi veri sentimenti per la prima volta.
Da piccoli, non piangevano mai. Si capivano al volo quando andava qualcosa male o Tomasz aveva una crisi, quindi piangere era ritenuto inutile.
Ma in quel momento il pianto era l'unica soluzione alle sofferenze del bambino. Tomasz fu abbracciato ovviamente, ma non era quello che desiderava.
Una vita felice, dei genitori, un corpo meno orrendo... questo voleva.
Ma l'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re.
Però ebbe una persona al suo fianco, che non l'avrebbe mai lasciato solo.
Sorrise leggermente, pensando al casino in cui si era cacciato e dove si trovava ora, tra le braccia di chi era e come avrebbe vissuto per un po'.
Forse era proprio questo che mancava in lui, la scelta.
Ma in quel momento cambiò strada.
Non quella dettata dalla sofferenza, dal pianto, dai genitori. Ma la strada della salvezza assieme al suo cuore Zachariasz.
Erano arrivati ad un punto di non ritorno. Potevano solo camminare orgogliosi di aver cambiato la propria vita.
Forse il tunnel buio da percorrere poteva spaventarli all'inizio, era pur sempre un futuro incerto. Ma ormai avevano fatto un passo al suo interno, non potevano più cambiare.
Mangiarono forse qualche frutto nei campi sottostanti alla montagna colti da Zachariasz.
Tomasz non si era mosso dal letto, ancora turbato e distrutto dalle parole mancate dei genitori.
Una signora venne a bussare e Tomasz si mostrò davanti a lei.
"Scusami... pensavo fossi mio figlio...ho sbagliato casetta"
Vedeva il sudore grondare dalla fronte di quella povera donna montanara. Forse quella visione gli tirò uno schiaffo immaginario, lo svegliò dallo stato passivo e gli disse un bellissimo "ti devi muovere, la vita va avanti."
"Signora mi perdoni, dove abita suo figlio? Salendo la montagna no? Se la sente? Sennò può riposare un po' qui al fresco e poi riprendere il suo cammino."
Non era mai stato così dolce, però il sorriso di quella signora gli fece tremare il cuore.
Ecco come ci si sentiva quando si faceva del bene a qualcuno.
La nonnina rimase lì a discutere con tomasz, fino al calare del sole, quando tornò zachariasz con la frutta.
La salutarono e zachariasz fece sbattere tomasz a terra.
Dormirono insieme tutta la notte fino alle 5, quando la sveglia suonò.
Tomasz era il più stanco, Così rimase a letto poco di più, mentre il suo ragazzo 'disegnava su un foglio".
Si prepararono e andarono a scuola, vedendosi incontro una persona.
Tomasz abbassò lo sguardo, Zachariasz strinse i pugni.
"Non sei tornato ieri."
Lo sapevano benissimo che il discorso sarebbe andato a finire male,molto male.
Tomasz corse tenendo per mano zachariasz, rifugiandosi in quell'inferno.
Gli sembrava l'unica salvezza, l'unico luogo dove nessuno gli avrebbe detto niente.
Pianse di nuovo, davanti a tutti.
Provarono un po' pena per lui, soprattutto un professore.
Gli fece cenno di uscire fuori e l'accompagnò in bagno.
"È successo qualcosa vero?"
"Si."
"Sempre quel problema che mi scrivi sempre nelle verifiche?"
"Si."
"Vuoi che finisca?posso aiutarti."
"No, non può. Mi spiace averle causato disturbo." E tornò in classe.
Forse proprio questo lo costrinse a sorridere davanti alle risatine dei compagni.
Tornato al suo posto, guardo le sue mani, le sue braccia, il suo corpo.
Aveva bisogno di sfogarsi.
Prese a grattarsi per tutta l'ora, aprendosi la pelle.
Il risultato finale fu un lago di sangue sulla maglietta con rimprovero e ricovero in ospedale.
I genitori arrivarono guardandolo male, con sguardo glaciale, come se lo stessero ripudiando di nuovo.
Zachariasz era presente e non riusciva a smettere di dannarsi.
Voleva picchiare i genitori, far del male a qualcuno, rompere il muro. Voleva esprimere la sua frustrazione con la violenza.
Tomasz guardò suo fratello e abbassò lo sguardo, rendendosi conto di essere morto ormai.
Se fosse tornato a casa, non sarebbe mai più uscito.
Sorrise, abbandonandosi totalmente.
I genitori furono allontanati, come tutti gli altri presenti nella stanza.
"Perché ti sei ridotto così"- chiese il dottore.
Non rispose, non poteva essere capito.
Forse desiderava esserlo. Ma non poteva.
Nessuno poteva capire.
Il dottore se ne andò interdetto, come se l'avesse offeso pesantemente.
Invece aveva soltanto tenuto la bocca chiusa, come sempre.
Zachariasz entrò in stanza tenendo tutti fuori, già era nervoso.
Quel nervoso forse... era dovuto a qualche litigio fuori da lì.
Infatti era vero, aveva tirato un pugno al fratello di Tomasz.
Un pugno assestato, pieno di sentimenti contrastanti, tra ribrezzo e odio.
Si fece il segno della croce e baciò a stampo il suo amante, visto che tutto ciò era stato fatto per lui.
Sorrisero insieme, tutti in modo molto flebile, solo per accontentare l'altro.
Si capivano guardandosi negli occhi ma i loro sguardi si evitavano, come se non volessero farsi scoprire.
Abbassarono lo sguardo insieme, cercando di stare il più distante emotivamente tra di loro.
Forse non volevano sapere i perché delle loro azioni, sta di fatto che esistevano.
Quei perché erano svariati e troppo lunghi da dire, forse anche incapibili.
Sorrisero, come se fosse l'ultima cosa da fare.
Insieme.
Per sempre.
2415 parole.
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