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Una Donna Pericolosa - Pt.2

«Quella stronza della Gilman mi ha messo una D al progetto.» Lo sbatacchiare del vassoio attirò l'attenzione della mensa, che tornò ordinatamente al suo pasto quando si scontrò con gli occhi infuocati di Normani.

«Se disegni come mangi, non dubito il perché.» Inarcò le sopracciglia Dinah, chiedendosi come fosse possibile abbinare i broccoli ad un bicchiere di latte senza dare di stomaco.

Normani borbottò fra sé e sé, probabilmente maledicendo la professoressa o la sua amica. Nessuno delle due la stava ascoltando però. Ally sdrammatizzò parlando della sua giornata, evitando di nominare i voti percepiti nell'arco della settimana: Normani allora sì che avrebbe patito il voltastomaco.

Dinah disse che avrebbe consegnato il suo progetto martedì, Camila invece lo aveva fatto quella mattina, ora doveva solo attendere l'indomani. Aveva quasi completato il suo dipinto, le mancava da affinare gli ultimi particolari. Sentiva che il quadro generale rappresenva l'idea, ma non era convinta che i colori esprimesse bene il significato che voleva immortalare. Si congedò prima del previsto, sfuggendo alle occhiate sinistre di Dinah che ancora non aveva capito di trovarsi in accademia per studiare e non per partecipare alle feste del sabato sera, a cui, fra l'altro, aveva fatto la sua apparizione il giorno precedente. Quindi che non la seccasse tanto.

Nella sua camera pareva fosse scoppiato il pandemonio. Se qualcuno fosse entrato l'avrebbe descritta come una scena del crimine. Le macchie di colore tempestavano le tele disseminate ovunque ci fosse uno spazio libero, i tubetti di colori rinsecchiti ingombravano il pavimento, mentre quelli ancora interi erano sparpagliati sul letto. Ci aveva dormito tre sere su quel materasso, eppure non si era mai accorta di avere delle tempere ai piedi. Forse perché non ci arrivava al fondo del letto, o forse perché era troppo stanca per riservargli più di un grugnito. Quel progetto la stava inglobando particolarmente. Certo, tutte le lezioni avevano importanza e ci teneva a far emergere non solo la sua tecnica ma sopratutto il suo punto di vista, ma per quel compito aveva un piglio diverso. Non era come le altre classi, in cui se deludeva le aspettative si incoraggiava a superarle la volta dopo; se avesse abbattuto la fiducia di Lauren qualcosa le diceva che si sarebbe demoralizzata.

Ecco perché trascorse tutto il pomeriggio chiusa in camera, a ultimare il dipinto, a descrivere con i colori ciò che la sua mente si figurava. Sperava davvero che guardandolo qualcuno avrebbe pensato "wow, è come trovarsi nella testa dell'artista". Era davvero soddisfatta e non vedeva l'ora di presentarlo.

La mattina si recò nell'ufficio del signor Truman, doveva consegnare un tema sull'arte preistorica. Dietro la sua montature sottile sempre troppo calata sulla punta del naso aquilino la ricompensò con uno sguardo compiaciuto. Gli faceva piacere che un'alunna avesse tanto a cuore i suoi doveri, tanto da presentarsi addirittura quindici minuti prima dell'ora prestabilita. SI, beh, non l'aveva fatto di proposito. O meglio, non l'aveva fatto di proposito per compiacere lui. Imboccò le scale e si diresse verso l'ufficio di Lauren. Notava che gli studenti più intrepidi aprivano l'uscio e chiedevano gentilmente cosa ne pensasse, ma lei si limitava a dare la solita risposta, come un centralino con la segreteria preimpostata. «Le farò sapere nel weekend.» Era contenta che non tutti gli alunni dessero peso alle leggende metropolitana millantate per i corridoi, però doveva ammettere che la corvina non faceva del suo meglio per tornare a farsi apprezzare. Dopo che Maria, una sua compagna di corso, ebbe presentato il suo lavoro, la cubana entrò nell'ufficio.

Lauren era china sulla scrivania, non si curava nemmeno di chi entrava o di chi usciva. Stava correggendo alcuni compiti, e dal modo in cui svolazzava la penna rossa non ne sembrava molto entusiasta.

«Secondo me dovrebbe usare un altro tipo di rosso.» Scherzò, poggiando il quadro coperto accanto agli altri.

La donna alzò solo gli occhi, non si degnò nemmeno di raddrizzare il capo mentre la squadrava impassibile. «Come, prego?» Rispose afona, ma senza nascondere una punta di superbia.

«Ah.. Era una battuta.» Riportò lo zaino sulla spalla, sospirando avvilita. Perché nessuno capiva mai la sua ironia? Era un problema suo o degli altri? Ecco, ora sicuramente avrebbe potuto attingere ad una tonalità di rosso direttamente dalle sue gote.

La corvina la fissò per un tempo indefinito, minacciando la sua sanità mentale. Non solo si sentiva eternamente instupidita da quelle labbra aspre e piatte, ma doveva anche tollerare lo sguardo di tralice che tentava di inquadrarla come se volesse dipingere un ritratto ma non sapesse da che parte cominciare. «Buona giornata.» Tagliò corto, riportando gli occhi sul foglio.

Già.. Ispirò a fondo, chiudendo l'uscio alle sue spalle. Forse sarebbe stato meglio se avesse ascoltato le parole di Ally. Forse averne paura era un vantaggio, visto come la faceva sentire anche il più truculento dei suoi sguardi.

Camila trascorse la giornata fra lezioni e chiacchere. Strinse amicizia con qualche ragazzo del corso, che però non le rivolse nemmeno un saluto quando lei declinò gentilmente un invito ad un'altra festa. Non era lì per quello, e non le interessava che gli altri lo capissero. Dinah, come sempre, non lo capiva.

Il martedì e il mercoledì trascorsero nella calma più totale. Fortutnamente erano tutti concentrati sugli esami, che ogni due settimane venivano richiesti in base a quale corso frequentavano, e non c'era corridoio, a parte quello degli spogliatoi dei giocatori di football, che non imitasse il rigoroso silenzio della biblioteca. Quando l'androne si colmava di studenti e i più dormigliona arrivavano tardi, molto spesso si riunivano in mensa o in giardino per studiare insieme, ma quando era troppo afoso per l'aria aperta e troppo complicato focalizzare l'attenzione sui libri invece che sul contorno del giorno, allora si doveva fare lo slalom per i labirinti di cemento, stando attenti a non inciampare nelle gambe di qualche studente accampato. Il venerdì sarebbe comunque finito tutto, era l'ultimo giorno per dare gli esami, dopodiché sarebbero tornati tutti a risentirsi per i rifiuti alle feste. Camila, invece, si rammaricò con un giorno d'anticipo. Il giovedì sera, Lauren caricò i voti online, e Camila rimase a bocca aperta davanti alla "F".

F? F?! Brutta stronza una F?!

Era infuriata, e lo sarebbe rimasta fino al lunedì, ma non poteva aspettare tanto per esprimere il disappunto, rischiava di farsi venire un'ulcera. La mattina dopo era già di marcia verso l'ufficio di Lauren. Suo padre le aveva sempre detto di non agire quando teneva i pugni serrati e gli occhi assottigliati, era il momento in cui ragionava meno, ed era capace di dimenticare qualsiasi circostanza rivoltando la situazione a suo sfavore. Ma non sentiva Alejandro da qualche giorno, e in quel momento non era in grado di ricordare a sé stessa i consigli paterni. Entrò nell'ufficio di Lauren senza bussare. La donna stava raccogliendo dei documenti, quando la cubana irruppe nella stanza. Non fece in tempo a voltarsi che Camila aveva già recuperato il suo quadro dal mucchio e lo aveva esposto sul cavalletto vuoto che campeggiava alla sua sinistra.

«Le sembra un quadro da F?» Domandò schietta, fulminandola con lo sguardo.

Lauren la contemplò sbigottita. Ma nemmeno il suo sconcerto le permise di distendere i muscoli. «Ha perso la testa?»

«L'ho fatta prima io la domanda, e voglio una risposta.» Dichiarò perentoria, sfidandola a viso aperto.

Lauren depositò i documenti sulla scrivania e si avvicinò a passi lenti verso di lei. Anche il suo sguardo bruciava, ma Camila era troppo arroventata per sentirlo. «Come si permette di piombare nel mio ufficio con quest'aria?» Sibilò, abbreviando notevolmente la distanza fra loro.

«Voglio solo sapere perché mi ha messo una F. Questo dipinto vale molto di più e lo sa anche lei.» Forse
quella donna era una assassina, ma non significava che anche Camila non poteva esserlo.

«Lei ha seguito i miei consigli. Non ha fatto di testa sua.» Tagliò corto. La stava prendendo in giro?

«Ma se me l'ha detto lei!» Sbottò incredula Camila.

«Se nella sua carriera seguirà sempre ciò che le dicono gli altri non arriverà da nessuna parte. Non ho visto quello che voleva rappresentare lei. Li c'è il colore che le ho chiesto, non quello che voleva lei.»

Camila sentì montare una rabbia incontrollabile dentro. Sotto il cavalletto ristagnavano dei tubetti di colore. S spalmò una quantità ingente di verde scuro sul palmo, fino a ricoprirlo interamente. Nessuna delle due si aspettava quel che stava per succedere.

Camila ammezzò le distanze e le spiaccicò la mano sul collo, tracciando una grossa scia sulla pelle della donna, imbrattandole interamente la parte sinistra. «Ecco, avrei usato questo.»

Lauren abbassò lo sguardo sulla macchia di colore. Camila iniziò a calmarsi e piano piano che riacquistava il senno sentiva sempre di più i sensi di colpa mangiarla viva. Gli smeraldi di Lauren tornarono lentamente su di lei. Ustionavano. Cosa cazzo aveva fatto?

«Oddio.. Mi dispiace, io.. Non so.. Non volevo.» Farneticò, incapace di chiudere la mano ancora imbevuta di colore.

Se Lauren era davvero un'omicida non c'era momento migliore per ucciderla. Camila chiuse gli occhi quando la donna avanzò un passo, ma invece di conficcarle un coltello nel petto le afferrò la nuca e schiuse le labbra contro le sue, attirandola a sé. Camila rimase di stucco. Era l'ultima cosa che si aspettava facesse, ma la migliore che potesse fare. La cubana avvertì la famigliare scossa al ventre propagarsi lungo la spina dorsale, solo che stavolta non doveva preoccuparsi di contenere i gemiti. Fu Camila ad approfondire il bacio, aggiungendo benzina alla corsa già spericolata. La lingua della cubana sgusciò nella bocca dell'altra, che respirava affannosamente nella sua. Il corpo della corvina era schiacciato contro il suo, sentiva le prosperità e aderire alla sua pelle e quello bastava per eccitarla. Lauren la condusse verso la libreria, ma andarono a scontrarsi col dipinto, che traballò instabile. Camila si distaccò solo per un istante, osservando gli occhi della donna dentro i suoi. Lauren le sfilò maglietta e reggiseno con urgenza, senza distogliere lo sguardo dal suo. Prima che la cubana le ricordasse che la porta non era chiusa a chiave, la corvina aveva già intinto le dita nella tempera rossa conservata in un vasetto lì vicino. Con cura fece scivolare l'indice e l'anulare sopra il collo della donna «Questo rosso ti piace di più?» Chiese sorridente. Camila le artigliò le dita e le condusse sul suo seno, colorando orizzontalmente le rotondità. «Qui.» Sospirò trafelata.

«Cazzo, tu vuoi uccidermi.» Esalò a corto d'ossigeno la corvina, tuffandosi nuovamente sulle sue labbra, con maggior slancio. Camila si avvinghiò alla sua nuca, facendo attenzione a non sporcarla con la mano verdastra, e lasciò che la pilotasse verso la scrivania, dove si sedette a gambe aperte.

Lauren affondò lingua e fianchi su di lei, credendo che quel boccheggiare fosse più artistico di qualsiasi quadro avesse nella stanza. Camila l'attirò a se, e saldò le caviglie sulla schiena della corvina. Lauren la guardò negli occhi mostrandole le dita rossastre. «Dove le vuoi?»

Camila le arpionò il polso e lo scortò sull'ombelico, lentamente lo condusse lungo la sua pelle, sporcandosi fino all'orlo dei pantaloni. «Dove, Camila?» Insistette la corvina, leccandosi le labbra per gustare il respiro della cubana contro di esse. Camila esitò. Non che non volesse, ma le faceva un po' effetto pensare di avere due dita colorate là sotto, pensava che si sarebbe messa a ridere.

Lauren puntò il ginocchio contro il suo centro, strappandole un gremito arrochito più acuto degli altri. «Qui?»

«Si, Dio. Si.» Mugolò Camila, che ora al pensiero delle sue dita dentro di lei non rideva affatto. Aveva solo bisogno di sentirla.

Lauren accennò un sorriso malizioso. Portò la mano sotto i suoi jeans, ma non quella pitturata, e lentamente scese fino alla sua entrata. «Non sapevo ti piacessi tanto.» Ridacchiò constatando la situazione del suo intimo.

«Sta' zitta.» La cubana immerse la mano sul suo collo, ormai senza rischio di macchiarla, e l'attirò in un bacio famelico. Lauren la stuzzicò laddove aveva più bisogno, sorridendo ogni volta che Camila inarcava la schiena di desiderio. Poi finalmente soddisfece la sua necessità, penetrandola con due dita.

Dovette soffocare il gemito in fondo alla sua gola con un altro bacio, c'era il rischio che qualche mattiniero le sentisse. «Devi fare piano, Camila.» Sussurrò al suo orecchio, ma intanto aumentava il ritmo del polso, costringendola ad ogni spinta a mordersi le labbra sempre più forte per arginare i mugolii. Alla fine si appoggiò contro la sua spalla e conficcò i denti direttamente nella pelle della corvina.

«Dio, Camila.» Bisbigliò senza fiato, spingendo le dita contro le pareti contratte della cubana. E lei che pensava nemmeno si ricordasse il suo nome.

Lauren lasciò che Camila muovesse il suo torace nudo contro di lei, beandosi della sensazione delle sue estremità turgide attraverso la stoffa fine. La cubana alternava i morsi a baci contro la sua epidermide, lentamente risalì lungo l'ansa del collo, leccando un lembo di pelle della corvina che per un attimo flesse tutta la muscolatura, permettendo a Camila di gratificarsi sorridente dell'effetto sortito. La cubana si irrigidiì contro di lei, abbarbicandosi mentre un ultimo spasmo le contraeva arti e respiro. Lauren per poco non le cadde addosso, tanto voleva sentirla vicino mentre fremeva per lei. Poggiò giusto in tempo le mani contro la superficie alle loro spalle, sostenendo sia il suo corpo, eletettrizzato, sia quello della cubana, convulso. Quando ebbe ripreso fiato, la sincronia degli ansiti nell'ambiente richeggiava come una sinfonia sinistra, come se avessero appena aperto gli occhi sulla realtà e la realtà non poteva che giudicarle colpevoli.

Camila riuscì a ristabilizzare l'equilibrio del peso, portandosi a sedere con le spalle dritte. Lauren aveva allontanato le mani da lei, ma i bottoni della camicia erano ancora allentati. Non la guardava più, era immersa con lo sguardo oltre la finestra, però i suoi pensieri le impedivano di vedere il paesaggio.

Prima che le mani della corvina abbottonassero la stoffa, Camila allungò le dita intrufolandosi nel tessuto bianco. Gli smeraldi di Lauren guizzarono su di lei. «Ho voglia di toccarti.» Sussurrò la cubana, scindendo la camicia lentamente, asola dopo asola.

La corvina le arpionò il polso e scosse la testa. «Non sarebbe dovuto succedere.» Non capiva se stesse incolpando sé stessa o Camila, ma sicuramente non avrebbe permesso che si prorogasse la protesta della cubana.

«Tu fai sempre così? Pensi alle conseguenze dopo aver agito?» Inarcò un sopracciglio, sentendosi una stupida davanti agli occhi di Lauren, ancora discinta e mezza sporca di pittura.

La corvina emise un sospiro frustrato. Sembrava che più parole Camila pronunciava, più accresceva la sua certezza di aver commesso un errore che aveva fatto di tutto per eludere. «Non ci saranno conseguenze perché non è successo niente.» Raccolse la t-shirt della cubana e gliela porse. I suoi occhi si rifiutavano di guardare anche il tessuto accartocciato che avevano in mano, come se bastasse quello ad elidere ciò che ancora ansimava dentro di loro.

Camila la fissò imperterrita. Le prese bruscamente la maglietta di mano e se la infilò solo una volta che fu scesa dalla scrivania e le ebbe dato le spalle. Non le disse niente prima di uscire. Una cosa era certa: se ne andava ancora più arrabbiata di quando era arrivata.

——

Ciao a tutti!

Ho deciso di pubblicare il seguito della storia perché mi piaceva molto com'era venuto il capitolo. Questo non significa che ne farò una storia completa o non ne farò una storia completa. È solo un aggiornamento extra 😉

Grazie.

Sara.

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