Time After Time
Le luci accecanti al neon hanno lo stesso bagliore di quelle del palcoscenico, solo che qui gli spettatori tengono il capo chino e a malapena ti guardano. Noi siamo abituate al chiasso, ma non sappiamo come adattarci al silenzio. Quella é la parte più difficile.
Il passo rapido del dottore non interrompe niente. Ormai non parliamo molto. «Buongiorno, come andiamo oggi?» Ci rivolge un sorriso volante come il suo camice. Per lui siamo alcuni fra i tanti numeri sulla cartella, ma questo non alleggerisce il senso di ingiustizia che proviamo, anzi.
«Come ieri, dottore.» La voce rauca di Lauren adesso non graffia più, é un suono appena udibile perfino da noi assuefatti al suo sussurro.
Il suo assenso asettico é quasi un insulto. «D'accordo. Insistiamo con i medicinali, non demordiamo. Se però la situazione non migliora entro la settimana prossima, dobbiamo pensare seriamente all'intervento.» Sottolinea la parola come fosse una delle peggiori malattie che é abituato a snocciolare nell'arco della giornata: seriamente.
Lauren osserva le lettere fluttuare nell'aria frapposto fra loro, due pistoleri che non hanno mai camminato all'indietro. «D'accordo, dottore.» Non si ode alcuno sparo, ma qualche sogno é morto.
«Va a casa a riposare. Ci vediamo domani. Camila.» Rapidi cenni, passo celere, non un secondo da perdere, da sprecare. Tutto é contenuto nella frazione di pochi istanti per non farsi cogliere da insperate emozioni e il tempo é il maggior affabulatore di emozioni.
Gli smeraldi della corvina sono onice, materia oscura in cui gravitare senza sapere quanto tempo valga un minuto nelle sue orbite; potrei perdere cinquant'anni con un battito di ciglia.
«Lauren, non perdiamo la speranza proprio ora.» Sono il primo astronauta a sondare la faccia nascosta della Luna...
«Quale speranza, Camila?» ...Ad ogni passo, un cratere.
Torniamo tacitamente a casa. Ormai il tragitto di andata e ritorno é segnato da un silenzio gemellare, ma eterozigote: il primo é il silenzio della paura, il secondo della rabbia, due geni diversi della stessa spirale. Lauren sbatte la portiera e marciando lascia aperta la porta di casa, senza accertarsi di quando e se la seguirò. So già cosa mi aspetta. É un film già girato, ma non arrivano mai i titoli di coda. Accosto gentilmente l'uscio e mi dirigo nella nostra stanza. Lauren, prona, osserva il soffitto; fortuna mente i desideri non son potere, altrimenti sarebbe venuto giù assieme al cielo.
«Non puoi fare così ogni volta.» Suona come un rimprovero, ma é un incoraggiamento. É quasi impossibile toccare il dolore altrui senza offenderlo. Offende come la mano tesa mentre anneghi dove tocchi: se mi trascini a riva tutti sapranno che non ho ancora sfiorato il fondo e avevo già i polmoni pieni.
«Scusa se ti infastidisce vedermi di cattivo umore mentre la mia vita va a farsi fottere!» Alza il tono rimirando all'insù, inveisce contro qualcuno che ha sicuramente altri impegni per badare a lei. Ma la sua é la mano che vorrebbe meno di tutte, quella che le ha offerto un dono e poi l'ha colpita per aver osato prenderlo.
«Non volevo dire questo.» Abbasso la testa, ma non perdo la pazienza. Qui dentro si sono perse già troppe cose per andare in fallimento con una semplice parola. Fallimento, di questo, invece, ne abbiamo in abbondanza.
«Lo so, mi dispiace.» Stropiccia gli occhi prima di tirarsi a sedere. «Nemmeno io.» Ammezza un sorriso, un'offerta caritatevole per un mendicante é comunque un miracolo. Non mi sento meno fortunata.
Mi siedo accanto a lei. La mia mano scivola sulla sua. Intreccio le dita. É già una promessa. «Lauren, non perderai la voce, te lo prometto. E finché non recupererai le piene forze per cantare, lo farò io per tutte e due.» Ridacchia, ma sa che non scherzo. Perché dovrei scherzare? Alla fine, me la cavo con la musica, almeno questo dicono ai nostri concerti. «Cosa vuoi sentire ?»
«Piantala.» Scuote la testa, ancora avvampa ad avermi tutta per sé.
«Scelgo io?»
«Camila, finiscila.» Il rossore si confonde al biancore dei, una mela succosa da mordere.
«Scelgo io.» Mi piace preservare il potere di imbarazzarla, come se dopo tutto questo tempo temesse ancora di non poter fare colpo su di me. Eravamo due ragazzine allora. Ora non lo siamo più.
Intono sommessamente il verso di Time after Time. Una canzone a noi cara. Si copre il viso, ridacchiando; come se non fosse la centesima volta che canto per lei o, più banalmente, accanto a lei. Ci siamo conosciute così, ci siamo scelte allo stesso modo. Restiamo sul bordo del letto a ondeggiare sulle note della canzone finché lei non é abbastanza tranquilla da sfidare le pene del sonno. Mi attira sul materasso, ma non smetto di canticchiare malgrado lei tenti di impedirmelo prima con la mano poi con la bocca.
*****
Paura: «Emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia.» Io e Lauren attraversammo tutte le fasi in un attimo solo.
Non avevo compreso tale definizione finché non mi ero ritrovata nello studio del dottore Michealson quella mattina. Le sue parole decapitarono le nostre speranze; speranze criminali, speranze ladre, speranze mefistofeliche: moriva tutto ciò che toccavano. Streghe da bruciare. Al rogo.
E mentre le nostre ultime aspettative incenerivano, la paura bagnava il fuoco in cui ardevano: le spogliava di fiamme non per salvarle, ma per farci vedere cosa restava dei loro corpi: scheletri, fantasmi.
«Mi dispiace molto, Lauren, ma come medico non posso acconsentire a proseguire una cura inefficace.» Unì le mani per infonderci coraggio, noi avevamo bisogno di una preghiera. «Dobbiamo affrontare il problema di petto e operare. Non é detto che tu perda la voce, talvolta assistiamo ad un recupero del 78%.»
«Il 78%.» Ripete assorta.
«Si!» Esclama entusiasta il dottore, ma Lauren non ricambia. Non sa che innalzando una bandiera, ha scavato una fossa col suo piede.
Le logistiche sono la parte peggiore. Lunghe attese, code di persone in fila per patteggiare con la morte, barattare con la vita; qui siedono vicine, sono alleate: in cambio del mio lavoro, posso avere un fegato nuovo? In cambio della mia passione, posso ricevere un rene funzionante? Prenditi il mio talento, lasciami le corde vocali.
Lauren firma un plico di documenti, poi passa ai prossimi. L'ultima volta che ha apposto la sua firma in calce alla pagina, é stato nell'ufficio di Simon, mentre strappava dal suo futuro il primo morso; ora sta contrattando con la sua vita. Non sapevo nemmeno le esistenze fossero in vendita.
Il silenzio nel tragitto di ritorno é diverso. Non c'è più rabbia da sedare o paura da somatizzare: tutto ciò per cui temeva é giunto, ed é assurdo pensare a quanto sollievo ci sia nell'affrontare il peggio senza aspettarlo più. É l'attesa della fine a macerare i sensi, non la puntualità con cui arriva. A quel punto siamo già pronti.
Preparo la cena per due. Mangio da sola. Quando entro in camera, lei é già sotto le coperte e pretende di dormire. Non ha voglia di parlare, deve imparare a non farlo, a convivere col silenzio delle sue giornate e a non sentirlo come un nemico nelle stanze. Mi stendo e l'accontento. Niente parole per stanotte.
La mattina dopo, Lauren sta già facendo colazione quando entro in cucina. Sembra un buon momento per parlare, quando tutto comincia nell'alba di un nuovo sole.
«Buongiorno, hai dormito bene?» Terribile come pretendo sia un normale lunedì mattina. Ma la cosa ancora più terribile, é che lo é davvero.
«Diciamo.»
Inspiro pazienza ed espiro buonumore: «Beh, russare hai russato.» La stuzzico, sedendomi accanto a lei con la mia tazza di cereali già inzuppati.
Non risponde. Ok, sarà più difficile del previsto. Time after time.
«Hai anche avuto il coraggio di colpirmi con i tuoi piedi freddi almeno...»
«Piantala.» Il tono ricorda un tomo che cade, una porta che sbatte.
Non ha niente a che vedere col timbro dell'ultima volta, quel fare scherzoso e amorevole. La mela é caduta dall'albero, anzi; l'albero é proprio marcito.
Incasso senza innervosirmi. Fa comunque male, sia chiaro, ma ora non possiamo confrontare i due torti e decidere se sia peggiore l'ingiustizia o l'abnegazione. Sacrifica di più chi viene condannato dal male o chi è costretto a dividerlo a metà? Non voglio chiederlo.
«Lo so che é adesso sembra tutto nero...»
«Camila, finiscila.» Con la stessa occhiata con cui taglia l'aria taglia anche la conversazione. Non parlare. Le parole sono proibite, per me. Questa casa diverrà la dimora del silenzio, la tomba del suono. Non sei contenta, mia cara? Nessuno urlerà più quando litigheremo. Mi odiavi per la mia irascibilità, ora dovrai amarmi alla follia, cara.
«Lauren, non credo che chiuderti in te stessa e non affrontare il...»
«Tu non sai niente.» Sputa quella sentenza come avesse appena ingerito un seme marcio. La nostra mela avariata. Eva ha colto qui il simbolo del peccato mortale. Il nostro giardino dell'Eden, un inferno irriconoscibile.
«É vero, ma puoi sempre spiegarmelo.» Poggio una mano sulla sua. La scosta di scatto. Il serpente l'ha morsa, l'ha colta in flagrante a rubare ciò che lui stesso serviva e ha fatto quello che sa fare meglio: tradire.
«No, non posso, perché a breve non parlerò più.» Sardonica mi osserva, sardonico il suo dolore.
«Questo non lo sappiamo.»
«E allora?!» Esplode facendomi trasalire. «Comunque non canterò più! É finita, chiuso! Chi sono senza canto!? Cosa mi rimane senza musica?!»
«Io. Ti rimango io.»
«Non é abbastanza!» É l'ultima cosa che urla prima che le corde vocali le ricordino di non potersi sforzare più di così. Almeno nessuna delle due la dimenticherà mai.
I miei occhi non hanno il coraggio di incrociare i suoi. Non é abbastanza. Mia madre lo dice sempre quando non impasto abbastanza velocemente il suo dolce. La mia maestra bollava come abbastanza sufficiente i miei compiti di matematica. Abbastanza latte nel caffè, abbastanza attività fisica per oggi, abbastanza biscotti per tutti... Una semplice parola mi tormenterà da oggi in poi. Qualsiasi abbastanza mi riporterà qui. E ricorderò di esserlo stato pure io, abbastanza.
«Scusami.» Si porta una mano sul viso. Vorrebbe piangere, ma se iniziasse adesso non finirebbe più e conserva ancora troppa rabbia per piangere. Il mare in cui affogherà non sarà delle sue lacrime, ma sarà altrettanto salato.
Non dico niente. Mi detesto per non riuscire a perdonarla, ma non mi impongo. Il resto della giornata trascorre in un silenzio religioso: da oggi in poi in questa chiesa ogni parola sarà opera del diavolo. Il pomeriggio é un soffio su ogni candela. Tutti ceri consumati, fiammelle sprecate. Prometeo ha rubato il fuoco agli Dei per l'umanità e noi ci sigilliamo le preghiere per un altro Dio: ironico, ma nessuno ride.
Alla fine della giornata, Lauren é già sotto le lenzuola. Mi stendo nel mio Tartaro personale; toccare ciò che voglio é impossibile. Mi giro dall'altra parte perché sono incline a rinunciare a ciò che non posso avere senza struggermi nella mia condanna. Lauren é sveglia, lo so. Riconosco i suoi silenzi già da molto prima che divenissero la sua unica forma di comunicazione. So auscultare il suo respiro come fossero passi dall'altra parte della porta.
Non so cosa dire. Non vuole sentire niente in ogni caso. So una cosa sola: se ora non faccio niente, tutti i giorni peggiorerà. Inspiro profondamente e spero di non sbagliarmi.
«Lying' on my bed, I hear the clock tick and I think of you...» La Mia voce é un Mormorio impercettibile, ha paura di rompere ciò che ancora non é in pezzi. «If you're lost, you can look, and you will find me... Time after time...»
Non dice niente, ma nemmeno mi interrompe. La mia canzone una ninna nanna nella notte.
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