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The Grudge



And I hear your voice every time I think
I'm not enough.
.
And we bot drew blood but, man
Those cuts were never equal.

———-

Sentire la mancanza di qualcosa che ti odia, é insopportabile; ma sentire la mancanza di qualcosa che odi, é imperdonabile.

In alcune storie non c'è un buono e non c'è un cattivo, c'è solo qualcuno che sbaglia più di qualcun altro. C'è solo una cosa che fa la differenza, ed é chi sbaglia nel tentativo di salvarsi e chi non rende conto nemmeno a sé stesso. Da quello che ho imparato, la lotta non serve se é un modo per ferirsi: non si può pensare che l'amore di uno salvi il cuore dell'altro, si rischia di vedere il nostro riflesso nel suo sangue.

«Ehi?» Non l'ho sentita entrare nella stanza, ma é normale per noi non sapere mai dell'altra.

«Ehi.» Le sorrido da dietro la mano, ma tutto quello che vorrei dire lo stringo nel palmo.

«Non hai sonno?» Domanda mentre appende la giacca, come fosse normale rubare la notte a più di una persona.

«Non molto.» Occhieggio il foglio sotto di me e, mentre é di spalle, lo giro a faccia in giù. Basta , niente parole per chi scuote la testa.

«Dovresti riposare, domani abbiamo le prove.» Cerca qualcosa nella tasca del giubbotto. Appena lo scova lo nasconde nei jeans; trovo parti di altre in ogni parte di lei.

«Sto scrivendo per domani, infatti.»

Solo l'informazione la ridesta dalla sua distrazione. Per lei sono più importanti le mie idee delle mie parole, che é un po' come dire mi stima molto ma non sa quanto pesi il mio cuore. Si avvicina a me sorridendo maliziosa; ora che ha qualcosa da rubarmi, si ricorda di me. Con un mezzo sorriso abbasso la testa, così quando mi é vicina mi cinge per le spalle. Le ossa si piegano sotto di lei, quasi volessero accoglierla dentro di me, diventare una cosa sola così da dimenticare quella che non ci piace.

«Non mi fai leggere niente?» Sussurra al mio orecchio colpendomi con il respiro.

«Non ancora... non sono sicura.» Gioco con il bordo del foglio; quest'indecisione appesa fra il nulla e il tutto compresa in un gesto tanto banale eppure incontrovertibile. Tutto quello che dice la mia mano é "indietro non si torna", ed è per questo che cade nel vuoto.

«Non sei mai sicura di quello che scrivi, quindi tanto vale...» Mentre allunga la dita mi rendo conto di quanto scontato sia per lei capovolgere il mio cuore, e non é nient'altro che la paura a farmi scattare.

«No, dai, davvero.» Sorrido ancora, quasi a scusarmi per voler conversare questo pezzo di me, quasi fosse giusto che ogni mio pezzo fosse suo. «Non ancora.»

Inspira a fondo e allontana le braccia da me. Ora che non avrà quello che vuole, di me cosa le interessa? «Va bene, va bene. Lo sentirò domani.» La sua mano scivola nei jeans e io non posso fare a meno di ricordare il pezzo di carta accartocciato al loro interno. Altre sponde dove riposare. «Buonanotte,, Camila.»

«Buonanotte, Lauren.» Dico, e mentre la osservo camminare dalla parte opposta alla mia, mi domando come si chiami la ragazza di stasera. Le auguro di non avere la mia stessa forza, di cedere prima.

Spengo la luce e vado verso il mio letto, che ho imparato essere solo per uno. Lei non lo sa cosa l'aspetta.

Le ragazze sono già in sala quando apro la porta. Si voltano tutte tranne Lauren, impegnata a leggere uno spartito assieme al nostro produttore. Mi approssimo al leggio senza render conto agli sguardi indagatori delle altre.

«Scusate.» Mi intrometto senza pensarci due volte (altrimenti non lo farei) e copro il loro sparito col mio. Lauren mi rivolge un'occhiata più confusa che infastidita. «Oggi proviamo qualcosa di diverso.» Coloro il mio risentimento, ma il rosso sulle mie labbra é tutto ciò da cui dovrebbe guardarsi.

«Non conosciamo le parole.» Replica alle mie spalle.

«Non importa, canto da sola.» La guardo dritta negli occhi. So cosa sta pensando "da dove esce questa ragazza? Che cosa ne ha fatto dell'altra?" L'ho uccisa in una canzone, Lauren, così non potrai averla mai più. «Così le imparate.» Dico rivolta alle altre. Purtroppo é questo il problema, in ogni guerra ci sono più innocenti feriti di quanta giustizia ci si possa fare, ma, a volte, bisogna sacrificare un bene per un male più grande.

Tutte acconsentano timidamente ed escono lentamente dalla stanza. Lauren non smette di fissarmi finché non varca la soglia; la spaventa sapere cosa ho in mente perché non sa di cosa sono capace, ma sta per scoprirlo.

La musica parte soffusa ma aggressiva, sento il sangue calcolare il tempo del battito e poi della canzone. Mentre la guardo, lo sa già che non mi perdonerà, ma cosa é un perdono in confronto a quello che deve ancora scoprire lei.

Le canto tutto in faccia, senza mai distogliere lo sguardo, perché non ho intenzione di uccidere qualcuno e coprirgli il volto, soprattutto se mi sto riprendendo il mio stesso cuore. Le ragazze sono entusiaste, vogliono incidere la canzone il prima possibile, tutte insieme. Ma non Lauren.

«Non mi piace.» Dice schietta, sollevando un imbarazzo generale.

«Quale parte?» Chiede Dinah.

«Tutta.» Risponde, ma verso di me. Bene, penso, ho smesso di soddisfarti tempo fa. Anche se é avvenuto solo ieri, é già abbastanza questo domani.

«Beh,» le dico tranquillamente, «puoi anche fare solo il coro.»

Avanza brutalmente un passo avanti, ma si ricorda in tempo di dove siamo; si vergogna di me nuda, ma si vergogna di più sé arrabbiata: «Se pensi di potermi escludere, sei fuori strada.»

«Volevo farti un favore, ma se hai cambiato idea puoi unirti a noi.» Scrollo le spalle, come se non importasse niente di tutto ciò, anche se non mi fa dormire la notte. É sempre così: pur di non apparire vulnerabile, nego il mio cuore anche a me stessa.

«Non sei tu a decidere!» Sbotta, puntandomi il dito contro. I microfoni sono ancora accesi perché dalla sala si sono girati tutti verso di noi.

Viro gradualmente verso di lei, mantenendo la calma perché non c'è niente che faccia sfigurare la furia quanto l'indifferenza: «La canzone é mia.» Specifico.

«Siamo una band, niente é tuo.» Guarda le ragazze ma nessuna di loro interviene.

«Cosa provo é mio.» Mi avvicino a lei. C'è riuscita a farmi arrabbiare.

Anche lei fa un passo verso di me, senza abbassare lo sguardo: «Da quando?» Sussurra sardonica.

«Da quando so quanto vale.» Non mi piace più questo gioco, ma non so arrendermi, non sono brava a pareggiare.

«Molto poco se lo canti a mezzo mondo.» Dice a denti stretti, talmente vicina a me che ora tutti devono aver capito, per forza.

«Almeno qualcuno lo ascolterà.» Stringo le spalle, ma non lascio la difesa.

«Non lo ascolteranno e basta, lo giudicheranno.» Preme sulle parole come fossero acini.

«Giudicheranno quello che scrivo o per chi lo scrivo? Dove sta il vero problema?» Inclino la testa con aria di sfida facendo un altro passo avanti. Sento gli sguardi di tutti addosso a noi, ma non sono io a dovermene preoccupare.

«Il vero problema sta nella tua testa, se continui a scrivere di me.» Non é volontario, ma la mano parte prima della testa. La colpisco sulla guancia con forza, lasciando un segno che resterà sempre più sulla mia che sulla sua pelle, e combacerà sempre.

«Ragazze, forse sarebbe meglio se...» Azzarda Ally, impacciata, ma Lauren la zittisce con un dito.

Il suo sguardo scotta, mi ustiona. Non le ho solo lanciato addosso la vergogna, ma anche l'infamia. Quale delle due sia peggiori, lo decideranno i giornali domani.

«Io e te abbiamo chiuso.» Sibilla digrignando i denti. «Sono fuori, dalla tua vita e da questa band.»

Malgrado alcune compagne si avvicendino per farle cambiare idea, Lauren ha già lasciato la stanza e ben presto prenderà un taxi e poi un volo e poi le nostre vite non saranno più nemmeno simili tra loro. E io resterò a chiedermi se un secondo sia valso una vita intera e mi risponderò sempre di sì perché nessuna gloria mi porterà via l'orgoglio... ma altro si.

Due anni dopo...

«Il prossimo!» Urlo, ma so che dovrò ripeterlo perché nessuno ascolta mai sopra la musica.

La coda scorre e i ragazzi accalcati davanti al bar sgomitano per accaparrarsi il posto. Solitamente vince la più carina e stasera é una ragazza con i boccoli biondi e gli occhi celesti. Vuole un Negroni e un americano, poi scompare assieme ai suoi amici.

«Il prossimo!»

Nuovamente ondeggia la fiumana davanti al bancone. Stavolta controllo senza interesse la folla, ma quando i miei occhi si poggiano su di lei rimango incredula. Gli occhi sono i suoi, i capelli, più lunghi, sono sempre gli stessi e non potrei dimenticare quelle labbra. Lauren mi riconosce subito. Il caso ha mischiato bene le carte stasera, anche in cielo si annoiano se stanotte quattro pareti contengono entrambe.

Si avvicina lentamente, senza distogliere il suo sguardo dal mio. L'ultima volta che l'ho vista, stavamo per fare milioni, per ricevere un disco d'oro e probabilmente iniziare un tour internazionale. Adesso solo noi conosciamo il nome dell'altra qua dentro.

«Ciao.»

«Ciao.» Vorrei poter dire che non ho aspettato questo momento, ma tutti meritiamo una resa di conti.

«Lavori qui?» Domanda, pentendosi della banalità.

«A quanto pare. Tu che fai qui?» Stupida.

«Ballo.» Si stringe nelle spalle per sottolineare l'ovvietà. Diventiamo tutti stupidi davanti a quello che ci toglie le parole. «Puoi farmi da bere?»

«Cosa vuoi?» Sto gridando troppo vicino alla sua faccia per non rinvangare certi ricordi.

«Quello che ti piace di più.» Si fida così tanto da affidare la sua vita nella mani di chi l'ha rovinata? Okay, mi piace.

Le verso l'alcol nel bicchiere senza moderazione e miscelo il gusto fruttato alle bollicine. Niente di sofisticato, non fa per noi la seta.

«Ecco a te.» Le passo il bicchiere.

«Come si chiama?»

«Live or Die.» Il suo sguardo si solleva piano piano verso di me e mi guarda di tralice. Mi stringo nelle spalle sorridendo, poi qualcuno da dietro, ci obbliga a salutarci, ma so che non é la fine. Con lei so sempre quando non é la fine.

La serata prosegue tranquilla, come sempre. So che con gli occhi la cerco, ma non riuscirei a trovarla in mezzo al fumo e alle luci. Ed é meglio così. Non sapere dove sia, con chi sia, cosa stia facendo... sono tutti vantaggi per chi non dimentica. Poi, però, puntuale come il destino ma crudele come il caso, sento la mia voce rimbombare nell'ambiente. Merda. Alla fine l'ho incisa davvero la canzone, ma con un altro nome. Però Lauren lo sa. Sa che é la sua canzone e ci sta ballando sopra, letteralmente.

A metà brano, mentre la discoteca si sta svuotando, la vedo giungere attraverso il fumo e sedersi di fronte a me. Le mie parole colpiscano l'aria con foga, con rabbia, ma i suoi occhi mi gelano. Quella era un'altra me e forse, dopo tutto questo tempo, le manca quella Camila, malgrado l'abbia fatta ammattire, ma ora sa che non può essere più sua, che può sentirla solo quando canta una canzone e che le ricorderà per sempre di aver perso tutta la rabbia del mondo che in fondo, come sempre, era solo speranza.

Appena la canzone finisce, la musica si allenta gradualmente fino a che anche le luci normali si accendono e tutti si dirigono verso l'uscita. Adesso Lauren osserva il fondo del suo bicchiere, non c'è più nessun buio a mascherarla. Cautamente sfilo il cristallo dalle sue mani, ma lei mi afferra prima che possa allontanarmi. Sussulto, anche se non so di cosa ho paura.

«Lo pensi ancora?» Chiede, issando i suoi smeraldi come barche rotte in fondo all'oceano: «Pensi queste cose di me?»

Sostengo il suo sguardo senza remore, anche se dentro di me tutto galoppa: «É importante?»

«É curiosità.» Rimarca autoritaria.

«La curiosità non ti garantirà niente stasera.» Perderò, é già chiaro ed evidente ad entrambe, ma almeno lo farò resistendo.

«Non voglio una garanzia, voglio la verità.» Mi guarda dritto negli occhi, mostrandosi spavalda persino verso la verità.

«Non ti pare di chiederla un po' troppo tardi?» Scuoto flebilmente la testa.

«Prima sarebbe stato troppo presto.»

«Non credo di pensarla come te.» Un sorriso sarcastico demoralizza la sua determinazione.

«Si, questo lo so. Ma purtroppo so anche di aver ragione.» Ergo: so che non lo ammetterai, ma io ti conosco bene, ti ricordi di me?

«Puoi tenerti la ragione e nessuna risposta, allora.» Scrollo le spalle. Non é mio il problema, é lei che domanda, io la risposta la so già.

Faccio per allontanarmi di nuovo, ma la sua mano scatta più in sù, verso i miei polsi, e li tiene fermo contro il bancone. La sua presa é gentile anche se irremovibile.

«Ho sentito quella cazzo di canzone per anni in tutto il Mondo. Dovunque andassi, mi seguivi, soprattutto se non c'eri. Uscivo dai negozi, cambiavo stazione radio, spegnevo la tv... Merito di sapere se ad oggi posso ascoltarla senza vergognarmi di me.» Anche se sono le parole più rabbiosa che abbia mai sentito, non ho mai visto una disperazione così accesa.

Vorrei lasciarla nel suo logorio, ma c'è più soddisfazione nell'indifferenza o nella lotta? «Lauren, quello che pensavo di te, oggi, rimane, ma non ti odio più. Spero questo ti basti, perché non ho altro per te.»

«Nemmeno un altro drink?» Inarca un sopracciglio, non so bene cosa mi stia chiedendo.

«Veramente...» Consulto l'orologio attaccato alla parete. Fuori é quasi mattina, ma qui dentro é ancora notte. Inspiro a fondo, arrendevole: «Lo stesso?»

«Magari più leggero, se non vuoi uccidermi di proposito.» Abbozza un sorriso.

«Allora ti stai affidando alla persona sbagliata.» Schiocco la lingua contro il palato, assaggiando il gusto del vantaggio. Anni fa era lei a tenere il coltello dalla parte del manico, ma ora non sono io a chiedere più tempo.

Le servo il drink con una nota di Tabasco in più, aggiungendo un tocco audacemente frizzante alla bevanda. Quando lo sorseggia, tossisce, strappandomi una risatina.

«Vuoi uccidermi davvero?!» Si pulisce la bocca con un po' d'acqua.

«Per così poco?» Mi allungo sul bancone, accanto ma non troppo vicino a lei.

«Per te é sempre poco prima di togliere la vita a qualcuno.» Alza il bicchiere nella mia direzione ma é più per coprire la sua espressione; sto parlando con il suo fantasma, adesso, almeno quello che ancora si aggira nella mia coscienza.

Inalo a pieni polmoni. Non so se dirglielo o meno, ma non scelgo, lo dico e basta: «Ho scritto un'altra canzone, dopo...» Dopo basta, lei sa di cosa parlo. «Era diversa.»

Si volta di scatto verso di me: «Diversa?»

«Diversa.» Annuisco soprappensiero. «Faceva comunque male, ma più a me che a te.» Sorrido, non voglio che veda oltre.

«E perché?» L'intensità del suo sguardo mi riporta indietro qualcosa che mi sento di evitare.

«Perché non urlavo più.» Ammetto. «Anzi, sai che c'è?» Tasto i jeans dove tengo il portafoglio. Stano il foglietto sgualcito e glielo porgo facendolo scivolare sul banco. «Puoi leggerla. Io non la voglio più.» Mi stringo nelle spalle. Quello che voglio dire é che non mi serve più questa ferita.

Lauren fa spola fra me e il foglietto, titubante lo accetta. Non lo apre però, dice che lo tiene per dopo. Sempre dopo. Il proprietario ci avvisa che stanno per chiudere. Cinque minuti, gli dico, ma lui risponde che me me li ha dati già dieci minuti fa. Sorridiamo entrambe e ci salutiamo. Niente abbracci, niente strette di mano: non esistono vie di mezzo per due estranee che hanno una cicatrice uguale all'altra.

«Ciao, Lauren.»

«Ciao, Camila.»

C'e ancora qualcosa di molto intimo nel chiamarsi per nome, nel sentire tutte le lettere scivolare sulle labbra portate dalla punta della lingua.

Quella é l'ultima volta che la vedo, ma non l'ultima volta che la sento. Si era dimenticata di chiedermi scusa, così, qualche mese dopo, sento la sua voce in radio ma sono le mie parole che canta. Bastarda, penso inizialmente, poi sento delle voci di sottofondo, un dialogo fra due donne che perdura per quasi tutto il finale della canzone e non sono più arrabbiata.

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