Peter
I won't confess that I waited
But I let the lamp burn.
Forgive me Peter, please know that I tried
To hold on to the days when you were mine
But the woman who sits by the window
Has turned down the light.
You said you were gonna grow up
Then you were gonna come find me
————
«Camila, sei davvero tu?» La sorpresa nella voce di Dinah le allarga un sorriso sul volto.
Mi stringo nelle spalle prima di aprirle le braccia. Lei esita nello stupore ma mi accoglie calorosamente.
«Ma quando sei tornata? Che ci fai qui?» Mi rimira da vicino per accertarsi sia tutto vero. Purtroppo lo é. O per fortuna. Non saprei dirlo ancora.
«Beh, é casa mia, dopotutto.» Per tanti anni non l'ho chiamata così. Abbozzo un sorriso spensierato, ma non sono sicura di poter essere del tutto sincera quando ancora aleggia il residuo della paura in me.
«Lo so, ma é passato così tanto tempo.» Sospira ancora esterrefatta. Mi voleva davvero bene. Gliene volevo anche io. Sfortunatamente tante volte si é costretti a lasciarsi indietro anche le cose belle, pur di scappare.
«Non abbastanza. Sembri ancora una ragazzina.» Le dico pizzicandole affettuosamente il mento.
«Tu sei invecchiata tento invece. Saranno i riflettori.» Mi sbeffeggia amabilmente.
É l'unica persona che potrebbe deridermi senza conseguenze. Tanto sono certa del suo affetto, da non dubitarne mai i risvolti.
«Ma smettila, scema.» L'attiro in un abbraccio che aspetto da anni. Dimenticare non é un atto univoco, non ha un solo intento e non si estende in tutte le direzioni. Dimenticare la metà di un dolore ma portarsi dentro la mancanza dell'altra metà, é quanto di più umano capiti a tutti noi.
Io non so se ho dimenticato. Non so se l'ho fatto abbastanza bene, almeno. Forse sono stanca di chiedermelo e per questo sono tornata. Forse sono solo stanca di provarci invece... Tra qualche ora lo saprò. Lo sapranno tutti. Strano come il tempo si allunghi come un elastico, fino al suo estremo, per poi schiacciarsi violentemente all'indietro, sfiorando il centro di sé stesso in due punti che diventano uno: il presente.
Dinah mi accompagna a casa aiutandomi con le valigie. Mia mamma sembra più felice di vedere lei che me, forse perché la presenza di entrambe nella stessa stanza le ricorda l'adolescenza che abbiamo vissuto interamente in questo salotto consunto. Non mi ero resa conto a quante cose avessi rinunciato. Scappando si conta solo il male. Ma che succede a tutto il bene ai margini?
Dinah ed io ceniamo con la mia famiglia e davvero gli anni lontani sembrano solo un ricordo, qualcosa avvenuto tanto tempo fa a cui nessuno pensa più, eppure fino a sei ore fa la somma aumentava di minuto in minuto. Non esiste solo la dimenticanza, ma anche il perdono. Il perdono di chi ha subito le tue scelte e ha dovuto trovare il modo di farsele andare bene. Io sono fortunata. Mi amano abbastanza per aver trovato più modi per perdonarmi.
Dinah mi propone di andare ad una festa insieme a lei. Credo sia una pessima idea, perché so benissimo come funzionano le cose qui: non cambia mai nulla. So che vedrò le stesse facce, gli stessi nomi... e che quindi ci sarà anche Lauren. Si, sono tornata per lei. Si, l'idea era di confrontarla subito. Ma é difficile rendersi conto che tutto il tempo passato a correre é servito solo per formare un cerchio nella memoria a cui ricongiungersi stanotte.
Dinah insiste talmente tanto che non posso dirle no. Non posso farlo soprattutto perché il motivo per cui l'ho delusa una volta non può essere lo stesso la seconda. Indosso un paio di pantaloncini, una maglietta corta e delle semplici sneaker. Sorrido nel riflesso allo specchio. Mi sembra di essere tornata a dieci anni fa. Sarebbe un bene? Se il tempo si fosse fermato qui, se avesse smesso di battere e tutti si ricordassero di me per com'ero? Eppure odiavo chi ero. Ma adesso mi manca quella ragazza.
«Pronta?» Si affaccia Dinah alla porta di camera, ampliando un sorriso fiducioso.
«Si.» Annuisco contenta e la seguo lungo le scale.
In macchina, la radio intona le mie canzoni e Dinah ride. Dieci anni fa, ascoltavamo i grandi successi attraverso le cuffiette assieme. Adesso lei può dire "ehi, ma io questa la conosco." É troppo strano per non riderne. Per lei sarò sempre e solo Camila, e non voglio altro che questo per sempre.
Quando raggiungiamo la casa sulla spiaggia, un sospiro mi si spezza sulle labbra. Le lancio un'occhiata risentita, ma bonariamente. Questa casa la conosco benissimo. É qui che ho visto Lauren per l'ultima volta, perché é qui che abita. Mi ricordo tutto come fosse oggi. Nella mia memoria non é passato un solo giorno. Condanna o privilegio? L'unico modo per non perderla era tenere vicino il dolore di alcuni attimi. Il ricordo é un luogo strano dove vivere; ogni abitante ha l'orologio impostato su orari diversi e ogni volta sei catapultato in un mondo che non esiste più ma che porta ancora il tuo nome. Nemmeno quando sono stata felice ho saputo liberarmi dalla landa dei ricordi. Qui sono tornata adolescente spesso, ho cambiato cuore ogni notte.
Dinah mi sollecita con un sorriso mentre mi scorta attraverso la folla nel giardino. Tutti mi indicano o bisbigliano di me, ma nessuno viene a salutarmi davvero. Avevo pochi amici, un tempo, e sono grata si ricordino della loro stessa indifferenza, non mi costringono a futili ipocrisie.
Ally e Normani sono troppo ubriache per impostare una conversazione seria, ma almeno mi evitano i convenevoli.
«Cazzo, Cabello, non credere di starmi più simpatica adesso che sei più ricca di me.» Mi intima Normani. Non mi aspettavo niente di meglio da lei. Sono quasi contenta non sia cresciuta.
«Non vorrei mai cambiare le tradizioni.» Alzo arrendevolmente le mani, strappando un sorriso ad Ally che sembra più lucida per ragionare su quanto stia succedendo qui.
«Sei sempre bella, Mila.» Dice quest'ultima, abbracciandomi.
Dinah mi sospinge verso alcuni vecchi compagni di corso e assieme ci ragguagliamo sulle nostre vite. Come se non conoscessero la mia a menadito. Sono sempre stati bravi a farmi sentire esposta e questo mi ha abituato ai paparazzi e i giornali. Mentre stiamo scherzando, un bagliore davanti a me mi distrae. Schermo gli occhi con una mano e grazie all'ombra riesco a scorgere, in lontananza, Lauren.
É come vedere un luogo in cui ho vissuto solo ad occhi chiusi venirmi incontro.
Purtroppo non é una brughiera o un tramonto, é una casa infestata, una città fantasma. Qui vivono solo i morti e i disperati e io non so quale dei due sia stata o sceglierò di essere. Sono stata forte a lungo. A che è servito? Anche gli eroi si annoiano di vincere l'aria.
Sulle sue gambe é seduta una ragazza. Una bella ragazza. Non avevo dubbi lo fosse. La corvina sta ridendo mentre tiene la mano sul suo fianco. Chissà se a lei ha detto la verità. Se prima di baciarla le ha dichiarato chi sia o se dovrà scontare la stessa pena che é toccata a me. Il dolore passa, la rabbia no. La rabbia ti trasforma, diventa parte di te, batte all'unisono assieme al cuore e, se non stai attento, é l'unica che gli altri riconosceranno. Vuoi davvero avere il volto del tuo colpevole nel tuo nome?
La donna si volta distrattamente verso i suoi ospiti. Noto il suo volto contrarsi nella mia direzione e poi appianarsi in un lampo di stupore. Rimane inerte per un tempo indefinito e tutto rallenta attorno a me. Alza leggermente una mano nella mia direzione. Proprio come anni fa. Le immagini sono fotogrammi che si muovano con sfinente lentezza davanti al mio sguardo. Ho conservato la stessa immagine negli occhi, in diversi colori e sfondi, ma era sempre lei, che mi salutava in fondo alle scale di casa sua, prima che scomparissi per cinque anni dalla sua vita come da quella di tutti gli altri. Ricordo la forma dei quadri, il suono del vento, i movimenti del suo corpo. Non ho fatto altro che ripensarci per un tempo talmente lungo da non potersi esaurire. E adesso lei mi sta salutando allo stesso modo. Come potrei non ricordare?
Otto anni fa...
Ci ha presentato Normani, per un progetto scolastico.
Quando l'ho conosciuta per la prima volta, ho pensato che fosse la ragazza più bella che avessi mai visto. Malgrado la sua bellezza sapevo che non ci saremmo state simpatiche. Invece mi sbagliavo.
Si, era totalmente diversa da me e molto spesso non comprendevo dove e perché reagisse tanto focosamente, il che lasciava spiazzata la mia temperanza. A volte pareva arrabbiarsi solo per avere qualcosa da dire. Non si rendeva conto che pendevano tutti dalle sue labbra anche senza la necessità di sminuirli. Con me non l'aveva mai fatto, forse perché si era conto dei miei silenzi durante le sue scenate. Non ero complice e questo mi rendeva tanto inutile quanto diversa. Per questo diventammo amiche. Se così si può definire un rapporto basato su poche ore di condivisione e qualche risata sporadica.
Di lei sapevo poco e nulla, ma tutti la conoscevano per quello che si era impegnata ad essere. Usciva con i ragazzi più grandi e quelli che erano più piccoli non lo sembravano perché avevano già lasciato la scuola da anni. La sua famiglia se la passava piuttosto bene, eppure lei aveva sentito il bisogno di usare droga prima e venderla dopo. Molto spesso le sue occhiaie si confondevano a dei lividi. Si sapeva che avesse dei fratelli, ma entrambi vivono fuori città per ragioni facoltose. Lei non credeva di avere le stesse capacità così si rovinava da sola per non sentirsi dire "te lo avevo detto"?
Impiegai un anno per guadagnare davvero la sua confidenza e porgere la domanda direttamente a lei.
«Perché lo fai?» Chiesi mentre ciondolavamo le gambe dal letto dell'edificio.
«Fare cosa?» Domandò ingollando un sorso di vodka dalla bottiglia.
Innalzai le sopracciglia nella direzione di quest'ultima discutibile scelta e lasciai la domanda fermentasse per qualche secondo in mezzo a noi.
«Perché mi annoio.» Disse. Se fosse la verità, non lo avrei scoperto a breve. Non mi diede mai una risposta diversa.
Può una persona distruggersi per divertimento? A volte per molto meno.
La sera del ballo scolastico, avevo accettato l'invito di Frank Abigail, uno dei ragazzi più promettenti dell'ultimo anno e di tutti quelli precedenti, per la precisione. Stavamo ballando un lento quando Normani venne a chiamarmi. Lauren si era messa nei guai.
«Che genere di guai?» Farfugliai nel suo orecchio.
«I guai che ti spaccano il naso.» Il suo sguardo rancoroso non era dedicato a me. Entrambe nutrivamo un affetto e una preoccupazione sincera per tutto quello che sfuggiva al nostro controllo ed entrava nel suo.
Mi scusai con Frank (che Grazie alla mia assenza ballò con Delilah Torrison, sposandola dieci anni dopo) ed uscii di gran carriera seguendo Normani nel parcheggio.
Lauren era seduta sul pick-up di qualche partecipante. La sua maglietta bianca grondava di sangue, ma niente in confronto al suo naso. Sospirai mestamente. Non c'era niente, di quello che avevo fatto, che fosse servito a salvarla. E se vogliamo togliere di mezzo l'arroganza della salvezza, quantomeno ammettiamo la modestia della redenzione. Il suo sorriso a trentadue denti non era per niente dispiaciuto.
«Camz, ti sei persa la festa. Quella vera intendo, non quella dove si balla.» Rise, mimando i gesti che poco prima l'avevano portata a un mare di rosso.
Guardai attonita la macchina scura sull'asfalto, chiedendomi chi rideva in faccia alla fortuna solo perché la morte era ancora troppo estasiata per venirsela a prendere. Feci spola fra il pavimento e la sua faccia, figurandomi perfettamente il momento in cui erano entrate in collisione e un giudizio universale l'aveva sottratta da sé stessa.
«Ma che cazzo hai fatto?» Mi sentii domandare con una voce al limite del materiale.
«Gli ho dato una lezione, ecco che ho fatto. Quegli idioti stavano per fare irruzione con le pistole ad acqua solo per rovinarvi la serata. Imbecilli.» Non sembrava un tentativo così nobile da rischiare la propria vita. «Ora, a me non frega un cazzo si niente di quei decerebrati che si ammassano là dentro, ma non volevo rovinassero la tua serata. Non sei contenta?» Nuovamente una risatina soddisfatta mi inchiodava sul posto.
Il suo sguardo si incupì fino a tramontare nel buio. «Non sei contenta davvero?»
«Lauren, potevano farti molto più male di così.» Dichiarai in mia difesa, ma senza permettere allo sconcerto di superare la rabbia.
Aveva bisogno di una lezione, una che non le sarebbe rimasta sul viso ma che l'avrebbe tenuta sveglia la notte. Al costo di perderla, per salvarla.
«Ma che dici!» Ridacchiò scendendo con un balzo dal pick-up. «Erano tre idioti, si capiva lontano un miglio.» Con un gesto vago scacciò l'ipotesi, quasi ridicolizzandola. Normani le disse qualcosa, ma non le rispose nemmeno. Mi fissava dritto negli occhi. Ero l'unica di cui le interessasse la parola.
«E tu perché eri qui?» Pronunciai con voce greve, notando le sue spalle irrigidirsi e il suo mente incurvarsi verso l'alto.
«Ero qui per il ballo.»
«No, perché cazzo eri nel parcheggio?» Inclinai minacciosamente la testa nella sua direzione.
«Camila...» Scosse la testa con il solito sorriso scanzonato in faccia, ma non sapeva più mantenere una posizione statuaria e guardarmi negli occhi assieme. Li distolse.
«Avevi detto di aver smesso.»
Mi sentii così stupida ad averle creduto. Malgrado tutte le promesse infrante, se giurava il contrario dei suoi errori, io le credevo. Se mi garantiva di essere a posto, io le credevo. Se stringeva una nuova promessa, io mi fidavo. Puoi passare anni interi a chiederti come sia possibile avere fede in una bugia, e puoi risponderti in migliaia di modi diversi fino a trovare quello che ti fa dormire la notte, ma senza mai perdonarti davvero. Lauren era troppo presa da sé stessa per conoscere la gravità del danno che causava a chi le stava vicino, ma questo non mi rende meno vittima tanto quanto non mi rende meno colpevole.
«Infatti ho smesso. Ho fatto solo un'ultima consegna, solo per... Camila! Cazzo.»
«Non seguirmi e non parlarmi.» La sua mano afferrò il mio braccio mentre rientravo. Mi girai di scatto, divincolandomi duramente dalla sua presa. Ancora oggi sento lo strappo fra la sua mano e il mio corpo come un crimine a mio conto. «E sopratutto non toccarmi.» I nostri sguardi si compenetrarono. Il mio lava, il suo melma.
Girai i tacchi e me ne andai. Tenni fede alla mia parola per mesi. E per mesi lei si presentò a scuola in orario, senza alcun ematoma visibile. Le brutte compagnie che frequentava prima, non sapevano più niente di lei e soprattuto teneva sempre lo zaino aperto, come per farmi vedere che non aveva niente da nascondere. Lasciai passare del tempo che fece più male a me che a lei, ma che perlomeno servì a qualcosa. La maggior parte delle volte non serve a niente, per quanto sia consolatorio crederlo. Questa, però, ebbe uno scopo ed é il più grande regalo che il tempo possa farti.
Fui io a parlarle per prima. La raggiunsi ai suoi armadietti e le diedi un biglietto in mano: «Sabato sera festeggio il mio compleanno al molo. Qui c'è l'indirizzo.» Non chiese niente, non protestò e soprattutto non rifiutò.
«Passo a prenderti io.» Fu il suo unico compromesso.
«Ottimo.» La rimirai negli occhi per qualche istante e stavolta la lava aveva già pietrificato tutto, la melma aveva ricoperto il resto. «A sabato.» E me ne andai, sorridendo mentre le davo le spalle per ritardare la soddisfazione di avere ancora la sua amicizia.
Purtroppo le cose non andarono bene a lungo. I genitori di Lauren decisero di separarsi e ci fu una discussione prolissa su chi dovesse coabitare con Lauren nel suo ultimo anno da minorenne: nessuno dei due la voleva.
Lei rideva e scherzava a riguardo, ma aveva ripreso a colorarsi la faccia con la violenza altrui e a tenere lo zaino chiuso durante tutte le lezioni. Ogni volta che parlavo con lei, sembrava non essere mai sobria. Non so dove si procurasse alcol e droga, ma so che ne aveva in abbondanza. Per quanto fossi allarmata, non mi sentivo in grado di redarguirla, quindi facevo solo in modo di starle vicino, anche quando non mi voleva, anche quando la mia vicinanza scatenava la sua collera, anche quando mi urlava contro solo perché cercavo di non lasciarla sola. E poi trovò il modo per allontanarmi.
Se la violenza non mi spaventava, se la droga non mi dissuadeva, se l'alcol non mi disgustava, poteva solo contare di ferirmi. E così iniziò ad uscire con Brittaney, a baciare Taila, a portare in macchina Selene. Di certo non potevo restare nei paraggi quando metteva in atto questo suo gioco sporco.
E allora sì che mi sentii una stupida. Mi preoccupavo di non poterla aiutare mentre ero io a dover raccogliere i pezzi di me stessa. Ad un certo punto penso di aver fatto confusione fra i miei e i suoi pezzi. Credo di averli messi assieme nel modo sbagliato. Credo di aver unito i miei ai suoi e di aver cambiato parte delle mie ossa con i frammenti di Lauren. Non so se lei se ne sia mai accorta. Non so neppure se sia vero. Ma per diverso tempo, sia durante che dopo, scontavo sia la ferita che la pena.
Alla fine si fidanzò con Lucy. Non poteva fare scelta più sbagliata. Lucy era esattamente l'ultima cosa di cui aveva bisogno, per questo le piaceva, perché non metteva limiti alle sue follie. Non posso nemmeno incolparla. Lucy, al contrario di Lauren, non aveva niente. Aveva solo lei. Ma non era Lucy che volevo riportare a riva. Mi spiace, ma tutti abbiamo una forza limitata.
«Lauren, stai impazzendo, come fai a non renderete conto?» Le dissi una sera, durante una festa a casa di sua madre, che alla fine aveva ottenuto a malincuore la custodia.
«E tu sei noiosa, come fai a non rendertene conto?» Sbuffò con i suoi occhi dilatati e il trucco sbavato. Quanti giorni era che non mangiava qualcosa che non fosse allucinogeno? Fece per aprire un sacchetto per niente invitate e io glieli strappai dalle mani. Non lo avevo mai fatto prima.
«Adesso basta!» Ordinai, e per la prima volta sentivo il mio cuore palpitare. So che mi voleva bene, ma non sapevo cosa potesse succedere quando privi un uomo alla deriva della sua unica zattera.
«Ridammelo subito.» Ingiunse a denti stretti. I suoi occhi tenevano sotto controllo solo quella bustina.
«Chi cazzo te l'ha data questa, eh?» Domandai, ma il suo silenzio era già una risposta eloquente. «Certo, ovviamente.» Proferii fra me e me e prima che potesse fare qualcosa, uscii furiosamente dalla stanza, inseguita dai suoi richiami.
Lucy era in giardino a fumare con dei suoi amici, che ormai erano amici anche di Lauren, quando irruppi nella loro combriccola, seguita dai passi malfermi della corvina.
Lanciai la bustina contro la faccia di Lucy, che scattò in piedi.
«Tieni la tua merda per te e i tuoi amici del cazzo.» Dissi senza riflettere sulle conseguenze, senza preoccuparmi del suo sguardo rosso o del suo respiro instabile.
«E tu chi cazzo pensi d'essere, eh? Giri attorno a Lauren come se solo tu potessi conoscerla davvero, eppure sei solo una povera illusa senza un minimo di dignità.» Disse ringhiandomi in faccia. Non mi mossi di un millimetro.
«Ragazze, adesso basta.» Ci intimava Lauren, ma nessuna delle due cedeva.
«Io non penso di essere nessuno,» dichiarai e attorno a me l'aria si fece frizzante, pericolosa. «Ma penso tu sia una drogata.» Lucy non se lo fece ripetere due volte. La sua mano volò in aria fino ad impattarsi con la mia guancia.
Un fischio sordo mi rese inconsapevole del resto. Lauren l'allontanò da me e minacciò tutti gli altri di restare a sedere, poi mi sollevò e mi trascinò in macchina. Durante il tragitto avevo recuperato l'udito necessario per memorizzare tutte le offese che Lucy gridava attraverso il prato, e avevo ricaricato anche le energie per mandarla a quel paese.
Lauren chiuse le portiere.
«Che cazzo ti dice la testa?» Domandò, realizzando solo adesso quanto si era incasinata anche lei.
«Ma che cazzo dice a te!» Ribattei stizzita, senza guardarla.
«Camila, queste sono le mie scelte, la mia vita. Smetti di cercare di cambiarla!» Alzò il tono, puntualizzando le sue convinzioni con estrema serietà.
«Non sto cercando di cambiarla, sto cercando di fartela vivere. Perché di questo passo morirai prima di laurearti.» Era la prima volta che ero così schietta ed era l'unica in cui sembrò davvero ascoltarmi, ma nemmeno quello fu abbastanza per farla ragionare.
«So quello che faccio.» Una delle bugie peggio riuscite della sua storia.
«Cazzate. Non hai la minima idea di quella che stai facendo.» Misi in chiaro.
«Questo non ti riguarda, Dio mio.» Si prese la testa fra le mani, forse per placare il mal di testa, forse per dimenticare la mia voce.
«Certo che mi riguarda!» Urlai ancora più forte, sostenendo il suo sguardo.
«In che modo?» Chiese dopo un'infinità di gravoso silenzio. Restai ad auscultare il mio respiro senza risponderle. «Camila, in che modo?» Entrambe stavamo facendo i conti con le nostre parole, le mettevamo in fila e ne usciva una sentenza più cruda della sua stessa confessione. «Camila.»
«Stai zitta per un cazzo di attimo.» Mormorai, ma il pianto cozzava con il furore.
Lauren obbedì, forse per la prima e ultima volta in vita sua, poi, con delicatezza, afferrò il mio mento ed espose le lacrime al suo sguardo spento. Il suo viso si distese in stupore. Come può il bene innamorarsi del male? E soprattuto, come può il male volerlo a suo volta? Eppure Lauren si approssimò lentamente a me e io la lacciai fare. Anche quando depositò un bacio sulla mia guancia al lascia fare. E quando respirò contro le mie labbra, la lasciai fare. E quando mi baciò raccogliendo il suo respiro, ricambiai.
Non so se lo avessi aspettato, se mi fossi dannata tanto per la sua vita perché volevo solo un bacio. Non so se l'amore può essere egoista fino a questo punto, ma so che in quel momento non ricordai minimamente chi eravamo o cosa ci eravamo fatte. Non ero nemmeno io, mentre mi toccava. Ho un ricordo vivido di quella notte e tutte le volte mi vedo da fuori, come se ogni parte della mia resistenza si fosse fatta persona altrove e avesse lasciato nelle mani di Lauren tutto il resto.
«Camila,» Si distanziò gradualmente. «Camila.» Un sorriso attonito la rimise al mondo. Nel mondo in cui non sarebbe mai stato possibile immaginare niente del genere.
«Scusami.» Dissi, ma senza provarlo.
«No, scusami tu.» Si schiarì la voce e mise in moto. «Ti riporto a casa.» Non parlammo mai più di quella sera, ma il silenzio la rese più importante di qualsiasi altra parola.
Durante la festa di compleanno di Lauren, Lucy portò il doppio della droga e il doppio dell'alcol. Nessuno mi toglie dalla testa che fu un mero dispetto. Un dispetto mosso ai miei danni, ma che si ritorse solo contro Lauren. Non le importava quanto dolore provocasse nella sua ragazza affinché fosse proporzionale al mio.
Me ne andai quando le condizioni di Lauren iniziarono a peggiorare a vista d'occhio. Non ero più in grado di sopportare quel tormento senza poter far nulla. Tutto quello che avevo fatto si era rivelato inutile, scadente. L'ultima cosa che potevo fare era andarmene.
«Camz, dove vai?» Lauren mi raggiunse prima che entrassi in auto. Il suo sorriso spaesato collideva con i suoi occhi smorti.
«A casa, ti lascio ai tuoi impegni.» Ero troppo estenuata per gridare. A cosa aveva portato comunque il mio ardore? Alla sua disfatta.
«Ma é il mio compleanno...» La delusione le imbronciò il viso. Prima avrei rimesso in discussione ogni sofferenza per una delle sue scuse, ma oggi non sapevo farlo.
«Lo stai già festeggiando senza di me, quindi.» Aprii la portiera della macchina, ma con un tonfo irrequieto Lauren la richiuse.
«Che cos'é questa storia?» Si accigliò. Non capiva come non mostrassi rabbia.
«La solita vecchia storia, Lauren. É sempre la stessa.» Mi strinsi nelle spalle. La sua mano teneva ancora serrata la portiera.
«Camila, ma perché non puoi semplicemente lasciarti andare e divertiti per una sera?» Il suo sorriso si stava spazientendo.
«Per ridurmi così?» Feci un cenno nella sua direzione: «No, grazie. A quello può pensarci Lucy.»
Lauren represse un ghigno sardonico. Annuì guardando da un'altra parte e poi, mirandomi negli occhi, mi condannò: «Lucy non può salvarmi, ma nemmeno l'hai fatto tu.»
Per un tempo che ancora deve terminare quelle parole mi hanno perseguitata rendendomi più me stessa di qualsiasi altra dichiarazione.
«Si lo so,» ammisi sommessamente, «ma almeno io ci ho provato.» Allontanai la sua mano dalla portiera, mi immisi nell'abitacolo e me ne andai osservando la sua figura farsi sempre più piccola nello specchietto.
Nei mesi a venire, Lucy e Lauren non cambiarono niente del loro rapporto. Lauren andava meno alle feste di Lucy. Io non ci andavo più. Quando stavano insieme, io la salutavo da lontano e basta. Passavamo molto meno tempo insieme e tutto quello che dovevo dirle lo scrivevo. Fu così che qualcuno iniziò a notarmi, fino a propormi un contratto dall'altra parte del paese. Avevo ancora tanto da perdere, ma quello che mi interessava davvero lo avevo già perso.
Quando mi presentai a casa sua, avevo già preso una decisione. Avevo aspettato in auto che Lucy lasciasse la proprietà e poi avevo bussato alla porta. Lauren trasalì. Non se l'aspettava, o forse era fin troppo preparata.
«Camz, che succede?»
«Posso entrare?»
«Certo.» Mi fece strada nella sua casa, che conoscevo fin troppo bene.
Ci sedemmo sul divano, mi portò un bicchiere d'acqua e si versò lo stesso per sé. A giudicare dalle sue occhiaie, era la prima dose d'acqua che beveva quella settimana.
«Allora?» Mi incalzò trepidante.
«Parto.» Tagliai corto.
«Oh okay, quanto tempo starai via?»
Inspirai a fondo abbassando lo sguardo, poi, quando lo rialzai, il suo sorriso non era ancora svanito perché non aveva ancora compreso. Il mio silenzio non lasciò dubbi.
Lauren Poggiò il bicchiere sul tavolino, guardò altrove per un tempo lunghissimo, poi tornò a rimirarmi con occhi lucidi: «Dove?»
«California.»
«Merda.» Si alzò in piedi, camminò avanti e indietro.
Si, avrebbe voluto chiedermi di restare. No, non lo avrebbe fatto. Sapeva meglio di me che l'unica cosa che poteva offrirmi non era abbastanza. Sapeva anche che me la sarei fatta bastare, ma sarebbe stato giusto sprecare tutto il bene che le volevo per la sua unica salvezza?
«Quando parti?» Chiese dandomi le spalle.
«Sabato.»
«Ma é fra tre giorni.» Si girò di scatto, ma la mia espressione immutata le diede quasi coraggio. Annuì fra sé e sé. «Sono davvero contenta per te.» Era la prima volta che si metteva da parte per me.
«Si, anche io.» Non ero mai stata più triste. Né più lo sarei stata.
Nel grande androne risuonavano solo i nostri sospiri che la brezza del mare portava via. Sarebbero stati onde, sarebbero stati scogli. Lauren fissò l'orizzonte azzurro fino a che non si sentì pronta a tornare a sedersi accanto a me. Intrecciò la sua mano alla mia.
La sua vicinanza per me significava tutto, per questo mi tenevo lontana. Ma in quel momento non potevo sfuggirle, sapendo bene che sarebbe stato l'unico momento a cui avrei ripensato, quando il dolore degli sbagli sarebbe stato cancellato dal tempo. Lauren non disse niente, continuava solo ad annuire quando i nostri sguardi si incontravano e ad osservare le nostre mani quando non si cercavano. Forse fu quello l'unico momento in cui mi vide per quello che ero davvero, in cui non mi odiò e non la odiai, in cui tutto quello che avevo fatto per lei sacrificando quello che avrei potuto fare per me la colpì davvero. Negli anni, poi, mi sarei convinta del contrario, mi sarei sempre detta che solo io ero consapevole di quello che avevo dedicato alla sua persona, e questo mi avrebbe aiutato a trasformare il rimpianto in rabbia finì al giorno dopo e quello dopo ancora e ancora...
Lauren mi stampò un bacio sulle labbra. Fu innocente, ma io lo approfondì, rendendolo vorace e ingordo. La sua mano restò premuta contro la mia nuca mentre la sua lingua succhiava via il mio sapore insieme ai miei desideri. Non ci rinunciammo finché resse il fiato, dopodiché mi alzai e mi avviai verso la porta. Lei mi seguì senza dire niente.
Quando mi voltai, lei si era tenuta a debita distanza, in fondo alle scale di casa sua. Alzò la mano e io restai a guardarla così a lungo che fu impossibile dimenticarsene. Poi chiusi la porta.
————
Mi sto versando un calice di champagne quando Lauren si avvicina.
«Scusa, posso avere un autografo?» Domanda spiritosamente.
«Certo, sono cinquanta dollari.»
«Cinquanta dollari?! Con cinquanta dollari posso comprarci almeno...» Sta per fare una battuta infelice, ma si trattiene.
«Almeno una bottiglia di champagne decente.» La salvo, come sono ancora abituata a fare. Lauren Annuisce.
«Si lo so, ma gli affitti ad Hoollywood costano cari.» Schiocco la lingua contro il palato.
«Pensavo i tuoi milioni bastassero.»
«Con quelli a malapena ci pago le bollette.» Ridacchiamo affettuosamente. Siamo ancora le stesse, seppur non sappiamo niente di noi se non quello che ci siamo fatte e lasciate fare.
«Ciao.» Dice.
«Ciao.» É lei a venirmi incontro per abbracciarmi e io a stringerla forte a me. Con la forza di chi ha le ginocchia che tremano.
«Che ci fai fra noi plebei?»
«Aspetto che qualcuno mi chieda un autografo.» La sento ridere sulla mia spalla prima di mettersi di fronte a me, ad una distanza talmente ravvicinata da riassumere cinque anni in un attimo.
Mi allontano sospirando. Perché si ha ancora paura di perdere quello che si é già perso?
«Non sapevo fossi tornata.» Dice a mo' di scusa.
«É solo un saluto.» Dichiaro, perché non é tempo di illusioni.
Annuisce tristemente ma si costringe a sorridere. Mi squadra da capo a piedi, forse cercando cosa sia cambiato in me, ma sono sempre la stessa e forse questo é quello che più la sconvolge. Anche lei é la stessa. Me lo dicono i suoi occhi pesti, la sua pelle esangue, il suo livido nascosto sotto il colletto della maglietta. A primo impatto non ci avevo fatto caso, forse per non starci male, ma adesso l'evidenza supera l'entusiasmo. Come sempre. Come ogni volta che la realtà ti ricorda chi hai davanti.
«Perché non vieni con noi? Ti faccio salutare gli altri. Saranno contenti.» Il suo sorriso stanco ora non sembra emozionarmi.
«Ti ringrazio, ma non conosco nessuno di loro a dire il vero.» Ha confuso le tempistiche, annacquato la mia dipartita alle nuove conoscenze, scordato che mentre si uccideva io non c'ero. La mia assenza non ha potuto tanto quanto la mia presenza. Non so se sia un bene o un male.
«Ah già.» Scuote la testa.
«Però sono contenta tu sia qui.» Le dico e lo penso davvero.
Pensavo di essere tornata per accertarmi di essermi definitivamente dimenticata di questo posto, di lei, ma era una pretesa mossa contro l'inevitabile. Sono tornata solo per accertarmi che fosse viva. Perché ancora oggi la proteggo da tutto quello che mi ha messo contro. Persino me stessa. E se potessi smettere, non sarei qui. Ma ho smesso di aspettarmi che cambiasse, che fosse pronta a riprendere il discorso lasciato in sospeso fra le sue labbra e le mie. Ho smesso. Adesso mi accontento della sua esistenza e non penso più alla sua salvezza. É un colpo al cuore, ma é la verità. É passato troppo tempo per credere nella fantasia, siamo troppi grandi per affidarci al l'impossibile.
Le Poggio una carezza sulla guancia e con dolcezza le dico: «Sei molto bella.» E non importa della sua pelle slavata, dei suoi occhi socchiusi, dei suoi lividi violacei. É davvero bella. É un peccato abbia sporcato la sua bellezza con la sua ribellione, ma io ho sempre visto solo i suoi occhi.
«Grazie.» Dice attonita, prendendo la mia mano nella sua. Ormai non ci crede più nemmeno lei, eppure é sincera adesso. «Tu lo sei di più.» É la prima volta che mi fa un complimento. Mi sento come la ragazzina di una volta e per un attimo anche lei guarisce. Poi la mia mano cade nel vuoto ed entrambe sospiriamo.
«Laur. Laur, abbiamo un problema con Carter.» Lucy interrompe la nostra conversazione. Per poco non mi saluta fin quando non si rende conto chi ha davvero davanti.
«Porca puttana, ho fumato troppo o é davvero lei?» Dice e sta già pensando a come schernirmi, ma di Lucy non ho più alcun timore. Ha già avuto quello che volevo io, non può più ferirmi.
«Ciao, Lucy.» Sorrido flebilmente.
«Ciao, bastarda.»
«Ok, Lucy. Ti raggiungo io.» La rimette in riga, intimandole silenziosamente di andare.
La ragazza passa il suo sguardo su di me, poi un sogghigno sarcastico le storpia la bocca e se ne va chiacchierando fra sé e sé.
«Scusami, lei é...» Inizia.
«La solita.» L'anticipo io.
Lauren Serra le labbra in un assenso.
«Non preoccuparti. Non mi importa di lei.» Scrollo le spalle e questo si che la insospettisce. Prima avrei mosso cielo e terra per redarguire Lucy, oggi non mi interessa di lei, di quello che ha fatto di sé stessa, soprattutto di quello che ha fatto con Lauren. Non importa più. L'unica cosa che aveva importanza era quello che avrei potuto fare io per Lauren. E ora nemmeno questo conta più. Lei non lo ha voluto e tantomeno lo ha ricercato. Non conta più.
«Si, nemmeno a me.» Dichiara. «Abbiamo rotto qualche mese fa... Io, beh, non mi sono comportata bene.» Strizza le labbra in una grinza. Non so se sia dispiaciuta per Lucy, non so se fosse in sé quando ha scelto di sbagliare, ma so che non se ne pente. Chissà se si sia mai pentita di quello che ha fatto a me. Se se ne sia mai resa conto. Se ci abbia mai ripensato. Forse no. Non ero più importante di quanto lo sia stata Lucy.
«Non posso dire di essere dispiaciuta.» Ammetto. Non lo sono. Lauren sorride teneramente. Potrei perdonarle tutto in questo momento, ecco perché faccio un passo indietro. Se c'è un baratro, non mi butto più a capofitto, perché so che la caduta fa più male dell'atterraggio.
«Si, non pensavo lo fossi.» Di nuovo Lucy la richiama da lontano, e stavolta é costretta a salutarmi. Potrebbe essere successo di tutto, visto come vive.
«Perché non resti? Voglio dire, il tempo di sbrigare questo impiccio e sono da te.» Mi implora quasi.
«Credo che resterò un po'.» Sentenzio, ma non prometto nulla. Siamo oltre le promesse. Oltre l'attesa.
«Fantastico. Farò veloce.» Mi sfiora il gomito mentre se ne va ed io socchiudo gli occhi per impedirle di imprimersi sotto la pelle.
Le ore passano lente. Dinah mi prende sotto la sua ala finché decido di tornare a casa. Ormai é chiaro che Lauren abbia dimenticato il suo impegno. Non mi sorprende. Saluto tutti e mi avvio verso il parcheggio. Chiamo un taxi e mi siedo sul muretto ad attendere.
«Camz.» La voce di Lauren appare più vicina di quanto pensassi. Si accomoda accanto a me. «Avevi detto avresti aspettato.» Mi fa quasi pentire della mia fretta.
«E tu avevi detto che saresti tornata.» Si può sinterizzare così tutto quello che c'è stato e che non c'è stato fra noi.
Lauren mi rimira a lungo, inspira e annuisce. «Tu sei ancora arrabbiata con me.» Dichiara con il capo penzoloni.
«Si, é vero. Lo sono.» Mi stringo nelle spalle. «Non sopporto quello che hai fatto a me. E tantomeno quello che hai fatto a te stessa.» Nessuna delle due guarda l'altra negli occhi. Entrambe guardiamo davanti a noi, dove non c'è niente che ci aspetti, ma che un tempo sembrava esserci e per un po' é stato abbastanza, é stato tutto.
«Non potevi fare più di quello che hai fatto.» Vuol dire che mi lascia libera. Libera dai sensi colpi, libera dal rimpianto.
«Lo so, ma molto spesso non mi é bastato.» Le sto dicendo che non serve, che ci ho già ripensato abbastanza e che ho già deciso che non smetterò presto di farlo.
«Camila, tu eri... tu sei tutto quello che io non ho potuto fare di meglio. Non devi incolparti per questo.»
Mi volto lentamente verso di lei e con un sospiro più lungo di tutta la distanza che ho scelto, le dico: «Si, ma tu sei tutto quello che di buono avevo da dare e non hai mai voluto da me.» Addolcisco la dichiarazione con un sorriso sghembo. Avrei tanto altre da dirle, ma penso di aver riassunto tutto.
«Ma guardami, pensi davvero sia in grado di vedere il buono della vita o delle persone? E soprattuto di portarlo via da loro?» Scuote la testa attonita. Io non mi muovo.
«Lo hai fatto. Mi hai portato via la speranza.» Nemmeno le mie canzoni sono mai state così oneste.
«Volevo solo che una delle due si salvasse.» Dice sottovoce, guardandosi i piedi.
«Io volevo che lo facessimo insieme.» Inspiro a fondo. É ovvio ormai. Non mi sarei salvata se fossi rimasta e non mi sono salvata andando via. Tutti, a volte, perdiamo qualcosa che non torna, anche se non ci appartiene. Sacrifichiamo un futuro per un altro e viviamo a metà, sperando sia quella giusta.
Il taxi scantona l'angolo. É il momento di andare. Di nuovo. Mi alzo e la guardo dall'alto. É viva. Questo oggi mi basta, ma un tempo era il minimo. «Dai, salutami.» La sollecito e lei fa fatica persino a mettersi in piedi, poi mi abbraccia per non guardarmi in faccia.
«Smettila di chiederti come sarebbe andata. É andata nel modo più giusto.» Dice al mio orecchio, e per un attimo é lei a tenermi in piedi dopo tutti questi anni.
«Si beh, non per me.» Sorrido perché fra le due sono io che ce l'ho fatta, ma sono io ad aver perso. Le deposito un bacio sulla guancia: «Stammi bene, se puoi.»
«E tu non pensarmi, se puoi.»
Le dò una blanda spinta e mi rendo conto di quanto sia leggera adesso. Lauren resta in piedi per stoicismo e poi, mentre mi allontano, mi chiedo se debba voltarmi, rendere giustizia al ricordo che ho del nostro ultimo saluto, ma stavolta non voglio portare niente con me che non sia mio e solo mio. Mi immetto nel taxi e l'unica cosa che sfioro andando via é la sua ombra.
Forse non l'ho salvata, ma ci ho provato. Eccome se ci ho provato.
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