Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Miami nights



La copertina l'ho salvata anche senza le scritte egocentriche, perciò se vi piace ve la invio volentieri. Buona lettura!

///////

La storia é ciò che si compie quando stai guardando dalla parte opposta. L'ho letto in un libro, una di quelli che mamma tiene in bella vista ma nell'ultimo scaffale, così nessuno arriva a prenderlo, compresa lei stessa; una di quelle cose che forse sarebbe meglio dimenticare, ma a cui tieni troppo per gettarle via e basta. Assurdo come ciò che ferisca rimanga la cianfrusaglia più difficile da buttare via, come se solo attraverso il dolore valessimo qualcosa come esseri umani.

Comunque questa non é una storia di sofferenza.

Piuttosto una storia di scelte.

Ogni scelta ha due versioni. Io vi racconto la mia.

Non dev'essere scambiata per verità assoluta, ma interpretata come urgenza di immortalare un momento di cui nessuno ricorderà l'importanza se non io, che preme sul mio petto con la leggiadra e la fatalità di una pistola carica: racconta o sparo, e se non sparo il colpo in canna ti seguirà dovunque tu andrai, pronto a rammentarti a chi appartieni: a me, a questa storia.

Non é una storia tragica e nemmeno disperata. Malinconica forse si. Nostalgica per onor del vero. Ma non sempre la mancanza é sintomo di infelicità. Spesso é il coltello con cui teniamo aperta la cicatrice, ma talvolta si fa anche ago con cui ricuciamo la ferita. Alla fine siamo noi a decidere
se sanguinare o bendarci, e stasera non é diverso.

Dall'inizio, daccapo. Ancora una volta. Forse nemmeno l'ultima. Di sicuro non la prima.

Miami. Estate. Caldo insopportabile. Cielo coperto, ma intenzioni chiare. Chi non é nato qui, é venuto per inseguire i piaceri un po' millantati dalle leggende comuni; chi invece é cresciuto fra i pericoli della costa, rimane per godersi i divertimenti della spiaggia. Io non sono una turista, ma nemmeno un'autoctona, il che ci colloca nella prima classificazione della mia vita: non sono né l'uno né l'altro, ma sarebbe scorretto ammettere di non essere tutte e due. Il gene della "via di mezzo", come lo definisco io. Vantaggi: c'è sempre una scappatoia. Svantaggi: non c'è mai una strada facile. Credo sia per questo motivo, questa sensazione di estraneità dalle linee categoriche disegnate per appartenere -e non sfuggire- a una classe sociale di conforto, che mi sollecitano a cercare un luogo dove "la terra di mezzo" non sia un deserto in cui morire di sete, la sete del riconoscersi.

Il jazz non mi piace, o meglio: non l'ascolto, però la musica é l'unico ponte in cui due pianeti siano raggiungibili non solo dall'immaginazione. E le persone sono pianeti. Quelle che ho conosciuto io quantomeno, erano distanti anni luce e per avvicinarmi ho rischiato di bruciare. Ora sono qui, in un bar dagli interni vintage, la luce soffusa gis prima del tramonto, le vecchie riproduzioni di Marylyn Monroe affisse in larga scala. Mi piace. Mi piace l'effetto film d'epoca che emana questo luogo, l'impressione di guardare una vecchia cartolina sgranata dall'obiettivo mediocre delle prime macchine fotografiche. Essenzialmente mi piace tutto ciò che conserva qualcosa delle vecchie abitudini, qualcosa di sciupato e imperfetto dove il tempo non é ancora divenuto una cavia del mondo moderno.

Mi siedo. Non ho aspettative. Non aspetto niente in generale. Arriva e basta. La luce di scena eclissa i volti stanchi attorno a me ed illumina la donna sul palco. La sua voce baritonale e arrochita ricorda il bussare sommesso ad una porta nel pieno della notte, il torpore sonnolento nel chiedersi se fosse un sogno o realtà. Bussano di nuovo. Qualcosa chiede di entrare anche in questo momento. É un'immagine. La sua. Quel ricordo indimenticabile dell'attimo in cui tutto assume i contorni di un'avventura. In quel momento non sono sicura di come la fantasia possa operare sulla realtà, ma se queste idee rimanessero tali e basta, se non ci fosse modo di intervenire chirurgicamente e dovessi vivere con questa massa all'interno della testa, non mi dispiacerebbe comunque morire di fantasia. Ho sempre il timore di infrangere i sogni come vetro, e la parte più difficile da accettare é la sbadataggine con cui tutto va in pezzi.

La donna indossa un vestito purpureo, in pendant con i sofà. Le spalline calanti mostrano il movimento regale delle spalle e con le mani disegna ciò che intona; un quadro di note. Riesco a vederle, quasi a toccarle, mentre aleggiano nell'aria come gli anelli alle sue dita. Sono promesse anche queste.

Per la prima volta, sento di aver qualcosa da perdere. Se sia la reputazione o l'aspettativa di un sogno, non lo so, ma ho già deciso, prima di confidare nel brivido di timore, che le parlerò. Di cosa? Non ne ho idea. Mi complimenterò, la lusingherò probabilmente, anche se, dal suo sguardo lanciato appositamente sopra la teste in sala, ho la netta sensazione sia stanca dell'adulazione. Prima che abbia deciso come agire, la canzone é già finita e lei saluta e ringrazia con un unico cenno del capo. Si, é decisamente stufa dell'adulazione.

Sparisce dietro il sipario e un'altra ragazza prende il suo posto, ma difficilmente qualcuno potrà eguagliarla. Il massimo a cui aspirare sarà un'imitazione, e se saranno fortunate riusciranno a diffondere una parvenza di nostalgia per quella nota così simile ma pronunciata da un'altra bocca; albicocche e pesche hanno lo stesso colore, ma un sapore diverso.

Il lembo della tenda vellutata si agita più del normale. Ci metto un po' a capire che in realtà é il velo del suo vestito a smuovere l'aria. Pochi istanti dopo traversa la sala nella penombra e si siede al bar, nell'angolo, lontana da sguardi indiscreti. Ho come il sentore abbia sbirciato e calcolato il numero di occhi in sala prima di decidersi ad uscire allo scoperto. Mi sbagliavo. É proprio stanca di questa vita.

Trangugio tutto il drink per armarmi del coraggio necessario per importunarla. Una sola parola cambierebbe questa serata, per me, un elemosina per non morire di fame, ma molto spesso si fa fatica a lasciare anche un centesimo, perciò... Niente é assicurato.

Trattengo il respiro mentre mi avvicino. Mi accomodo non troppo lontana, non troppo vicina. Una via di mezzo, come sempre. Il suo sguardo é annacquato quanto il drink che sta bevendo, galleggia esausto come l'oliva al suo interno. Il barista mi chiede cosa desidero bere. Questa é l'unica occasione che mi sarà concessa per attirare la sua attenzione, me lo sento. In qualche modo, sai sempre quando non la seconda chance non arriverà, quel magone allo stomaco che intreccia le viscere é inconfondibile.

«Prendo quello che ha preso lei.» Muovo un cenno nella sua direzione, senza additarla.

La donna alza la testa. Mi vede. Mi guarda. Prima di stasera non ha ricordi di me. Dopo.... Chissà. I suoi smeraldi brillano anche nel buio. Non sono sicura sorrida, ma intercetto un movimento blando che ricollego ad una piacevole sensazione. Il magone si scioglie un po'. Alza il cocktail nella mia direzione. Cin cin. Fin quando anche il mio calice non é traboccante, non noto la sua vicinanza. Quando si é approssimata, non saprei dirlo; ero troppo intimidita dalla sua bellezza per osservarla a lungo. Adesso, però, sono obbligata a rimirarla. É talmente vicina da non dover più immaginare il suo profumo o i suoi lineamenti. Lo sento, li vedo.

«Non ti ho mai vista da queste parti.» La sua mantiene il tono basso che prometteva cantando.

«Non ci sono mai passata.» Non sono per niente brava a dipingere un alone di mistero, ma tentare é un delitto che tutti dovrebbero compiere. Stasera tocca a me.

«Peccato.» Una freccia scagliata senza preavviso. avrà pensato: la colpisco al cuore o alle spalle. Entrambe. Conficcandosi nella schiena tocca il battito.

Riesco solamente a sorseggiare sorridendo. Non sono ancora capace di guardarla. Perlomeno, se lo facessi cadrebbero le maschere e non siamo ancora al punto in cui spogliarci sarà del tutto un bene.

«Almeno vivi nei dintorni?»

«Qualcosa del genere, ma da poco tempo.»

Annuisce solennemente, stuzzicando l'oliva fluttuante. «Resterai a lungo?»

«Vorrei.» Intanto le luci attorno si spengono. Lo spettacolo é decisamente finito, ma noi siamo ancora sul palcoscenico. Non c'è modo di scendere durante un atto in corso.

Lei ridacchia. Ha smascherato la mia finzione, me lo sta dicendo chiaramente: so chi sei, smettila di recitare. La guardo di sottecchi e accenno un sorriso. Basta belle bugie, solo crude verità, d'accordo.

«Tu sei nata qui?»

«Sarebbe macabro nascere su un palcoscenico.» Stira le labbra. Rido. Mi piace la sua fresca ironia.

«No, comunque.» Sorseggia. «Sono nata in Ohio, ma ho studiato a New York e poi sono venuta in Florida quando ho capito di aver sbagliato tutto.» Alza di nuovo il bicchiere e stavolta brindo con lei. Un tintinnio simile alla musica che prima ammaliava.

«Cosa hai sbagliato?» Ondeggio il drink assieme alle intenzioni. Stasera potrei scolare entrambe in un sorso.

Inclina leggermente la testa. Mi studia. Mi sento una preda nel mezzo della stagione della caccia; ogni sguardo é uno sparo che non mi colpisce, ma promette di venirmi a prendermi.

«Anzitutto ad ascoltare gli altri, a fidarmi del volere altrui e non del mio istinto. Ho sbagliato i tempi e ho sbagliato anche le persone.» Il suo sguardo si abbatte sull'ultima frase. La prima volta che un cacciatore rinuncia all'arma.

«Sembrano un sacco di errori per la tua età.» Voglio farle sapere che anche io la sto studiando, e da prima che lei si accorgesse di me.

«Quanti anni credi abbia?» Mi sta sfidando da dietro l'orlo del calice. Un'occhiata simile ad un balzo.

«Quanti sogni hai già infranto?»

«Dimmelo tu.»

Il barista depone le chiavi sotto il suo naso. Le dice di chiudere quando esce. Siamo rimaste sole. Adesso mi rendo conto di aver atteso questo momento da tutta la sera. Cosa ne sarà di me dopo aver scontato l'attimo agognato? Come può quello dopo esistere?

«Direi molti sogni, pochi anni.»

«Ah.» Rotea gli occhi al cielo. Le ho mosso una lusinga fra le righe. Non le piace. Preferisce essere aggredita che blandita.

«Ventiquattro.» Azzardo.

«Adesso si che sono offesa.» Ma non é vero. É contenta di non dover ringraziare l'ennesimo corteggiatore di un complimento falsato.

«Venticinque?» Scherzo, lei ride.

«Ventuno.» Mi fissa negli occhi. «Oggi, sono ventuno.» I miei si sbarrano.

Cin cin!

Mentre ridiamo, la sua mano si posa sulla mia. É un tocco naturale, innato. Per quanto ne sappiamo, siamo qui a parlare da ore. Non lo so. La luce della sera non penetra all'interno e nemmeno quella della mattina. Solo quella che riflette nei suoi occhi, scandisce il tempo. Non avevo mai compreso, fino ad ora, cosa significasse avvertire la mancanza di un momento ancora in atto. Ora lo so. Questa notte mi mancherà per tutta la vita e ancora non ha albeggiato.

Le sue dita giocano con le mie. Non le dico niente. Continuiamo a parlare scambiandoci radi incontri con le mani. I calici ormai sono vuoti, le luci non si accenderanno fino a domani, il sipario non nasconde più niente, nessuno ai tavoli attende qualcosa. Solo noi abbiamo ancora voglia di bere illusioni, ubriacarci di promesse già fedifraghe. Questo è un sogno e quando arriverà mattina, apriremo gli occhi, sarà svanito. Resterà solo la sensazione di voler recuperare qualcosa dal mondo onirico, senza mai sapere cosa.

«É molto tardi.» Non credo sia vero, ma ho capito cosa intende. Sbrigati o qualcuno verrà a svegliarci, sento già i passi dietro la porta. Tremo.

Stavolta non permetto alla sua mano di allontanarsi. La prendo nella mia. Mi osserva. Non crede riuscirò a sorprenderla. Sorride sotto i baffi. Sa perfettamente che il suo é un gioco: lei avrebbe già afferrato ciò che io mi sforzo a sfiorare, ma una donna come lei si fa conquistare o niente.

Rallento quando il suo respiro annebbia il mio. Voglio ricordarmi per sempre questo momento. Lambisco sofficemente le sue labbra prima di sbranarle; due animali scherzosi ora divenuti famelici. Lei mi cinge a se. Conosce le forme del mio corpo attraverso il tessuto, le fa sue solo nell'immaginazione, ma non saranno di qualcun altro per tanto tempo.

«É la prima volta che bacio un cliente.» Dichiara quando riprendiamo fiato.

«Io la prima che bacio una donna.»

Ecco, l'ho fatto. L'ho stupita. Adesso il suo bisogno di mangiarmi é insaziabile, ma dobbiamo fermarci. Chiude il locale, mi accompagna sotto casa. In jeans e maglietta assume l'aspetto di una ragazza normale. Non diresti mai che é proprio lei la donna che ho baciato prima. Ci salutiamo. Mi chiede di tornare a trovarla. Lo farò.

Trascorriamo almeno tre mesi nello stesso identico modo. Tre mesi di cui non so definire la sostanza, posso solo coglierne l'essenza, come un profumo di cui ti innamori senza conoscerne l'origine. Una proposta importante di lavoro mi strappa ai successivi quattro, cinque o sei mesi che sarebbero stati. Ci salutiamo senza troppe cerimonie. Entrambe sappiamo che porteremo questo periodo nel cuore. Abbiamo avuto paura, paura di dirci le parole giuste, e questo forse non ce lo perdoneremo mai, interporre sei Mila chilometri fra noi, non sarà una salvezza, pensarci lontanissime non aiuterà a lenire il rimpianto; lo acuirà fino a piantare fiori nel baratro che ci divide. Un cimitero colorato. Ora però posso baciarla ancora, un'ultima volta. La seguo fino in fondo alla strada.

Dieci anni dopo posso dire di essermi sbagliata. Non era un'avventura. Era qualcosa di più, ma il tempo e le circostanze hanno reso impossibile capire cosa. Le parole non mi vengono in aiuto. Non esistono definizioni per spiegare tutto, e questo sicuramente é inconfessabile, ad oggi. Se ripenso alla Florida, se qualcuno mi parla di musica o un barista fa scivolare un oliva nel mio bicchiere, ripenso a Lauren. Sento ancora la sua voce. Canta ancora per me. 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro