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Liar

«Potete cercare di darvi un calmata?» La domanda suonò quanto più retorica al successivo lancio. Dinah si abbassò giusto in tempo per non essere colpita dalla matita fluttuante.

«Sei una pazza. Altro che X Factor, dovrebbero rinchiuderti in psichiatria o in galera!» Lauren osservò a bocca aperta la matita incrinata sul pavimento. Non poteva credere che quella matta gliela avesse lanciata davvero.

«Ah! Sicuramente mi rinchiuderanno per omicidio colposo!» Sbraitò Camila, prima di essere sollevata di peso da Josh, l'unico manager che ancora non le aveva abbandonate. Probabilmente la sua esperienza da padre di tre figlie aveva sviluppato una tolleranza incomparabile, ma anche lui usciva sempre sbuffando dalla stanza, se in tale stanza convivevano Camila e Lauren.

Non si erano mai piaciute. Nessuno comprendeva il perché, probabilmente nemmeno loro due sapevano rispondersi. Semplicemente era così. A pelle si erano odiate e non avevano mai fatto uno sforzo per cambiare opinione. Quello era tutto. Inizialmente, però, si sopportavano civilmente: si salutavano al mattino, potevano sedere allo stesso tavolo per più di cinque minuti alzando solo gli occhi al cielo, scambiavano due parole in aereo se forzate dalle circostanze e sapevano evitare i conflitti facendo entrambe un passo indietro quando necessario. Questo i primi cinque mesi. Poi era cambiato qualcosa.

Nessuna delle presenti, non DInah, Non Normani e tantomeno Ally sapevano cosa fosse successo, ma un giorno, mentre i loro aerei sorvolavano ancora il paese, Lauren e Camila, provenendo entrambe da Miami, avevano trascorso qualche ora in solitaria e quello che era successo, qualsiasi cosa fosse, le aveva allontanate per sempre. Solo che è un po' difficile "allontanarsi" da qualcuno con il quale condividi sei mesi dell'anno ventiquattro ore su ventiquattro. L'educazione ora era solo un ricordo lontano. Doveva pensarci Dinah con il suo umorismo a non far degenerare la situazione quando Camila alzava la voce. Toccava alla freddezza di Normani riequilibrare l'atmosfera quando Lauren diveniva aggressiva. E infine ci pensava l'indole materna di Ally a raffreddare gli animi quando una delle due opzioni precedente, o addirittura entrambe, non fruttavano.

Quel giorno, però, nessuna delle tre era riuscita a riportare la serenità prima che spartiti, matite e urla divenissero i loro nuovi bassi e acuti per il singolo che stavano incidendo. Fortunatamente Josh era entrato prima la mano di Camila si serrasse sul microfono, e non di sicuro per intonare il suo pezzo.

«Mi dite cosa devo fare con voi?» Sospirò l'uomo, fissando Camila negli occhi come se potesse dargli una risposta matura dopo aver messo a soqquadro lo studio di registrazione.

«O me o lei, Josh. Non c'è alternativa.» Tagliò corto Camila, che ormai forniva la stessa piccata risposta da mesi.

«Non voglio e non posso scegliere. Entrambe fate parte del gruppo.» Sfoggiava lo stesso sguardo comprensivo ma severo che dedicava alla figlia quando scombicchierava la stanza, solo che al posto dei giochi, qui, vi erano frustrazione e risentimento sul pavimento.

«Questo non è un gruppo se entrambe restiamo all'interno.» Specificò Camila. Non voleva sentire ragioni, forse perché una parte di lei era convinta che se avessero dovuto rinunciare a qualcuno quella non sarebbe stata lei.

Josh prese un respiro profondo. Anche quella sera non sarebbe rincasato in tempo per la cena, forse nemmeno per la buonanotte. «Ma che diamine è successo fra voi di così tanto irreparabile?» Lo sguardo che gli scagliò addosso Camila gli fece comprendere che, dopo quella domanda azzardata, l'unica che non avrebbe mai dovuto porle, era già fortunato se tornava a casa.

«O me. O lei.» Puntualizzò scandendo bene sia le parole che le intezioni, e poi se ne andò come te ne andresti quando la rabbia muove ogni tuo muscolo.

Josh doveva ancora parlare con Lauren. Era sempre la seconda a cui faceva capo, perché era la più razionale fra le due, forse anche quella che ribolliva maggiormente, ma quasi sempre in silenzio. Chissà cosa si nascondeva sotto quel cappellino di lana sempre calcato in testa, più afflosciato delle sue labbra; quelle non esprimevano mai direttamente ciò che provavano.

«Lauren,» Sospirò sedendosi al suo fianco, «devi aiutarmi tu. Non riesco a calmarla da solo.»

La corvina si fece scappare un risolino che la diceva lunga, ma il suo sguardo rimase fisso sulla parete davanti a se, come se non avesse altro da dedicargli che algido sarcasmo. «Sono io che mi becco matite in testa, però chiedi a me di essere diplomatica.»

«Lo sai che Camila non lo sarà mai. Te lo chiedo per il bene del gruppo.» Non era mai stato religioso, eppure ora stringeva le mani a preghiera, ma le sue suppliche erano come granelli di sbia nel deserto: non potevano colmare le distanze.

«L'unica soluzione per il gruppo è di lasciar andare una delle due.» Almeno su una cosa andavano d'accordo.

«No,» ripeté Josh, stavolta con meno enfasi, come se entrambi sapessero che la scelta di Lauren era già un sacrificio. Camila era la parte forte del gruppo, non potevano perderla. «Troveremo una soluzione. Perché non parlate?»

«Non c'è modo di migliorare le cose, Josh.» Disse alzandosi osservando dall'alto in basso. «Ho fatto l'unica cosa per cui non mi perdonerà mai.» Dopodiché se ne andò, lasciandolo a rimuginare accigliato... Tanto ormai la cena era già fredda.

*****

Lauren aveva firmato. Dopo due mesi di guerre era impossibile credere che andare avanti in quel modo avrebbe prima o poi portato la pace. Aveva garantito che avrebbe inciso la sua parte negli ultimi pezzi. E così stava facendo nelle ultime settimane. Le ragazze non avevano preso bene la notizia, ma Lauren aveva rassicurato tutte ammettendo che quella fosse la scelta migliore degli ultimi tempi. Si sentiva rinata, in pace con sé stessa.

Mentre incideva l'ultimo brano, si sentiva sopraffatta da quelle emozioni contrstanti. Lo studio era tutto suo adesso, le avevano lasciato qualche minuto per metabolizzare in solitudine dopo che le ultime note erano state assimilate dalle pareti. Lauren si guardò attorno. Non era la fine, solo un nuovo inizio. Non stava perdendo niente, anzi. Stava riacquisendo serenità.

Come se la tranquillità nella sua vita fosse solo un miraggio e nemmeno troppo vicino, la porta alle sue spalle si aprì e la tempesta dagli occhi cupi spazzò via ogni parvenza di quiete.

«Merda,» mormorò la corvina, voltandosi di spalle come se bastasse per divenire invisibile.

«Che cazzo,» sussurrò di rimando Camila, abbassando gli occhi come se bastasse per convincersi di non averla vista.

«Me ne sto andando, tranquilla.» Afferrò la giacca abbandonata sullo sgabello. Era la conversazione più lunga che avessero intrattenuto senza urlarsi addosso da mesi.

Camila rimase in silenzio e con il capo basso finché la donna non si fu approssimata abbastanza all'uscita da poter credere che quella sarebbe stat l'ultima cosa che si sarebbero dette. Quando tale pensiero da pugno nello stomaco divenne battito accelarato, Camila si voltò di scatto e in quello che fu più un rantolo che una parola disse: «Mi dispiace.»

La maniglia era già abbassata a metà quando la mano di Lauren si paralizzò su di essa. Non aveva mai sperato e tantomeno creduto possibile che un giorno avrebbero scambiato più di due frasi, non dopo quello che era successo. Sentire quelle parole fu come toccare il miraggio che tanto agognava, ma solo per sapere che sarebbe scomparso l'attimo dopo. Ormai certe scelte erano state fatte. Non si poteva tornare indietro. Ma nemmeno andarsene facendo finta di nulla.

La corvina impiegò più di qualche secondo per girarsi verso di lei. «Non devi dispiacerti.» I suoi occhi tristi esercitavano ancora un ascendente su di lei, inevitabilmente. Ma tanto era il tempo in cui non si erano più rimirate occhi negli occhi che farlo in quel momento costrinse Lauren ad ascoltare tutte le parole che aveva sottaciuto anche a se stessa, e non riuscì a fermarsi dal dirle ciò che Camila non voleva comunque sentire: «Vorrei solo lo accettassi.»

Di nuovo la requie si infranse. «Ma che cazzo, Lauren.» Sospirò esasperata e già troppo innervosita per salutarsi cordialmente e senza rimorsi. «Perché credi di sapere tutto, eh? Perché non puoi farti i cazzi tuoi?»

«Forse perché mi hai fatto sentire in colpa per tutto questo tempo. Ho lasciato il gruppo per te!» Non c'era astio nel suo tono, solo amara disillusione: Camila non avrebbe mai guardato oltre se stessa. Non per vedere lei almeno. «Ma ora ho capito,» annuiva lentamente, «Ho capito che tu mi odi solo perché non sai come accettare ciò che ti ho mostrato.»

«Non c'è niente da accettare, perché non mi hai mostrato nulla. Smettila.» Si guardava attorno cercando un posto sicuro dove poggiare lo sguardo, ma tutti gli angoli catturavano comunque i passi sempre più decisi di Lauren: avanzavano verso di lei.

«C'è e lo sai, lo sai benissimo.» Era stanca. Stanca della sua cecità. Stanca del suo convincersi che non c'era niente, quando entrambe conoscevano la verità. Stanca delle sue ripicche indebite nei suoi confronti. Stanca di assumersi le colpe di qualcosa che non aveva iniziato lei. «Tu quel giorno mi hai baciato...»

«No, non è vero.» Scosse la testa.

«È così, Camila.» Precisò Lauren, con la determinazione di chi aveva perso tutto, ma lo aveva fatto per un motivo specifico. «Mi hai baciato e io non ho fatto altro che contraccambiare. Ed è questo che odi. Che non sopporti...»

«Basta, Lauren. Non è vero.» Strinse la mano a pugno. Chissà in cosa affondavano le unghie: nella carne o nelle bugie che aveva raccontato a sé stessa? Quale delle due poteva allontanarla maggiormente dalle parole di Lauren?

«Si. Ci siamo baciate, e sai benissimo perché.» Si fermò di fronte a lei, ad un passo talmente esiguo che gli occhi di Camila non poterono fugare altrove.

«Non lo so, no.» Ebbe l'ardire di confutare fissandola.

«Lo sai, Camila invece. Ci siamo baciate perché a te piacciono le donne. Perché ti piacevo anche io e mi volevi tanto quanto io volevo te.» Lauren l'additò inspirando con prepotenza ed espirando con ancor più vigore.

Si era tenuta tutto dentro per tutti quei mesi. Aveva custodito il segreto di Camila, aveva mantenuto le debite distanze, aveva fatto di tutto per lei, ma non era bastato per aiutarla a sentirsi meglio con sé stessa. Solo confrontandola una volta per tutte avrebbe scelto di mettersi in primo piano per una volta.

Camila fremeva furente. La verità era tutto ciò che aveva negato. Chiunque sosteneva e si batteva per raggiungere le proprie verità. Ma non lei. Preferiva vivere non conoscendosi che conoscere ciò che agli occhi degli altri non sarebbe piaciuto. E Lauren, lei era l'unica che la conosceva davvero, e per questo la odiava.

«Ti ho detto di smetterla.» Disse a denti stretti, incenerendo lo sguardo ignifugo della donna. «Basta. Non è vero quello che dici!»

«È vero, Camila. Smettila tu. Smettila di mentire. Non ti aiuterà a nasconderti per sempre. La verità ti raggiungerà comunque. In un modo o nell'altro.» Rispose atona, sostenendo due iridi incandescenti che ormai non la bruciavano più. Non era stata colpa sua. Lei aveva solo acconsentito a qualcosa che Camila le aveva chiesto. E baciarla era stata la lotta migliore della sua vita.

«Basta!» In un atto istintivo le afferrò le guance e le strinse nei palmi tremuli.

L'immoblità di Lauren condizionava anche le sue ciglia. Non fece altro che ricambiare il suo sguardo, ma svuotata e serena ora che non aveva più niente da perdonarsi se non l'aver taciuto troppo a lungo. «Mi dispiace, Camz. Mi dispiace tu non capisca che sei bella anche così. Anzi, lo sei soprattutto per essere te stessa.» Non lo diceva solo alla ragazza che aveva baciato. Ci teneva fosse Camila, la sua migliore amica di viaggio, a saperlo.

Camila, al contrario di Lauren, era tutta un brivido. Non sapeva dire se fosse la rabbia, la delusione, la tristezza, la scoperta, il desiderio o la frustrazione a governare i suoi nervi, ma qualsiasi cosa fosse la spinse a tuffarsi sulle labbra di Lauren.

La corvina spalancò gli occhi. Tutto si sarebbe aspettata -dopo aver ricevuto matite e spartiti addosso era difficile non essere pronti a qualsiasi cosa- ma non quello. Tutto ciò che le aveva condotte lì era stato un bacio, e ora era il medesimo sbaglio a riavvicinarle.

Camila si era semplicemente limitata a schiudere le labbra sulle sue, ma non aveva domandato il permesso per approfondire oltre. Quando si distanziò per recuperare ossigeno, gli smeraldi di Lauren erano dilatati e confusi, ma non impauriti o arrabbiati. Fu solo questo a spronarla a seguire ciò che il suo basso ventre le tramandava. Stavolta senza riserva alcuna. Lauren lasciò che le mani dell'altra scivolassero sulla sua nuca e che la sua lingua si unisse alla sua. Inazialmente fu un'accettare passivo, sbalordito e incredulo, poi, si avvide che anche lei aveva nascosto qualcosa a se stessa in tutto quel tempo: la voglia incommensurabile di volerlo fare ancora. Sprigionò le sue mani sui fianchi di Camila e il respiro contro il suo e il bacino contro il suo, mentre la spingeva verso il pianoforte poco più in là.

Le dita della cubana affondarono sui tasti provocando una sinfonia stonata. Lauren richiuse il coperchio e la sollevò sulla superficie. Fu quello l'unico attimo che ebbero per guardarsi davvero. Dismesse, trafelate, frastornate, imporoporate. Non erano mai state così vicine come allora. E Camila quella vicinanza la dimostrò ghermendola per il colletto del giubbotto e attirandola a se. Quella fu l'unica utilità della giacca, dopodiché cadde al suolo insieme alla maglietta della cubana.

«Lauren, ti voglio.» Annaspò a corto di fiato, facendo scattare le mani di Lauren contro il bordo del piano: si chiusero fino a sbiancarsi. Non poteva credere che stava per dire ciò che stava per dire, ma non avrebbe continuato senza avere una risposta.

«Sei sicura di volerlo fare?» Glielo chiese codardamente, respirando faticosamente contro il suo collo, ma non credeva di poterla guardare di nuovo negli occhi senza mentire riguardo ciò che provava davvero verso di lei, e ora non era il momento di ammettere anche i suoi sentimenti.

«Non sono mai stata così sicura di nient'altro.» Rispose Camila, inabissando le mani nei suoi ricci mentre la mano di Lauren già le sbottonava i pantaloni. Le sue dita sulla pelle avevano un tocco diverso da qualsiasi altre mani avesse avuto su di se. Non era perché era la prima donna con cui andava oltre, no. Era perché voleva che fosse l'unica con cui andare oltre.

«Camila,» sibilò Lauren. Era la sua mano dentro la cubana, ma era comunque la corvina a gemere più forte fra le due.

Camila non aveva forza di risponderle se non aggrappandosi a lei con le dita, le gambe, il petto. Voleva sentirla e farsi sentire fin dentro le ossa. Più dentro di quanto Lauren spingesse per lei. Verso di lei. Entrambe si erano odiate troppo per credere che non si volessero allo stesso modo. Lauren aveva avuto più esperienze, ma solo adesso capiva cosa significa avere una prima volta. E Camila non avrebbe mai dimenticato cosa voleva dire avere lei.

«Lauren, baciami.» Le chiese mentre sentiva le sue dita stringersi attorno alle sue pareti scivolose e calde.

La corvina non se lo fece ripetere. Aveva già gli occhi chiusi mentre le sfiorava le labbra, ma li aprì per guardarla negli occhi mentre i suoi muscoli si irrigidivano ad ogni spinta di più. La sua lingua bagnava i gemiti della cubana, i suoi morsi ne assaporavano il gusto dolceamaro. Camila ormai usava le sue ultime energie per andare incontro alle spinte di Lauren, si lasciava andare a ciò che aveva rifiutato per così tanto tempo solo perché sapeva quanto bisogno in realtà avesse. E glielo tramandava con ogni fibra incordata del suo corpo.

«Camila, guardami.» Le chiese soltanto la corvina, afferrandole delicatamente il mente per far incontrare i loro sguardi.

La cubana spostò le braccia attorno alla nuca della corvina. Si avvinghiò a lei come se potesse cadere anche da seduta tanto era il calore che le scuoteva la spina dorsale. Lasciò che le ultime spinte la lasciassero boccheggiante e riprese ossigeno direttamente dal respiro condensato di Lauren. Quest'ultima mantenne le dita dentro di lei più di quanto riuscì a mantenere il suo sguardo nel suo, poi si accasciò contro la sua spalla e rimase in ascolto di quello che sarebbe avvenuto di lì a pochi attimi. Non poteva che odiarla per sempre, ora.

«Mi odi?» Domandò con voce già cosciente della risposta.

«Peggio. Ti amo.»

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