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Good Luck, Babe!



When you wake up next to him
In the middle of the night
You're nothing more than his wife.
You know I hate to say
I told you so.

————

Chiudo la portiera imprecando. Ho i vestiti inzuppati, i capelli stillanti... Le pozzanghere fuori dal finestrino scrosciano tuonanti. Osservo la tempesta senza voltarmi verso Lauren, ancorata al sedile di guida.

«Stai bene?» Domanda e per tutta risposta sospiro roboante.

«Che cosa facciamo qui?» L'ennesimo parcheggio in cui litigare o fingersi contente di quelle che abbiamo... sono stufa.

«Avevo bisogno di parlarti.» Stringe con più forza il volante.

«Di che cosa?» Mi volto verso di lei per mostrarle la mia espressione stanca. Parliamo sempre delle stesse cose per non cambiare mai niente.

«John va via questo fine settimana...»

«Ok, tu vuoi scherzare.» Taglio di netto con una risata sardonica.

La sua mano afferra il mio viso per riportarmi a guardarla dritta in faccia: «Perché diamine ti comporti così?»

«Perché non ho voglia di essere la tua ragazza solo in mezzo a dei parcheggi vuoti.» Allontano bruscamente la sua mano. I nostri respiri affannati hanno due cose diverse da dire.

Sono anni che la mia vita si riduce al tempo libero di suo marito. Non mi piacciono gli uomini e ora mi ritrovo praticamente ad essere sposata con uno di loro. Questa situazione mi ha sempre fatto ridere finché non mi ha fatto arrabbiare. Mi piaceva troppo Lauren per dire no, ma mi conoscevo già abbastanza bene da sapere che non avrei sempre detto si. E quel giorno é arrivato. I sentimenti sono finalmente più deboli del mio orgoglio.

«Camila, hai vent'anni.» Sospira amareggiata. Anche lei sta riconsiderando alcune delle scelte fatte finora e la maggior parte mi riguardano.

«E quindi dovrebbe piacermi tutto questo?» Aggrotto la fronte.

«E quindi prima o poi ti dimenticherai di tutto questo.» I suoi occhi sono intrisi di una tristezza austera, il genere di malinconia che non accetta contraddizioni. Ha già visto il futuro e ci ha gia sofferto per poterlo mutare. «Ma io no. Io ho già una vita, una famiglia, una carriera... Se ho messo tutto in dubbio l'ho fatto per te.»

«Lo hai fatto per avere i weekend occupati mentre tuo marito aggiunge uno zero al conto di famiglia.» Borbotto sadicamente. Mi odio quando parlo per aprire ferite, ma in guerra il mio sangue vale il tuo.

Lauren inspira a fondo acquietandosi. La sua mascella si è indurita e i muscoli intirizziti. Il silenzio che trascorre fra noi é un verdetto.

«Solo perché dormi nel mio letto, non significa tu sappia niente di me.» Sibila inviperita, fissando il cielo capovolgersi al di là del vetro. Se adesso il mondo finisse, mi sentirei meglio.

«Su questo siamo d'accordo.» Rispondo bofonchiando e di nuovo la sua mano scatta attorno al mio mento.

La corvina si avvicina minacciosamente al mio volto. La sua espressione é una ceramica vermiglia. Sento il suo respiro infrangersi sulla mia pelle con la forza di un colpo. «Chi credi d'essere, Camila, eh?» Non rispondo perché non lo so. «Pensi per me sia facile volerti, ma ti sbagli.» Scuote impercettibilmente il capo: «Lui potrà anche avere la mia vita, ma sei tu che hai me. Che prezzo ha questo?»

I suoi occhi lucidi sono un altare sul quale chiedere perdono. É così facile per lei calmarmi, le basta rivoltarmi contro quanto le costa rischiare la sua intera vita per un minuto con me. Abbasso lo sguardo sospirando. Lei sa già di avermi in pugno.

«Ok, ok.» Annuisco brevemente. «Mi dispiace.» Lo penso davvero anche se dovrei essere più dispiaciuta per me stessa. «Mi dispiace.» Ripeto, perché é l'unica cosa da dire quando non sai gestire qualcosa di più grande di te.

«Non importa, vieni qui.» Lauren fa scivolare le mani attorno alla mia nuca e con la lingua mi schiude le labbra. Voleva questo anche mentre la odiavo.

Sento il suo sapore mischiarsi al mio respiro e il nodo in gola mi si scioglie. Stringo gentilmente il
Suo viso fra i miei palmi mentre le due dita si spostano sul mio collo. La pioggia incide e cancella questo ennesimo peccato. Ancora una volta, siamo insieme solo quando il mondo minaccia di finire.
Sento il suo desiderio scorrerle sulla pelle e inondare la mia. É sempre più forte la sua smania della mia, mi fa sentire come se fossi l'unica persona sulla faccia della terra a farla sentire così. Quando mi dice che sono bella, io ci credo. Per me é quasi un miracolo. Lei é l'unica persona che me lo faccia credere davvero. Di lei ricorderò questo e qualche notte insonne a sondare il proibito.

«Vieni da me.» Pronuncia a fior di labbra continuando a baciarmi.

Scuoto la testa per poter dire a me stessa di averci almeno provato, ma agguanto nuovamente le sue labbra in un bacio famelico.

«Solo stanotte.» Riverbera lo sforzo del suo respiro.

«Va bene.» Cedo infine, spostando le labbra sull'ampiezza del suo volto.

«Si?» Domanda mentre mi bacia il collo, mi bacia il mento, mi bacia ogni parte che vorrebbe fare sua di nuovo per la prima volta.

«Si, si...» Decreto in un rigurgito innervosito perché la mia resistenza avrebbe fatto crollare città intere se fosse durata così poco.

Lauren percorre in dieci minuti il tragitto che ci separa da casa sua e per tutto il tempo la sua mano cerca la mia coscia o i suoi occhi incrociano fugacemente i miei; si assicura di non perdere il contatto fisico per non perdere me. Se avessi qualche istante per pensarci senza sentire le sue mani, cambierei idea, ma lei sa bene come evitarlo. É quello che vuole e riesce sempre ad ottenerlo, da chiunque, senza doversi nemmeno sforzare. É naturale entrare in una stanza e vedere solo lei. Ed é così che ha imparato a prendere quello che le piace di più. Come mai stavolta sia io é un mistero a cui la filosofia può rispondere ma la scienza no.

Varcando la soglia il suo corpo é già contro il mio. Nel corridoio inciampiamo sulla rampa delle scale perché ogni movimento é sbilanciato verso l'altra. Le sue mani esplorano la pelle sotto la mia maglietta fino ai seni. Al quarto scalino, metà dei vestiti é rimasta dietro di noi. Lauren cade ed io sopra di lei. É chiaro che non raggiungeremo il secondo piano nemmeno provandoci. Una rapida occhiata ci svela la soluzione. Le tolgo il reggiseno e succhio la parte della sua pelle dove il rosa diviene scuro. Con la mano mi tiene ferma chiedendomi di più con il bacino. Adoro il momento in cui é lei a non averne abbastanza. Lecco il suo collo prima di morderle l'altro seno. La sua mano arpiona infastidita il mio viso. So che detesta i segni, indicano degli indizi per raggiungere il nostro Nirvana, ma il mio sorriso compiaciuto la elettrizza prima di potermi rimproverare. Mi strattona a sé per baciare via la mia arroganza ma il suo sapore ha il gusto di una vittoria. Sussurra il mio nome in mezzo ad un brivido e i miei fianchi si scontrano istintivamente con i suoi. Mette due dita dentro la mia bocca e con le stesse dita cerca la mia pulsione. Adagio la fronte contro la sua e tengo la bocca aperta mentre ansimo il piacere direttamente dentro la sua. Ogni volta che irriflessivamente abbasso il capo, il suo mi segue intercettandomi. Vuole guardarmi negli occhi mentre si spinge dentro di me. Assecondo i suoi movimenti con i miei e arpiono il suo viso con le mani mantenendolo fisso davanti al mio mentre riverso la libidine sulle sue dite.

Dopo qualche tempo ci muoviamo dalle scale per spostarci in un posto più comodo. Lei si stende nel letto con il viso rivolto verso di me ed io faccio lo stesso dall'altra parte. Con una mano mi carezza il viso tracciandone i lineamenti. Sembra sia la cosa più rara che i suoi polpastrelli toccheranno. Questa sensazione é ciò che mi rende indomita accanto a lei. Ai suoi occhi non posso sbagliare, anche se la sua presunzione talvolta mi sfida a provarci.

«Dovresti andare,» dichiara ancora con espressione estasiata, «tra poco torna mia marito.»

«Cosa?!» Scatto frantumando l'idillio di colpo.

«Ha finito di lavorare e sta tornando.» Si stringe nelle spalle con nonchalance.

«Hai detto che sarebbe stato via il weekend.» Scandisco sbarrando gli occhi.

«L'ho detto perché ci stavi pensando troppo, non mi scrivevi più... avevo bisogno di te.» Socchiude gli occhi rilassandosi mentre io mi guardo freneticamente attorno in cerca dei miei vestiti.

«Tu sei fuori di testa!» Salto fuori dal letto arruffando qualche indumento qua e là.

Lei ridacchia mentre mi osserva arrabattarmi. Sembra quasi non sia la sua vita in bilico. Non so se ami o detesti questa sua indole, ma non ho il tempo di deciderlo. Rapidamente mi rivesto mentre scendo le scale e lei, a passo cadenzato, mi segue sinuosa e nuda. Prima di aprire la porta, la sua mano si spalma sul legno. I suoi occhi salaci non hanno ancora finito con me.

«Mi chiamerai?» Malgrado l'intonazione tutto é fuorché un'alternativa.

«Ci penserò.» Gioco la moneta del dubbio perché così può convincermi di nuovo.

«Pensavo avessimo detto basta con i pensieri.» Reclina il capo su un lato per constatare la mia reazione.

«Io pensavo avessimo detto basta e niente più.» Il mio pungente sarcasmo é quello che più le piace di me, anche se non é affatto una tattica.

Lauren muove un passo verso di me azzerando la distanza fra noi. Posso ancora sentire l'odore della sua pelle solleticarmi le narici mentre le sue labbra mi sfiorano: «Per fortuna ti ho fatto cambiare idea.» Mormora abbozzando un sorriso soddisfatto. La sua mano scivola dal mio braccio lentamente lungo il mio polso fino alla mano e infine sulla maniglia della porta che abbassa al posto mio.

Mugugno contrariata ma é una protesta caduca, un dissenso gettato per dissaldare la mia tentazione. Esco scuotendo la testa. Mi dirigo velocemente all'auto e mi trattengo qualche istante nell'abitacolo a riflettere. Qualche minuto più tardi l'auto di John entra nel vialetto di casa. Osservo l'uomo in giacca e cravatta girare le chiavi nella serratura e tornare ad una normalità che crede intonsa ma che é solo perfettamente ristrutturata. Tutte quelle crepe scavata dal tempo hanno reso inestimabile l'opera, ma ha perso la sua natura. Mi avvio verso casa maledicendo me stessa.

Qualche giorno dopo non ho ancora soddisfatto la sua richiesta e non l'ho cercata. É un capriccio, ma mi permette di sentirmi in controllo pur sapendo di non esserlo affatto. Racconto tutto a Dinah. Lei sa tutto di me perché non giudica mai le scelte sbagliate che faccio. In realtà lei le adora.

«Questa donna é fuori di testa. Mi piace.» Annuisce fra sé e sé, senza aiutarmi affatto.

«Non so come uscirne.» Brontolo sospirando.

«Non farlo.» Si stringe nelle spalle indifferente, ma la sua indolenza é paritaria alla mia angoscia.

«Dinah, sono seria!» Sbotto esasperata.

La donna mugugna indispettita: «Camila, se ne fossi voluta uscire lo avresti già fatto.» La sua aria d'ovvietà mi irrita. «Ti conosco da dieci anni e sono dieci anni che fai quello che vuoi. Se non lo hai fatto é perché non vuoi farlo.» Semplifica ed é frustante doverle dare ragione.

Mentre parliamo il telefono si illumina. Il suo nome é sullo schermo. Lo alzo prudentemente. Ti manco già? Recita in poche parole. Poche ma dirette, lancinanti. Come si fa a dire di no ad una donna del genere? Non ha paura nemmeno di sé stessa. Pochi attimi dopo un altro messaggio si incolonna al di sotto: Tu si. Ti aspetto stasera.

Sbuffo ardimentosa verso il cielo. Che cosa vuole che faccia? Che accetti o rifiuti la mela? Senza tentazione ci sarebbe solo il paradiso, ma senza mela non ci sarebbe il mondo. Affondo la testa fra le braccia.

La sera busso alla porta di casa sua. Ho comprato la bottiglia più costosa di vino sperando basti a ingannare il respiro corto. É John a venirmi ad aprire. Indossa un completo troppo stretto e un sorriso troppo tirato, ma d'altronde il capo non é mai del tutto spontaneo. Sarà per questo che il suo matrimonio si tiene in piedi grazie a me.

«Camila! Vieni, sono già tutti in giardino.» Mi invita dentro gesticolando ariosamente. Mi ringrazia per il vino e lo affida alle mani sapienti di un cameriere.

La cena aziendale é l'occasione in cui io e Lauren ci siamo conosciute. John prima era solo il mio capo, ora é il mio concorrente, ma non l'ho mai visto come un nemico. Forse perché sono arrivata dopo di lui. Lauren sta conversando con altri miei colleghi nel giardino. Ho indossato il mio vestito migliore e Sofia, la ragazza del reparto pubbliche relazioni, lo nota subito. Mi offre un calice di champagne e parliamo del più e del meno. É una bella ragazza, sono rimasta lusingata dalla sua proposta di cenare assieme, ma poi ho conosciuto Lauren e tutto il resto mi sembrava patetico. Mi dispiace averlo pensato di lei, perché non lo é affatto, ma vivevo con gli occhi chiusi.

«É passato un po' di tempo, ma l'offerta é ancora valida.» Ci tiene a specificare riferendosi proprio a quella famosa cena a cui non ho mai detto né si né no.

Balbetto qualche frase incompiuta prima che un'altra voce risponda al posto mio: «Se si parla d'offerta spero siano lavorative, altrimenti sono una perdita di tempo.» Lauren si materializza al nostro fianco. Sofia la saluta fin troppo cordialmente per essere stata appena derisa. Io mi costringo a rimirare davanti a me per ingoiare il risentimento.

Le donne scambiano delle chiacchiere svelte prima che Sofia si congedi lanciandomi uno sguardo mesto.
Solo allora volto lentamente lo sguardo verso Lauren. I miei occhi cupi la fulminano.

«Che c'è? Pensavo ti piacesse il sarcasmo.» Ingolla un sorso di bollicine sollevando boriosamente le sopracciglia.

«Evidentemente mi piacciono le cose sbagliate.» Dico tagliente, scurendo il suo volto baldanzoso.

Lauren si approssima disinvolta al mio volto. Nessuno in questa stanza sospetta quanto il nostro respiro si conosca. É eccitante, ma é anche frustrante, é come essere sempre con il fiato sospeso: prima o poi chiunque vuole tornare a respirare.

«Camila, vedi di non farmi arrabbiare proprio in casa mia.» Sibila altezzosa mentre sorride a qualche ospite.

«Siccome conosco molto bene casa tua, all'uscita ci vado da sola.» Sbatto il bicchiere sul vassoio vuoto di un cameriere malcapitato e dopo averle indirizzato un'occhiata sinistra mi dirigo a grandi passi verso l'uscita.

É sposata ma pretende di avermi tutta per sé. Mi vuole, ma solo quando preferisce lei. Ha una vita con suo marito, ma un'avventura con me. É abituata ad avere tutto senza compromessi, ma non me. Non me. Sto quasi per andarmene quando la sua mano si avvolge attorno al mio polso e mi trascina fino alla stanza più vicina. A poco servono le mie recriminazioni. Chiude a chiave l'uscio isolandoci. Dentro una stanza vuota siamo proprio come ci immagino, peccato che quattro pareti non definiscano una vita.

«Perché sei arrabbiata con me adesso?» Talvolta la sua veneranda età non rende giustizia alla sua capacità interpretativa, ma non l'ho mai trovato uno svantaggio.

Sospiro appoggiandomi contro la parete alle mie spalle: «Ti sei quasi mangiata viva Sofia.» Le faccio notare.

«Si, quando arriviamo alla parte dove mi ringrazi?» Domanda inarcando un sopracciglio e temo non si renda davvero conto del problema.

«Quando smetterai di farlo.» Chiarisco.

La donna arriccia tutta l'espressione in una piega confusa al limite dell'offesa: «Come sarebbe a dire? Una ragazzina ci prova con la mia fidanzata e io dovrei...»

«Non sono la tua fidanzata, Lauren. Smettila con questa farsa.» L'anticipo irascibile.

Il mio sorriso sardonico si insinua fra di noi tagliando a metà il suo stupore, ma non ne posso più di usare i termini errati, mi sembra la strada più veloce per finire all'inferno.

«E questo chi lo dice?» Il suo tono asciutto si direbbe quasi provato.

«La tua fede nuziale lo dice.» Sentenzio. «Mi sembra difficile avere una fidanzata e un marito.» Il mio sarcasmo é solo sbigottimento; come può la sua ingenuità superare i fatti?

«E ti sembra più facile avere una fidanzata, un marito e un'amante?» Con un cenno del capo formula l'accusa.

Rimiro dritto nei suoi occhi con un sospiro amaro: «Mi sembra più naturale.» Non nello svilupparsi degli eventi forse, ma nell'ordine delle cose sicuramente.

«Beh, non per me. Io non condivido niente di quello che é mio.» Sfiora le mie labbra con il suo ghigno e fatico a mantenere la posizione ora che mi ha definito cosa sua, ma devo tenere a mente la realtà per sfidarne i misfatti.

«E io si?» Ribatto tranchant e per un attimo la stanza si satura di un silenzio incolmabile; nessuna parola potrebbe smentirmi. Ma le parole non sono quello con cui mi risponde.

Lauren fa scivolare una mano sotto al mio mento e carezza la pelle sul mio collo fino a stringerlo lievemente fra le sue dita. Reclina più volte il capo da una parte all'altra mentre esegue la sua disanima con occhi e respiro. Il suo corpo si addossa al mio. Stringo le labbra fra i denti e mi costringo ad essere forte.

«Guardami.» Impone facendo perno sulla mia debolezza. Con uno scatto adagio la rimiro a mascella serrata. «Quanto di me credi ci sia adesso di tuo?»

«E dopo che saremo uscite da qui, quanto ce ne sarà?» Rimango tranquilla.

«Quanto sarai stata in grado di prenderne.» La sua sfida piega la mia volontà. Sa di cosa ho bisogno per variare all'estremo di una decisione, e sa che solo così posso dissuadermi.

La rimiro adombrata dal presentimento di un desiderio che é un modo come un altro per dimostrare di valere qualcosa. Solleva l'angolo della bocca in un sorriso malizioso e con un ulteriore cenno marchia la sfida. Afferro le sue guance e premo le labbra sulle sue scoprendo con livore di trovarle già pronte e schiuse per me. La sua lingua voleva solo questo mentre mi provocava.

Prova a prendere in mano la situazione, ma la spingo verso la scrivania alle sue spalle. Mi rimira guardinga, ma mi lascia fare. Sollevo l'orlo del suo vestito senza distogliere gli occhi dal suo viso. Appena le mie dita sfiorano l'interno della sua coscia la corvina getta la testa all'indietro sorreggendosi con forza al bordo. Scosto il suo intimo con la punta dei polpastrelli il tanto che basta a farle sentire la mia pelle sulla sua. Lauren geme arcuandosi, ma discosto la mano. Issa la testa in un moto d'ira e stringe i denti per non darmi soddisfazioni.

Carezzo delicatamente il suo viso prima di afferrarle i capelli e voltarla di schiena. Un ansito compiaciuto pervade la stanza. Il suo corpo si incolla al mio. Stavolta le mie dita cercano e trovano il suo centro senza esitazione. La corvina intreccia le sue dita alle mie sopra la scrivania; non é un gesto d'amore, é necessità, per questo mi piace ancora di più.

Lei ha tutto, ma ha bisogno di me. Incredibilmente é il contrario per me. Non ho ancora nulla, ma non ho affatto bisogno di lei. Mi piace stare con lei, mi piace il suo corpo, mi piace il modo in cui mi guarda. Se
domani scomparisse dalla mia vita, mi mancherebbe il nostro segreto. Se scomparissi io, invece, non avrebbe più niente per sopravvivere alle sue scelte sbagliate.

Con una mano mi attira più vicina. Mi piego su di lei infossando la bocca sul suo collo. Vira parzialmente la testa per incrociare la scia del mio respiro e riesco a vedere i suoi occhi fulgidi aprirsi per un brivido. Pronuncia il mio nome a fior di labbra e le mie labbra istintivamente si poggiano sulla sua porzione di pelle più vicina. Il suo corpo si flette in uno spasmo rigido prima di sciogliersi come acqua su ogni centimetro del mio petto.

Si lascia cadere del tutto sulla scrivania e appena riprende fiato si volta verso di me. Con le mani dietro la sua schiena l'aiuto a sollevarsi. Faccia a faccia il suo desiderio ha il colore di un purpureo che é più simile alla vergogna. Lo ignoro.

«Devo andare.» Dice rammaricata.

«Lo so.» Stringo comunque la presa su di lei.

«Chiamami.» Ribadisce.

C'è un momento in cui sai benissimo chi sei e cosa vuoi, anche se quello dopo viene a cancellarlo per paura, per comodità, l'attimo esiste ed é capace di sovvertire mondi. Quel pomeriggio mi successe di trovarmi nell'attimo proprio mentre la guardavo da vicino e per un secondo, un infinitesimale secondo, non vidi niente per me.

Lauren mi saluta con un bacio fugace e una carezza pensata, poi la lascio andare ed io decido comunque di non tornare alla festa. Con quale faccia posso stringere la mano a suo marito? Soprattutto con quale mano...

Mentre raggiungo il parcheggio, noto Sofia recuperare le chiavi della sua auto. É lontana, ma si posso notare la sua insofferenza. Mi fa sorridere sapere che qualcuno detesta gli eventi sociali tanto quanto me. Immagino di tornare a casa nella stessa auto, stilando una lista dei più antipatici con soprannomi denigratori in aggiunta. Mi sembra un bel momento, una vita facile e serena... Mi sembra sopratutto di meritarmelo.

Lei non mi vede quando mi passa davanti ed io mi accorgo di essere stata invisibile troppo a lungo per avere un'ombra ancora mia. Nei giorni successivi non ci penso spesso, ma non chiamo Lauren. Se penso a lei, i brividi sono ancora lì, il desiderio di rivederla, di stare insieme... Anche se la marea non sa distinguere un'onda dall'altra, ogni onda cambia il mare e quell'attimo ha cambiato qualcosa in me. Magari non lo sento, non ancora; non basta subire la trasformazione, bisogna volerla, però nelle settimane non compongo mai il suo numero e mai una volta penso al suo nome come qualcosa di mio.

Poi, ovviamente, non posso pensare di cavarmela col silenzio. Non con lei.

Durante una giornata lavorativa, il telefono dell'ufficio squilla. É una chiamata proveniente direttamente dai piani alti. Devo consegnare alcune pratiche. Saluto Dinah al volo e mi dirigo verso la porta del capo. Busso ma nessuno viene ad aprire. Alzo gli occhi al cielo. Busso di nuovo e stavolta l'uscio si schiude in fretta. Sfarfallo le ciglia incredula. Lauren sorride soddisfatta. Come sempre é in vantaggio lei. Mi afferra per il braccio trainandomi all'interno. Le sue mani sono subito su di me e i documenti cadono sul pavimento.
Mi bacia senza darmi tempo di oppormi. Non che lo voglia, ma questo é l'ufficio di suo marito

«Lauren, smettila.» Dico a denti stretti, controllando  ansiosamente la porta.

«Non hai chiamato.» Specifica stizzita.

«Ho avuto da fare.» Mento. «Lauren, ti prego, non posso farmi licenziare.» Sposto il capo rinunciando ad un magnifico vizio.

La corvina sbuffa inalberata. Si allontana a passo marziale portando le mani sui fianchi mentre alza la testa verso il soffitto con aria incollerita.

«Sei noiosa.» Si lamenta.

«E tu sei annoiata.» Rincaro alimentando la sua rabbia.

A grandi passi e con sguardo adombrato viene verso di me. Si sofferma ad un centimetro dal mio respiro ma non dice niente, non fa niente. Mi guarda e basta.

«Mi urti, Camila.» Evidenzia enfatica: «Eppure non posso fare a meno di te.» Sgonfia il suo petto assieme al suo respiro. Con due dita mi sfiora il mento gentilmente.

«Allora fai a meno di tuo marito.» Ribatto sostenendo il suo sguardo. So che la mia spocchia é un gesto d'arroganza che la giovinezza si porta dietro, e di questo mi vergogno.

«Perché la fai tanto difficile?» Con il naso sfiora la mia guancia e con il petto si appoggia a me. «Possiamo avere tutti i weekend del mese, qualche settimana d'estate e tutte quelle di Natale. Non sono abbastanza per te?» Chiede con voce rauca al mio orecchio, toccandomi il lobo con il labbro inferiore.

Sposto leggermente il volto verso sinistra per incrociare il suo sguardo lascivo. Vorrei tanto essere una di quelle donne che si accontenta di quello che resta, ma non saprò mai essere così. Nemmeno per lei. Nemmeno per quello sguardo. Nemmeno se fosse l'ultima volta che mi sentirò bella senza averne pena.

«Io voglio tutto l'anno, Lauren.» Accenno un sorriso tiepido. Lei si discosta appena appena: «Voglio tutto l'anno perché me lo merito. E perché, come hai detto tu, ho vent'anni.» Scrollo le spalle tentando di non ferirla mentre penso a me stessa.

«Ed io voglio tutto di te. Solo non sempre...» Prova a contrattare, ma l'amore non é una firma, non é una clausola.

«Lauren,» mi schiarisco la voce: «Hai mai avuto il cuore spezzato?» Lei non risponde, ma chiaramente si. Inspiro a pieni polmoni per tenere chiusa questa cicatrice: «Ci sono stati tempi in cui ho perso molto di più di quanto pensassi, ho faticato molto per rimettere insieme i pezzi... Non posso dare quello che ho riparato a qualcuno che ne vuole solo una parte.» Non sono arrabbiata con lei, sono dispiaciuta di avere un tempismo terribile.

La corvina si distanzia e mi rimira da una distanza sufficientemente ingente da vedere le cose dal mio punto di vista. Per la prima volta non é la passione o l'impulso a guidarla verso di me, ma la comprensione. Anche lei, un tempo, ha avuto la mia età e forse fino ad oggi non si é resa conto di avermela quasi portata via.

«Non voglio fare a meno di te.» Dice sottovoce, quasi temesse l'indomani.

«Non vuoi fare a meno di me perché la tua vita é una bugia.» Lo dico con gentilezza, ma non c'è modo di non dirlo: «Non é di me che hai bisogno. É di te stessa.» Attendo qualche istante e poi lei finalmente annuisce stordita.

Allungo la mia mano sul suo viso e lei deposita un bacio sul mio palmo. É così bella, peccato sia altrettanto vigliacca. Ma per quanto possa volermi, sarebbe comunque arrivato il momento di avere paura, anche per una come lei, sì. La corvina annuisce una sola volta e lentamente mi lascia andare. Osservo il suo volto compunto con affetto. Non vorrei mai si odiasse per quello che volevamo in due, così, prima di uscire, stampo un bacio sulle sue labbra per ricordarle il mio desiderio.

Dinah aveva ragione. Le persone come me possono liberarsi di qualcosa volendone solo un'altra e io oggi voglio la mia libertà.

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