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Disappear 2

«Voglio dire, la polizia si è presentata alla tua porta e basta?» Il sospiro di Dinah lasciava intuire il suo stato d'animo.

«Te l'ho già detto,» anche lo sguardo di Lauren era eloquente. «Hanno bussato, hanno chiesto i conti dell'azienda e per un attimo ho pensato che sarebbero tornati ad arrestarmi, invece il giorno seguente si è presentato un detective con una carta d'identità falsa e la mia foto sopra.»

«E tu te ne sei andata senza chiedere niente? Hai accettato e basta?» Era difficile delineare il confine sul territorio investigativo di Dinah: quanta professionalità era stata mischiata con il risentimento?

Camila si massaggiava le tempie con aria esasperata. Ascoltare per l'ennesima volta quella storia era come vivere uno di quei film horror dove la protagonista continua a morire solo per svegliarsi nuovamente nel suo letto e ricominciare lo strazio daccapo. Non finiva mai.

«Dinah, non è molto facile contrattare con un detective quando per tutta la vita hai negoziato al massimo per un paio di occhiali in spiaggia! Si presenta un tizio che invece di arrestarti per omicidio ti propone di continuare a vivere a piede libero, che cosa dovevo fare?» Quest'ultima parte la pronunciò saettando lo sguardo verso Camila, che raccolse la pesantezza del suo affanno. 

«Va bene così, Dinah.» Sentenziò, come se solo una sua parola potesse mettere fine al terzo grado subito dalla corvina. La donna serrò sì le labbra, ma anche le palpebre. «È inutile continuare a rivangare sulle stesse cose. Se dobbiamo scavare nel passato, facciamo in modo che sia funzionale.» E per fari sì che lo fosse, Camila si premurò di versare due dita di scotch nei bicchieri vuoti di tutte e tre.

«Beh, io non faccio l'investigatrice di professione bensì l'avvocato, fare domande è mio dovere.» Si difese Dinah. Era il suo modo per scusarsi, più o meno.

«D'accordo, allora iniziamo a fare quelle giuste.» Propose Camila,  la quale condivideva lo stesso ufficio con l'amica e oltre al dovere per la verità stimava anche un'altra virtù non poco rilevante in quella storia: il sangue freddo.

Dinah consultò i documenti conservati da Lauren. Camila aveva già speso abbastanza notti rileggendo quelle righe per memorizzarle. «I calcoli degli ultimi due mesi non tornano, il che significa che qualcuno ha manomesso il sistema, oppure sono spariti dei soldi.» Fece un breve sunto la cubana, studiando i cenni di Lauren per proseguire la disanima. «Tu eri l'unica che aveva accesso ai conti dell'azienda, perciò era ovvio che la colpa sarebbe ricaduta su di te. Adesso, non capisco come possa incastrarci un omicidio in tutto questo.» Scosse la testa quando Dinah le affidò i documenti. Lì non c'era risposta per loro.

«Che cosa hai scoperto in tutto questo tempo?» La domanda cruda di Dinah lasciò gli occhi delle due presenti a fare spola fra loro e la mittente. «Che c'è? Vorresti farmi credere che oltre a scegliere una nuova vita non hai pensato neanche un secondo perché stessi perdendo quella precedente?» Inarcò un sopracciglio, ma stavolta la sua incredulità piombò su Camila. Stava aiutando la donna che l'aveva costretta all'inferno per ben due anni senza nemmeno sapere se Lauren si fosse interessata per un dannato secondo a cercare di comprendere perché, perché stava perdendo tutto. Perché stava perdendo lei.

«Ho fatto delle ricerche, ma non sono arrivata a molto.» Ammise ricambiando lo sguardo algido di Dinah. I loro bicchieri erano ancora inviolati, Camila invece rabboccò il suo per la seconda volta. «Ho scoperto che Frank Gerald, il proprietario dell'azienda, era solo un prestanome. Cioè, non ne sono sicura, ma io credo che sia così.»

«Lei crede,» sbuffò sarcastica Dinah. Lauren ignorò il commento e si concentrò invece sullo sguardo focalizzato di Camila. Era l'unica che non la screditava mai, e non l'unica nella stanza, l'unica in generale.

«Insomma, non posso averne la certezza, però non è mai stato interessato ad una squadra di calcio, ma il suo amico Charlie Charston sì e...» Prima che potesse terminare la frase, Camila scattò in piedi.

Adesso gli occhi erano tutti piantati su di lei.

«Charlie Charston.» Modellò quel nome sulle labbra stupite.

«Si, esatto. Anche lui aveva tentato di acquistare la società, tempo fa, ma i suoi soldi non erano totalmente puliti, e il precedente propeitario respinse l'offerta.» Adesso era Lauren a riassume e Camila a fare cenni, come se fosse già conscia di quella storia.

«Lo so. So tutto.» Dichiarò solennemente: «io ero l'avvocato dell'accusa.»

La stanza cadde in un silenzio immobile. Nessuno azzardava a muovere un muscolo o a spiccicare parola. Tutti i pezzi del puzzle erano stati sparpagliati qua e là, e adesso bisognava fare tabula rasa.

«Avvocato.. Tu.» Lauren era attonita. «Ma per quale causa?» Scuoteva la testa come se non si raccapezzasse di ciò che stava accadendo attorno a lei e nemmeno alla sua vita.

«Charlie Chaston era imputato per frode. Ha sostenuto un processo. Ero riuscita a farlo condannare a due anni di detenzione. Invece di cinque anni doveva scontarne solo due, ma sarebbe uscito in un anno per buona condotta.» Rimestava nella sua memoria sperando di trovarvi tracce riconducibili alla fossa che era stata scavata per sua moglie. Un'orma, qualsiasi cosa potesse aiutarla a comprendere.

«E poi, cosa successe?» Domandò Dinah, scuotendola dalla sua atrofia.

«Non è mai stato arrestato. Chiesero un ricorso e nel frattempo trovarono il vero colpevole. A me dissero soltanto che Charlie non c'entrava assolutamente niente. Non mi hanno mai permesso di saperne altro. È stata chiusa lì, così.»

Non ci aveva pensato molto spesso. Purtroppo succedeva più spesso di quanto volesse ammettere che qualcuno di più potente corrompesse il sistema, e a quel punto la giustizia era una semplice puttana al suo servizio. Camila si era promessa che avrebbe fatto tutto il possibile per svolgere al meglio il suo lavoro, ma si era anche promessa di non farsi uccidere nel mentre. Aveva un letto dove desiderava tornare e una moglie che voleva rivedere. Adesso, invece, era stato proprio quel suo senso di protezione che le aveva fatto trovare una casa vuota.

«Ero io il colpevole, non è vero?» Spezzò il silenzio Lauren. «Lui mi ha reso colpevole dei suoi crimini perché tu lo avevi condannato, vero?» Da come l'aveva pronunciato non era più sicura che volesse il suo aiuto. Improvvisamente tutti si resero conto che Lauren non era l'unica nella stanza a non aver lottato per lei.

«Io.. Non lo sapevo.» Le restava solo un filo di voce. Non aveva un espediente per giustificare la sua negligenza. Pensava solo che mettersi contro chi deteneva il potere avrebbe causato problemi più grossi di lei, ma invece era stato proprio lasciare il potere nelle loro mani a rovinarle la vita. E non solo la sua.

«Questo non spiega comunque l'omicidio.» Intercedette Dinah. Una mera consolazione che forse non sarebbe ricaduta sulle spalle di Camila.

«Invece sì.» Annuì Lauren a capo basso. Camila non era sicura che l'avrebbe rialzato a breve. «La donna uccisa, Lucy Vives, era una nostra dipendente. Una volta siamo uscite insieme per discutere questioni lavorative. Altre persone ci hanno viste. Lei doveva saper qualcosa. Non sarebbe stato difficile incolpare me della sua morte.» Adesso i suoi smeraldi erano puntati su Dinah. Doveva essere proprio impossibile guardarla se preferiva cercare aiuto nella sua peggior nemica. Ma doveva essere ancora più impossibile capirla, se tale nemica adesso non faceva altro che annuire taciturna.

«Ma perché un detective si disturba a salvarti la vita se tutto ricadeva conto di te?» Dinah cercava di mettere insieme l'ultimo pezzo del puzzle.

«Perché sono stata io a denunciare Charlie per frode. Mi sono accorta che qualcosa non andava e ho parlato come fonte anonima alla polizia.» Era successo prima di conoscere Camila, era una storia a cui credeva di non far riferimento per iniziare una vita normale con sua moglie, ma adesso era stato proprio quel segreto che aveva tenuto occulto per senso di protezione ad averle rovinato la vita. Paradossalmente Camila e Lauren si trovavano nella medesima landa desolata.

«Cazzo, siamo fottute.» La delicatezza non era una qualità nel curriculum di Dinah, era per questo che i clienti si appellavano a lei. Tutti i bicchieri si svuotarono in un solo sorso.

                                                                                         *****

Dinah le aveva lasciate da sole dopo aver cercato invano una soluzione che non implicasse rinunciare alla loro vita per la seconda volta, ma adesso che la porta si era chiusa entrambe si chiedevano quanto effettivamente della loro vita fosse rimasto intatta. La televisione era accesa sul canale preferito di Lauren, ma nessuna delle due stava ascoltando i consigli sulle ricette culinarie di Gordon Ramsey. 

«Non sapevo ci fossi tu dietro a tutto questo,» disse senza preavviso Camila, con un'urgenza che non lasciò spazio a deroghe.

«Lo so.» La pacatezza della corvina era un'accusa che Camila non sopportava. Aveva sbagliato a non indagare fino in fondo, ma non era stata lei ad accettare una nuova identità lasciandosi tutto alle spalle. Malgrado entrambe stessero cercando di proteggersi, Camila non poteva dimenticare il dolore che aveva provato svegliandosi in un letto che non sarebbe stato più occupato da nessuno.

«Non sarei dovuta andar via. Avremmo potuto scoprire tutto questo due anni fa, invece...» Inspirò con forza. 

«Invece adesso è troppo tardi.» Concluse Camila, osservando un punto indefinito davanti a sé.

Lauren era seduta su un divano che non le apparteneva più. Non sapeva neanche perché fosse ancora lì. Avevano già capito ciò che c'era da capire.

La corvina si alzò dal divano e rimirò dall'alto la donna seduta sull'altra sponda di camoscio. «Otterrò il divorzio, così non avrai più niente a che fare con me. Non succederà niente, ma non voglio il tuo nome sia legato al mio.» 

«No.» Negò energica Camila, pronta a fissarla faccia a faccia. «Non puoi andartene di nuovo, fare finta che tutto questo non sia mai successo.» Era sconcertata nel vedere quanto arresa fosse Lauren, pronta a scomparire di nuovo sotto un nome che non avrebbe conosciuto, in un paese che non avrebbe visitato. Era ancora sua moglie, cazzo.

«Camila, me ne sto andando proprio perché tutto questo è successo.» La feriva oltremodo notare quello sguardo afflitto, ma ciò che più la feriva era sapere che Camila aveva ancora forze per combattere per lei nonostante ciò che le aveva fatto. Nessuno l'avrebbe amata allo stesso modo. E proprio per questo non poteva permetterle di sprecare la sua vita dietro una causa persa.

«Faremo qualcosa. Dimostrerò che è Charlie il colpevole di tutto.» Teneva dritto il mento come se non avesse paura di sfidare ciò che avrebbe potuto ucciderla, ma tutta la paura che Camila non accettava la provava Lauren per entrambe.

«No, Camz. Non faremo niente. Dobbiamo accettare di aver perso.» Sospirò. Anche per lei era stato difficile accettarlo, ma poi, poi si era rassegnata per continuare a vivere. 

Con voce rotta Camila disse: «Ma io non posso accettare di perdere te.»

Era tutto ciò che credeva non le avrebbe mai detto. Due anni trascorsi a rimuginare sulla propria collera per poi trovarsi a trattenere il pianto ora che stava per ottenere ciò che per cui aveva pregato notti intere: che Lauren non tornasse mai nella sua vita.

«Camila, io non posso farti questo.» La sua mano si schiuse sulla guancia pallida della donna. Non l'aveva sposata per darle una vita piena di insidie. Non sarebbe dovuta andare cosi. No.

«Te ne vuoi andare, di nuovo.» Lo sguardo della cubana non era solo avvinto, vi era anche una scintilla rabbiosa che simboleggiava tutte le paure che aveva annacquato negli anni di solitudine. «Allora non mi ami abbastanza per restare.»

«Camila, ma che dici.» Le mani di Lauren ghermirono dolcemente entrambe le guance della moglie, ma lo sguardo di quest'ultima si deflesse altrove. «Non è vero, e questo lo sai. Farei di tutto per stare con te, ma non posso farti vivere un incubo per colpa mia.»

«È anche colpa mia.» Sputò fuori Camila, contranedo il volto in uno spasmo doloroso. «È anche colpa mia.» Ribadì lasciando cadere due lacrime su un viso adesso impassibile. 

«Camila...» Lauren scosse la testa, ma non riuscì a dirle altro. Non voleva che credesse questo, ma non sapeva come scagionarla dentro di sé.

«Se avessi lottato, Lauren? Se avessi lottato anche tu. Insieme. Come sarebbe andata a finire, eh?» Si ricompose fra le mani della corvina. «Ho già speso due anni della mia vita a chiedermi perché, che cosa fosse successo, a farmi domande a cui pensavo che non avrei mai trovato risposta. Non posso vivere altri anni a chiedermi come sarebbe andata a finire se non ci fossimo arrese. Questo sarebbe il modo peggiore per dimostrarmi che mi ami, lasciarmi da sola a rispondere a domande che non mi daranno pace.» Ammise tutto d'un fiato, avendo un fremito solo in fondo alla frase, quando la possibilità diveniva quasi realtà.

Lauren aveva raccolto quel tremore fra i suoi polpastrelli e quel piccolo brivido l'aveva terrorizzata più della probabilità di iniziare una battaglia che molto probabilmente avrebbero perso. Camila era abbastanza forte per combattere e perdee, non era abbastanza forte per lasciarla andare senza combattere. No, aveva ragione. Se l'amava doveva concederle ciò che l'ultima volta le aveva sottratto.

«Va bene, Camila. Insieme.»

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