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Dead Man



I'm a dead man in this war
But baby I've been here before.

————

Quando la porta bussa, so già chi é.

Nessuno bussa più alla mia porta, può essere solo una persona, perché solo una persona sa dove abito ora. Ignoro il richiamo finché posso, ma alla fine cedo per sfinimento.

«Che cosa vuoi, Arthur?»

«Mi farai congelare qui fuori.» Con una spallata entra tremando in casa. I fiocchi di neve sotto la sua suola lasciano le impronte fino al tappeto. «Che cazzo di posto. Non potevi sceglierne uno al Sole?»

Sospiro per calmare i nervi: «Che cosa vuoi?» Ripeto scandendo le parole, accorciando il suo tempo.

«Cordiale come sempre.» Sibilla a denti stretti, poi torna a sorridermi con la sua tagliola. «Anzitutto vorrei un caffè. Bollente, grazie.» Scrolla di dosso anche il gelo, assieme al cappotto, e si siede sul divano mandando un chiaro segnale delle sue intenzioni.

Alzo gli occhi al cielo. Recupero il thermos dalla cucina e ne verso due tazze, infine mi accomodo sulla poltrona accanto a lui, ma con lo sguardo cupo di chi sa bene da cosa debba proteggersi.

«Molto meglio.» Schiocca la lingua contro il palato. Non riesco ad immaginare come sia possibile che fra tutto sia diventato proprio lui il capo della divisione. É bravo nel suo, ma non avrei scommesso un euro sulla sua testa.

«Arthur, temo mille chilometri siano un po' troppi per una tazza di caffè.» Lo metto in guardia, lasciando intuire la risposta alle sue domande prima ancora di sentirle. Nessuno viaggia attraverso il globo per un no.

«Se ci fossero stati anche i biscotti forse...» Scherza, ma la mia espressione draconiana lo fa confessare: «Siamo nei guai, Lauren. Guai seri.»

«Non é un mio problema. Non più.»

«Lo diventerà.» Annuisce energicamente, con l'aria di chi ha più paura di quanta possa incuterne.

«D'accordo, si vede che le cose dovevano andare così.» Mi stringo nelle spalle. Il male nel mondo non é qualcosa che può toccarmi ancora, anzi.

«Lo sai benissimo che certe cose non hanno ragione d'esistere. Per questo ci siamo noi.»

«Ma cosa ne sappiamo noi delle ragioni del mondo?» Unisco le mani davanti a me e mi sporgo nella sua direzione, curva e affilata come un amo. «Ti sei mai chiesto se le nostre azioni abbiano davvero migliorato il mondo, invece di peggiorarlo definitivamente?»

«Abbiamo ridato speranza a tante persone, evitato molte guerre, salvato tante vite.»

«Non tutte.» Taglio corto e con uno eccesso di rancore. «Non tutte.» Gli punto il dito contro per intimarlo a pensare meglio a cosa dire, perché la sua tattica non sta aiutando.

«D'accordo, non tutte.» Mostra le mani in segno di scuse, ma anche in nome dell'innocenza. «Ma lo hai detto tu che non possiamo salvare tutti.» Abbassa il tono della voce, ma gonfia le spalle, fa per proteggersi dal peggio.

Serro la mascella e stringo i pugni. No, questa non sono più io. Non risolvo più le cose a modo mio. Le lascio scivolare addosso, le raccolgo in fondo. Questa sono io ora. Inspiro ed espiro più volte prima di rispondere.

«A me non interessa salvare altre vite, abbiamo finito?» Ringhio a denti stretti, costringendomi a modulare il tono.

«Tutto questo potrebbe finire e sai perché? Perché abbiamo commesso un errore, io e te. Abbiamo sbagliato i calcoli, questa volta. I risultati in fondo alla pagina non quadrano più.» I suoi occhi sbarrati mi raccontano di notti insonne, di crisi isteriche nel pieno del giorno. Ha cercato una soluzione, più di una, ma poi ha visto il fondo e ha cercato me.

«Sono anni che non lavoro per la Divisione, cosa c'entro io?» Scuoto la testa con un mezzo sorriso. Sta bluffando?

«Certe decisioni hanno effetti ritardati, lo sai anche tu. Quella volta che siamo tornati indietro nel tempo e abbiamo impedito a Trump di vincere le elezioni per la seconda volta, abbiamo fatto un errore.» Le sue dita sono così strette fra loro da sembrare nodi di una nave in piena tempesta. «So che quaggiù non arrivano notizie dal mondo, ma siamo messi male. Molto male. Erikson ha vinto le elezioni, come volevamo, ma non é stato capace di essere il leader che dovrebbe. Ha scatenato fraintendimenti e gravi incomprensioni con quasi tutte le potenze mondiali. Siamo sull'orlo di una crisi nucleare, capisci cosa significa questo?»

Pondero attentamente le sue parole e per un attimo il cuore batte più forte del normale, ma non mi faccio più comandare dall'istinto e tantomeno dalla vocazione eroica. Per me tutti gli eroi del mondo hanno fallito, compresa me. Ho fallito il giorno in cui non sono riuscita a salvare a Camila, e loro hanno fallito il giorno in cui mi hanno proibito di riprovarci. Non si torna indietro nel tempo per ragioni personali, mai. É la regola numero uno, ed é quella che ho cercato di infrangere, miseramente direi.

«Significa che hai un grosso problema.» Rispondo pacata, lasciando intendere la mia risposta.

Vorrebbe imprecare, ma io sono la sua unica chance, perciò si limita a scuotere la testa fra un ghigno e l'altro: «Lo so che non ti interessa...»

«Non puoi chiedermi di salvare il mondo quando devo ancora salvare me stessa.» Ignora i miei mormorii.

«...Ma ci sono persone che vedano ancora qualcosa di buono in questo pianeta o hanno qualcosa di buono da perdere.»

«Non io.» Scrollo le spalle, alzandomi dalla mia seduta e subito Arthur scatta in piedi.

«Pensa a Joanna e Miles!» Si affanna impaurito.

Mi volto lentamente, lo fisso imperturbabile: «Sono i tuoi figli, non i miei.» Vorrei sferrargli un pugno per ricambiare questo colpo basso, ma mantengo la calma; una volta perduto l'equilibrio, ogni scelta é in bilico.

«E tu faresti questo ai miei figli? Ai figli di tutti? Sopratutto sapendo di poter cambiare le cose! Davvero?!» Sogghigna incredulo. Non sono più la persona che ricordava e questo lo ferisce. Mi dispiace, Arthur, il dolore dà una forma diversa ad ogni cuore.

«Fallo tu, non hai bisogno di me!» Lo sprono roboante.

«Sai che non é possibile.» Sibilla con la pazienza stretta fra i denti canini. «Anche per tornare indietro nel tempo, bisogna che ogni cosa sia perfettamente uguale al momento in cui tutto é avvenuto. C'eri tu con me quel giorno. Ciò vuol dire che senza di te non posso farlo.» Fa cadere le braccia lungo il corpo. Quanto dev'essere snervante che l'unica persona in grado di salvare il mondo sia l'unica che vuole morire?

Inspiro a fondo, riempio i polmoni. Sono vuota anche da piena. Fare la cosa giusta non mi costerebbe così tanto se la cosa giusta non prevedesse rivivere la scelta più difficile della mia vita. E soprattuto sapere che tale scelta non é servita a niente. Perdere il cuore per il mondo almeno sarebbe stata una consolazione, invece ho barattato la mia vita per un errore. Bello scambio.

«Non puoi chiedermi questo.» Stringo la mascella. Ho imparato che una lacrima pesa più di un pugno, che la polvere si mangia peggio dei sassi e che il veleno si ingoia meglio di un petalo.

«Lo so, lo so.» Avanza verso di me con le braccia tese. Mi cinge nelle sue forti mani e per un momento mi ricordo di esistere; quanto fa male esistere. «Ma devi farlo anche per questo. Quel giorno, abbiamo perso entrambi qualcosa di grande, non possiamo averlo fatto per nulla! Questo sacrifico non può essere un niente. Non questo!» Sussurra concitato. I suoi occhi dilatati sono ancora pronti a combattere, i miei sono grandi solo per vedere meglio il fondo.

Mi divincolo gentilmente dalla sua presa. Quello che sto per dirgli é già abbastanza crudele: «Non posso.» Faccio una pausa. «Ho chiuso con...» Il suo pugno parte prima che possa terminare la frase. Goffamente, ma riesco a fermarlo.

«Che diamine fai?!» Farfuglio confusa ma già arrabbiata.

Arthur si libera dalla mia presa solo per tentare un altro attacco. Stavolta mira ai fianchi, ma riesco a parare anche quel colpo. Qualcosa lo ricordo ancora.

«Arthur smettila! Finiremo per farci male inutilmente.» Lo avverto con il dito puntato verso il suo naso. Ricordo quando avevo un coltello contro la sua gola. Non é cambiato molto, a parte l'anno.

«Codarda!» Sferra un calcio nella mia direzione, ma riesco a schivarlo e a contrattaccare senza fatica. Non ci sta mettendo impegno, é solo una provocazione.

«Non combatterò contro di te...» osservo il suo cipiglio, ombreggia lo sguardo infuocato:«...e non combatterò per te.» Le labbra gli si contorcano in una smorfia prima di scoccare un pugno verso la mia guancia, subito seguito da un calcio alla stessa altezza. Entrambi i colpi vengono prontamente sventati.

«Non lo stai facendo per me.» Stavolta i suoi attacchi non sono calibrati per ferirmi, ma per disarmarmi. E infatti ci riesce. Le sue mosse repentine confondono i miei sensi e in un attimo mi ritrovo con un gomito puntato al collo e le spalle al muro. Mi rifiuto di alzare le mani. Non lo faccio con un nemico, figuriamoci con Arthur. «Lo stai facendo per dare un senso a ciò che hai perso.»

I nostri occhi sono tizzoni ardenti, i muscoli fiamme che guizzano. É troppo più forte di me per ribaltare la situazione. Poggio la nuca contro la parete. Chiudo gli occhi e ascolto il mio respiro. «Non sempre ciò che perdi ha un senso, nemmeno il mondo deve averlo.»

«Pensa a tutte le vite che potresti risparmiare. Non hanno bisogno di salvezza, hanno bisogno di pietà.» Specifica enfatico.

«Io ho bisogno di silenzio.» Mormoro rimirando ancora una volta il buio. Io so cosa voglio dire, lo sa anche lui. Buio e silenzio hanno una sola casa, ma quanto sarebbe egoistico condannare tutti alla stessa fine per un dolore solo mio? «Lo farò.» Dico infine, e non so nemmeno perché, so solo che non ho mai trascinato un innocente nella disperazione solo per non starci da sola. Non lo farò nemmeno adesso.

                                       *****

Due settimane dopo...

Mi ero dimenticata del rumore della città, dei colori vivaci, della moltitudine. Quante persone camminano senza sapere che i loro passi sono contati. Il mondo sta per finire, ma una sconosciuta sta andando a comprare il pane, mentre io sto per infilarmi negli strati di molecole del tempo, sto per rompere gli atomi e ricomporre i neutrini altrove. E siamo solo a giovedì.

Arthur passa da una macchina all'altra, configurando i meccanismi tramite pochi pulsanti. Non ci vuole molto quando si scopre il trucco. 

«Ci siamo.» Dichiara attivando anche l'ultimo bottone. Stringe il casco da astronauta in mano mentre viene verso di me. «É tutto pronto. E tu?»

«Facciamolo.» Sospiro, scocciata come un alunno all'inizio di un compito noioso.

La sua mano scatta sul mio braccio prima che possa sigillare la tuta. Scambiamo uno sguardo complice: «Quando saremo lì,» inizia a dire con fare austero, «dovremmo fare solo lo stretto necessario.»

«Non c'è bisogno tu lo dica.» Preciso stizzita, ma invece sì, c'è bisogno eccome.

«Il giorno in cui abbiamo cercato di salvare il mondo, é lo stesso giorno in cui mia moglie ha firmato il divorzio... e Camila é morta. Non possiamo cambiare questi due eventi, sarebbe una violazione del destino altrui.» Si accerta di non lasciare mai i miei occhi. Purtroppo la sua unica speranza é una causa persa, ovvero io. Non vorrei essere nei suoi panni.

«Non farò niente, Arthur.» Sigillo il casco e inalo a fondo l'ossigeno puro che viene trasmesso attraverso la tuta. «Adesso sbrigati prima che finisca l'aria.» Interrompo il contatto visivo e mi metto in posizione. Sento il suo sguardo su di me. Non si fida, ma non ha scelta. Setta il count down e si stalla accanto a me.

«Dovunque tu ti ritrovi, vai verso il municipio. Ci ritroveremo li.» É l'ultima cosa che sento prima che il flash azzurro mi accechi e tutto intorno a me si deformi per qualche istante, si scomponga, si sfilacci e diventi un'immagine del tutto diversa. Ecco cosa ci vuole per passare dal presente al passato: il coraggio di un attimo.

Sfilo immediatamente il casco e inalo a fondo l'ossigeno attorno a me. Quella é la parte peggiore, perdere completamente l'aria al momento dell'arrivo, ma per il resto é come camminare fra un ricordo e l'altro durante la notte, solo che qui puoi tenere gli occhi aperti.

Sotto le mani, una porzione d'erba. Alzo lentamente lo sguardo. Sono caduta nel parco vicino a Washington. Accanto a me non c'è nessuno, dietro solo una coppia che si sta baciando. Nascondo la tuta dentro ad un cespuglio e mi pulisco i jeans. Spero Arthur sia caduto sull'asfalto. Si dice cadere perché spostarsi da un momento all'altro nel tempo é andare contro la gravità, ma solo finché non cadi. Inciampi nel presente e cadi nel passato. É un salto nel vuoto.

Controllo l'orologio. Le 12:31. Il che significa che abbiamo quattro ore prima che il tempo ci venga a stanare. Se non ci troveremo nell'esatto punto in cui abbiamo deformato il tessuto dei secondi, ci perderemo nel tempo, saremo massa a giro nel nulla, materia oscura senza peso o forma, una stella o l'altra. Non così male come sembra, finché non si finisce nella molecola sbagliata e allora ogni minuto ci si trova in un'epoca diversa, si muore in cento modi al secondo.

Mi dirigo spedita verso il municipio. Arthur é già li. Tira un sospiro di sollievo appena mi vede.

«Sorpreso?» Inarco un sopracciglio.

«Grato.» Batte una pacca sulla mia spalla e sorride tenuemente.

«Dimmelo quando avremo finito.» Estraggo la pistola dalla giacca del giubbotto e la porgo nella sua mano.

«Quindi lo premo io il grilletto?»

«L'ultima volta che l'ho premuto io, siamo arrivati vicino ad una guerra nucleare. Vediamo di non sbagliare stavolta. Non voglio tornare a questo momento mai più.» L'ultima parte la sussurro con voce fievole, ma é sufficiente per farlo tacere e annuire.

Sappiamo entrambi cosa dobbiamo fare, perciò ci mettiamo in moto per compierlo il prima possibile. É la prima volta che non uccido un repubblicano. É una bella novità. Spero sia la scelta giusta, ma mi accontenterei pure di sapere che sia la scelta migliore, anche se non ci vuole molto in queste circostanze.  

Le 13:45. Siamo vicini all'attimo. Dobbiamo azzeccare il secondo e fargli un buco al del millesimo. Il proiettile deve forare prima il secondo e poi il suo petto, per permetterci di non innestare un dubbio nelle menti di nessuno. A volte succede che qualche agente sbagli di un minuto il colpo e allora, anni o decenni dopo, qualcuno ha un ricordo confuso, ambiguo... Chi era stato a morire? Lui o l'altro? Per tutti sono dimenticanze, ma per noi sono fatalità. Potrebbe succedere, prima o poi, che qualcuno scopra la verità su di noi, sul mondo in cui vive, scoprire che tutto quello che vive é una decisione presa da qualcun altro e quel qualcun altro é il vicino di casa o il cassiere del supermercato. Come vi sentireste a sapere che la persona dalla quale comprate il formaggio é la stessa ad aver reso la storia quella storia? Io non bene, ma per fortuna sono capitata dalla parte fortunata. Anche se ora, conoscendo il prezzo della storia, non sono sicura di averne mai voluto il peso.

Puoi salvare tutti, tranne chi ami. É questo lo scotto da pagare. Non ci dev'essere cuore in un eroe del nostro tempo, solo testa. Il cuore deturpa la storia, la infanga a volte. Ecco perché vediamo morire i nostri cari tre o quattro volte nella stessa vita e tutte le volte piangiamo le stesse lacrime. Qualcuno ci ha provato, a volte, a modificare il tempo per una sola persona, ma migliaia di vite ne hanno pagato il conto. Una volta qualcuno é tornato indietro anche solo per un attimo. Si era pentito di non aver detto ciao. Voleva solo dire ciao. Un solo momento, un insignificante attimo. Quell'attimo che tutti conserviamo, di cui tutti parliamo mentendo o ricordiamo sospirando. Lo abbiamo tutti. Quel ciao é costato la vita di qualcun altro, perché é questo che fa il tempo: non perdona il pentimento. Con quello devi convivere, non c'è inganno, non c'è scelta. Anche per un solo attimo, non si può far niente, proprio perché quell'attimo, talvolta, é una vita che non hai scelto e il tempo vuole sia così fino alla fine.

Il colpo nel timpano mi risveglia dai miei pensieri. Quando sfarfallo le palpebre, sono già tutti in fuga.

«...Lauren!» Non sembra la prima volta che mi chiama.

«Ci sono.» Farfuglio.

«Ci vediamo qui fuori. E muovi il culo, cazzo.» Spegne la conversazione attraverso l'auricolare. Beh, non sono stata io a portarmi una zavorra indietro nel tempo.

Arthur é seduto sulla panchina. Mi accomodo accanto a lui. Sta ancora ribollendo di rabbia, ma non possiamo sbagliare ora.

«Dovevi darmi il tempo.» Sussurra a denti stretti.

«Mi sono distratta.» Dico con tono neutro. A me non dispiacerebbe essere materia oscura, senza forma e senza peso.

«Ma porca...» Si zittisce appena il poliziotto giunge trafelato davanti a noi.

«Dovete sgomberare l'area, adesso!» Dice concitato. É il suo primo giorno, ne sono sicura stavolta.

«Ehi amico, ma che succede?» É difficile ricordare le esatte parole che si sono dette in un altro tempo, ma é importante non sbagliare.

«Andatevene, adesso!» Fa segno col fucile in direzione della strada. Arthur alza le mani ed é questa la nostra uscita.

«Ho detto la cosa giusta secondo te?» Domanda sottovoce mentre si accende una sigaretta.

«Lo scopriremo fra qualche decennio.» Sospiro, stringendomi nelle spalle.

Torniamo alle nostre postazione e aspettiamo. Manca un'ora esatta all'estrazione. Il tempo si accorgerà della nostra perturbazione e ci restituirà al nostro momento esatto. Noi dobbiamo solo essere pronti.

Mi distendo sul prato e osservo il cielo. So cosa sta per succedere adesso. Non ci avevo fatto caso prima, ma ora so perché sono caduta qui. La gravità si é vendicata della mia resistenza lanciandomi nel punto in cui l'abisso mi si apre sotto i piedi.

Camila é venuta al municipio attraverso la strada secondaria appena la notizia si é sparsa in città. Ruoto lentamente la testa. Le macchine stanno gemendo il viale. Era una giornalista. Era brava. Vedo i microfoni, sento le voci. Sposto lo sguardo verso le strisce. Camila sta aspettando il suo turno. É già lì. É bellissima. Socchiudo gli occhi. Se guarderò troppo a lungo, me ne fregherò delle stragi che potrei originare, delle guerre e correrò da lei. Voleva solo un'intervista, ma non ha guardato da entrambi i lati della strada. Ha fatto il passo sbagliato. Nessuna fine eroica, nessuna morte valorosa. Era solo sbadata.

I secondi si dilatano, sento il tempo strapparsi da una parte all'altra. É solo un attimo, un evento fra milioni, cosa potrebbe cambiare? Chi potrebbe accorgersene? Se dessi la mia vita al posto della sua? Ma non si può. Non si può. Quel giorno non ero qui. Quel giorno ero in una cantina ad aspettare di poter scappare. Quel giorno non ho fatto in tempo. Quel giorno ho scelto un'altra strada. Non posso fare altro che continuare a ripeterla. Ed é questa la parte peggiore di un rimpianto: devi continuare a sceglierlo. 

Chiudo gli occhi quando sento il colpo. Non voglio vedere proprio come non ho visto la prima volta. Sento di inciampare, penso di cadere ma sono già distesa. Il vuoto é lo stesso. É solo un attimo e nessuno lo saprà mai a parte la mia pelle, ma questo non lo rende meno reale, anzi: se una cosa é solo mia, nessuno può conoscerne l'esatta realtà a parte me e questo la dà la forma più pura del reale che si possa desiderare.  

Il tempo poi mi strappa al passato. Torno da dove sono venuta. Ecco, ora che ho fatto la cosa giusta, sono morta per la seconda volta e allo stesso modo, ma questo lo saprò solo io, per tutti gli altri sarò un eroe mentre per me solo un fantasma.

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