Chloe or Sam or Sophia or Marcus
I changed into goddesses, villans and fools
Changed plans and lovers and outfits and rules
All to outrun my desertion of you
And you just watched it.
————
«Camz.»
«Smettila di chiamarmi così!» Mi giro additandola furiosamente.
«Mi lasci spiegare, cazzo!?» I suoi passi sono più celeri dei miei. Mi afferra per il polso e mi volta con decisa gentilezza verso di lei. «Un momento...» Farfuglia in cerca di un espediente.
«Così puoi inventarti una bugia soddisfacente?» Strattono via il braccio, rimirandola ardentemente negli occhi. Sono troppo delusa per non essere arrabbiata. Potrei morire di tristezza in questo momento, ho bisogno di un alibi per restare in vita. Mi dispiace se risulterò cattiva, ma non ho intenzione di spezzarmi.
«Così posso dirti che sta succedendo.» Il suo respiro trafelato mi ricorda il giorno in cui l'ho conosciuta, la prima volta che l'ho baciata, la prima canzone insieme, l'ultima volta che le ho gridato contro. Oggi.
«Non mi interessa, Lauren. Hai baciato Lucy. Fine.»
«Lei ha baciato me!» Protesta, ma non sembrava dispiaciuta qualche minuto fa.
«Sono davvero in pena per te.» Il mio sarcasmo riceve un'occhiata sinistra. Si aspettava che l'avrei ringraziata per la ferita? Non sono un eroe e tantomeno voglio assomigliargli. Con le cicatrici posso solo farci una croce per chiedere pietà. E poi non saprei più chi odiare: me, lei o il cielo.
«Okay, io... io non volevo succedesse così. Non so che cazzo le sia preso.» Si passa una mano nei capelli, ma non riesce a guardarmi negli occhi. Ora, o ti fai bastare la mezza verità per non rinunciare al tuo amore o accetti l'altra metà della bugia con tutte le crude conseguenze che porterà.
«Non mi interessa nemmeno questo.» Alzo le mani. Non ho più niente da spartire qui. Qualsiasi cosa sia successa, mi ha fatto male e per una volta voglio sapere solo questo. «Non ho intenzione di restare.»
«Che vuol dire?» Domanda con un filo di voce.
«Vuol dire che me ne vado.»
«Te ne vai dove?» Allora anche lei sa mentire a sé stessa quando la verità le fa male. Con me non le é mai servito.
«Me ne vado dalla band.» Studio attentamente la sua espressione prima di girarle le spalle. Lo stupore immobilizza le sue azioni. Ricordo a me stessa di tenere alte le spalle mentre piango. Se non hai saputo cosa farne di me, lo ricorderai per sempre.
*****
Il mio nome rintrona negli stadi, tappezza le strade, abbellisce le pubblicità, riempie le trasmissioni televisive. Sono dappertutto. É impossibile non sapere di me. Ho raggiunto l'apice della mia carriera, ho scalato la vetta e mi sono piazzata in cima solo per essere vista. Incredibile quanta poca rabbia serva per raggiungere il cielo.
Tutto quello che ho fatto, tutto quello che ho scritto, tutto quello che mi ha reso importante é solo quello che mi ha fatto male. Gli ho dato un senso e sono arrivata qui. L'ho fatto per volontà o per vendetta? Importa davvero adesso? Comunque sia andata, é stato merito mio. Se sia stato il sangue o la ferita non é rilevante. Non più del mio nome almeno.
«Mila, iniziamo fra cinque minuti.» Decreta Emy, sorridendomi incoraggiante.
«Ok, grazie.» Sorrido nella sua direzione prima che sparisca dal camerino. Mi rimiro un'ultima volta allo specchio prima di incamminarmi verso il palco.
Il frastuono entusiasmato, il mio nome dissacrante, il giubilo dell'attesa sono tutto quello che sento mentre mi avvicino alla scena. Anche stasera canterò bene una brutta storia, e tutti ne saranno felici tranne me. Me lo farò bastare però. A quanto pare anche le divinità non posso avere tutto.
Le luci si accendono, le mie canzoni risuonano nel grande stadio e mi auguro la mia voce sia abbastanza riecheggiante da inondare ogni città, ogni strada. Questo mi é rimasto del mio sangue. Lasciamo perdere quello che é successo al cuore. Pensiamo solo alle ossa.
Saluto, ringrazio, saluto di nuovo. É tutto bellissimo, ma non basta. Inspiro a fondo nell'ascensore che mi riporta nel dietro le quinte. So esattamente quando dovrò ridere e quanti mani dovrò stringere e chi dovrò portare con me sul bus. Ho imparato tutto a memoria per non esserne sopraffatta. Ma forse l'ho fatto solo per rendere tutto più facile, anche quello che odiavo. Soprattutto quello. Tipo pronunciare tutti i nomi tranne il suo. Abbracciare ogni collaboratore tranne lei. Non ritrovare le mie amiche ma dei nuovi musicisti ad ogni after party. Accettare che fosse la cosa migliore essere lontana, anche quando non sapevo come arrivare al giorno dopo.
Quando salgo sul bus, Emy ha invitato qualche attore famoso, dei colleghi noti e io sono costretta a sorridere più del dovuto, a mantenermi sveglia più di quanto vorrei.
«Sei stata bravissima, come sempre.» Mi elogia qualcuno di cui non ricordo il nome, ma che ringrazio.
«Quando uscirà il prossimo album?» Domanda un'altra persona di cui non ricordo il nome. Balbetto svogliatamente qualche parola senza metterne insieme una di senso compiuto.
Si scambiano delle occhiate scettiche e si allontanano dal posto dove mi trovo per lasciarmi a ciondolare di stanchezza nell'angolo più isolato del bus. Odio questa gente, penso prima. Odio stare qui con loro, penso poi. Odio essere come loro, penso infine.
«Tu hai l'aria di una che vorrebbe essere dovunque fuorché qui.»
Mi volto lentamente verso l'ombra. Un sorriso smagliante arricchisce un viso già attraente di per sé.
«Posso?» Chiede il ragazzo, sedendosi prima che risponda.
Massaggio le tempie senza badare alla sua presenza, ma le sue chiacchiere non desistono.
«Lo sai, io ero come te.» Un'affermazione che solo un uomo potrebbe fare. Lo squadro dall'alto al basso trucemente. «No, non intendo in questo senso.» Ride voltandosi verso il mio staff, i miei poster: i miei trofei di latta. «Intendo dire che in ogni luogo in cui fossi, non ero felice.» Schiocca la lingua contro il palato con l'aria di chi ormai é indifferente Alle proprie sconfitte: «Poi ho scoperto il segreto.» La sua insolenza é petulante, ma anche intrigante.
Osservo la sua espressione esaltata da troppo vicino per non sembrare interessata. Si guarda attorno prima di frugarsi in tasca. Estrae una bustina piena di pasticche e io distolgo lo sguardo annoiata. Non é la prima che vedo e non é l'ultima che rifiuto. Ne ho viste almeno cinquanta quando stavo nella band, con le ragazze... É da diverso tempo che non penso a loro... Fa uno strano effetto ricordare. Ho fatto così tanto per scordarmi di quegli anni, eppure sono ancora lì, spuntano, prima o poi.
«No, grazie.» La mia voce smorta, disinteressata.
«Ehi, io non sono come gli altri. Queste ti fanno sballare davvero.» Sorride ampiamente, sventolando le pasticche sotto i miei occhi. Sono colorate, sembrano mentine, ma non lo sono.
Sorrido solo per averci pensato: «Grazie, ma avrei bisogno di qualcosa che mi faccia dimenticare più che sballare.»
Con estrema determinazione razzola nel sacchetto e ne estrae una celeste: «Ecco qua, la tua medicina.»
Faccio spola tra lui e la pasticca. É talmente piccola da scomparirgli fra le dita. Cosa può mai fare una piccola scheggia in un intero corpo?
«Non l'ho mai fatto, quindi.» Mi stringo nelle spalle. Non é un no, e lui lo sa. É il suo lavoro. Sapeva che ci avrei pensato già prima di parlarmi.
«Non ci vuole niente.» Ingoia due pasticche dello stesso colore in un attimo e mi mostra la sua lingua come indizio. «Vedi? Tutto bene.» Ridacchia nevroticamente. Malgrado la sua aria malandata, il suo aspetto sciupato e gli occhi vitrei sembra molto più contento di me. D'altronde, come puoi non esserlo quando dimentichi chi sei? Chissà da quanto tempo non si domanda più se valga la pena o meno.
Scuoto la testa sorridendo, ma non ho distolto lo sguardo stavolta.
«Il primo giro é gratis.» Mi sollecita, facendosi scivolare una pasticca celeste sul palmo. Credetemi, quando si é toccato il fondo non si può che andare più in basso.
La prima volta che accondiscendo, é solo per curiosità. Funzioneranno davvero? Almeno stasera dimenticherò di me, di loro, di lei? Si é capaci di tutto per sfuggire al proprio dolore, anche ad accettarne un altro. All'inizio mi sento completamente in controllo di me stessa, della mia vita, della mia "curiosità." Poi una sera inciampo sul palco, quella dopo scordo le parole di una canzone e quella dopo ancora vomito sulle scarpe del bassista.
Che le cose vadano male lo vedono tutti tranne me. Più mi faccio piccola, più mi sento meglio. Qui non importa chi sei, quello che perdi, quello che avevi; qui ci sei solo tu. Nemmeno i tuoi pensieri. Esisti solo tu e i tuoi sensi. Il mondo é così leggero quando lo tocchi solo con le mani.
«Camila, basta così. Adesso andiamo a casa.» Mi intima Emy una sera e lo fa perché ha timore di riportarmi a casa in un sacco nero, ma basta così poco a licenziarla. Al suo posto assumo Sam. Sam il mio spacciatore, il ragazzo che mi ha messo sotto la lingua la pasticca celeste promettendomi il cielo alle modiche misure di una bara. A volte anche quella sembra più confortevole del proprio corpo.
Gli show vanno sempre peggio, i giornali parlano talmente male di me che quasi mi vien da ridere. Molte delle persone che mi amavano, adesso si vergognano a guardarmi camminare sul loro stesso marciapiede. Se il mio viso non avesse avuto fortuna un tempo, potrei benissimo essere scambiata per una reietta. Ma Sam continua a dirmi che il successo é sopravvalutato, che abbiamo già tutto quello di cui abbiamo bisogno proprio nelle nostre tasche e che proprio perché nessuno lo capisce, stiamo vivendo il lato migliore della vita.
E poi viene il Natale e quando sto in famiglia tutto diviene più complicato. Mia madre getta via tutte le pasticche che trova, urla dalla mattina alla sera perché non sa com'altro farsi sentire. Mio padre non mi parla più. Mia sorella va ad abitare dai nonni finché ci sono io. Allora mi rendo conto che tutto quello che mi rimane é davvero un cielo sotto terra. Avevo tutto e ci ho rinunciato perché nemmeno quello bastava. Avevo tutto e l'ho lasciato perdere per ripicca: se il mondo non ha potuto darmi quello che volevo, allora non avrà proprio niente di me in cambio...
A parte il mal di testa e i miei soldi e il malumore.
Ci vogliono diversi mesi prima che il metodo di mia madre abbia effetto, ma alla fine io sono troppo fragile e lei mi ama troppo. Mi accompagna alla clinica assieme ad una valigia con pochi vestiti al suo interno. Resterò chiusa qua dentro per un mese, forse due, dipende da quanto ci vorrà affinché mi disintossichi e soprattutto quanto ci vorrà affinché non voglia ricominciare. Tutti qua dentro mi dicono che la parte difficile non è smettere, ma non riprendere daccapo. Jimmy, per esempio, ha solo vent'anni ed è sua la sua quinta permanenza. Dopo quanto ci si stanca di provare?
Naturalmente il primo a soffrire é il mio corpo. Sento lo strazio anche nelle vene. Tutto mi fa male e tutto mi é potenzialmente avverso. Non sono nemica di nessuno perché niente mi appartiene più, a partire da me stessa. É questo quello di cui mi rendo conto mentre i giorni portano via la frenesia dell'abbandono. La marea riporta a galla i vecchi relitti sotto forma di immagini. Prima sono gli occhi di mia madre, poi il silenzio di mio padre ed infine la voce di Lauren. Quella é sempre stata la mia debolezza. Mi ero dimenticata del suo suono. In realtà lo avevo solo soppresso nell'oblio, ma una volta rinnegato quest'ultimo non c'erano stati più mezzi termini. Mi ero nascosta nella via di mezzo, ecco perché non mi ero salvata.
Fu terribile e stupendo. Fu atroce e meraviglioso. Nelle sere in cui non mi uccideva, era la mia resistenza. Può la morte trascinarti a riva? A volte più della vita.
Mia madre venne a prendermi dopo esattamente ventotto giorni. Prima ero cenere, ora un fantasma. Non so dire quale fosse il più evanescente, ma almeno adesso qualcuno poteva vedermi. Erano mesi che non aprivo un giornale. Mi sorprese non trovarci più il mio nome. Fu un sollievo, ma fu anche una delusione.
«Non hanno mai parlato di me?» Chiesi a mia madre mentre leggevo un trafiletto.
«Certo che l'hanno fatto, ma poi hanno smesso, come sempre.» Scrollò le spalle dedicandomi un sorriso carezzevole prima di tornare alla colazione.
Alla fine si erano davvero dimenticate di me. Bastava così poco per cancellare un'intera storia? Potevano dirmelo prima. Mi sarei annientata anni addietro. Adesso potevo davvero ricominciare, ma nel modo giusto, lontano da tutti. Sarei diventata una cameriera, una barista, una fattorina. Qualsiasi cosa fuorché quello che ero.
Due settimane dopo, mi sento abbastanza in forma per andare a portare il curriculum ad un locale all'angolo. Cercano camerieri ed io sono abbastanza brava a servire cazzate alla gente. Li ho venduto le mie canzoni, posso farcela con un cappuccino, penso mentre varco la soglia del bar.
Inizialmente temo che tutti mi riconosceranno e rideranno di me, ma mi rendo rapidamente conto di essere invisibile molto più di prima. Prendo coraggio e mi presento al titolare. Sembra un brav'uomo e sicuramente l'ultima volta che ha accesso la radio risale a molto prima della mia ascesa.
«Lunedì, mercoledì e venerdì mattina.» Propone e nemmeno quando mi hanno offerto un contratto milionario sono stata così felice.
Le prime settimane sono dure e noiose, ma mi sento davvero utile qui. Potrei abituarmici. Potrebbe addirittura piacermi. Leonard, il proprietario, mi aggiunge qualche turno di tanto in tanto. Non ho bisogno di soldi, siamo sinceri. Ho bisogno di una routine, di un luogo dove stare tutto il giorno per non cadere in tentazione. Non sono ancora così forte da credere in me.
Un venerdì sera, mentre pulisco i bicchieri, il trillo della porta mi indispettisce.
«Siamo chiusi.» Taglio corto, ma i passi si avvicinano ugualmente. «Quale parte di...» Il mio sguardo incrocia quello di una sconosciuta e per la prima volta dopo tanto tempo penso che esista qualcosa di bello al mondo.
«Si, ho sentito la prima volta. Gran voce, complimenti.» Sorride dolcemente del suo scherzo.
I suoi capelli castani incorniciano un volto gentile, degli occhi scuri e delle labbra scarlatte. Sono davvero impressionata e credo se ne accorga. Per questo viene a sedersi sullo sgabello, ignorando i miei ordini. Anche a me paiono stupidi adesso.
«Ho avuto una giornata terribile e so che tu vuoi solo andare a casa, ma ti sarei grata se potessi versarmi almeno un bicchiere di whisky.» Sospira in tutta sincerità. Se dichiarassi di trasgredire solo per la sua onestà, sarei un'ipocrita.
É tanto tempo che non mi sento così. No, non é come Lauren, ma é al pari delle pasticche.
Le verso il suo bicchiere di whisky e ascolto quello che ha da dire sulle sue disavventure. Mi piace parlare con lei, mi piace il suo umorismo. Per un momento, un momento a cui sono grata per svariati motivi, sento di avere davvero un'altra possibilità. Ed é fantastico. É un momento molto lungo ma altrettanto breve. Lungo perché dura più di otto mesi. Breve perché si scopre essere l'ennesime bugia.
Sophia torna a prendere da bere tutte le sere ed ogni volta quando non c'è nessuno. Parliamo tantissimo, anche fine a mattina, ed io non sento mai, nemmeno una volta, la mancanza della vita di prima. Certo, la vita di prima era uno schifo, ma anche tutte le altre prendano lentamente il largo.
É lei a chiedermi di uscire, é lei a dirmi che sapeva già chi fossi, ma che non é tornata per quello. É sempre lei a baciarmi, a portarmi a casa, a costruire una vita per due nella quale mi adagio molto volentieri e anche abbastanza in fretta. La comodità di un'illusione, che perfetta malattia.
In poco tempo conosco la sua famiglia, i suoi amici, le sue passioni, i suoi timori. Non credo di amarla, ma aspetto sempre venga il momento in cui verrà da me. É abbastanza, no? Per chi crede di non poterlo più fare, é abbastanza, vero? Voglio dire, avevo già consumato tutto il sangue, finito ogni lacrima e mi ero già rotta ogni ossa prima che lei venisse da me. Non posso credere sia amore, ma unione si.
Sophia ed io ci trasferiamo in un appartamentino poco distante dal bar. Diamo grandi cene, sprofondiamo in eterni sonni. Stiamo bene. Stiamo bene, no? Allora perché il buco nel mio petto si sta allargando di nuovo? Eppure sto facendo tutte le cose giuste. Sono brava, sono davvero brava. E soprattutto ho una brava persona accanto. Ma non riesco più a dormire al suo fianco e le nostre conversazioni sono divenute silenzi.
Sophia é sempre bella, ogni volta che la guardo, ma in tutte queste volte cerco sempre qualcuno nei suoi occhi che non le somiglia.
Come é possibile? Come si può rinunciare a questo? Certo, ho rinunciato a molto di più per molto meno e con estrema facilità. Però adesso credevo davvero di poter essere me stessa. Credevo che essermi liberata delle cattivi abitudini e delle scelte sbagliate, bastasse a farmi desiderare di essere qui e solo qui. Invece sono sempre altrove. Anche quando giuro di trovarmi a casa, sono scomposta in chissà quali futili sogni. Ed ogni giorno il vuoto é sempre più simile al mio viso, alle mie occhiaie. Ogni giorno ripenso di non aver mai eliminato il numero di Sam e a quanto poco basterebbe per mandare tutto all'aria. Di nuovo. E a quanto mi piacerebbe farlo, solo per il gusto di maledirmi.
Invece continuo a lavorare al bar, continuo a tornare a casa da Sophia e ad andare a pranzo dai miei genitori la domenica. Adesso tutta la mia famiglia é orgogliosa di me, ed é questo che mi ripeto tutte le volte che mi tremano le mani. Non sono più dipendente, ma sono ancora debole. Lo dico a Sophia. Le dico la verità. O almeno, la parte di verità che accetto da me stessa. Non le spiego perché è diventato impellente tornare a farsi male, perché ho così tanta voglia di gettarmi nell'abisso o di fluttuare per un po' nell'oblio. Non glielo spiego perché dovrei dire ad alta voce un nome e non é per proteggere lei che lo taccio, ma per proteggere me. L'egoismo dell'autodistruzione.
Nei mesi a venire, grazie al suo aiuto, riesco a contenermi, ma mai davvero a guarire dai miei pensieri ossessivi. Potrei tornare in riabilitazione, ma sarebbe umiliante a questo punto. Sono stata peggio di così e sono riuscita ad arrivare qui. Posso farcela. Sono brava. Me lo ripeto anche mentre dormo.
Durante una cena con i suoi amici, mi presenta una ragazza che é tornata dall'Europa da poco. Si chiama Chloe. Non c'è niente in lei che attiri salvezza, ma é forse per questo che non smetto di guardarla. Lei fa lo stesso. Sono sicura che uscirebbe da qui all'istante se andassi con lei. Ma io sono qui con Sophia. Comunque lei se ne accorge e anche se non é successo niente, é abbastanza per farla arrabbiare e anche per farla piangere. L'ultima cosa che voglio é ferirla. Non farei mai niente del genere. O forse si?
Quella sera no, ma un giorno si presenta al bar:«Vorrei una birra. La più grande che avete.» Sfodera un sorriso a trentadue denti e so già che non é qui per portare pace.
«Ti costerà cara.» Le dico, e dal modo in cui la guardo sappiamo entrambe che non sto parlando di birra.
«A qualsiasi prezzo.» Mormora decisa, sporgendosi nella mia direzione.
Ho un talento naturale per rovinare tutto quello di buono che la vita mi offre e non me lo faccio ripetere due volte. Se c'è una condanna, la voglio provare.
Chloe resta con me fino a tardi e quando le luci si spengono e in strada non c'è più un rumore, non sembra neppure sbagliato quello che stiamo per fare.
Mi trascina nel bagno sul retro e chiude la porta con il mio corpo. Il suo é già parte del mio. Le sue mani scavano nei miei capelli fino alla pelle, le sue labbra hanno talmente fame da farmi sentire digiuna. La foga con cui mi vuole pensavo esistesse solo in una persona al mondo.
Andiamo a sbattere contro il lavandino alle mie spalle e mi appoggio sopra di esso per permetterle di aprirmi le gambe e spingersi al suo interno. La mancanza di fiato, le movenze impetuose, il desiderio cocente... Tutto sembra un desiderio finché non apro gli occhi. Per un istante sono talmente immersa nei miei sensi che vedo nei suoi occhi gli occhi di un'altra.
«Merda.» L'allontano d'improvviso, come se mi fossi scottata, come se mi fossi tagliata.
Chloe mi rimira attonita, ancora trafelata e arrossata. Nemmeno quando sono andata in riabilitazione mi sono sentita così ridicola.
Questo spazio che separa i nostri grossi respiri é umiliante.
«Scusa.» Dico stringendo i denti.
«No, scusa tu... Non so che mi sia preso, non so come... cazzo.» Adesso che la frenesia é interrotta, la ragione prende il sopravvento. «Hai ragione. Sophia é mia amica da sempre.» Scuote colpevolmente la testa.
«Non é per quello.» Dichiaro istintivamente. «Non sto pensando a lei.» Confesso, mantenendo lo sguardo dritto davanti a me perché é lì che ho ritrovato Lauren per un secondo ed é li che mi aspetto di vederla.
Chloe mi rimira senza dire niente. Annuisce ma non sa. «Senti perché non...» Rimescola le parole. «Perché non facciamo finta che non sia successo niente?»
«Si, va bene.» Rimango immobile. Qualcosa dentro di me sta per rompersi e non voglio lei sia qui.
«Ottimo, ottimo... É meglio che io... Si, buonanotte Camila.» Esce a passo svelto dal locale e quando la porta d'ingresso si richiude in un trillo, il mio petto viene sconquassato da un singhiozzo dirompente.
Non so da quale parte di me provenga. Non so da quanto stia accantonato lì. Ma prende il sopravvento. Piango così tanto da non avere la forza di alzarmi per un bel po'. Dopo, stranamente, mi sento meglio. Ero troppo impegnata a distruggermi per saper piangere.
Ripenserò a questa notte talmente spesso da qui in avanti che difficilmente laverò via la verità assieme alla colpa.
Rientro cautamente a casa, ma la luce si accende ugualmente. Cazzo, penso. É un momento prima della fine, ed é terribile la consapevolezza.
Mi giro lentamente verso il divano. Sophia é seduta con il capo chino e il silenzio fra di noi pesa più della vita che perderemo stanotte. Quella, tutto sommato, non era poi così importante. Lo sapevamo entrambe.
«Dove sei stata?» Il tono macabramente stanco mi fa sentire ancora peggio.
«A lavoro. Scusami, ho fatto tardi, ma stasera...» Provo a dire, ma mi interrompe.
«Con chi?» Lo sa. Lo sa e basta.
«Con chi.. che vuol..?»
«Con chi eri, Camila.» Puntualizza ieratica, lanciandomi uno sguardo crudele. É solo molto ferita. Io so come ci si sente. Forse non stanotte, ma tanto tempo fa ero lei. E per ancora più tempo sono stata lei.
«Con Chloe.» Confesso.
Inspira profondamente. Il tremore nel suo mento non altera il discorso che si é preparata.
«Te la sei scopata?»
«No.» Già che ci siamo, andiamo fino in fondo a questa tortura, diamole un significato che non sia solo sangue. «Mi sono fermata prima.»
Dopo una pausa dice: «Perché?»
Mi acciglio. Ok, adesso sono confusa. «Perché...?»
«Perché ti sei fermata, Camila?» I suoi occhi mi cercano di nuovo e con la stessa meschinità. Non avrà pietà di me. Non gliela chiederò.
«Perché non volevo farlo.» Deglutisco.
Ti prego, Sophia, ti prego. Farò tutto quello che vuoi, sarò quello che meriti o sparirò per sempre. Come vorrai sarà fatto. Ma ti prego, ti prego, non farmi questo. Ti prego non portarmi così vicino alla verità. Ti prego, ci ho messo anni a distruggermi per non sfiorarla. Non rendere ogni mia prigione una sciocchezza, non ridurre ogni mia tortura in una risata, non svilire ogni cappio in una battuta di cattivo gusto. Ti prego, lasciami almeno quello che ho fatto di me stessa. Ti prego.
«Perché non volevi farlo?» Mi sbagliavo. Lo ha sempre saputo e ha comunque scelto di stare con me. Non si tratta di Chloe, si tratta di quello che é successo molto tempo prima, quando ho accettato di dividere un sogno che non mi appassionava per paura di fantasticare su un incubo.
«Sophia, ne parliamo domani.»
«No.» Si alza di scatto dal divano e viene verso di me a grandi passi. «Dimmelo.» Mi ingiunge. Anche mentre ordina sta implorando.
«Domani.» Ripeto con occhi lucidi, ma non é il mio cuore che si sta spezzando, non sono io a dettare leggi.
«Dimmelo!» Grida, strappandomi il telefono dalle mani. Lo schermo si scheggia e nessuna delle due ci fa caso.
Ricaccio indietro le lacrime e distolgo lo sguardo verso il soffitto per richiedere una forza che non merito, ma che non voglio per me.
«Camila, dimmelo.» Impartisce il soldato più triste che conosca.
Ho trasformato la mia guerra in quella di troppe persone. Mi dispiace, vorrei dirle. Invece le dico: «Perché pensavo a Lauren.»
I suoi occhi si dilatano per un istante e ci vedo tutto l'infinito che non ho voluto e mi sento così stupida da voler ritrattare per un attimo, da dire che sto mentendo, che mi sono sbagliata, ma poi ricordo di aver pianto davanti ad un fantasma stanotte. Come si può mentire di fronte a questo?
«Vattene.» Dice semplicemente. «Non voglio vederti mai più.»
«Sophia...» Prima che abbia parola, la sua mano si scaglia contro la mia guancia e avverto il prurito intensificarsi sempre di più sapendo che l'ultima cosa che avrò di lei sarà un briciolo di violenza.
«Ho detto vattene.» Trattiene le lacrime con le mani mentre si allontana ed io ho appena il tempo di raccogliere le mie cose e tornare a casa dei miei per la notte.
Ecco fatto. Anni a cercare un altro dolore con cui distrarsi e ora sono rimasta da sola con la mia verità. Che almeno apra questa ferita una volta per tutte. La renda immune o mortale, ma mai più cagionevole. Non voglio compassione, voglio un verdetto. Voglio poter mostrare la cicatrice o avere un buon nome sulla mia tomba. Voglio la fine come ogni essere umano merita, qualsiasi sia, ma mai più questo taglio dovrà sanguinare sulla mano con cui tocco il mondo.
Di Sophia non so più niente, credo si sia trasferita dove non la troverò più. Chloe prova a scrivermi, ma non voglio una brutta copia di un desiderio andato male. No, non ho fatto tutto questo per accontentarmi. Così come ho saputo annichilirmi saprò curarmi, ma senza più alcuna scappatoia.
É mia madre a portarmi dal dottor Marcus Gillian. É il miglior terapeuta della zona ed io ho davvero bisogno di qualcuno che sappia quello che fa con me. Almeno qualcuno dovrà pur saperlo.
É molto gentile con me. Paziente. Mi fa sorridere e sa sempre camminare sul baratro del mio vuoto senza aumentarlo. Pensavo che sarei diventata un buco nero, invece sono ancora un pianeta senza nome. C'è speranza. No, non esageriamo. C'è volontà.
«Allora, Camila,» domanda una volta dopo circa un anno che ci conosciamo: «Tu ti senti più Sam, Chloe, Sophia o me adesso?» Ho come l'impressione voglia domandarmelo da sempre.
Ci penso un po': «Io mi sento la ragazza in mezzo al corridoio che sta ancora aspettando la verità.» Ammetto e come un flash la dipartita di quella notte mi acceca.
«Pensi che la verità ti avrebbe evitato di ferirti?» Reclina la testa.
«Penso che avrebbe fatto molto più male, ma per molto meno tempo.» Mi rivedo perdere il fiato su un palco, scegliere il colore della prossima pasticca, trasferirmi in un appartamento con una donna che non sento mia e deluderla con un'altra donna che non mi avrà mai. «Penso sarebbe stato meglio morire una sola volta.» Dichiaro con gli occhi stanchi ma valorosi. La gloria del perdente.
«Forse si, ma se la verità fosse semplicemente quella che Lauren ti ha detto quella sera?»
Non ci avevo mai pensato. É mai stato davvero importante? No. Non era la verità che cercavo, ma il suo pentimento. Nemmeno una volta, né durante né dopo, Lauren ha pensato di venirsi a far perdonare. Chissene frega della verità. Io volevo solo pronunciare il suo nome senza vergogna. Volevo mi amasse e tornasse a dirmelo. Invece ha preferito guardare come mi spezzassi perché non aveva potere di far altro con un cuore disinteressato. Forse quello sera davvero Lucy ha baciato lei senza che Lauren lo volesse. Ma tutte le sere a venire, dov'è stata? Dov'era? Non é stata quella notte a cambiarmi, ma il silenzio di quelle dopo.
Nelle settimane successive, Marcus mi aiuta a sbrogliare la matassa di nodi che avviluppano la mia coscienza, ma ci va molto cauto con quelli che ghermiscano la memoria. É più facile parlare di quello che ho fatto, che di quello che mi hanno fatto. Ed é strano, ma accetto meglio le colpe delle ingiustizie. Almeno per le prime so a chi chiedere scusa.
Grazie all'aiuto di Marcus mi sento davvero meglio. Meglio di quando prendevo le pasticche sia di quando stavo al centro. Meglio anche di quando tornavo a casa da Sophia? Forse quello no, ma perché affrontare la realtà non può essere più comodo di cullarsi in una fantasia. Forse quelle braccia non le amavo, ma erano mie. Adesso ho solo le mie mani a prendermi e molto spesso sono impegnate a soffocare un grido per accorgersi che sto cadendo.
Marcus ed io trascorriamo due anni insieme. Due lunghissimi anni in cui ci vediamo regolarmente due volte a settimana. I primi tempi penso che lui sia più spaventato di me, che forse non c'è davvero qualcuno che possa aiutarmi perché non c'è davvero qualcuno che sappia cosa stia accadendo dentro di me. Ma poi scopro che é sempre stato molto più facile di quanto mi beffassi. C'era una ferita e non la sapevo chiudere. Ne ho aperta un'altra per sopravvivere e purtroppo ha funzionato. Così ne ho aperta un'altra per sfizio e ha funzionato anche stavolta. Ne ho aperta un'altra e un'altra ancora e una in più... Alla fine erano così tante da confondersi tra la prima e la decima, così non sapevo mai per così soffrissi, e sarebbe stato anche un confortevole modo di guarire se non fossi stata sul punto di dissanguarmi. Il problema del salasso non é lo sfinimento, ma non avere più sangue con cui distrarsi.
Adesso Marcus stava ricucendo tutte le ferite. Una ad una. Anche quelle che avevo inciso giusto per accertarmi di essere ancora in grado. E così come tutte avevano trovato il loro posto in me, adesso trovavano la loro fine. La parte bella di un campo campo si battaglia é che nascono comunque i fiori. Si, qui qualcuno é morto, ma é pur sempre terra e la terra sa solo tornare a vivere.
Quando Marcus finalmente si sente libero e tranquillo per parlare di Lauren, io mi avvedo della mia debolezza. Sarei pronta a martoriami ancora un po' pur di non dire il suo nome ad alta voce, ma non ho ricamato le mie stesse cicatrici per imparare ad affondare più in profondità la lama.
Sono dei lunghi mesi. É insolito vivere un dolore dopo anni dalla sua comparsa. Al posto suo ne ho vissuti dieci, cento, mille. E invece era sempre e solo uno, ma non era mai stato mio finché non ne ho accettato le conseguenze. La responsabilità della ferita. Non importa chi la apre, ma come decidi di viverla. É quella la responsabilità della ferita: quanto tempo ti occorre che resti aperta prima di chiuderla. Ed é solo tua.
Marcus ritiene che sia pronta a cavarmela da sola, che possa proseguire senza il suo aiuto. Quando esco dal suo studio, ripenso alla domanda che mi ha fatto tanto tempo fa. Ti senti più Sam, Sophia, Chloe o Marcus? Oggi mi sento Camila e chiunque abbia un nome diverso, mi lascia libera.
Alla fine, decido di andare via anche da Miami. Qui c'è la mia famiglia, c'è tutto quello che mi ha aiutato a sollevarmi e a camminare. Ma c'è anche tutto quello a cui mi sono indebitamente appoggiata. Lo so, l'egoismo della salvezza richiede superbia, ma nessun naufrago vuole tornare sull'isola che lo ha reso estraneo a sé stesso.
Con i miei soldi, quelli che mia madre ha custodito e razionato negli anni tenendoli lontani dalle mie pazzie, mi trasferisco a New York. É molto diversa da tutto quello che conosco e mi piace per questo. Conosco gente nuova, apprendo nuove abitudini e mi affeziono a nuove distrazioni. É meraviglioso ricominciare quando non sei disposto a distruggerti.
Una mia cara amica, Leslie, mi invita ad una mostra alla sua galleria d'arte. Accetto ben volentieri e mi presento in anticipo. Mentre girovago per le stanze osservando opere bellissime ma dal significato a me incompreso, mi sento davvero parte di qualcosa in cui investire. Ed é tutto perfetto finché non inciampo. Letteralmente, intendo.
Cazzo, penso notando di aver urtato contro qualcuno e di avergli sporcato la giacca. Sto per chiederle scusa quando i suoi occhi incrociano i miei e mi rendo conto che é lei a dover trovare le parole per un perdono.
«Camila? Ciao.» Dice semplicemente Lauren.
Tu non sai quanti vetri rotti, quante pagine strappate, quanto affilato fosse il coltello, quanto amaro fosse il sangue; non sai quante notti senza alba, quanti giorni al buio, quante parole senza voce, quanti nomi e quanti sbagli, quanti attimi di dimenticanza e quanti sorsi di frenesia o quanti calici pieni di rabbia; non sai quante delusioni fatte di carta, quanti incendi fatti di gelo e quante maree senz'anima; non sai quante lacrime, spasmi, sogni, desideri, atrocità, meschinità, villanie, baci, risate, pugni, cadute, vuoti, chilometri e minuti ci siano voluti per essere qui. Per ritrovarti.
«Ciao.»
Ci guardiamo come due che non sanno cosa farsene del proprio passato perché é troppo lontano per decidere se stringersi la mano, abbracciarsi o restare al proprio posto.
Alla fine é lei a stringermi delicatamente a sé, senza troppa convinzione ma con la caduca gentilezza dei convenevoli. Toccare le sue spalle, però, ricordare la forma della sua schiena, mi ricorda di quanti cieli dentro una bara ho visto.
Chissà lei cosa sa di me. Se si sia mai informata di me. Preferirei di no, visto quanto in basso sono arrivata, ma forse, ad un certo punto, Marcus mi ha detto che l'ho fatto solo per ricordarle che esistevo. Sarebbe demoralizzante scoprire di non esserci riuscita, ma patetico averlo fatto.
«Che ci fai a New York?» Domanda ancora allibita.
«Ci vivo, per ora.» Sfodero un sorriso tenue. «E tu?» Sono contenta il mio calice sia vuoto.
«Io pure, ma non so ancora per quanto.» Si stringe dolcemente nelle spalle. Ora tutto quello che ho fatto non ha più importanza, anche se erano patti con la morte.
«Sei ancora una musicista, no?» Conosco la risposta, ma almeno un vago sentore di indifferenza mi renderà dignità.
«Si, qualcosa del genere. Sono troppo vecchia per le nuove generazioni e non abbastanza datata per quelle precedenti.» Ridacchia. Davvero per lei é stato tanto facile?
Annuisco pensierosa.
«E tu?» Quindi non lo sa. O fa finta di non saperlo. Dovrei essergliene grata o posso cominciare a urlare? Non lo so.
«Io lavoro come manager di un nuovo artista.» C'è anche questo, giusto.
Sembra davvero colpita e si complimenta con me. «Perché non beviamo qualcosa, prima che finiscano tutto?» Mi é mancata. Mi é mancata davvero tanto.
«Si, perché no.» Accetto, dirigendomi verso il bar fra una chiacchiera e l'altro.
Lascio sia lei a scegliere cosa bere per entrambe e poi un silenzio sconveniente si insinua fra noi. Eppure abbiamo così tanto da dirci che oggi non basterà, ma ci squadriamo a vicenda come per capire quale parte di noi sia rimasta intatta, quale ricercare e quale non toccare mai più.
«Beh,» esordisce lei enfatica, «che mi sono persa?»
Un sorriso mi tinge le labbra.
Da dove cominciare?
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