Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Back To Black



We only said goodbye with words
I died a hundred times.

————

Quello che a diciannove anni nessuno ti dice é che nessun marito lascerà mai la moglie... Ma se é la moglie il tuo problema?

É vera la formula per cui ogni azione corrisponde ad una reazione uguale o contraria, dunque dovremmo dedurre che nessun'azione corrisponde al nulla, ma non sempre é così. Diverse volte anche il nulla é in movimento, anche la materia che non conosciamo ci consente la vita, eppure per noi é un nulla, ma nulla che avviene.

E fra me e Lauren era nulla che non smetteva di essere.

Suo marito era il partner in affari di mio padre. Quell'estate dovevano parlare di un'importante fusione fra aziende, ma mia madre si era rifiutata di trascorrere le vacanze in casa. Mio padre e Nolan avevano fatto quello che sapevano fare meglio: patteggiare. Avevano riunito le due famiglie sotto un'unica grande villa sulle coste degli Hamptons, dove ognuno avrebbe scelto come impiegare il tempo.

«Ma non é giusto!» Mi impuntai. «Io e Dinah dovevamo andare in California quest'anno.»

«Camila, non fare l'egoista. Non ti stiamo di certo trascinando nel posto peggiore del mondo.» Si rese conto di aver usato un po' troppa austerità perché si sedette sul bordo del letto con un sospiro amorevole: «Mila, tuo padre ha bisogno di pensare solo all'affare in corso, non possiamo darci pena anche per te dall'altra parte del paese. É solo per quest'estate.» Allungò una mano verso la mia. Roteai gli occhi al cielo, ma annuii comprensiva. Lo dovevo a lui tutto quello che avevo, perciò un favore non era niente di eclatante da restituirgli.

Così partimmo tutti insieme. I grattacieli di New York non mi sarebbero mancati, ma salutavo lo stesso il paesaggio scintillante che, piano piano, lasciava spazio al verdeggiante lusso della costa più ambita degli ultimi decenni. Le enormi ville non erano mai troppo esuberanti da ombreggiare la vista, i prati verdi risaltavano più di qualsiasi architettura. Qui la vita andava lenta.

La nostra Villa era posizionata in fondo ad una strada particolarmente isolata. Avevamo solo altri due vicini e una lunga strada che ci collegava al resto dell'isola. La prima cosa che notai fu il silenzio, immacolato e onnipresente. La seconda cosa che notai fu la donna sulla soglia. I suoi boccoli corvini scendevano poco sotto le spalle muovendosi leggermente sotto l'influenza del vento. Gli occhi verdi rilucevano anche in mezzo ai prati. Era l'estate in viso e tutte le stagioni in corpo. Le forme sinuose si adagiavano sotto la camicetta allentata e si mettevano in mostra nei pantaloni leggermente più attillati. Il mio sguardo venne ricambiato, ma eravamo cosi lontane da poter sempre mentire a riguardo, anche a noi stesse, che era la parte più importante di ogni bugia.

La donna ci venne incontro con le mani nelle tasche dei pantaloni, i piedi scalzi e lo charme scanzonato di chi non si deve impegnare per creare armonia. Per un momento, mentre la osservavo muoversi, non capivo se desiderassi assomigliarle o solamente starle vicino; era una di quelle persone che non sai mai se invidiare o volere, ma soprattutto non puoi dire quale delle due sia più pericolosa per te che non hai nessuna delle due.

«Lauren!» Mio padre aprì le braccia per stringerla in un abbraccio. Lei lo accolse modicamente, limitandosi ad un saluto rapido.

«Dove si é cacciato tuo marito?» Mio padre teneva la mano sulla sua spalla ma guardava oltre.

«Non sei per niente educato, Alejandro.» Lo riprese mia madre, scusandosi con le tipiche maniere femminili carpite solo fra donne. «Sei sempre più bella, tesoro.» Le baciò una guancia. Era la prima volta che invidiavo mia madre.

«Queste sono le mie figlie. Sofia, la birbante di casa.» Le spettinò i capelli facendola ridere. Lauren si chinò per salutarla. «E questa é Camila, anche lei non ci rende le cose facili.» Mi rivolse un sorriso complice a cui risposi con uno altrettanto sarcastico.

Lauren fece un passo verso di me e tutto mi parve girare troppo in fretta. Rimasi immobile per sfidare me stessa.

«Non mi aspettavo di meno.» Fu una di quelle frasi cliché dette tanto per instaurare una sorta di comprensione, ma i suoi occhi erano così penetranti da instillare un dubbio. «Lauren.» Mi tese la mano.

«Camila.» Gliela strinsi. Fui troppo avventata con il rischio; più istighi il pericolo, più questo ti ama.

La sua pelle sfiorò ancora la mia mentre si allontanava. Fu una carezza involontaria, ma uguale, nei suoi occhi scintillava quell'audacia capace di rendere tutto un malinteso.

«Vi faccio vedere la casa.» Ruppe quell'attimo come fosse carta e si avviò, in testa al gruppo, verso l'ingresso.

La villa era molto più grande di quanto avessimo bisogno. Molte stanze sarebbero rimaste vuote.

«Questa é la camera da letto di mio marito e quest'altra é la mia. Tutte le altre sono a vostra disposizione, come vi torna meglio.» Disse. Avevo sentito parlare di matrimoni con letti separati, ma mi domandavo cosa conducesse due persone a voler passare il resto della vita insieme ma soli.

Scrutai attentamente il corridoio e scelsi la stanza più remota: «Io prendo quella.» Indicai l'uscio in fondo all'androne prima che lo facesse qualcun altro.
Nessuno si oppose, così, mentre loro proseguirono il giro, io mi ritirai nella mia camera per disfare la valigia.

Fu una piacevole sorpresa scoprire di essermi aggiudicata una camera con balcone privato. Altre stanze ne possedevano uno, ma non tutte. Mi affacciai sulla distesa lussureggiante. La brezza marina mi solleticava il naso, mentre gli odori dei fiori rinfrescavano l'aria. Alla fine, non potevo che dirmi soddisfatta.

Nel primo pomeriggio, mia madre venne a chiamarmi per pranzare tutti insieme. Fu la prima volta che conobbi Nolan. Era un uomo distinto, ancora molto giovane per il patrimonio che possedeva. I capelli scarmigliati si erano schiariti al sole lucidando la sua pelle già nivea. Era un bell'uomo, ma tutto di lui gridava forte quanto si impegnasse per apparire al meglio, niente in confronto alla naturalezza di Lauren.

«Camila, finalmente ci presentiamo.» Sorrise esageratemente mentre mi stringeva la mano. «So che questa non é l'estate che ti aspettavi, ma se vuoi divertirti ci sono tanti locali in zona, oppure puoi prendere il mio yacht quando ti pare.» Erano i tipici ammiccamenti di chi tenta di ricordare cosa volesse da giovane. Lo ringraziai e mi andai a sedere.

Lauren si accomodò di fronte a me. La camicetta celeste ondeggiava sulla sua pelle, scoprendo, a tratti, porzioni di pelle tratteggiate da linee scure. Tentavo di indovinare quale tatuaggio avesse inciso la sua pelle, ma era ancora un segreto per me. Probabilmente mi fissai troppo sfacciatamente sullo stesso punto da sembrare indiscreta. I suoi smeraldi mi scrutavano seriosamente dall'altra parte del tavolo, ma non c'era lamentala nella sua fissità. Distolsi lo sguardo per dissuadere l'imbarazzo.
Anche mentre guardavo altrove, però, la sua morsa non mi abbandonava. Non ero mai stata così irrequieta da dovermi coprire il viso, con una scusa o l'altra, o da dover cambiare posizione come per scrollarmi di dosso un materiale appiccicoso. Lei non si dissuase.

«E tu, Camila? Che intenzioni hai in futuro?» Non avevo seguito la conversazione, ma due uomini d'affari riuniti allo stesso tavolo potevano solo parlare di una cosa: soldi.

«Mi sono iscritta a Berkley, ma se non mi piacerà andrò a lavorare come cameriera da Josh.» La Mia risposta scatenò una risata in Nolan, mentre mio padre, che sapeva quanto seria fossi, non si scompose.

Lauren non mi conosceva abbastanza da poter discernere il sarcasmo dalla confessione, eppure non si fece tradire da nessuna ilarità, quasi avesse colto nel mio messaggio più un'affermazione che una sfida. Volevo essere me stessa, dove non importava.

Nolan si schiarì la voce, intimidito dal silenzio circostante: «E tu, Sofia?»

«Io sarò un'astronauta.» La vocina di mia sorella allargò dei sorrisi.

«Oh, finalmente quello che mi piace! L'ambizione.» Le fece l'occhiolino facendola ridere.

Detestavo tutti loro. Beh... quasi tutti. Voltandomi verso la corvina, scoprii che non si dava neppure pena di nascondere la sua arroganza. Continuava a fissarmi, ma non diceva niente, a malapena rispondeva agli altri. Avevamo qualcosa in comune, solo che lei lo aveva scelto di essere lì.

«Scusate.» Mi intromisi mentre trattavano di qualche argomento noioso sull'onda dell'economia estera: «C'è una piscina qui?»

«Una piscina?» Nolan quasi scoppiò a ridere. «Tesoro, abbiamo una delle piscine più Grandi degli Hamptons.» E chissene frega?

Sfarfallai le sopracciglia: «Quindi c'è?»

Lauren portò la mano davanti alla bocca per imbrigliare un sorriso, incassando un'occhiata di disappunto dal marito.

«Certo, é poco sotto il parco.» Cercò di restare calmo, ma non c'è niente che infastidisca il potere più della risata di una donna.

«Grazie.» Mi alzai, raccolsi il libro che avevo portato con me a tavola e mi incamminai verso il parco.

Bisognava superare una distesa d'erba prima di scollinate e giungere alla piscina, situata proprio di fronte al canale marittimo. Era molto riservato, una nicchia dove ti sentivi riparato dal resto; il posto ideale per leggere Baudelaire. Mi sganciai i pantaloni e immersi le gambe nell'acqua. Avevo intenzione di trascorrere le prossime settimane quaggiù, lontana dalle chiacchiere, dai rumori, inabissata nelle parole e nel silenzio. I miei piani vennero ben presto sconvolti.

Nelle giornate successive, non potei fare a meno di notare l'enorme libreria provata di Nolan. E soprattutto non riuscii a fare a meno di trovarla costantemente incustodita. Nelle giornate morte, quando tutti uscivano, mi rintanavo in un angolo della libreria e sfogliavo i libri di Nolan. Pareva non avessero trovato altro che polvere per anni.

Una notte, quando il sonno era stato spazzato via dalla noia, sgattaiolai in punta di piedi verso la libreria. Non accesi la luce per non destare l'attenzione di nessuno, ma appena ebbi richiuso la porta, la lampada ad olio sulla scrivania illuminò il mio crimine.

«Oh, merda.» Portai una mano sul petto, ma il vero spavento mi colse quando riconobbi Lauren.

Era seduta comodamente in poltrona e teneva i talloni, sempre scalzi, sulla scrivania. Sfarfallò le ciglia nella mia direzione ad interrogarmi.

«Mi dispiace, io.. non riuscivo a dormire.» Mi schiarii la voce che non collaborava.

«Siamo in due allora.» Aveva un libro aperto sul grembo, ma non riuscivo a leggere il titolo: «Qui non entra mai nessuno, puoi fare con comodo.» E Tornò alla sua lettura.

Ok... Non sapevo se fosse un invito a restare, ma non pareva neppure un comando ad andare, perciò scelsi quella che preferivo e mi addentrai lungo gli scaffali. Avevo notato, nei giorni precedenti, una sezione interessante e mi ero diretta lì a colpo sicuro. Avevo imparato anche che i libri erano divisi per autore, così raggiunsi la meta facilmente. Appena trovai il tesoro, tornai sulla pianta dei piedi e, virando, trovai gli occhi della corvina a spiarmi.

«Non sembra la prima volta che vieni qui.» Commentò sfrontata.

«Non lo é.» Avrei potuto mentire, ma sapevo bene le regole di quel gioco: dimostrarsi temerari anche quando si ha timore. «Sono venuta qui nei giorni di solitudine.»

Annuì fra sé e sé, senza rendermi partecipe dei suoi pensieri. Sfogliò la pagina, facendomi capire che la nostra conversazione era finita... di nuovo. Mi accomodai nel bovindo, alle sue spalle. Da lì riuscivo a carpire bene la sua figura, tornita e slanciata, così e elegante anche nel massimo della comodità. Tutto in lei emanava sensualità. E ancora una volta non sapevo se volessi possedere quello che aveva o assaporarlo con le mie mani. Mi confondeva e quando una donna ti confonde sei capace di mettere in dubbio una vita intera.

Mi focalizzai sulla mia lettura, ignorando, per quanto possibile, la sua presenza. Anche quando non la guardavo, avvertivo le vibrazioni sfiorarmi la pelle. Ogni volta che stavamo nella stessa stanza, non sapevo come controllarmi. Sentivo il mio corpo diverso o forse lo sentivo per la prima volta.

«Poesia.» Disse d'un tratto.

«Mh?» Scossi la testa nella sua direzione.

«Baudelaire.» Additò il mio libro con un gesto minuto del capo.

«Ah, si. É una prima edizione questa.» Accennai un sorriso, ma non volevo sembrare troppo affascinata dalla sua normalità, quasi restare umile mi permettesse di ammaliarla.

«Lo so, l'ho comprata io.» Poggiò il libro che stava leggendo sulla scrivania, si avvicinò lentamente senza mai distaccare gli occhi dai miei. Avvertivo la tensione concentrarsi in ogni fibra del mio corpo, ma non demordevo.

Mi si affiancò e si arcuò, sporgendosi più del dovuto vicino alla mia pelle: «É scritto qui.» Sussurrò, portando il dito sulla pagina iniziale. I suoi capelli corvini mi solleticavano le clavicole, speravo il suo profumo mi rimanesse addosso, in qualche modo.

Non mossi un muscolo, perché se mi fossi azzardata non mi sarei più fermata. Lauren rimase inerte per qualche secondo, poi sollevò le spalle come niente fosse (e forse niente era davvero per lei) e consultando l'orologio mi disse: «È meglio se andiamo a dormire.» Si avvicinò alla scrivania e spense la luce, decidendo per entrambe. Non era l'ultima volta.

«Buonanotte, Camila.» Ricordo bene le sue forme scolpite nel buio, la luce azzurra evanescente ad opacizzare le movenze verso una notte in cui non avrei fatto altro che ricordare.

I giorni trascorsero lenti, solitari. Il mio posto rimaneva mio, nessuno invadeva la mia zona, anche se, dopo quell'incontro, speravo Lauren lo facesse, ma lei delle mie speranze non ne avrebbe mai saputo nulla. L'estate sarebbe passata ed io assieme a lei. Presto o tardi anche Lauren sarebbe rimasta un ricordo piacevole a cui tornare, ma niente di più di un desiderio mancato, di un piacere nascosto, di un peccato proibito. Per ora, però, era solo un problema.

Era un problema trovarla in ogni angolo della casa, un problema vederla prendere il sole in giardino ma anche solo leggere sul divano in veranda. É sempre un problema parlare direttamente con un sogno. Alla fine dell'estate mancava poco più di mese e se poteva sembrare poco tempo, dall'altra parte non mi pareva di poter essere tanto forte a lungo. Ma il peggio doveva ancora arrivare.

Mio padre ebbe la splendida idea di andare a visitare un'isola privata, nei dintorni della costa. Lo yacht di Nolan era sempre pronto ed equipaggiato, quindi era sufficiente l'intenzione. Si prepararono per il giorno successivo, ma io, per non smentirmi, decisi di restare a casa, a godere del silenzio. Adesso, io non credevo al destino, ma quando le coincidenze erano troppo lampanti per definirle casualità, mi piaceva chiamarle occasioni. Non credevo esistesse qualcuno capace di scegliere per me, soprattutto perché darsi pena delle mie scelte se ogni vita poteva appartenergli? Però ritenevo, a volte, ci fossero eccezioni per cui certi eventi toccavano due vite allo stesso modo, cambiandole però in centinaia di maniere diverse. Quella ne fu una.

Lauren doveva terminare di scrivere un articolo per il giornale per cui lavorava. Era capitata una notizia dell'ultimo minuto e lei se l'era accaparrata, perciò niente vacanza, niente yacht e soprattuto niente partenza.

Mia madre fu felice di sapere che non sarei rimasta da sola in villa, ma nei nostri sguardi, quando venimmo a sapere dell'imprevisto, si palesò un riflesso ignoto al resto del mondo ma innegabile nel nostro. Anche se non succederà niente, non potremmo mai dire di non averlo saputo, di non averci pensato. Era questo che volevamo dirci, invece abbassammo la testa e parlammo dell'economia francese.

Il giorno dopo, partirono molto presto, dopo migliaia di raccomandazioni e abbracci. Erano solo due giorni, ma per una madre sono già troppi. Mi imposi fin da subito di rispettare il mio solito programma, di non inoltrarmi in stanze sconosciute o luoghi diversi da quelli abitudinari, però, dopo il mio usuale pomeriggio di lettura a bordo piscina, feci una deviazione verso la cucina per appropriami di una buona dose di avanzi. Lauren era lì. Stava battendo al computer forsennatamente, concentrata su ogni parola dettata dalla sua professionalità. Feci in modo di sbrigarmi, ma quando accennai ad andarmene, la sua voce mi arrestò.

«Resta qui.» Un brivido mi percosse violentemente la schiena. Era impossibile non lo avesse notato. «Voglio dire, non mi disturbi.»

Mi voltai gradualmente e la trovai ancora impegnata sul suo lavoro. Per lei era davvero niente quello che ne faceva di me ed era assurdo pensare che non lo avrebbe saputo mai, che nella mia vita sarebbe sempre stata diversa da come si sarebbe immaginata lei. Un ricordo é uno solo se a raccontarlo é la stessa persona.

Non obiettai. Mi sedetti al tavolo assieme a lei e mangiai l'insalata di pollo direttamente dalla scatola; dalle occhiate che mi scagliò non doveva essere abitudine da queste parti. Dopo aver terminato il pranzo, mi incamminai verso la mia stanza. Avrei voluto impiegare meglio il tempo trascorso, ma non sapevo mai cosa dirle e tutto quello che mi passava per la testa sembrava banale o fuori luogo. Non volevo dimostrarle di non essere alla sua altezza, perché se anche per un minuto avesse potuto avere un dubbio, sarebbe stato grazie al mio silenzio, al massimo. Sempre meglio essere un dubbio che un no.

Passai tutto il pomeriggio in camera. Sentivo di dovermi proteggere o forse desideravo solamente stuzzicarla con l'indifferenza. Non che lei stesse ai miei giochi, ma anche solo immaginarlo mi elettrizzava. Quando il sole affievolì la sua morsa incandescente, mi affacciai sul balcone per leggere le ultime pagine di Delitto e castigo. Il sole stava tramontando e l'intera baia era inondata da un caldo rosso, soffice come spuma ma non altrettanto denso.
Quando abbassai lo sguardo, trovai Lauren lì.

Scrutava l'orizzonte con un calice di vino in mano, dandomi le spalle. Non si era seduta, il che mi parve curioso. Aspettò che il sole calasse interamente, poi si voltò verso la villa e il suo sguardo, per prima cosa, cercò il mio balcone. Fu sorpresa di incrociare il mio sguardo, ma non si fece intimidire. Rallentò il passo, fissando i suoi smeraldi dentro i miei occhi. I vestiti di seta adombravano le sue forme e allo stesso tempo le ingentilivano. Per lei era molto più facile che per me sostenere uno sguardo profondo e duraturo, ma mi costrinsi a non capitolare finché non giunse alla porta finestra e scomparve all'interno. Il mostro ora poteva trovarsi anche sotto al mio letto... ma magari.

Inalai a pieni polmoni mentre l'ultimo raggio della giornata trasfigurava questa terra. La notte prese possesso del parco, riducendone la grandezza con la sua veste nera. Solo i riflessi della luna sull'acqua mi consentivano di stimare quanto lontane fossimo da tutto. Qualcosa mi diceva che era proprio questo che voleva dirmi con il suo sguardo.

Rimasi sveglia fino a tardi a pensare a cosa fare e cosa non fare, ma come tutte le volte in cui si é giovani e si vuole qualcosa, pensai bene non fosse mio a prescindere e scelsi la discrezione al ridicolo. E poi, lo sapeva dove fosse la mia porta, perciò...

Mi addormentai senza che nessuno venisse a svegliarmi, ma nel mezzo della notte mi svegliai di soprassalto a causa di un rumore sulla finestra. Non era niente, ma tutto mi spaventava se non lo conoscevo. Faticai a riprendere sonno e mi sentii troppo piccola in una villa così grande, perciò scesi dal letto e poi al piano di sotto per dimostrare a me stessa di non aver niente da temere. E anche se lo avessi avuto, meglio trovare il pericolo davanti agli occhi che alle spalle.

Scesi a versarmi un bicchiere d'acqua e poi passai attraverso il salone per tornare in camera.

«Non trovi spesso pace.»

«Cazzo!» Tossii. Per poco non sputavo anche il cuore. «Lauren, vuoi uccidermi?» Domandai con il fiatone, approfittando dell'acqua per calmarmi.

Dalla penombra la vedevo seduta sul divano. Intuivo i contorni ma niente di più. Anche lei sorseggiava qualcosa e dall'odore pungente non sembrava acqua.

«Se tu che fai il fantasma.» Replicò con tono basso.

«Si beh, non riuscivo a dormire.»

«La storia si ripete.» Cantilenò, poi issò il bicchiere controluce e mescolò l'ultimo residuo per berlo d'un sorso. Allora si alzò dal divano e permise alla luce di scoprirla. Cazzo. Indossava una vestaglia bianca, trasparente quasi, e sotto solo l'intimo. Tutto quello che avevo immaginato fino ad ora era adesso una realtà, una che non avrei dimenticato tanto facilmente.

«C'è qualcosa che ti tiene sveglia?» Sapeva benissimo cosa stava facendo, sapeva benissimo cosa mi stava facendo, ma lo nascondeva sotto le migliori intenzioni.

«Cosa? No, io.. sono solo un po'... un po' spaventata da i...»

«Spaventata?» Mi interruppe recisa. Depositò il bicchiere sul tavolino e si fece strada nel buio che ci separava. Ogni passo scolpiva il suo corpo sempre un po' di più, sempre un po' di più... Fino a che non si trovò talmente vicina a me che ebbi paura delle mie stesse mani: «Di cosa hai paura, Camila?» Ridusse il tono ancora di un grado, tanto avrei percepito anche i sussurri da lì.

Deglutii sperando di non essere colta in fallo e allo stesso tempo mi bagnai le labbra per non ingolfare le parole: «Niente solo che io, io non sono abituata a questa casa e, e...» Posavo lo sguardo dappertutto fuorché su di lei.

«Hai paura anche di me?» Come esercitava tanta baldanza?

Abbozzai un sorriso sghembo: «Cosa? Perché dovrei?»

«Allora perché non mi guardi?» Dimezzò ancora una volta le distanze ed io, istintivamente, mossi un passo all'indietro, trovandomi schiacciata contro la libreria e il suo respiro; due passioni fatali.

La sua domanda era stata troppo precisa per scansarla, fraintenderla o anche solo aggirarla. Inalai a fondo prima di voltarmi verso di lei. I suoi smeraldi ora si potevano trovare anche al buio ed io non mi sentivo sicura più di niente. Distolsi immediatamente le ciglia.

«Non riesci a guardarmi. Ti faccio paura.» Il suo sussurro mi carezzò la pelle.

«Ti prego, smettila.» Esalai infine, perché solo gli stupidi non implorano in fin di vita e io ero sicura che quella notte fosse la fine di una vita e l'inizio di un'altra.

Lauren fu quasi stupita della mia arrendevolezza e le piacque ancora di più insistere: «Di fare cosa, Camila?» Ma intanto il suo addome premeva contro il mio e ogni parte di me lo voleva ancora più vicino.

«Di giocare.» La fulminai con lo sguardo, ma mai i miei occhi avrebbero potuto bruciare quanto i suoi.

«Di giocare.» Mi fece eco, reclinando leggermente la testa come fosse confusa.

«Si! Di giocare a questo gioco, con me.» Poggiai il bicchiere sullo scaffale più vicino per metterle le mani sulle spalle, irata. «Non é divertente prendersi gioco del desiderio altrui.» La mia voce era così fievole da far ridere persino me.

«Desiderio.» Ricalcò con lentezza, come se non mi avesse appena lanciato in mezzo al fuoco e mi stesse guardando bruciare.

«Si. Si.» Dichiarai senza remore perché ormai era chiaro sapesse e non c'era più bisogno di nascondersi e nemmeno volevo farlo. «E tu sei una stronza.» Sottolineai, solo per riprendermi un po' del potere che stavo perdendo, ma ormai di mio era vero solo l'affanno.

«Non dovresti rivolgerti così a quello che ti fa paura.» I suoi occhi cercavano i miei anche quando non la guardavo. Dovunque, ero in trappola.

«Non mi fai paura, sei solo una stronza.» Ribadii, sostenendo il suo sguardo perché adesso era evidente che si stesse prendendo gioco di me. Non c'era, nella mia testa, la possibilità che mi volesse davvero. Non ancora.

Calmò malamente il respiro e si spinse ancora un po' contro di me. Percepivo il suo seno contro il mio e niente del mio corpo mi apparteneva più ormai. Era tutto suo, poteva prenderlo. Afferrò il mio mente fra le sue dita e mi obbligò a non scappare: «Non é questo che mi dici con il bacino.»

«Adesso basta!» Stanca dei suoi giochi, l'agguantai per le spalle per allontanarla, ma le sue mani furono sulle mie e prima che potesse spintonarla mi immobilizzò i polsi.

Li lasciò andare solo quando, con il suo lungo sguardo, mi fece capire che non stava scherzando, che non era un gioco per divertirsi, che non voleva ridere di me, voleva me e basta. E allora sì che tremai.

«Toglimela.» Ordinò pacatamente, riferendosi all'unica cosa che stringevo fra le mani. Mi parve di spogliare un sogno ma ne ebbi paura come fosse un incubo. É così che appare tutto quello che hai sempre voluto quando finalmente lo stringi.

Feci come mi disse, lasciando cadere lentamente la sua vestaglia per terra. Adesso il suo corpo era esposto alla luce e mi invitava a toccarlo senza remore, eppure non mi azzardai. Lauren sospirò e tornò ad adagiarsi contro di me, ma stavolta le sue mani furono sulle mie gambe, già di per sé nude, e risalirono i brividi lungo i fianchi e ancora più su fino al seno. Solo una maglietta ci divideva.

Morsi il labbro per non gemere, non avevo capito non stessimo giocando più. Lauren si chinò contro le mie labbra, ma non le catturò se non con il respiro: «Devi chiedermelo.»

«Sei proprio una stronza.» Fremetti infuriata.

«Si, ma tu sei una ragazzina.» Un sorrisetto malizioso incrinò quello che doveva essere il mio bacio.

«Sono abbastanza grande per decidere.» Mi impuntai, ma nel frattempo spinsi il bacino verso il suo per indurla alla resa.

«E allora sei anche abbastanza grande per parlare.» Con una mano agguantò il mio fianco e mi trattenne a sé, forse per dimostrarmi che poteva sopportare ogni mio affronto o forse perché anche lei non ce la faceva più.

«Abbiamo parlato fin troppo.» Dissi prima di afferrare la sua nuca e baciarla. Fu inaspettato tanto per lei quanto per me, ma ormai era così evidente cosa volessimo da non poterne più fare a meno.

Lauren sbuffò irritata, ma poi il sangue scorreva più veloce dell'orgoglio. La sua bocca lasciò facile accesso alla mia ed entrambe lottammo per farci spazio con la lingua dentro l'altra. Non ricordo bene cosa le altre parti del mio corpo facessero, ma in tutta onestà penso stessero solo supplicando. Lauren si spinse interamente contro di me, facendomi sentire il suo corpo anche da sotto la maglia. Quando non resistetti più, me la sfilai, stupendola una seconda volta per quella notte. Il suo sguardo si soffermò sul mio seno, fu l'unico istante in cui l'ebbi in pugno, poi la sua bocca si schiuse su di esso e niente ebbe più valore.

Mi inarcavo talmente tanto verso di lei da costringerla a tenermi ferma con una mano. Le due forze entrarono in collisione e qualche libro cadde dagli scaffali.

Lauren alzò lo sguardo: «Non é il momento di leggere.» Mi afferrò per i fianchi e mi guidò verso il divano.

Non credo nemmeno fu lei a spingermi, caddi e basta, sfinita dalla voglia di sentirla ancora. Si disfece degli ultimi indumenti prima di mettersi sopra di me. Adesso ogni porzione della sua pelle poteva benissimo essere la mia. Le sue labbra succhiarono il mio collo mentre le sue mani stuzzicavano il mio inguine senza addentrarsi mai oltre.

«Lauren...» Voleva essere un rimprovero, ma fu una preghiera.

«Te l'ho detto, devi chiedere.» Mormorò contro il mio orecchio prima di morderlo.

Si sentiva troppo padrona del mio desiderio e io avevo già perso abbastanza per una notte.

Catturai i suoi occhi nei miei e mi feci coraggio: «No, non devo.» Afferrai la sua mano e la portai al mio centro. Prima che potesse scalpitare, gliela bloccai con le gambe e sorrisi direttamente contro le sue labbra. Non ne fu felice, ma anche lei era tropp bisognosa per protestare.

Mi accontentò, facendo scivolare le dita dentro di me. Arcuai il bacino verso di lei, come se non mi bastasse averla. Lauren mi tenne giù con il corpo, ma mi fece dibattere con le mani. Tutto di me voleva tutto di lei ed anche ora, mentre lo avevo, non mi sembrava abbastanza, non lo sarebbe mai stato.

Lauren si concentrò sul mio collo prima e sul mio seno dopo mentre le sue spinte mi riempievano e i miei gemiti riempievano la stanza. Se ci fossero stati dei fantasmi, non sarebbero tornati più.

«Non resisto.» Le confessai, stringendo le braccia al suo collo mentre i miei arti si ammorbidivano.

«Non farlo.» Se voleva essere un ordine, fu solo disperazione.

Permisi al mio corpo di tremare sotto le sue mani, di irrigidirsi per le sue mani e di rovesciarsi sulle sue mani. Lauren si distese accanto a me, cercando di non fare peso col suo corpo sul mio. Adagiò la testa contro la mia spalla però e ancora oggi non credo fosse per niente involontario.

«Scommetto che adesso ti é venuto sonno.» Ansimò contro il mio petto per poi baciarlo.

«Non proprio.» Dichiarai sfacciatamente. La notte era ancora lunga e sentivo non ne avremmo avute altre.

Lauren alzò il mento per guardarmi e, sorridendo, riprese dall'inizio.

*****

Quando tutti gli altri rincasarono, io e Lauren avevamo già stabilito che non sarebbe più successo. Ad onor del vero, lei lo aveva stabilito. Io avevo detto "certo" per non sembrare disperata. Era ben diverso.

Nolan fu il primo a varcare la soglia. L'abbracciò calorosamente e le stampò un bacio sulle labbra che avevo assaggiato la notte prima. Lauren fece finta di niente. Per lei era così naturale da mettermi il dubbio non fosse la prima volta.

Fu difficile pranzare tutti insieme, pretendere che quello che il mio corpo sentiva fosse un inganno, ma non si può mentire alla pelle. A metà pranzo, come sempre avevo fatto in quei mesi, mi congedai per dirigermi in piscina.

Nolan mi richiamò prima che uscissi: «Ah, Camila. Sentiti pure libera di prendere in prestito tutti i libri che vuoi. C'è una libreria anche in salone, se vuoi passarci.»

Mi fece sorridere il ricordo, reale solo per me e sua moglie, di quella libreria: «Si, l'ho vista.» Risposi, notando la corvina serrare la mascella. «Grazie, Nolan.» Mi avviai poi verso il parco e mi adagiai sotto l'ombra di un albero a leggere Dostoevskij, ma la frenesia della notte mi aveva spossato e le sue fantasie ancora di più. Mi addormentai prima di arrivare a pagina dieci.

Quando mi svegliai, Nolan e Lauren mi avevano raggiunto. So che era casa loro e che teoricamente l'ospite ero io, ma non erano mai venuti in piscina durante le ore calde perciò mi fece strano dapprima e rabbia subito dopo. Nolan scriveva al computer mentre Lauren, distesa su una materassino, prendeva il sole al centro piscina. Mi correggo, prendeva il sole senza reggiseno al centro piscina.

Sapeva cosa faceva, lo sapeva sempre, anche quando giurava di essere innocente non lo era affatto.

«Camila, ti abbiamo svegliato?» Chiese Nolan.

Lauren alzò leggermente il mento e spostò gli occhiali sul naso per indirizzarmi solo una rapida occhiata. Come se non esistessi.

«No, penso solo di avere caldo.» Fu un commento come un altro, ma il sorriso di Lauren non la pensò così.

«Perché non fai un bagno anche tu?» Mi incitò cordialmente Nolan e per la prima volta mi dispiacque per lui.

«No, grazie, preferisco tornare in camera.» Se Lauren doveva farmi patire, era bene che anche lei provasse lo stesso. Salutai tutti e due e me ne andai.

Mentre camminavo, avvertivo gli occhi della corvina bruciarmi sulle spalle. Proprio come la sera prima, sapevo sentirla anche attraverso il tessuto. Mi chiusi nella mia stanza, feci una doccia e sprofondai a dormire saltando pure la cena.

Nei giorni successivi, si comportò come se niente fosse accaduto. Mi salutava, si sedeva di fronte a me a tavola, scherzava con Sofia, ma mai uno sbaglio, mai una parola fuori posto. Mi urtava il sistema nervoso. Ero perfino arrivata ad odiarla, finché avevo scoperto che l'odio é solo una copertura per il desiderio, almeno quando non si é esaurito del tutto. Mi sentivo stupida, quasi avessi sognato quella notte. Non avevo intenzione di continuare così.

Aspettai e aspettai finché una sera uscirono tutti a cena men che io, Lauren e Sofia. Sofia era crollata e la babysitter si stava occupando di lei al piano di sotto. Lauren era di nuovo impegnata con un articolo ed io, io volevo la verità. Ma non solo quella.

Mi diressi marciando verso lo studio privata della corvina, in cima alla villa. La luce da sotto la porta mi parve un richiamo ad entrare senza bussare. Alzò di scatto il capo quando mi introdussi all'interno. I suoi occhi mi redarguirono all'istante, ma eravamo oltre i moniti.

«Che cosa stai facendo?» Chiese.

«Chi ha paura ora?» La sfidai senza peli sulla lingua, notando come le sue pupille si dilatarono indispettite.

«Camila, sto lavorando.» Mi ignorò, istigandomi a dare il peggio di me.

«Stai scappando, che é diverso.»

La corvina inspirò sonoramente, guardandomi obliqua: «Ne abbiamo già parlato. Non te lo spiegherò una seconda volta.» Mi trattava come fossi una bambina, era la parte più insopportabile.

«Non sono qui per ascoltare, infatti.» Decretai, chiudendo a chiave la porta alle mie spalle.

I suoi smeraldi ebbero davvero un tremito. Mi poggiai contro l'uscio e la rimirai a fondo, per tanto, tanto tempo. Lei non aveva ancora mosso un muscolo, fin quando, con fare devoto, pronunciai la parola più volgare del momento: «Lauren.»

Balzò in piedi, senza neppure darmi il tempo di capire cosa volesse fare. Il suo sguardo inalberato non lasciò mai il mio, irriverente. Quando fu vicina, allungò le mani sul mio viso e si prese di sé quello che era mio. Il bacio fu appassionato e privo di sensi oltre quelli fisici. La porta traballò quando mi spinse contro di essa con il suo corpo e anche il mio respiro non rimase intero. Non ero solo io allora. Anche lei lo sentiva e lo sentiva allo stesso modo. Mi tolse il respiro e me lo restituii direttamente dalla sua bocca, mentre con il bacino trovava in me ogni debolezza. Non potevo nascondermi a lei, lei che era tutti i miei sensi.

Improvvisamente si distaccò da me con uno schiocco. Anche lei respirava a fatica. La sua mano era ancora sul mio collo e l'altra sul mio fianco: «Questa era l'ultima volta.»

«D'accordo.» Acconsentii, poi afferrai i lembi della mia maglietta e mi scoprii sotto il favore della luce.

«Maledizione.» Imprecò Lauren, prima di tradire la sua promessa.

Non fu l'ultima volta e nemmeno quella dopo fu l'ultima volta e nemmeno l'estate dopo fu l'ultima volta. Non fu mai l'ultima volta, ma non fu nemmeno mai la volta buona. Il suo matrimonio rimase intatto, la mia vita prese altre direzioni, ma quando ci capitò di trovarci in una stanza, anche in mezzo alla gente, anche a distanza di anni, tutto ricominciava nello stesso modo, insegnandomi che più una cosa é sepolta in basso, più crescono i fiori.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro