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August



Back when we were still changing
For the better.
Wanting was enough.
For me it was enough.

So much for summer love
And Saying us
Cause' you weren't mine to lose.

————

C'è una casa sopra la scogliera. Non la si può vedere da lontano, ma i gabbiani planano proprio sopra il tetto. É così che so dove trovarla. Un punto nascosto in mezzo al cielo. Lassù, oltre il soffitto del mondo, non c'è solo una casa, ve ne sono due. La seconda, però, la si può scorgere spostandosi sul fondo della cala. Si intravedono le travi celesti sporgere sulla gola di sabbia. Davanti a tanta meraviglia, nessuno alza mai la testa verso il niente, ma io vengo qui solo per questo, per rivedere quelle travi scorticate che si affacciano sul vuoto e lo dominano. Il vento mi scompiglia i capelli quando raggiungo la porzione più estrema della spiaggia. I piedi scalzi, lo scialle sulle spalle perché non é la stagione del sole e gli occhi indirizzati verso un unico punto nel cielo. É tanto che non vengo qui... Un sospiro di sollievo. É ancora lì.

Dieci anni prima...

Ho detto basta e sono scappata al confine del mondo. Volevo stare sola, osservare l'orizzonte e credere di essere l'unica ad alzarmi la mattina. Quando ho trovato l'annuncio su internet, però, nessuna indicazione informava della casa subitamente parallela alla mia. Solo una ventina di passi separano il mio patio dall'altro patio. Tutte queste mattine non ho visto nessuno, ma so che qualcuno c'è; la sua macchina é parcheggiata in fondo al viale.

Mentre sorseggio il primo caffè della giornata rimirando l'alba, il cigolio soffuso della porta accanto attira la mia attenzione. Mi volto. La donna si affaccia sulla terrazza con una tazza in mano. I suoi capelli corvini volano al vento coprendole il volto. Le sue mani, però, sono bellissime. Lo posso notare anche da lontano. Sono quel genere di mani che stringono desideri senza saperlo. La donna si gira nella mia direzione e nemmeno le onde sotto di noi mi scuotono così tanto. I suoi smeraldi mi trafiggono, il suo viso é il ritratto di un panorama. Il mio sguardo insistente la costringe ad un gesto. Mi saluta con un cenno e per qualche istante mi domando se non abbia fatto la mossa sbagliata. Ricambio il saluto accennando un sorriso. Un 
raggio di sole si intromette fra di noi; il primo segno del cielo a scandire un destino. Avrei voluto capirlo, invece mi sono bruciata gli occhi per osservare il suo volto occhi oltre la luce. La donna torna a contemplare l'orizzonte e anche il mio sogno finisce.

Durante la giornata, sposto la macchina da scrivere sulla terrazza per cercare ispirazione nella grandezza. Ci sarà pure qualcosa per me in questa vastità. Osservo il mare, il verde, la scogliera, il vagare libero dei gabbiani e delle onde, eppure tutto quello che mi torna alla mente sono due occhi verdi. L'immagine sfocata di una donna che neppure conosco ma che condivide con me la stessa smania di solitudine. Vorrei parlare con lei senza nemmeno conoscerla, forse solo perché non c'è nessun altro qui o forse perché c'è un istinto in noi che non andrebbe mai tradito.

Alla sera, le nuvole minacciano la cala. Si preannuncia una notte di fulmini e tuoni. Riordino le mie cose e mi sposto in casa, assicurandomi di chiudere bene ogni finestra. Il vento sibila già fra gli spifferi. Accendo il caminetto in salotto quando salta la luce. Non é la prima volta che succede da quando sono qui, ma uno scrocio così violento non si é mai udito. Sembra il mare si sta rovesciando e il cielo si stia svuotando. É un rumore catastrofico, talmente irruente da sovrastare ogni altro suono. É per questo che quando odo bussare é già troppo tardi.

Mi alzo rapidamente dal divano e raggiungo la porta principale. Attraverso il vetro un fulmine illumina il volto fradicio della donna. É un'immagine senza fine: nella mia testa pioverà per sempre. Mi riscuoto aprendo la porta. Lo schiaffo delle raffiche mi percuote sul volto prima che la donna entri nell'atrio.

Ci scambiamo uno sguardo incuriosito e frastornato.

«Ti prendo un asciugamano.» Le dico, affrettandomi a trovare qualcosa di caldo con cui coprirla. Mi avvicino mantenendo la distanza giusta. Conosco prima il suo respiro del suo nome, con lei sarà così.

«Grazie.» Mormora mentre le sono vicino. Abbozzo un sorriso abbassando gli occhi. É la prima volta che una donna mi imbarazza, non me lo scorderò facilmente.

«Scusa l'irruzione,» dichiara quando faccio un passo indietro: «La mia corrente é saltata e stavo gelando. Ho visto il fumo del camino e così...» Accenna un sorriso e solo adesso mi rendo conto che sta ancora tremando.

«Certo, vieni.» La scorto verso il salotto. Ci muoviamo nella penombra in silenzio, solo il fruscio della coperta e delle gocce traccia il nostro tragitto.

Posizioni i cuscini sul tappeto per farla stare comoda mentre si riscalda davanti alle fiamme. Mi ringrazia con un cenno cordiale del capo. Per solidarietà, mi siedo accanto a lei. Il crepitio del legno scoppietta nella stanza. Posso sentire il suo respiro condensarsi, l'acqua sulla sua pelle asciugarsi e il suo profumo pizzicarmi le narici. Non abbiamo ancora trovato qualcosa da dirci e questo silenzio sta diventando ingombrante.

«Guardo se c'è qualcosa da mangiare.» Le dico e lei annuisce ringraziandomi ancora una volta.

Nel frigo trovo degli avanzi freddi e li dispongo in due piatti. Le porto la sua cena.

«Scusa, non c'è niente di meglio per stasera.» Le dico.

«Non preoccuparti, non sono una grande cuoca.» Mi rassicura assaggiando il riso.

«Posto sbagliato per fare affidamento sul supermercato.» Sdrammatizzo, ma é un modo come un altro per cercare il suo alibi, le sue ragioni per essere qui.

«Sono venuta qui per stare da sola, infatti.» Dichiara senza però sbilanciarsi troppo. Me lo faccio bastare e non approfondisco. D'altronde non so neppure il suo nome, non posso chiederle il suo modo di vivere.

«Si, anche io.» Annuisco solennemente, pensando a volti che non somigliano affatto al suo.

Il silenzio torna a raccontarci segreti di noi a cui non sappiamo se credere. Di lei ho un'idea del tutto immaginaria, eppure ogni minuto che passa mi sembra di avere sempre più ragione sull'ignoto. Osservo discretamente la sua ombra sgocciolare assieme ai capelli sul pavimento, la punta del suo naso assorbire la luce del fuoco, le sue guance riprendere colore e i suoi occhi divenire quasi trasparenti. Nello spazio che ci separa vi é un qualcosa che vorrei sfiorare. Tengo le mie mani nelle mani e mi limito a chiederle se ha bisogno di qualcosa.

«No, hai già fatto abbastanza per me.» Tende l'orecchio verso la finestra. Lo scroscio dell'acqua non é terminato, ma sta diminuendo. «Appena smette di piovere, tolgo il disturbo.»

«Non mi disturbi affatto.» É una frase troppo sincera, spontanea, derivata da un impulso che andrebbe frenato. «Voglio dire, é tanto tempo che non parlo con qualcuno.» Mi approssimo al camino per confondere il rossore delle mie guance.

«Da quanto tempo sei qui?» Domanda.

«Un mesetto. E tu?»

«Cinque mesi.» La sua risposta mi stordisce.

«Wow... voglio dire, é tanto tempo.» Farfuglio con un sorriso timido.

«Non tanto se si somma ai miei pensieri.» Ammette ed é una dichiarazione tanto enigmatica quanto forte. Era così triste nel mondo? Mi dispiace la terra faccia qualcosa di tanto bello solo per torturarlo.

«Questo posto é magico. Tutto scompare.» Cerco di consolarla. Sento la necessità di farle del bene, di starle vicino. Sento la necessità di allungare la mano e toccare quello che ci separa per arrivare alla sua pelle. Ma mi fermo, di nuovo.

«Si, é vero. Finalmente qui non c'è niente.» Sospira e si accascia contro i cuscini. Le permetto di riposarsi nel silenzio e quando smette di piovere i suoi occhi sono chiusi ed io invece di svegliarla la copro con una coperta calda e mi abbandono allo stesso sonno.

Mi sveglio intorpidita e dolorante. Un dardo di luce viene a illuminare i miei altari. Il posto accanto a me é vuoto. Però ha smesso di piovere. Il frastuono é terminato ed é di nuovo pace nella baia. Metto a posto il disordine della sera prima così come il mare ha fatto con sé stesso. Mi affaccio in terrazza ed inalo la brezza. Quello di ieri sera potrebbe essere stato un incubo o un sogno, il bene si é rovesciato nel mare come il cielo in terra in una sola notte.

Un'ombra mi distrae. C'è l'immensità qua fuori e io penso ad un'ombra. La corvina sta sventolando gentilmente la mano nella mia direzione. Mi fa cenno di raggiungerla a casa sua. Qualcosa dentro di me si stringe. Annuisco. Mi vesto senza starci troppo a pensare e ancora struccata mi avvio alla sua porta di casa. É aperta. «Permesso.» Chiedo entrando nel salotto.

Passo attraverso le stanze seguendo solo la luce. Noto particolari della sua vita: un libro a metà sul tavolo, una coperta abbandonata sul divano assieme al cuscino, un accendino sulla mensola...

«Ciao.» Dice accogliendomi.

«Ciao.» Rispondo timidamente.

«Vieni.» La luce la bagna, mi attira come un'evocazione. Una tavola imbandita di piaceri e colori risveglia il mio stomaco assopito. «Mi sono permessa di fare qualcosa per ringraziarti.» Mi invita a sedermi di fronte a lei. Leggermente disordinata, mi faccio guidare dai suoi suggerimenti. La pace di questo momento fa sembrare tutto irreale. Da una parte vorrei lo fosse, così potrei sempre tornare qui, invece so che perderò quest'attimo e che lo ricercherò in tanti altri posti senza trovarlo mai. Mi chiederò addirittura se fossi io questa, se sia successo davvero a me, se non me lo sia inventata per avere un posto mio. Mi mancherà e mi mancherà anche lei, inevitabilmente. 

«Mi chiamo Lauren, comunque.» Dichiara e tutto torna reale, ma senza impatto. É un reale della stessa consistenza del sogno, é il momento in cui mi ricorderò del suo volto e avrò una voce con cui chiamarla.

«Camila.» Dico e so che dovremmo stringerci la mano, ma c'è qualcosa in mezzo fra noi che se venisse rotto porterebbe l'irrimediabile. Voglio che lo sappia, che senta quanto me di essere in pericolo, ma non so come farglielo sapere se non guardandola con gli stessi occhi con cui la temo.

Mangiamo la colazione parlando del più e del meno. É la prima volta che condivido la mia amata  solitudine con una sconosciuta. Nemmeno nelle notti ebbre ho perduto il sonno con qualcuno. C'è qualcosa in lei che non c'è in nessun'altra e che somiglia tanto a me.

«Che fai per vivere, Camila?» Mi chiede.

«Scappo.» Abbozzo un sorriso e il panorama mi dà ragione. «E scrivo, a volte.» Non dico spesso la verità perché sembra surreale anche a me credere nella mia passione, eppure mi viene spontaneo confessarlo.

«Questo é un posto perfetto per immaginare.» Dichiara. «Sei venuta fino a quaggiù per scrivere, quindi?»

«Si, ma non sta funzionando.» Ammetto e ora potrebbe davvero conoscermi meglio di chiunque mi abbia mai conosciuto. Conosce la mia forza e la mia debolezza e le rispetta entrambe.

«Datti tempo. Ci vuole un po' prima di farsi accettare dal paradiso.» Mi rimira accennando un sorriso caldo e io annuisco una sola volta per ringraziarla.

«E tu perché sei qui?» Chiedo schiettamente, approfittando della situazione.

Inspira a fondo. Mi guarda come se ci stesse pensando. Può mentire o essere sincera, ed entrambe hanno lo stesso prezzo. «Sto divorziando, avevo bisogno di un posto lontano da tutto per riposarmi.»

«Mi spiace.» Dico, ma non lo penso.

«Non deve, é più che un piacere.» Sorride genuinamente sollecitandomi a fare lo stesso.

Quando arriva l'ora di salutarsi, mi chiede di aspettare un attimo. Va verso la libreria e sfila un libro dallo scaffale. Me lo porge. «Leggilo, fammi sapere che ne pensi.» É un invito a qualcosa di più grande.

«Grazie.» Lo afferro e a niente serve la mia premura di non sfiorarla. Le nostre dita si lambiscono e tutto quello che temevo si fa silenzioso. Non é un silenzio di contraddizione, é il silenzio dell'angoscia, del terrore, il silenzio del: avevi ragione, qui qualcosa nascerà e morirà.

Passo le serate successive a leggere il suo libro in veranda e a sperare di vedere la luce della sua terrazza accedersi o anche solo di intravedere la sua figura passare dalla finestra. Invece niente. Un fantasma dentro un sogno, questo sento. É una sensazione strana struggersi per qualcosa che non é successo, ripensare a qualcosa che volevi e che non ti ha sfiorato. É strano perché ti tiene vivo allo stesso modo con cui ti uccide.

Quando finisco il libro, penso di lasciarlo davanti alla sua porta per non disturbarla, poi alla fine busso. Ho voglia di vederla. Ed ho una scusa per farlo. Se non lo farò adesso, ci ripenserò tutta la vita.

Viene ad aprirmi quasi subito. É anche più bella dell'ultima volta che l'ho vista, se é possibile. Balbetto impacciata prima di schiarirmi la voce: «L'ho finito.» Glielo restituisco.

«Ti é piaciuto?»

«Ti somiglia.» Mi sento un'idiota. Non so nemmeno cosa volessi dire, forse che l'idea di lei in me corrisponde all'idea dell'autore. Non so come uscirne.

Inclina leggermente il capo da una parte e mi scruta. Dopo qualche istante di pungente silenzio, dice: «Sto facendo il caffe, vieni.» Timorosa ma avventata, entro.

Cerco tracce di lei attorno a me, delle sue giornate, dei momenti di invisibilità in cui, non so perché, mi é mancata. «Pensavo te ne fossi andata.» Dichiaro sulla cresta dell'audacia.

«Perché?» Chiede voltandosi verso di me con un cipiglio infoltito.

«Perché non ti ho più vista, perciò pensavo...» Non voglio sembrare ridicola e a volte per la sincerità é questo il costo.

«Pensavi?» Domanda incalzandomi, ignorando il vigore sulle mie gote; per lei il rosso é il colore dell'azzardo, non della clemenza.

«Pensavo non ci fossi più.» Mi stringo nelle spalle, ma vorrei sprofondare. Non so sostenere il suo sguardo adesso, ma mi costringo a essere forte.

«E ti dispiaceva?» Reclina leggermente il capo verso di me, avanzando dei passi che sono terremoti. La mia pelle é un fremito, ma la mia voce é stabile.

«Voglio dire...» Accenno un sorriso tiepido cercando una risposta che non ho: «Avrei preferito restassi.» Mi guardo attorno per sfuggire alla sua malia: «Non saprei a chi rubare libri altrimenti.» Smorzo la tensione con un sorriso elettrico, ma lei non ci casca.

Si staglia di fronte a me ad una vicinanza minacciosa. Tutto quello che riempiva lo spazio vuoto fra noi, adesso si é compresso in uno spazio ancora più piccolo che mi preme sullo sterno. Anche se non la tocco, é come averla addosso. É uno strano modo di ricordare per quello che non é successo.

«Non andrò via per un bel po'.» Dichiara sommessamente, fissandomi con un'intensità troppo diretta per non essere ricambiata. «E te?»

«Io pure.» Decreto guardandola negli occhi e so che da stasera le due case saranno una.

La sua mano ci mette qualche istante per decidere, poi taglia lentamente l'aria che ci divide per sfiorarmi la spalla. É un tocco delicato, effimero quasi impalpabile, ma é quanto basta per dichiarare che nello stesso momento vogliamo la stessa cosa e che é raro succeda. Non distolgo gli occhi dai suoi mentre i polpastrelli risalgono fino al collo e da lì si inerpicano sulla nuca e la gentilezza scompare in uno strattone netto, deciso che mi scaraventa da qui a lì, da un mondo all'altro. Il suo respiro mi rimane sulle labbra mentre nessuna delle due si decide a fare un favore all'altra. Siamo ancora in tempo, penso, non é tardi per pretendere non sia mai successo. Ma poi incontro i suoi occhi che fino ad ora ho sempre avuto timore di incontrare e tutto il mio corpo parla un'altra lingua. Non te lo perdonerai mai, quello che non hai fatto. É la legge più vecchia dell'universo: siamo quello che non facciamo più di quello che facciamo.

Mi bacia con calma, con passionalità cauta, con ardore calibrato. C'è un po' di impazienza nella sua tranquillità. Tremando Poggio le mani sulle sue guance e l'avvicino a me permettendo al suo impeto di sfogarsi. Vorrei non finisse mai questo momento d'attesa, dove sentiamo scivolarci in bocca il tempo più del sapore. Ma la pelle conosce bene la sua caducità e per questo si desidera con fervore e con lo stesso inizia a spogliarsi...

Nelle settimane successive, casa mia e casa sua sono un unico posto. Non abbiamo deciso quale delle due ci appartenga, sono nostre entrambe. Qui il tempo é una scelta, un posto dove tornare o meno. Non sembra il mondo stia andando avanti quando lo hai alle spalle. Io cucino per lei, lei sparecchia per me è rifacciamo insieme il letto dove dormiamo. Io leggo i suoi libri e lei legge i miei appunti. La sua maglietta é spesso sotto il mio cuscino e la sua mano nella mia quando camminiamo in mezzo al niente. Sembra una vita perfetta, l'unica a cui tornare, eppure ci sono dei motivi che ci hanno condotto qui che arriveranno a scombussolare il paradiso per ricordargli di essere solo un momento.

Una mattina, dopo che abbiamo dormito assieme come tutte le altre notti, la vedo in controluce osservare gli albori del mattino risplenderle sul viso pallido. Si stringe nelle sue stesse braccia e io già so che c'è qualcosa che non voglio sapere. Socchiudo piano la porta e l'abbraccio da dietro.

«Che succede?» Ora l'orizzonte mi sembra una ghigliottina.

«Devo tornare a casa.» Dice solamente, appoggiando il capo contro il mio braccio.

«Perché?»

«Mio marito vuole riprovare a far funzionare le cose. É arrivata stamani.» Mi porge una lettera che non leggerò mai. Non voglio sapere che forma ha la prima lettera del mio epitaffio, preferisco il suo nome.

«Perché torni da lui?» Sospiro stringendola più forte, che é il mio modo di chiederle di restare.

«Perché sono scappata quassù senza nemmeno spiegargli cosa mi stesse ferendo.» Si volta fra le mie braccia rimirandomi negli occhi; «Tu sei perfetta, ma sei un inganno. Quando usciremo da questa landa deserta, cosa ne sarà davvero di noi?»

É una domanda che solo gli intrepidi potrebbero affrontare e Lauren non é il tipo di persona che sceglie il coraggio alla lealtà.

«Non lo sapremo mai se te ne vai.» Sospiro drizzando le spalle. Se ora va via, non la cercherò più. Mai più. Prometto a me stessa. La sua carezza é dolce ma é un addio.

«Non odiarmi, Camila. Non si può vivere in un sogno per sempre facendo finta non esista la realtà. Ad un certo punto, bisogna scegliere.» Mi deposita un bacio sulle labbra che é il più casto che ci siamo date ma anche il più lungo. Piano piano scivola via e del suo corpo mi rimane la forma delle mie braccia.

C'è una casa sulla scogliera. Nessuno va più li. Ma un tempo era il posto più felice del mondo.

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