L'AMORE NON BASTA
Un via vai di gente continuava ad aggirarsi intorno alla casa dei Robinson, il capitano Ansen era chiamato, anche questa volta, ad occuparsi della morte di un membro di quella famiglia.
La scena che si trovava a vedere era estremamente triste, il corpo di Sam Robinson era riverso sul pavimento, vicino a lui un mazzo di rose rosse, alle quali erano state asportate tutte le spine, delicatamente incartate in un toulle bianco fermato con un nastro di raso anch'esso bianco. Ancora le stringeva a se. Il giovane indossava una camicia in stile retrò e dei jeans neri molto stretti. Sul cranio del ragazzo si trovava una profonda lacerazione e sullo spigolo del mobile alla sua sinistra vi era del sangue. Probabilmente Sam era caduto ed aveva sbattuto la testa. Sul ripiano in alto la ricevuta del fioraio, pagata in contanti e firmata dalla domestica la mattina. Poco più in là un paio di stivaletti neri abbandonati in due diversi punti del pavimento. Di lato al mobile una lampada caduta a terra.
A trovarlo era stata anche Gillian, la sua fidanzata, che regolarmente si occupava di lui, dai primi accertamenti era morto da poche ore, una o due al massimo. La ragazza era stata ricoverata in un grave stato di choc e non poteva essere interrogata. Inconsolabile era invece il padre del giovane, che aveva perso anche il secondo figlio.
ALCUNE ORE PRIMA
"Hey sfigato muovi quel culo o non mi raggiungerai mai", la nuova parete da arrampicata sportiva del centro fitness, era troppo invitante perché i due fratelli Robinson non decidessero di sfidarsi a chi l'avrebbe scalata per primo. Dylan era oltre la metà del percorso e sfotteva il gemello che a causa del suo leggero senso di vertigine era più in basso.
"Non sottovalutarmi, potrei stupirti!"
"Naaaaa, e anche questa volta il fratello, migliore, il più figo, l'incredibile, il leggendario Dylan Robinson vince!! Urlava felice, suo fratello gemelloSam, lo guardava da sotto e rideva, si anche questa volta aveva vinto lui, e fu così che lo vide cadere, preso dai festeggiamenti della vittoria Dylan si staccò dalla parete affidandosi completamente all'imbracatura. Che però cedette. Il moschettone si ruppe ed il ragazzo precipitò al suolo spezzandosi la colonna cervicale. Sam aveva provato ad afferrarlo ma non c'era riuscito.
Anche quella mattina il risveglio di Sam fu traumatico, continuava a sognare e rivivere la morte del fratello da ormai cinque anni. Non poteva scappare dalla perdita , non aveva via di uscita. Si alzò dal letto e andò in bagno a lavarsi la faccia.
" Buongiorno Sam, ho sentito che sei sveglio e ti ho portato la colazione, sono arrivati dei fiori, dove vuoi che li metta?"
" Giorno Rosemary, puoi posarli sul mobile all'ingresso per piacere?"
"Certo, adesso apro le tende e la finestra è una giornata bellissima, facciamo entrare un po' di sole"
E va bene Rose, apri sto cazzo di finestra, sarà il caso che mi abitui all'aria aperta, pensò il giovane tra se e se. Oggi era il giorno. Quel giorno.
Il resto della mattinata scorse come tutte le altre, fatta eccezione per la mancanza di Gillian. La sua dolce ed amatissima Gillian. Lei era la sua forza, lei che non lo aveva mai abbandonato, neanche dopo il sopraggiungere dei suoi problemi, lei che lo amava, così come era.
Era per lei che lo avrebbe fatto. E sarebbe stato oggi.
La domestica lasciò la casa alla sua solita ora e Sam decise che era il momento di farlo. Si fece una doccia e sistemò i lunghi capelli neri e indossò degli abiti nuovi che gli calzavano a pennello. Li aveva acquistati on line alcune settimane prima e adesso vedendoli su di se non potè non notare quanto gli stessero bene. La leggera stoffa della camicia lasciava intravedere il fisico scolpito dalle lunghe sessioni in palestra.
Già la palestra...
Un'espressione cupa adombrò il suo volto, la palestra. Ne aveva fatta attrezzare una nella stanza accanto alla sua camera da letto e vi passava le giornate ad allenarsi. Perché dopo quel giorno di cinque anni fa, non era più andato al centro sportivo. Non era più andato da nessuna parte. Non era più uscito di casa.
Ma oggi sarebbe cambiato tutto. Lentamente si avviò verso la porta. I tre vani che componevano il suo mondo erano lì, pronti ad accoglierlo e a proteggerlo. Una camera da letto dalla quale si accedeva da un lato ad un bagno, dall'altro alla palestra. Uno spazio piccolo e ristretto, dove lui era al sicuro, non c'erano pericoli da cui scappare.
Negli anni precedenti, era andato sempre più a rinchiudersi nella sua stanza, aveva prima smesso di frequentare locali come cinema e pub, poi la metropolitana, infine aveva smesso anche di andare in ufficio e lavorava dal computer di casa. Nella sua stanza nulla poteva danneggiarlo o ferirlo. Il mondo esterno invece poteva farlo. È per questo che ogni mattina trovava da ridire quando Rosemary apriva la finestra della sua camera.
Per ultimo aveva smesso, da due anni, di scendere al piano terra della casa in cui viveva col padre.
Sam aprì la porta della sua camera, la luce brillante del primo pomeriggio, illuminava gli ambienti. Dalle ampie finestre dell'ingresso saliva fino al primo piano.
Nonostante ciò, Sam accese la luce del corridoio e con grande fatica uscì, il cuore gli batteva all'impazzata tremava e sudava freddo. La tentazione era quella di tornare indietro ma si impose di proseguire. Il corridoio cominciò a girare , ma Sam sapeva che non era vero, sapeva che era solo la sua paura a fare si che lui percepisse questo, perciò andò avanti. Fece un passo, subito dopo un altro. Respirava a fatica ed aveva la gola secca. Ma andava avanti. Con una mano si appoggiava al muro, mentre nell'altra teneva un paio di stivali neri nuovissimi.
In un arco di tempo che gli parve infinito arrivò alla fine del corridoio, dove iniziavano le scale che conducevano di sotto.
Aveva chiesto a Rosemary di lasciare in quel punto una bottiglia d'acqua, si accasciò a terra e chiuse gli occhi. Respirò profondamente tentando di calmarsi, ottenendo scarsi risultati, bevve dell'acqua e lancio gli stivali al di là della balaustra. Dal tonfo sordo che ognuno dei due provocò toccando il pavimento capì che non aveva centrato nulla che potesse rompersi.
Adesso doveva superare la parte peggiore: la dannata scala.
Per arrivare di sotto doveva obbligatoriamente scendere, provò ad alzarsi, ma era come se un enorme peso gli schiacciasse il petto. Tentò varie volte ma non riuscì, allora sforzandosi cominciò a strisciare verso i gradini.
La grande scala in muratura era spessa e stabile, da una parte aderiva al muro dall'altra aveva un imponente corrimano ben ancorato agli scalini. Questo però a Sam non bastava, lui la sentiva cedere, era come se al suo passaggio la scala lo sputasse via facendolo cadere. Ricominciò a tremare e gli girava la testa, ma lui doveva scendere. Indirizzo le gambe verso il basso e seduto sul bordo appoggiandosi al muro cominciò a avanzare. Ad occhi chiusi. In preda al panico. A tastoni. Uno scalino dopo l'altro. Quando faticosamente spostava la gamba continuava a trovare spazio vuoto, quindi significava che c'erano ancora scalini.
Iniziò a piangere, non riusciva più a muoversi. L'angoscia lo inchiodava su quella scala, sentiva che stava per rotolare giù, ne era certo. Voleva tornare al sicuro nella sua stanza, ma non aveva la forza di risalire, o meglio, non sapeva come fare per risalire, non coordinava i movimenti aveva solo paura. Paura di cadere. Paura di morire.
Doveva continuare a scendere. Ricominciò lentamente a scendere, scivolava con difficoltà sulla moquette fino a quando non sentì le mattonelle fredde a contatto con i suoi piedi nudi. Ritirò le gambe a se e si rilassò.
Era giunto alla fine della scala.
Aprì gli occhi e si guardò intorno. La casa era deserta, l'orologio dell'ingresso segnava le cinque.
Ci aveva messo tre ore a percorrere poche decine di metri, aveva patito le pene dell'inferno, ma era arrivato giù. E tra poco Gillian sarebbe entrata da quella porta ed avrebbe trovato la sua sorpresa di anniversario. Lui. In fondo a le scale. Ad aspettarla con dei fiori in mano.
Perché questo era ciò che Gillian meritava, un uomo forte, in grado di affrontare la paura, l'insicurezza, la morte del fratello, gli spazi aperti e le scale.
Le dannate scale che non lo avevano spinto giù, che non lo avevano fatto cadere.
Faticosamente Sam piantò bene i piedi per terra e si alzò, chinò il busto in avanti e prese il mazzo di rose, poi dovette appoggiarsi nuovamente al muro, perché tutto cominciava a girare di nuovo.
Stava per sedersi quando sentì inserire la chiave nella serratura e la porta aprirsi, Gillian era arrivata.
Varcando la soglia la ragazza rimase stupefatta, il suo fidanzato era lì, in piedi di fronte a lei con un enorme mazzo di rose rosse in mano. I lunghi e scarruffati capelli, la camicia sgualcita stile '800 ed i piedi scalzi lo facevano sembrare un principe al rientro da una notte brava. Il suo Sam era lì, in fondo di scale che la guardava sorridente.
Lo stupore e la gioia si trasformarono presto in angoscia.
Il ragazzo alla vista della fidanzata sorrise immediatamente, accogliendola con uno sguardo veramente innamorato, ma i suoi occhi andarono oltre lei, raggiunsero la porta e puntarono fuori, all'esterno. Una raffica di vento un po' più forte entro dall'apertura e raggiunse Sam portando con se l'odore del giardino e quello di Gillian che si mescolarono al profumo delle rose.
Persone, auto, cani rumori, odori entrarono in casa e si riversarono su Sam che era impreparato a gestirli.
Fu un attimo, il terrore più cupo invase il giovane che nel tentativo di raggiungere un posto sicuro mosse un passo in avanti dimenticandosi di essere ancora sopra la scala. Sam neanche si rese conto di non avere nulla su cui poggiare i piedi, cadde in avanti e sbatté violentemente la testa sullo spigolo del piccolo mobile dove fino a pochi minuti prima erano appoggiate le rose. Nell'urto la lampada che si trovava anch'essa sopra il mobile cadde a terra.
La ragazza non riuscì a raggiungerlo in tempo e rimase a guardarlo accasciarsi a terra stringendo a se le sue rose.
Ho scritto questa O.S. per un contest sulle fobie e quelle che ho scelto sono Agorafobia e Climacofobia .
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