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Ero seduta a leggere un libro alla finestra quando mio padre irruppe nella stanza squarciando il silenzio della sera. Aveva i capelli castani perfettamente tirati all' indietro, una camicia immacolata stirata con cura in ogni punto e il viso impassibile alla vista della mia figura. Tante domande mi percorsero nella mente per darmi una spiegazione di quella visita più unica che rara, avevo mancato di rispetto a qualcuno involontariamente, poteva essere venuto per ricordarmi quanto io possa essere inutile e piccola in quella cosa tanto grande o solo per conversare. Improbabile. Camminò per la stanza osservando il mio piccolo pezzo di mondo fino a che non fosse di fronte a me.

"Domattina preparati in modo adeguato e presentati in salotto alle nove in punto. Non tollero ritardi, lo sai bene" disse guardandomi da capo a piedi. "Chiedi a Sarah e a Kana di portarti ciò che ti serve e -posò gli occhi sul libro che tenevo fra le mani- smettila di leggere quella roba mediocre. Mi disgusta."

Lo guardai impietrita, disgustoso, come poteva etichettare il libro che scrisse mia madre con tutto il cuore attraverso un aggettivo tanto discriminante.

"Ti disgusta? -risi- pensavo che la tua mentalità ristretta si fosse ampliata nel tempo oramai ma deduco che non sia così. Dovresti superare questa tua fase di autocompiacimento e superiorità, sei grande ormai per fare il bambino che deride il ricordo di sua moglie" dissi amaramente chiudendo il libro per guardarlo dritto negli occhi, avevo il cuore in gola e le lacrime minacciavano violentemente di fuoriuscire da un momento all' altro. Non sopportavo quei momenti e più di tutto, non sopportavo che si infangasse il ricordo di mia madre.

"Vedo che tutte le restrizioni non hanno domato il tuo comportamento selvaggio, l' hai preso da quella donna, questo è certo" Si slacciò i bottoni della camicia sul braccio e si avvicinò a me minacciosamente. Uno schiaffo, forse due, era passato il tempo in cui questi atteggiamenti mi facevano male. Male dentro. Lo guardai riallacciarsi i bottoni senza dire nulla, non per paura o per una cosa analoga ma perché era una vicenda già vissuta molte volte, non era necessario nessun commento e nemmeno ribattere. Finito di sistemarsi mi guardò un' ultima volta prima di chiudersi la porta alle spalle.

"Fa ciò che ti ho detto Cattleya"

--.....--

Il tonfo della porta che sbattè contro il muro di mattoni fu la mia sveglia mattutina, le domestiche senza la minima delicatezza entrarono nella mia stanza andando verso le ante verdi della finestra per spalancarle. La luce forte del giorno penetrò maliziosa andandomi dritta negli occhi verdi, mugugnai portandomi le coperte sopra la testa e maledissi l' arrivo così puntuale del sole. Kana, una donna dalla pelle olivastra e dai capelli castani mi scostò la mia fonte di calore brutalmente e mi diede qualche colpetto sulle gambe per incitarmi ad alzarmi dal letto. Sarah, una ragazza sulla ventina con i capelli spesso raccolti in una crocchia bionda disordinata, appoggiò un vestito color crema dalle maniche lunghe sulla sedia vicino alla finestra affiancandogli dei nastri celesti e delle scarpe del medesimo colore. Mi alzai tristemente e andai davanti allo specchio, mi sedetti di fronte ad esso. Sarah iniziò a pettinarmi i capelli per poi acconciarli in due trecce castane, Kana invece, stava preparando l' acqua per il bagno spargendo dei sali minerali al suo interno. Mi buttai nella vasca immergendomi totalmente, il tepore mi attraversò completamente scaldandomi dolcemente. Feci in fretta perché il tempo non era a mio favore e dopo poco ero pronta. Le trecce perfette, il vestito senza una piega, la pelle immacolata e le scarpe ben lucidate. Scesi le scale fino a raggiungere il soggiorno quando vidi la figura maestosa di mio padre e di Zack, un suo sottoposto. L' orologio segnava le nove in punto.

"Andiamo" disse mio padre senza degnarmi di uno sguardo.

"E dove -vidi i suoi occhi posarsi su di me- se posso chiedere?" chiesi io.

"Lo vedrai presto". Si incamminò lungo il viale, il cielo era sereno in perfetta armonia col color candido del bianco invernale. Gli alberi spogli, ciuffi d' erba che ancora persistevano nella neve e piccoli animaletti che scorrazzavano per il giardino. Percorremmo una strada stretta che scendeva verso valle per poi svoltare a destra verso una grande cancello dalla maestosa altezza. Mio padre alzò il braccio verso un uomo che era su una torre di controllo che appena lo vide aprì le porte che conducevano all' interno di una struttura. Camminammo su un sentiero di terra battuta. Mi guardai attorno per capire cos' era quel luogo a me sconosciuto ma ancora non capivo. Attorno a me c'erano uomini che lavoravano la terra affaticati, donne che trasportavano cesti di grandi dimensioni impedite dalla neve che si attaccava alle loro scarpe e ragazzi che parlavano con un uomo dalla divisa singolare. Zack si separò da noi per andare in una zona poco lontana dal punto in cui eravamo mentre io e mio padre andammo all' interno della struttura. Entrammo in una stanza grigia composta da vari scaffali e una scrivania alla quale vi era un uomo dalla barba folta e dalla figura minuta.

"Aspetta fuori e non muoverti da lì" disse lui chiudendo la porta.

Mi sedetti su una sedia fatta in legno robusto e guardai il paesaggio che mi si estendeva dinanzi.  Annoiata mi alzai e camminai verso la strada che avevo percorso in precedenza guardandomi le scarpe e fu in quel momento che in lontananza sentii delle urla, mi avvicinai curiosa verso la fonte e mi fermai a pochi passi da essa. Colui che gridava, Zack, mi guardò e come lui anche un ragazzo, pelle bianca come il paesaggio che ci circondava e capelli corvini. Ero incantata dalla sua persona tanto da non riuscire a distogliere lo sguardo. Mi riportò alla realtà Zack che minaccioso mi chiese: "Cosa ci fai tu qui?"

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