9
Come tutte le sere, il giovane se ne stava seduto sulla veranda, tutto raggomitolato su se stesso, a fissare la notte blu e chissà quali stelle indifferenti. Quei punti luminosi erano talmente lontani che nemmeno si azzardava a tendere le dita verso di loro per tentare di toccarle.
Le braccia gli pendevano inerti ai fianchi, come se non ci fosse più nulla da fare poiché era già stato fatto tutto. Il suo volto era l'unica parte ancora innamorata della vita, con quelle pupille che riflettevano le costellazioni in un cerchio tanto minuscolo quanto nero e lucido.
"Allora, ti decidi a entrare?" la voce spazientita di Johanna gli fece comprendere che il suo tempo esposto all'umida aria notturna era scaduto. Will si alzò per seguire la chioma rossa che scendeva come una valanga infuocata sulla maglietta bianca all'interno della casa senza dire una parola, gettando solo un'ultima occhiata a quel cielo puntellato di luci minuscole.
La donna si era già seduta al tavolo con una tazza di caffé solubile tra le dita. Will seguì il suo esempio e si portò la sua tazza fumante davanti al naso, guardando Johanna attentamente negli occhi, esaminandone ogni movimento impercettibile.
"Non ci si lava neanche più le mani?" gli sorrise lei, accennando il lavandino.
Con una smorfia annoiata, il ragazzo si alzò dal proprio posto e, strofinandosi le mani sporche, si avvicinò al secchiaio. Assieme all'acqua e al sapone, del rosso si riversò sui piatti da lavare, scomparendo nel tubo di scarico.
Appena Will riprese posto, la donna, nel sorseggiare con calma il caffé, continuò a fissarlo attentamente, in attesa di una sua parola.
Will, scostandosi un ciuffo dei biondi capelli ribelli, sospirò stanco: " Mamma... ho appena ucciso un uomo...".
Sulle scale della veranda si potevano scorgere ancora i piedi della vittima in questione illuminati di striscio dalla pallida luna.
Johanna annuì, passandosi le mani sulla faccia per eliminare le lacrime che stavano per arrivare. Poi, sorridendo impercettibilmente per nascondere un brivido che le percorse la schiena: "Mio marito, Will... Tuo... padre..."
Il giovane continuava a fissarla immobile, non sapendo quanto poteva ancora ferirla solo con la sua presenza. Nel frattempo Johanna aveva preso a camminare lentamente per la stanza; tutta quella farsa sarebbe finita nel modo più brutale e lei lo sapeva, lo sentiva: "Che..."
"Mamma..."
Il silenzio rimbombava con il battito accelerato dei loro cuori, interrotto dalla voce decisa della donna: "Devi andartene. Devi andare via ora!"
"Mamma..." il ragazzo le si era avvicinato e l'aveva abbracciata con affetto: "Non voglio lasciarti da sola"
Johanna, le braccia immobili ai suoi fianchi, rivolse lo sguardo al soffitto, tentando invano di trattenere le lacrime. Si mordeva le labbra per concentrarsi e non crollare nella disperazione totale: "Will, tu mi devi lasciare!"
"Ma se io me ne vado tu..."
"Io starò... bene!" si allontanò, sciogliendo l'abbraccio e si avviò verso la camera del giovane. Dall'armadio, con forza esagerata, scaraventò sul letto una valigia che si aprì sul colpo. Con velocità elevata fiondò al suo interno vestiti, cibo e acqua e tirò la cerniera con un enorme sbuffo.
"Che aspetti? Prendila e vattene! Non ci metteranno molto ad arrivare!"
"Ad arrivare... Chi, mamma?"
"Non c'è più tempo... Se ne sono accorte..." gli occhi della donna erano sgranati e fissavano oltre l'entrata, senza che Will riuscisse a distinguere nulla. Aveva sperato di passare più tempo con il figlio. Tutto era stato vano. Avrebbe dovuto mandarlo via finché non era ancora del tutto consapevole dell'atto compiuto. Non ce l'aveva fatta. Aveva desiderato ricomporre quella famigliola felice fino a qualche attimo prima, in un estremo impeto di egoismo.
Lo spinse fuori assieme alla valigia e lo accompagnò di corsa fino alla scooter: "Metti in moto, metti in moto!"
"E dove vado?"
"Non tornare indietro, vai dove vuoi, ma non qui!"
"E..."
"PARTI!"
Will fece come gli era stato urlato e nemmeno si voltò.
A sorvegliare il cadavere irrigidito rimase solo Johanna, ritta in piedi, stralunata.
"Perché ti abbiamo adottato Will? Perché non la smetti di farti male da solo?" si chiese la donna, disperata come non mai.
Dal viottolo del giardino vide avanzare tre figure serpentine, dalle voci chiassose e tremende.
"Franz, abbiamo compagnia caro... Sono venute anche per te..."
Le tre ombre man mano che si avvicinavano, prendevano corpo e si rivelavano in tutta la loro bruttezza e follia. Lasciando dietro di loro una scia di fumo acre, si avvicinarono al corpo dell'uomo steso sui gradini, senza nemmeno far caso a Johanna. Dopo averlo osservato per un attimo, con un orribile sibilo, si slanciarono all'inseguimento di Will.
Sul corpo di Franz erano intanto comparse delle scritte che rilucevano come se fossero state fatte con della bava di lumache. Delle catene d'argento.
Si poteva leggere qualche lettera, ma la maggior parte delle parole era incomprensibile.
Johanna non riusciva a coglierne il senso. Continuava a leggere e rileggere fino a che...
Si ricordò di come due anni prima lei e suo marito avevano deciso di prendere in affido Will.
A dodici anni si vuole spaccare il mondo e l'adolescente ribelle non faceva di certo eccezione. Tuttavia, per quanto fossero consapevoli della difficoltà che quella responsabilità comportava, avevano voluto provarci e crederci fino in fondo. Sembrò funzionare. Dopo tutte le procedure, finalmente avevano un figlio.
Franz era il più felice tra i tre e il bello era che non aveva mai voluto figli, ancor prima di scoprire che non potevano averne.
Nonostante Will si fosse ambientato con rapidità, stentava a rimanere da solo con il nuovo genitore. Preferiva di gran lunga Johanna. E lei come rideva quando, per andare a vedere una partita di calcio con Franz, Will faceva di tutto perché andassero tutti e tre. Ma a lei il calcio non era mai piaciuto e dopotutto sperava veramente che i due trovassero un'intesa senza la sua presenza.
La donna si sentì strattonare la maglietta da un lato. Sette occhi neri e tondi la fissarono riflettendo la sua immagine pallida e terrorizzata. Le ricordarono per un attimo quelli di un ragno, ma la creatura che aveva di fronte era di tutt'altra essenza.
Una delle Erinni si era fermata accanto a lei e con essa si era fermato pure il tempo.
A Johanna, con il solo suo riflesso, fu chiara ogni cosa. Cadde in un vortice perpetuo di disperazione e rimorso. Fissò ancora e ancora quegli occhi inclementi, estranei, inumani. E vi ritrovò un'altra se stessa a cui non aveva mai voluto credere. Non aveva voluto vedere la verità per paura. E ora come se ne pentiva...
Il fuoco dell'autocommiserazione le arse l'anima: venne divorata dalla verità che aveva negato con tutta se stessa: suo marito, Franz, era un pedofilo. Un traditore. Le catene che lo inchiodavano per sempre a quel freddo pavimento di legno erano la sua muta condanna.
Nella veranda, sotto il sereno cielo stellato, stavano così due corpi: l'uno immobile condannato da parole pesanti come catene, fredde come il ghiaccio; l'altro senz'anima, bruciata dalla cecità e dalla verità.
Sempre sotto la medesima coperta notturna, ma da tutt'altra parte, rombava lontano un motore esausto. Will, sulla sua moto non aveva dove andare.
Correva senza una meta, senza una casa. Quella che si era lasciato alle spalle non era la sua. Vi aveva trovato un incubo e un conforto, ma non aveva e non avrebbe mai accettato quella realtà. Forse era per quel motivo che era scoppiato e aveva travolto tutto quello che gli causava un'infinita rabbia nei confronti del mondo e soprattutto per se stesso. Non riusciva a sopportarlo.
Nausea e ansia. Il respiro giù, incastrato nella gola che non riusciva a uscire e gli graffiava il palato.
I pensieri divennero a quel punto chiari, troppo. Inchiodò.
Si ritrovò a fianco quelle sfere nere e luccicanti. Vide se stesso, nudo e con le mani sporche di sangue.
Aveva ucciso. Era libero. Lo era?
In fondo al viale scorse una luce lampeggiante: un posto di blocco, la polizia. A fianco aveva ancora quegli esseri mostruosi, dal respiro sibilante che si amalgamava pian piano con il suo. I loro occhi spietati e gelidi lo inglobarono, attraendolo come calamite.
"Ragazzo, tutto bene?" la mano del poliziotto scosse il giovane girandolo per vederlo in volto.
Gli occhi guardinghi e preoccupati del poliziotto incrociarono due orbite vuote e una bocca orrendamente spalancata in un urlo straziante, taciuto. Non c'era la lingua. Le dita che attanagliavano i freni del motorino avevano le unghie strappate e sull'asfalto colava pian piano del sangue.
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