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CAPITOLO DICIASSETTE.

Non ho dormito stanotte.
La consapevolezza che il mio migliore amico è stato ucciso senza un preciso motivo mi sta logorando l'anima. Come potrei dormire? Cosa dovrei fare?
Il piano del preside Halliwell sembra giusto, estremamente ragionato. Chiunque nella mia posizione rifletterebbe sull'ascoltarlo, seguendo invece una propria strategia, Per come sono fatta io avrei già spostato mari e monti pur di vendicare Harry.
Penso sia stata la notte più lunga della mia vita.
Guardo Freya, Katherine, Jewel e Kayleen dormire e mi domando come possano essere così serene. Mi chiedo perché tra tutti il destino abbia scelto proprio me per questa vita ricca di colpi di scena. Non fraintendetemi, non vorrei mai avere la parte della vittima in questa storia, ma la costante sfortuna che mi perseguita da quando sono nata potrebbe anche smetterla di rigirare il coltello nella piaga.
Quando le luci dell'alba si intravedono attraverso la finestra, decido di alzarmi dal letto e di andare a fare una doccia. Chiusa la porta, rimango sola con me stessa e con il mio riflesso. Mi guardo allo specchio e noto le occhiaie scure che contornano i miei occhi chiari: vorrei poter fare qualcosa per nasconderle.
La doccia è rinfrescante, mi rilassa: forse avrei dovuto farne una prima di andare a dormire. Penso a tante cose mentre il getto d'acqua sciaqua i miei capelli, ormai scoloriti dal rosso. Stanno tornando color della cenere, la ricrescita è evidente, probabilmente dovrei tagliarli o tingerli di nuovo. Vorrei cambiare me stessa, potrebbe aiutare? Magari cambierebbero anche tante altre cose di me, potrei avere una nuova visione di ciò che sono o chi voglia diventare.
Uscita dalla doccia, le occhiaie sono sempre lì. Mi guardo intorno e noto una crema color carne in un beauty case, un correttore, probabilmente di Jewel, così ne "rubo" un po' e me la sistemo sotto gli occhi.
Nessuno dovrà notare la mia stanchezza, la mia tristezza.
Accanto alla spazzola che uso per spettinare i miei lunghi capelli, noto una forbice d'acciaio e la osservo per qualche secondo. Penso sia una follia, non l'ho mai fatto prima. La mia mano sinistra ha raccolto parte dei miei capelli in una ciocca sgocciolante d'acqua e quella destra è più veloce di quanto pensassi perché ha già tagliato una gran parte della lunghezza dei miei capelli, che ora arrivano a stento a toccare la clavicola. Mi guardo e rido, ho un lato più corto ed uno più lungo, perciò decido di continuare a tagliare, a sistemare quella marmaglia di capelli mentre vedo il rosso svanire quasi completamente confondendosi con le ciocche più corte, rendendomi conto di non riconoscermi più ora che sto guardando il mio riflesso nello specchio.
Non ci metto molto a pulire tutto, a gettare i capelli nel cestino ed a rivestirmi. Lascio i capelli bagnati e decido di uscire così dalla stanza, mentre tutte le altre dormono ancora. La mia radice è sempre stata ondulata per natura, per questo noto l'arricciarsi delle ciocche facilitato dalla leggerezza dei capelli che, pian piano, si stanno asciugando autonomamente.
Sono le sette del mattino, ora, mentre mi dirigo verso l'atrio esterno dell'Istituto e finisco col sedermi su una panchina, mentre aspetto l'arrivo del preside. Socchiudo gli occhi e mi domando cosa dirà Brandon del mio cambiamento.

-


Ecco che una voce familiare richiama il mio nome. Appena lo sento, noto lo stupore nei suoi occhi. Il preside si sta avvicinando, mi sta osservando: percepisco la sua impressione positiva riguardo i miei capelli, gli piace come mi stanno.
«Sophia! Ma che bel cambiamento!» mi dice.
In realtà, non so nemmeno come questo taglio di capelli mi stia da asciutto.
«La ringrazio. Vogliamo andare?» domando, per tagliar corto.
«Sì, prenderemo l'elicottero» mi spiega «Dovremmo farcela ad arrivare entro mezz'ora, l'Isola non è poi così lontana» io sospiro, alzandomi. Lui conosce l'isola, chissà quali segreti si celano dietro tutte le cose che non mi dice.
Lo seguo in silenzio. Ultimamente chiunque riuscirebbe a notare la mia poca voglia di colloquiare, ma lui lo capisce e, per questo, rimane concentrato sulla missione e non infierisce.
L'elicottero non è enorme, ma c'è abbastanza spazio per quattro persone. Mi domando di chi sia, se sia di sua proprietà o di qualcun altro.
«Era di mio padre, se te lo stai chiedendo. Lui ha sempre amato volare, osservare le cose dall'alto. Ha trasmesso questa passione a me...» mi spiega. Come dimenticare che il suo potere è uguale al mio? Può leggere i miei pensieri senza che io me ne accorga e, in questo particolare momento, sono contenta che lo abbia fatto perché non avrei mai avuto la forza di intraprendere una conversazione.
«Strano» commento, accennando un sorriso, «Anche io ho sempre amato l'idea di volare, di osservare le cose dall'alto. Ti dà più controllo, ti meraviglia e ti fa sentire come se niente potesse mai scalfirti. Più in alto sali, più sei intoccabile, irragiungibile» gli spiego.
Noto il suo sguardo addolcirsi, è meravigliato e mi chiedo come mai. Concludo comprendendo che ora abbiamo qualcosa di più in comune.

-

Non mi sono accorta di essermi appisolata quando l'elicottero atterra. Apro gli occhi e vedo il preside Halliwell intento a slacciare la sua cintura di sicurezza.
Forse quell'attimo in cui pensavo di aver socchiuso gli occhi si è trasformato in una mezz'ora di distacco da tutto e tutti e mi è servita.
Slaccio la cintura e scendo a mia volta, ritrovandomi quasi sulla riva del mare. Le mie scarpe sono già tutte piene di sabbia ed io mi guardo immediatamente intorno. C'è una lunghissima spiaggia: se guardo verso il mare posso osservare l'orizzonte, non c'è traccia di terra. Se guardo, invece, verso l'interno, noto tantissimi alberi alti, credo siano olivi, pieni di foglie verdi, un enorme terriccio che sembrerebbe esser stato raso al suolo da poco e, più in là, un edificio abbandonato.
«Lì, guardi!» gli dico, indicando quella che ha tutta l'aria d'essere una vecchia casa.
Il suo sguardo s'illumina ed io ho come la sensazione di percepire che abbia ricordato qualcosa che, prima, faticava a rammentare.
La sua espressione è di puro stupore.
«So dove siamo. So dove cercare!»
Ed ecco che la mia perplessità si fa nuovamente viva: il preside Halliwell mi nasconde troppe cose ed io inizio a stancarmi di questa situazione.
«In che senso "lo sa?"» chiedo, mentre lo seguo a passo veloce.
Ancora quella sensazione nella sua mente, stranamente stavolta la percepisco. Sembra quasi che un ricordo che prima aveva faticato a venir fuori, ora fosse esploso nella sua mente, più limpido che mai. Quel ricordo ora lo sta conducendo verso il retro dell'edificio trasandato, probabilmente l'unico su quell'isola.
Ecco che io mi fermo, tutto è abbastanza macabro e il mio corpo è pervaso da brividi per via della puzza di terriccio bagnato che filtra dritta attraverso le mie narici e mi destabilizza il cervello.
«Cosa ci sarebbe qui di tanto speciale?» chiedo curiosa. Stavolta vorrei una risposta.
«Un diario, il diario di Nadia» mi dice. Per un attimo desidero di non aver aperto bocca. Rabbrividisco, non più per quel tanfo, ma per il nome di mia madre. Mi domando cosa c'entri ogni volta lei ed il suo passato, i suoi oggetti. Ultimamente, tutto nella vita mi riconduce a lei.
Vorrei tanto che fosse qui per accompagnarmi in questa specie di avventura, invece che condurmi ad indizi poco chiari che ogni volta faccio fatica a identificare.
Vedo il preside Halliwell mettersi in ginocchio a terra e posare le mani sul suolo. Cosa vuole fare? Forse Freya avrebbe potuto aiutare vista la sua ipersensibilità, ma lui?
Lo vedo socchiudere gli occhi, il corpo si rilassa visibilmente a sua volta e tutto intorno a noi diviene stranamente sereno. Non riesco a capire se sia una mia sensazione o se il clima che ci circonda abbia quasi annullato le emozioni, ma semplicemente tutto diventa etereo.
Mi domando solamente come possa star facendo questo.
Non parlo, rimango in silenzio ad osservare la scena. Che stia comunicando con il terreno? Quest'ultimo inizia a tremare lentamente ed io finisco col traballare, quindi decido di mettermi in ginocchio a mia volta e tocco involontariamente il terreno con i palmi delle mie mani.
Tutto mi trasporta, per qualche assurdo motivo, ad osservare ciò che il preside Halliwell sta vedendo. Vedo mia madre ed il preside, molto più giovane, abbracciarsi. Sono in una stanza e mia madre è stesa in un letto d'ospedale, indossa la tipica camicia che i pazienti sono soliti avere quando sono ricoverati. Sembra tutto così reale.
Vedo mia madre piangere ma non di tristezza, di gioia. La osservo stringere un piccolo fagottino tra le braccia, lasciargli mille carezze e mille baci e così comprendo di essere io. Mi rendo conto di star osservando il momento immediatamente dopo la mia nascita. Non capisco come possa c'entrare tutto questo con il diario, ma so solo che, non appena la visione finisce ed io ritorno con la mente all'isola, il preside Halliwell ha il diario tra le dita.
«Sophia, non devi chieder–» sta per parlare, sta per ordinarmi ancora di non fare domande, ma stavolta lo interrompo io.
«No! Okay? Ora basta! Ho fatto tutto quello che mi ha chiesto! Sono rimasta all'Istituto, ho studiato, sono andata a Londra per trovare quella stupida mappa, ho mentito ai miei e mi sono lasciata coinvolgere da tutta questa storia! Il mio migliore amico Harry è morto per questo, per voi! Lei mi deve una spiegazione!» urlo, alzandomi in piedi.
Non ce la faccio più, deve smetterla di tenermi segreto tutto ciò che mi riguarda. Ho bisogno di risposte e ne devo avere, altrimenti non troverò mai la forza di andare avanti, oltre questo periodo che sembra essere devastante.
Lui mi sta osservando, probabilmente ha capito che ho ragione, perciò sospira e mi fa cenno di prendere il diario, me lo sta porgendo.
«Questo... questo te l'ha lasciato tua madre. Lo ha nascosto qui perché sapeva che si trattava di un posto sicuro. L'Isola Osea è dove sei nata, Sofia. Qui, in questo edificio... circa diciotto anni fa. Questo era un ospedale dove nessuno faceva domande. Lei ha potuto partorirti senza metterti in pericolo...» mi dice ed io ammutolisco.
Non ho il coraggio di chiedere altro, so che elaborare anche solo le notizie appena ricevute ora mi sembra difficile.
Perciò, mia madre ha camminato su questo suolo, ha stretto tra le sue dita il diario che ora io tengo tra le mie. Lei mi ha messo al mondo con l'intento di proteggermi, non di abbandonarmi, non volontariamente almeno.
«Il fatto è che tua madre non ha mai goduto di una buona posizione nella nostra società, Sophia. Da quando ha iniziato a lottare... Lei ha lottato sin dal primo momento contro i sequax cercando di stanarli, di affrontarli, assieme a chi riusciva a tenere il suo passo. Un po' come te, Sophia, che sei sempre la più veloce, la più forte, la più ingegnosa nonostante tu sia qui da soli sette mesi...» continua, io fatico a mantenere un respiro controllato, percepisco la tachicardia aumentare sempre di più.
«Ed è lo stesso luogo in cui lei ha combattuto per proteggerti, per questo ti ha lasciata andare. Ci ha raccomandato di affidardi ad un posto sicuro, lontana da questo mondo. Era consapevole che non sarebbe mai più stata al corrente della tua posizione, non avrebbe mai più dovuto sapere dove fossi perché, da catturata, i sequax avrebbero potuto controllare la sua mente e venire a cercarti. Tu eri l'unico suo punto debole... Ha affidato molto alla tua mente: ricordi che non sai di possedere perché appartengono a lei, indizi, informazioni che possono aiutarci in questa battaglia» spiega. La sua espressione sembra esser quasi rassegnata arrivato a questo momento del suo "racconto", ma muta immediatamente. Sta continuando a guardarmi, ora, cerca di trasmettermi fiducia ed io lo percepisco.
«Come sa tutte queste cose? Perché nella mia visione c'era anche lei, prima? La abbracciava, il giorno in cui mi ha partorito» gli chiedo e la mia espressione esige una risposta.
«Ero l'unico di cui si fidava» mi spiega, ma cerca di tagliar corto e lo noto, lo capisco immediatamente.
Distolgo lo sguardo ed apro il diario, lo sfoglio con molta cura. E' rovinato, ma tutto ciò che c'è scritto dentro è comprensibile ed io sorrido nel vedere che la calligrafia di mia madre è similissima alla mia. Vorrei tanto vedere uno di quei ricordi di cui mi ha parlato il preside in cui io possa vederla scrivere qualcosa riguardante tutto questo.
«Nel diario c'è tutto. Ci sono informazioni sui sequax, una pista che tua madre stava seguendo e delle coordinate, devono esserci delle coordinate...» mi dice, sfilandomi poi il quaderno dalle mani. Vorrei riprendermelo, quasi con la forza, ma lo lascio fare. Potrò leggerlo con molta calma quando saremo tornati all'università.
«Coordinate? Di cosa?» domando, sospirando.
«Del luogo in cui tua madre si è lasciata portare, il giorno in cui sei nata... Ha lasciato che la prendessero e mi ha fatto vedere ciò che c'era intorno, ma niente di più. Ricordo le piante, gli alberi, contava persino i passi. La nostra connessione mentale è stata sempre forte ed io ho disegnato tutto, ho scritto le coordinate... finché loro non– » sta per parlare, ma poi si blocca. Il mio sangue si gela nelle vene.
«Loro cosa?» domando.
«L'hanno uccisa, Sophia...» mormora, la voce quasi spezzata, lo sguardo basso.
Io socchiudo gli occhi e cerco di metabolizzare la cosa. Qualcosa dentro di me mi aveva sempre fatto sperare che, in realtà, fosse ancora viva.

Rifletto a mente fredda sulla situazione e tutto sembra estremamente assurdo: c'è qualcosa che non quadra, un tassello che manca nel suo racconto.

E' strano come tutto sia perfettamente lineare. Non ci sono intoppi in questa storia oltre alla morte di mia madre e di Harry. Perché tutto è semore andato secondo i piani? I sequax sono considerati come estremamente pericolosi, eppure non erano riusciti a cogliere alcuna intenzione di mia madre? Una donna poco più che ventenne come aveva potuto scovare la loro tana se è da sempre stata ignora, segregata chissà dove?
«Perché non siamo venuti prima, qui? Perché mi ha fatto andare a Londra a cercare una stupida mappa, se sapeva tutto questo?» gli chiedo, ora sono estremamente arrabbiata. Non mi fido di lui, potrei facilmente credere che si tratti di una stupida bugia alla quale crede che io abbocchi.
«Guarda» mi fissa, dopo essersi ripreso da quel momento di tristezza, e mi fa vedere l'avambraccio destro. Noto una specie di marchio, ma non lo stesso dei sequax. Sembra un'onda, una "M" con i vertici minimamente accentuati.
«Che cos'è?» gli chiedo, restando sulle mie.
«E' ciò che ti fanno quando vogliono che dimentichi chi sei in maniera lenta e dolorosa. Una sorta di punizione quando vedono che sei pericoloso per loro, ma non vogliono uccidere perché ti reputano prezioso. Ti risparmiano, ti marchiano e tu dimentichi le cose più importanti della tua vita, fino a perdere te stesso, giorno dopo giorno...»
Non posso credere a ciò che sento. Vederlo in quello stato mi fa davvero prendere un colpo. Mi chiedo come si possa essere così subdoli da fare una cosa del genere alle persone e mi domando quanta forza debba aver avuto lui dopo quel marchio che sembra non avere la minima intenzione di sbiadirsi, di andar via.
«E' recente, vero?» gli chiedo e lui punta i suoi occhi azzurri nei miei. Siamo più simili di quanto pensassi. Rivedo i miei occhi nei suoi anche se sono di due colori diversi.
«Non voglio appesantirti ancora con i miei racconti, Sophia...» mi dice ed io sospiro, scuotendo la testa.
«Lei deve. Così potrò raccontarglieli quando li dimenticherà...»
Sto cercando di credergli, sto cercando di fidarmi anche se la mia mente balza da un pensiero positivo ad uno negativo in un batter d'occhio.
«Un anno prima del tuo arrivo. Loro lo sapevano: quando sei arrivata, ricordavo a stento chi tu fossi...» mi dice, per poi incamminarsi verso l'elicottero.
Non dico più niente. L'ennesima cosa per cui sentirmi colpevole mi è appena stata rivelata e mi rendo conto che avrei potuto star zitta e non insistere.
Ora il mio cuore è appesantito ancora oltre e si è appena aggiunta un'altra persona alla lista delle vittime a cui devo aver rovinato la vita.

-

So che il reside Halliwell ha passato gli ultimi due giorni ad esaminare le coordinate, ma sicuramente il suo problema non lo aiuta a ricordare. Mi ha detto di avere dei flash, mi ha detto che ricorda che quando sono nata non ho pianto e che mia madre pensava avessi dei problemi per questo motivo, ma che quando ho aperto i miei occhi ed ha subito visto il verde trasparire, vi ha letto dentro ed ha capito che sarei stata una donna forte, forse più di lei.
Ho passato gli ultimi due giorni a domandarmi cosa stia per succedere, ma ho anche notato che gli altri studenti sono ignari di ciò che sta accadendo al di fuori delle mura di questa scuola.
Raphael ha paura che le sue amate freccie possano rovinarsi una volta arrivato sul campo di battaglia, ma io mi sono resa conto che non vede l'ora di combattere. Katherine ha capito di doversi esercitare con le sue trasformazioni, probabilmente ora la vedremo di più sottoforma del drago che sotto quella umana.
Mike, Dave e Benjamin passano le loro giornate a studiare tattiche di combattimento, mentre io mi diverto ad ascoltare Dave che prende in giro entrambi, scommettendo fior di quattrini sulla loro resa e fuga a gambe levate.
Jewel e Freya sono due donne fortissime, le ammiro moltissimo per la loro forza. Hanno così tanta voglia di aiutare e mi stanno sempre accanto, mi sostengono. Vorrei fare di più per loro a mia volta.
Poi c'è Brandon, che da quando ha scoperto il suo lato tenero cerca sempre di reprimerlo dinanzi agli altri. Dice di volersi concentrare sulla battaglia, di essere pronto, ma ogni volta che può, non esita a tirarmi dietro un angolo ed a lasciarmi svariati baci fugaci, nascosti dagli occhi degli altri. La cosa mi piace, il nostro è una specie di amore proibito, segreto... ed i suoi baci, quelli sì che mi infondono sicurezza. E' così forte, sia mentalmente che fisicamente, tanto che non riuscirei mai a fare a meno di lui.
Ultimamente, poi, mi sto domandando che fine abbiano fatto Heron e Breanna. Insomma, dopo quella scenetta al lago sono spariti dalla circolazione. La professoressa Dawson dice che, se avessero voluto mantenere un velo di credibilità, palesarsi sarebbe stato il modo migliore di evitare sospetti ed io concordo con lei. Io credo semplicemente che ci sia qualcosa di veramente serio dietro la loro scomparsa. Ah, ed ancora aspetto che Heron mi "faccia vedere realmente chi è".

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E' primavera e sono passati otto giorni da quando io ed il preside Halliwell siamo stati sull'Isola. Tutto tace ed io sto iniziando a perdere le speranze di vendicare Harry, mentre continuo ad allenare mente e corpo per la battaglia alla quale, ormai, noi studenti (o almeno un paio) ci stiamo preparando.
E' assurdo che nessuno si sia mai reso conto di questo periodo o forse è successo e nessuno ha mai avuto il coraggio di raccontare gli avvenimenti passati dalll'esito palesemente negativo per il lato dei buoni, il nostro.
E' proprio mentre me ne sto seduta sul letto in camera mia, intenta a fissare il soffitto mentre rifletto a tutto questo che Brandon spalanca la porta e mi osserva. Io sbando, mettendomi a sedere, non comprendendo cosa stia succedendo.
«Dobbiamo andare»

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