VIII. Emir
Stamattina ho la seduta dallo psicologo, è la seconda di questa settimana e solo una delle tante di una troppo lunga serie.
In tutta onestà, trovo questi incontri una perdita di tempo oltre che una gran rottura di coglioni.
La dottoressa Bale è sempre lì a scrivere, ad annotare qualcosa, ma dubito si tratti di qualcosa che possa aiutare me. Non sono uno sprovveduto, so come funzionano queste sedute, la collaborazione, la fiducia e la consapevolezza sono elementi essenziali affinché ci possa essere un sano dialogo e una possibile diagnosi. Per quanto lei provi a scavare dentro di me e provi a trovare delle risposte, io non glielo permetto. Non l'ho mai fatto, mai lo farò. Ho avuto un problema? Si! Ho una dipendenza? Si! Perché? Sono cazzi miei!
Io qui non ci voglio stare, non ho bisogno di questo posto, ma la pecorella nera smarrita doveva essere fermata e rinchiusa. Loro hanno deciso così.
<<Emir? Mi stai ascolatando?>> chiede la dottoressa agitando una mano davanti ai miei occhi.
È seduta di fronte a me, all'altro lato dell'austera scrivania in legno scuro.
<<Mi sono distratto, mi scusi...>>
Non ascolto mai niente di ciò che dice, di solito mi lascia stare quasi si fosse rassegnata alla mia riluttanza. In fondo, sa bene quanto me che la mia presenza a queste sedute è sola la conseguenza di un obbligo previsto dal mio percorso di recupero.
<<Per una volta, potresti parlare con me e non tenerti tutto dentro?>>
<<Questo cos'è l'ennesimo tentativo che le impone la coscienza? Non caverà mai niente da me, quindi smetta di provarci!>>
Il mio tono di voce è palesemente stizzito, non vorrei prendermela con lei, d'altronde le persone responsabili della mia reclusione sono altre e non vivono qui dentro, non ci vengono, non ci sono mai venute.
<<Tu credi che io non abbia capito niente di te? Credi che i tuoi silenzi non dicano nulla? Beh, ti sbagli di grosso ragazzo mio! I tuoi silenzi dicono molto, dicono tanto, sono la cosa più rumorosa qua dentro! Di solito mi faccio bastare il rumore dei tuoi silenzi, ma oggi no. Oggi ho bisogno del suono della tua voce, della forza delle tue parole. E non credere che ti voglia chiedere qualcosa per me, lo faccio solo per te. Parlami Emir, parla con me!>>
Questa qui deve aver trovato l'armadietto della roba pensante confiscata e averne fatto razzie. Cos'è tutto questo pathos?
<<Non ho niente da dirle, conosce la mia storia.>>
<<Conosco una storia che parla anche di te, ma non conosco la tua storia, quella non hai voluto raccontarla mai...>>
La interrompo prima che inizi un nuovo monologo inutile volto ad aprire il mio cuore ad una completa estranea <<...e non gliela racconterò, si faccia bastare quello che sa e mi lasci in pace!>>
Tira un pesante sospiro e abbassa lo sguardo verso le sue mani per qualche secondo. Immagino stia tenendo a bada L' irrefrenabile voglia di mandarmi a fanculo o schiaffeggiarmi.
<<Tanto peggio per te, non posso aiutarti se non me lo lasci fare!>>
<<Non ho bisogno di nessun aiuto cazzo!>> Sbotto.
<<Ma vuoi uscire da qui dentro o sbaglio?>>
Oddio ricomincia.
<<I tuoi genitori...>> inizia a parlare, ma alla parola genitori mi alzo e faccio per andarmene, quando il cambio repentino nel tono di voce della dottoressa ha un non so che in grado di fermarmi.
<< Fermo dove sei e stammi bene a sentire. I tuoi genitori vorrebbero che tu riprendessi i corsi, che frequentassi le lezioni. Non vogliono che tu debba rinunciare al tuo futuro per un incidente di percorso. Hanno chiesto a me un parere ed io, per qualche strano motivo di cui adesso mi pento, ho dato il mio consenso a patto che tu rispetti una serie di direttive e regole fondamentali. >>
Sono forse impazzito? Da quando è permesso uscire da qui se non si è pienamente guariti?
Non ho mai sentito nulla del genere, ma non mi risulta difficile capirne i meccanismi.
<<Quindi, vediamo se ho capito bene: loro hanno deciso, per evitare di dare spiegazioni ad amici e parenti sul perché il caro figlioletto non frequenti più la prestigiosa facoltà di medicina, che io posso uscire dal posto in cui loro stessi mi hanno rinchiuso e nel quale non hanno mai pensato di mettere piede?>>
Ritorno a sedermi sulla sedia dinanzi alla scrivania.
<<Emir ci tengono a te e al tuo futuro, non potrebbe essere diversamente e lo sai!>>
<<Ah, no che non lo so. L'unica cosa che so per certo è che tengono molto a loro stessi e alla loro posizione in società ed il figlio tossicodipendente che smette di studiare è l'equivalente reale di uno dei loro peggiori incubi. >>
<<Le condizioni vuoi sentirle oppure no?>> la dottoressa ha capito di dover tagliare corto che tanto la storia dei genitori premurosi con me non attacca.
<<Diavolo si! Accetterei di tutto pur di uscire da qui!>>
Improvvisamente è come se tutto il nero intorno a me fosse diventato un po' meno nero, qualcosa simile ad un grigio, qualcosa simile a dei colori da troppo tempo assenti nella mia vita. La libertà.
<<Bene, allora: uscirai di qui al mattino per andare esclusivamente al campus, seguirai tutti i corsi, al termine di ognuno di essi ti aspetterò nel mio ufficio per un controllo veloce, potrai pranzare alla mensa, ma non fuori dal campus e potrai frequentare una delle biblioteche dopo aver chiesto a me il consenso e, al termine di tutte le lezioni, farai ritorno qui e ti dedicherai alle mansioni che normalmente ti competono e...>>
Non finisco di ascoltare l'elenco dei devo e dei non devo, che accetto senza pensarci su più di tanto.
Qualsiasi richiesta vale la mia seppur parziale libertà.
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