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Capitolo 16-I tuoi occhi tra miliardi

*Camy*

"Capolinea. I passeggeri sono pregati di scendere".
La voce acuta del capotreno oltrepassa le mie cuffiette, giungendo puntuale alle mie orecchie, addormentate come il resto del mio corpo. Sussulto. Gli avvenimenti di oggi non hanno fatto altro che causarmi una gran stanchezza, a cui ho potuto dare sfogo solo sul treno.
In aereo non sono riuscita a chiudere occhio. Troppi pensieri.

Sbircio dal finestrino. Ci siamo, questa deve essere Blueville.
Se non fossi giunta fin qui con uno scopo ben preciso, non mi sarebbe dispiaciuta una visita turistica della città. L'oceano qui è la principale attrattiva, ma di notte il regno dei giovani prende il sopravvento.
La città sembra in costante trasformazione.
Ma non ho tempo per queste sciocchezze.

"Signorina, mi dispiace deve scendere". Il capotreno si avvicina a me, in un misto tra imbarazzo e scherno.
"Si, mi scusi, sto scendendo".
La mia anima è lacerata da due emozioni: da una parte vorrebbe correre, cercarlo, trovarlo subito e portarlo via, dall'altra sa che deve essere più razionale, avere pazienza.
Ho paura.

Scendo lentamente dal treno, trasportando a fatica i miei bagagli.
Non ho neanche il tempo di alzare lo sguardo che mi sento avvolgere in un caldo abbraccio.
"Mi sei mancata" mi sussurra Eddy, dandomi un bacio sulla guancia.
Le rughe cominciano a rigargli il viso, ma è ancora vivo in lui lo spirito vivace che tanto amo.
"Vieni," mi dice tendendomi la mano, "abbiamo tanto di cui parlare".

***

"Entra, questa ormai è casa mia", mi spiega mentre mi fa accomodare nel suo habitat, porgendomi una ciotola del mio gelato preferito: caramello.
Mi conosce davvero bene.
"Allora Eddy, raccontami tutto. Dov'è? Cosa fa? Ho bisogno di conoscere ogni minimo dettaglio".
"No no tesoro, non sta sera almeno. Sei esausta, domani credimi avrai modo di verificare di persona.
Adesso dormi".

Non è quello che volevo sentirmi dire. Avrei preferito essere preparata.
Ma il pensiero di vederlo riesce comunque a tranquillizzarmi.
Come una bambina mi addormento, tra le braccia del mio migliore amico, cadendo in un sonno senza sogni.

***

"Sveglia principessa, faremo tardi coraggio", non riesco a mettere a fuoco ciò che sento. Dove mi trovo?
Mi sento ancora intontita dal profondo sonno.
"Bella addormentata, non ricordi, è arrivato il turno della principessa. È ora che sia tu a svegliare il tuo principe".
Mi riscuoto. Adesso ricordo.
Eddy è davanti a me. Indossa, stranamente, una poco elegante tuta da ginnastica.
"Non andremo a correre, voglio sperare".
"Non proprio, ma ci hai quasi preso".
Mi alzo di scatto, spaventata.
"Vestiti, ben presto capirai".

Camminiamo per circa una ventina di minuti. Attorno a noi solo prati verdi e colori di ogni genere. È proprio bello questo posto.
Ma non capisco cosa abbia in mente il mio strambo amico. Non ne ho assolutamente idea.

Almeno finché non arriviamo davanti ad un enorme campo da calcio.
Un gruppo di ragazzi, all'incirca sui diciotto anni, ci sta correndo incontro, muovendosi a fatica.
"Buongiorno, coach", saluta il gruppetto, battendo il cinque a Eddy.
Che strano, non ricordo che il mio amico avesse mai dimostrato una gran passione per il calcio.
Non capisco perché mi abbia portato qui. Mi sento un po' fuori posto e anche molto confusa.

"Salve ragazzi. Oggi una mia amica assisterà ai nostri allenamenti. Comportatevi bene"
"Oh sicuro coach!" gli rispondono i ragazzi, ammiccando verso di me.
Indietreggio imbarazzata.
"Tranquilla, fanno i duri ma non mordono", mi sussurra dolcemente Eddy.
"E ora vieni avanti. Te li presento".

Ad uno, ad uno stringo la mano a ciascuno di loro, con poco interesse.
Finché incontro due occhi, dall'inconfondibile sfumatura di ghiaccio , un tempo sinonimo di freddezza e fierezza, adesso un lasciapassare diretto verso la sua anima. Due occhi che riconoscerei tra miliardi.

"Piacere, Matt".
"Lo so" balbetto io, mi guarda confuso, "Cioè, ciao io sono Camy".
Mi fissa per un istante interminabile.
"Camy, sei veramente tu?"
Non posso crederci. Si ricorda di me.

È già un passo avanti.


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