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11. Legami

-Stavo pensando a una cosa.
Proruppe Jason mentre camminava al fianco di Piper per il cortile della scuola, ormai faceva sempre più freddo ed entrambi erano vestiti con delle felpe pesanti.
La ragazza lo fissò aspettando che continuasse.
Erano diventati amici, più o meno.
Di sicuro non era l’amicizia che Jason aveva con il resto dei ragazzi della sua squadra.
Per quella era stato costretto, questa invece l’aveva voluta lui.
Però con Piper non poteva assolutamente parlare né di se né del suo passato, quindi non era un’amicizia che potesse davvero andare lontano.
Inoltre Jason aveva paura, perché giorno dopo giorno si rendeva sempre più conto che forse non voleva solo una semplice amicizia da quella ragazza.
-Sei stata tu a uscire l’idea per il ballo di Halloween, vero?
La ragazza corrugò la fronte – Cosa te lo fa pensare?
-Bè, il giorno che ti ho incontrato …
-Che mi hai quasi ucciso- lo corresse.
Lui alzò gli occhi al cielo divertito – Che ti ho quasi ucciso, stavi attaccando quel manifesto, quindi pensavo che magari potesse essere stata un’idea tua.
Lei tornò a guardare davanti a se – In effetti si, è stata un’idea mia, è stato semplice farla accettare a … al direttore.
-Perché?
-Perché cosa?
-Perché questa cosa degli inviti da parte delle ragazze?
-Oh bè, per tutto il liceo ho visto ragazze sperare invano di essere invitate dal ragazzo del quale erano innamorate ai rispettivi balli, durante l’anno. E poi ho visto la loro delusione. Era tutto così ingiusto che ho pensato “Hey, perché per una volta non diamo il potere proprio alle ragazze?”
Jason inclinò la testa di lato e la fissò con uno strano sguardo, tanto che alla fine Piper sbottò – Che c’è?
-Nulla. E’ che sei così … buona.
Lei assottigliò gli occhi cercando di capire se lo stesse prendendo in giro o meno così il biondo si affrettò a spiegarsi meglio.
-Non credo tu abbia mai avuto di questi problemi, no? Insomma, sei bellissima.
Lei arrossì e lui si rese conto di quello che aveva davvero detto, così fece un colpo di tosse e continuò la sua spiegazione come se fosse tutto normale.
-Quindi, se tu non hai mai avuto di questi problemi, lo stai facendo solo ed esclusivamente per gli altri, ed è un gesto davvero altruistico.
Concluse il tutto con un timido sorriso, mettendo in risalto la cicatrice che aveva nel labbro.
-G… Grazie- balbettò lei portando lo sguardo a terra.
Continuarono a camminare in silenzio quando il cellulare di Jason vibrò, gli era arrivato un messaggio.
“Corri nella stanza di Will e Percy, è urgente. –Leo”
Corri. Urgente. Leo.
Quelle tre parole gli fecero venire i brividi lungo la schiena, non osava immaginare cosa avesse appena combinato quel ragazzo.
-Scusa, ma devo scappare.
Si stava già allontanando da Piper, dopo avergli scoccato un veloce bacio in guancia, quando lei lo richiamò.
-Hey! Ma quindi ci vieni con me al ballo, no?
 
Will stava tranquillamente camminando quando, per poco, non si scontrò con Jason, che correva nella direzione opposta alla sua.
-Sembra che tu abbia visto un fantasma- commentò divertito mentre il ragazzo si fermò un attimo per riprendere fiato.
-Non riderei molto- rispose Jason riprendendo fiato e mostrandogli il cellulare.
Non appena Will lesse il messaggio il suo sorriso scomparve.
Insieme riprese a correre verso la loro destinazione.
 
Leo stava finendo di attaccare le ultime cose al computer di Percy quando la porta della stanza si aprì quasi con uno schianto. Se fosse stata chiusa a chiave era certo che, chiunque fosse dall’altro lato, l’avrebbe tranquillamente buttata giù.
Si girò a controllare.
Erano Will e Jason, avevano due facce preoccupatissime e si guardavano intorno alla ricerca di un pericolo.
Quando notarono lui alle prese con il pc, Percy accanto, in attesa e con le mani incrociate al petto, mentre Frank se ne stava seduto nel letto del biondo, in modo composto e tranquillo, si rilassarono non trovando pericoli nell’immediato.
-Che cosa è successo!?- Esplose a quel punto Jason.
Leo mostrò i joystick che stava attaccando al pc come se fosse una cosa ovvia – Ci serviva un quarto giocatore per fare le squadre.
 
Nico era nel suo letto a piedi incrociati, vestito con un sotto di tuta nera e una felpa dello stesso colore, il cappuccio alzato quasi a coprirgli gli occhi.
Aveva uscito di nuovo le sue carte di mitomagia e le stava spargendo per il letto con tutta la cura che aveva, erano vecchie e consumate considerando che le aveva da circa 12 anni, ma a lui non importava.
Sentì qualcuno bussare alla porta.
-E’ aperto- commentò distrattamente.
Non appena la porta si aprì vide spuntare una zazzera di capelli biondi e degli occhi blu sorridenti.
Nico doveva ancora capire come facesse quel ragazzo a sorridere perennemente.
-Scusa- commentò Will entrando del tutto e avvicinandosi all’incasinata scrivania di Leo, mordicchiandosi un pollice sovrappensiero – Leo mi ha chiesto se potevo prendergli una specie di filo che dovrebbe collegare non ho ben capito cosa.
Nico lo scrutò divertito –Sei sicuro di sapere cosa sia? E poi, perché non veniva lui?
-L’ho lasciato alla furia di Jason. Penso sia questo …
E recuperò qualcosa dalla scrivania. A quel punto si concentrò sul moro seduto nel letto.
-Che sono?- Chiese curioso.
-Oh … Nulla, uno stupido gioco per bambini.
Il moro era visibilmente imbarazzato e nascose ancora di più il volto tra il cappello e i lunghi ciuffi neri.
Ma Will non lo derise divertito, anzi, si sedette di fronte a lui facendo attenzione a non urtare neanche una carta e, con uno sguardo luminoso, chiese – Mi insegni? Ti giuro che non te le rovino.
Nico alzò un sopracciglio scettico – Davvero?
-Perché no? Sembra divertente.
Il moro trattenne un principio di sorriso mordendosi il labbro inferiore.
-Muoviti a portare quella cosa a Leo, non ho nessuna intenzione di aspettarti a lungo.
A quel punto si che il sorriso del biondo divenne davvero luminoso e, in meno di cinque secondi, era già corso via, non prima di avergli detto “Torno subito!”
 
Frank e Percy avevano miseramente perso contro Jason e Leo.
Nonostante il biondo continuasse a uccidere il suo compagno di squadra, erano riusciti comunque a stracciarli.
Non che fosse una battaglia leale giocare contro il miglior hacker dell’intera America.
Avevano giocato per circa 3 ore, dovevano pur passare il tempo, non c’era poi molto da fare e lo studio, quello che teneva occupati tutti i comuni mortali di la dentro, era proprio escluso.
Frank stava camminando distrattamente nel parco quasi buio quando vide una figura minuta seduta in una panchina.
La riconobbe subito, aveva degli auricolari ed era completamente nel suo mondo, infatti fissava senza vederlo davvero un punto alla sua destra, con la testa leggermente reclinata.
Notò anche che portava la sua felpa, quella che gli aveva dato qualche giorno prima, le stava decisamente grande e lunga, ma sembrava non interessarle.
A un certo punto alzò gli occhi su di lui.
Molto probabilmente aveva avuto la sensazione di essere fissata, neanche Frank avrebbe potuto dire per quanto tempo avesse tenuto lo sguardo su di lei.
Lo scrutò solo un attimo, poi abbozzò un sorriso così dolce da sciogliere chiunque.
Frank le si avvicinò.
Mentre si sedeva al suo fianco non disse neanche una parola.
Hazel nemmeno aprì bocca, ma si tolse un’auricolare e lo porse a lui.
Non era un semplice atto di gentilezza, non fu una cosa fatta tanto per farla.
Hazel si stava aprendo con lui, gli stava mostrando tutto il suo mondo, i suoi pensieri, il suo passato attraverso la sua musica.
La sua playlist era parte di lei, ogni canzone era un sentimento, ogni accordo era una piccola parte della sua vita.
Si stava fidando di Frank.
Tutto questo il ragazzo lo capì con un semplice sguardo, perché parlare quando il momento era così perfetto?
Fu durante una canzone dolce, che lo colpì particolarmente, che Frank avvicinò lentamente una mano a quella piccola della ragazza.
Lei non si ritrasse.
Non lo fece neanche quando iniziò a fare dei disegnini astratti con le dita nel palmo della sua mano.
Anzi, gli si avvicinò di più e poggiò la testa nella sua spalla.
Rispetto a tutta la loro vita, quell’attimo era così perfetto da sembrare quasi irreale.
E rimasero in quella posizione per molto tempo, godendoselo fino in fondo.
 
“Certo che ce l’ho fatta ad attaccare e staccare tutto senza bruciare il computer di Percy! Chi pensi che io sia?”
“Leo Valdez”
“Errore, Rayo de Sol. Sono il magnifico e affascinante Leo Valdez.”
Calypso non riuscì a non sorridere al cellulare.
Era sdraiata nel suo letto, abbracciata al suo morbido cuscino.
Stava per rispondere, quando la sua compagna di stanza attirò la sua attenzione.
-Dimmi- rispose mettendo da parte il cellulare e concentrandosi su di lei.
Piper era seduta sul suo letto, con il suo pigiama viola mentre si disfaceva la treccia che aveva avuto tutto il giorno.
-Jason, che tipo è?
-Oh…- E adesso che rispondere? Non è che lo conoscesse così bene.
-Cioè tu gli sei amica, no? Vi vedo qualche volta seduti a mensa insieme. Capisco che sei più amica sua che mia e quindi, magari, non mi vuoi dire nulla ma … Vorrei solo capire perché … Insomma … è sempre così misterioso, non mi ha mai raccontato nulla di se stesso, del suo passato …
-Non ha avuto un’infanzia facile, ecco-
Questo poteva dirglielo, non poteva però di certo continuare con qualcosa tipo “Oh, e fa anche parte della CIA, segreti dello stato sai? Non prenderla come una cosa personale, ma non ne può proprio parlare con nessuno.”
-Lasciagli tempo- concluse.
Piper annuì pensierosa, scosse i capelli per liberarli del tutto dalla treccia e si coricò mormorando un “buonanotte”.
Calypso le augurò altrettanto e si mise a fissarla per un po’, il suo cervello non la smetteva di pensare.
Stava sbagliando, non doveva farsi piacere uno come Jason. Alla fine della loro missione non l’avrebbe rivisto mai più.
Lo schermo del suo cellulare si illuminò di nuovo, Leo le aveva inviato un altro messaggio visto che non rispondeva da diversi minuti a quello precedente.
Fece un lungo sospiro.
Tutti loro stavano sbagliando.
Ognuno sarebbe tornano nel proprio paese alla fine di tutto, alla loro vecchia vita.
E tutti i legami che si stavano creando sarebbero stati solo d’intralcio.

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