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6.

*L*

Lo spilungone si strinse le ginocchia al petto, le labbra incurvate in un dolce sorriso, come se si fosse perso nella nostalgia di qualche lontano ricordo. «Sei sempre così poetico o questa è la mia serata fortunata?»

Il ricciolino si voltò a guardarlo e il sorriso divenne ancora più ampio. Con quelle fossette a bucargli le guance e i lunghi capelli a incorniciargli il viso angelico sarebbe stato il soggetto preferito di molti pittori del passato.

«Sai, ci vuole un animo romantico per riconoscere la poesia» ribatté senza perdere il sorriso.

Louis scosse la testa sorridendo a sua volta e pensò che gli occhi di quel ragazzo fossero l'unica vera poesia che avesse mai incontrato e che con ogni probabilità non avrebbe più trovato niente che si avvicinasse anche solo vagamente alla loro bellezza. Alla sua bellezza.

«Ma tranquillo» riprese a parlare lo spilungone, «continuerò a fingere di fermarmi a tutti gli strati di strafottenza e freddezza attorno a cui ti sei avvolto».

«Dio! Sei ancora più sdolcinato di quanto immaginassi» Louis alzò gli occhi al cielo impegnandosi a ignorare la stretta che sentiva al petto. Non era possibile che quel ragazzino avesse capito così tanto in così poco tempo.

«Un paio di troppo di quelli e sì che divento sdolcinato» indicò la bottiglia di vodka che Louis teneva ancora in mano.

«Davvero? Oh, non posso proprio perdermelo». Riempì velocemente uno dei bicchierini che aveva sistemato contro il vetro della finestra e glielo passò prima di preparare il proprio.

«Ci vuole una buona motivazione per bere, però».

«Scherzi? Ti serve davvero un motivo per bere la miglior vodka al mondo gratis?»

«Dobbiamo trovare una modalità. Che facciamo, ci limitiamo a buttare giù un bicchiere dopo l'altro senza scopo?»

«Scopo?» Louis aggrottò le sopracciglia. «No, aspetta! Tu sei uno di quelli a cui piacciono quegli stupidi giochi alcolici tipo 'Non ho mai', vero?» Se la domanda suonava più come un'accusa, Louis non se ne curò e l'altro si limitò ad alzare le spalle per nulla imbarazzato dall'insinuazione.

«Lumière, tutto quell'alone di mistero e determinazione che ti caratterizzava si è appena dissolto nel nulla» lo sfotté Louis sogghignando.

«Mistero e determinazione. È questo che ti ha colpito di me? Strano, ho pensato la stessa cosa di te».

Si fissarono per qualche istante, lasciando che il silenzio inghiottisse le loro parole e i loro pensieri. «Comunque, tutti amano quei giochi e chi dice il contrario, mente» aggiunse il ricciolino.

«Servono solo per tirare fuori a un gruppo di sconosciuti dettagli della loro vita privata, farli confessare neanche fossero a una seduta degli alcolisti anonimi».

«Condividere le brutte figure o momenti imbarazzanti della propria vita può essere un modo per esorcizzarli. Scoprire che gli altri hanno vissuto qualcosa di simile aiuta a non sentirsi strani o soli».

«La vita non è un cartone animato, mio caro Lumière».

«Disse quello che viveva in un castello».

Lo spilungone staccò la schiena dal muro e si sporse in avanti verso Louis. Lo fissò come se stesse cercando qualcosa e Louis non riuscì a far altro che restare immobile, a ricambiare il suo sguardo indagatore, disposto a essere la sua cavia per qualunque esperimento avesse voluto provare.

«Dovresti smettere di far passare ogni cosa attraverso il tuo cinismo, è talmente distruttivo che, di questo passo, niente riuscirà mai a colpirti o anche solo a raggiungerti» disse prima di far scontrare il bicchierino con quello di Louis a mo' di brindisi e vuotarne il contenuto in un unico sorso. Chiuse gli occhi appena sentì il liquido scivolargli lungo la gola ma la sua espressione era tutt'altro che sofferente. «Accidenti è davvero buona» mugolò leccandosi le labbra.

Louis sorrise di rimando, ingoiando un te l'avevo detto insieme alla sua vodka.

«Ok, a turno raccontiamo un episodio della nostra vita che reputiamo imbarazzante e l'altro rilancia con qualcosa di simile. Vince l'aneddoto più strano, chi perde beve e inizia il turno successivo».

«Partecipare a questo gioco è la mia vergogna più grande» commentò Louis in tono melodrammatico.

«Ti vuoi davvero giocare il primo turno così?

«No, comincia tu» ribatté riempiendo di nuovo i bicchierini.

«Qualche anno fa per Halloween mi sono vestito da Miley Cyrus, quella dell'esibizione agli MTV VMA, hai presente? In pratica indossavo solo un paio di minuscoli e super attillati pantaloncini arancioni, del nastro adesivo nero a formare una X sui capezzoli e un'enorme mano in gomma piuma con l'indice alzato. Ah e avevo legato i capelli in due mini crocchie».

Louis rise sonoramente, senza preoccuparsi di trattenersi. «Non mi stupisce più di tanto, se devo essere sincero. Avevi messo anche il rossetto?»

L'altro si limitò a scuotere la testa.

«Devi assolutamente farmi vedere qualche foto. Lo so che ce l'hai, non provare a negare».
Il lieve rossore di cui gli si colorarono le guance rese impossibile sviare il discorso.

«Le prove visive non fanno parte del gioco, mi spiace».

«Sono pronto a lasciarti il turno in cambio».

Il ricciolino allungò le gambe davanti a sé e incrociò le caviglie. «No, voglio sentire il tuo aneddoto».

«Sicuro? Ok, fammi pensare... Io non amo particolarmente travestirmi ma ricordo con orrore di aver indossato per gran parte della mia adolescenza delle stupide bretelle blu e di prediligere le maglie a righe. Un abbinamento davvero orribile».

«Ecco perché hai provato a corrompermi, sapevi di non avere speranza contro la mia storia e volevi trarne vantaggio».

«Andavi anche in giro a twerkare con la lingua di fuori come Miley?»

«Una specie» ammise e si lasciò andare a una risata che contagiò anche Louis.

«Il turno è decisamente tuo» acconsentì il padrone di casa.

Louis si portò il bicchierino alle labbra, alzò il braccio con un gesto secco e buttò indietro la testa mentre deglutiva il liquore. Strizzò gli occhi per un secondo, sbatté il bicchierino sulla seduta e si ripulì le labbra col dorso della mano.

*H*

«Mmm» esordì, alla ricerca di un nuovo aneddoto mentre io non riuscivo a staccare gli occhi dalla sua lingua che accarezzava il labbro inferiore. Ci volle tutta la mia forza di volontà per frenarmi dal passare le dita sul suo pomo d'Adamo che si abbassava e rialzava lento. «Mi sono fatto la pipì addosso mentre dormivo» mi fece riportare l'attenzione ai suoi occhi.

«Sì e magari avevi tre anni e indossavi ancora il pannolino». Gli sfilai il bicchierino dalle mani e glielo restituii pieno. «Ti ricordo che devi cercare di far bere me, non il contrario». Non si stava neanche impegnando.

Lui accettò lo shottino ma rimase con il braccio a mezz'aria. «Avevo diciotto anni».

«Stai scherzando».

Scosse la testa, lo sguardo serissimo, e io scoppiai a ridere. «Stavo sognando di star facendo pipì, sembrava tutto così reale» si affrettò a spiegare. «Quando ho aperto gli occhi ho capito che non era un sogno».

Mi ero coperto la bocca con una mano ma le mie risate non accennavano a placarsi.

«Ehi, dov'è finito il aiuta a non sentirsi così strani?» mi rimproverò con tono severo.

«Scusa, scusa» mi ricomposi. «Nessun giudizio».

Allargai le braccia e alzai le mani come a mostrare di essere disarmato e non avere cattive intenzioni. «Anche se avessi qualcosa che potesse competere con questo, il turno è tuo, te lo meriti. Alla tua».

Riempii il mio secondo bicchierino in un lampo e lo svuotai con altrettanta velocità sotto il suo sguardo ora più rilassato. «Ok, tocca a me» aggiunsi. Avevo la voce ancora arrochita dall'alcol appena ingerito. Me la schiarì con un paio di colpi di tosse prima di tornare a parlare. «Lo scorso Capodanno ho provato a baciare il ragazzo di mia sorella pensando fosse un altro. Avevo superato la soglia dell'ubriachezza da almeno sei drink». Mi coprii il viso e lo scossi appena, nel tentativo di scacciare le immagini sfocate che mi erano tornate in mente e l'enorme senso di vergogna che avevo provato.

«Io ci ho fatto sesso» esordì l'altro in tono piatto. «Con il ragazzo di mia sorella, intendo».

Mi stupii nel non trovare nessuna emozione evidente sul suo volto. «Cosa?»

«Non sapevo chi fosse e lui non aveva certo menzionato l'esistenza di una ragazza mentre si faceva scopare contro la porta del bagno del locale in cui ci eravamo conosciuti».

Come riusciva a restare impassibile mentre diceva qualcosa con un tono così letale?

«L'ho scoperto qualche settimana dopo quando lei l'ha portato a casa per le feste di Natale e me l'ha presentato. Neanche ricordavo come si chiamasse ma la sua faccia non l'avevo dimenticata. E nemmeno lui la mia. È sbiancato appena mi ha visto».

«E poi?»

L'angolo della sua bocca si sollevò in una smorfia di fastidio. «Ha provato a far finta di niente, ha allungato la mano per presentarsi e mi ha pure sorriso, quella merda. Ti giuro, avrei davvero voluto prenderlo a pugni ma mi sono trattenuto. L'ho letteralmente minacciato di staccargli la mano a morsi davanti a mia sorella prima di raccontarle tutto e lasciare che se ne occupasse lei. Spero che gli abbia almeno dato un calcio nelle palle».

«Alle palle, speriamo fracassate, di quell'idiota». Abbandonai il bicchiere contro il bordo della finestra e presi un lungo sorso direttamente dalla bottiglia.

Lui esplose in una risata liberatoria, così spontanea da causarmi una fitta all'altezza dello stomaco. Sempre ridendo, mi sfilò la bottiglia dalle mani, la alzò in aria per rispondere al brindisi e bevve a sua volta. Non potei fare a meno di indugiare su ogni suo movimento. La mano avvolta con fermezza intorno al collo della bottiglia, il piccolo scatto del polso per piegarla e accostarla alla bocca, le pieghe sulle palpebre serrate con forza mentre il liquore scivolava lungo il suo esofago, la goccia di vodka sfuggita alle sue labbra fameliche per accarezzargli il mento e morire sul dorso della mano usata per ripulirsi. Sentii la gola farsi improvvisamente secca.

«Ora capisco perché non ti piace giocare».

Mi guardò confuso.

«Vinceresti a mani basse e nemmeno ti ubriacheresti, non c'è gusto» spiegai con un lamento.

«Stai forse insinuando che la mia vita sia imbarazzante?»

«Direi avvincente, piuttosto».

«Attento a quello che dici ragazzino, potrei metterti al tappeto con una sola mossa» mi rivolse uno sguardo minaccioso ma non mi sfuggì l'accenno di sorriso. «Tocca ancora a te. Stupiscimi con qualcosa di davvero originale».

Afferrai di nuovo la bottiglia e, nonostante avessi già scontato la mia penitenza per la perdita del turno di gioco, presi un altro sorso di vodka pensando all'aneddoto successivo. «Non faccio sesso da quasi sei mesi. Intendo sesso completo, mascella-da-asino non conta» ammisi tutto d'un fiato, come se stessi confessando a mio padre di avergli distrutto la macchina.

«Questa non è una cosa di cui vergognarsi o un episodio bizzarro».

«Oh, lo so» piegai le labbra in un sorriso.

Volevo sapere. Avevo la sensazione che quel ragazzo dallo sguardo tagliente non si aprisse a livello emotivo allo stesso modo di quello fisico. Forse, non si lasciava andare nemmeno alla passione di una notte. E io avevo intenzione di dargli molto di più, ma stavo camminando in un campo minato senza la minima idea di dove fossero le mine. Dovevo cominciare a tracciare la mappa, a definire i confini e i limiti se non volevo saltare in aria.

«Aspetta» bloccai il suo tentativo di ribattere alzandomi e raggiungendo velocemente la porta. Spensi la luce e tornai al mio posto. Mi risistemai sul divanetto, questa volta un po' più vicino a lui, tanto che allungando le gambe arrivai a toccare le sue caviglie con le mie. «Al buio è più facile» bisbigliai senza interrompere il contatto con i suoi occhi. Ora che eravamo avvolti dal buio, occhi contro occhi, la debole luce dei soli due lampioni visibili dalla finestra che ne rischiaravano il profilo, mi sembrava di vederlo meglio. Di sentirlo davvero.

«Bevi» ribatté lui con freddezza, almeno nel tono di voce.

«Perché?»

«Perché anche in questo caso vinco io. Stravinco».

Non indagai oltre e accolsi ancora una volta il mio liquore preferito riflettendo sulla prossima mossa. «Non ho mai fatto uso di droghe pesanti, solo qualche canna di tanto in tanto. Sono un tipo noioso» ridacchiai con la speranza di camuffare il leggero nervosismo che sentivo crescere nell'aria.

«Intelligente più che noioso» replicò lui piegando le gambe davanti a sé e poggiandovi sopra le braccia. Sentii subito la mancanza del peso contro le mie caviglie ma non osai muovermi. Mi stavo esponendo troppo, stavo tirando la corda e temevo che le cose potessero precipitare se avessi forzato anche un contatto fisico.

*L*

Louis spostò lo sguardo sulla bottiglia lasciata al centro del divanetto, a metà tra i loro corpi, e senza aggiungere altro, prese un lungo sorso, l'atmosfera improvvisamente seria. Aveva notato come l'altro avesse di proposito superato i limiti del gioco per scavare più a fondo, per arrivare là dove Louis non permetteva a nessuno di entrare e la cosa lo terrorizzava ed entusiasmava allo stesso tempo.

Sospirò e alzò gli occhi sul bellissimo ragazzo di fronte a lui. Se il suo muro di ostilità e indifferenza non era riuscito a tenerlo lontano, allora lo avrebbe fatto la verità. Così, quando lui fosse scappato, Louis non avrebbe avuto rimpianti e avrebbe continuato la sua vita come sempre, dimenticandosi di quegli occhi color foresta pluviale. Non avrebbe nemmeno dovuto sforzarsi di cancellare il suo nome dalla memoria dal momento che non sapeva qual era.

«Ho provato quasi ogni tipo di droga». Lo disse in tono di sfida, guardandolo dritto negli occhi e serrando la mascella quasi si aspettasse di essere aggredito o guardato con disprezzo.

«E che mi dici dell'alcol?» chiese invece il ricciolino, lo sguardo imperturbabile, come se l'ammissione di Louis non avesse nemmeno raggiunto la sua mente.

«Diciamo che dopo l'allenamento a cui ho sottoposto il mio fegato negli anni, lo reggo piuttosto bene».

Doveva essere una battuta ma la risatina nervosa che Louis produsse tradiva la sua improvvisa agitazione. Per quanto si ripetesse che non gli importava di quel ragazzo e che allontanarlo era giusto oltre che inevitabile, i suoi occhi continuavano ad attrarlo come la luce per una falena. Erano densi non solo di colore ma anche di sostanza. C'era qualcosa in loro, una sorta di codice cifrato riservato e comprensibile solo a lui, in un modo che Louis non sapeva spiegare. Non solo provava verso di lui una fiducia inconscia a dispetto di tutte le sue remore, ma sentiva un legame, qualcosa che li univa che andava ben oltre qualche passione in comune. Se provava a razionalizzarla in qualche forma, Louis riusciva solo a visualizzare un groviglio inestricabile di cui erano le estremità, l'inizio e la fine dello stesso filo.

«Volevo solo... cercavo di...»

«Smettere di sentire» terminò l'altro per lui, lo sguardo che gli leggeva dentro come nemmeno Louis era in grado di fare con se stesso. «Cosa ti ha riportato indietro?»

«Le arti marziali e il mio maestro». A quel punto Louis interruppe il contatto con gli occhi dello spilungone perché era davvero troppo. Lasciò che i suoi vagassero per un po' lungo le pieghe della fodera della seduta per poi spostarsi sulle ombre delle poche auto parcheggiate in strada e finire serrati mentre poggiava la nuca al muro alle sue spalle. «Le prime mi hanno riscosso fisicamente, il secondo ha ripulito la mia mente da tutto lo schifo». Non aveva intenzione di aggiungere altro. Cominciava a tornare tutto, a sentire di nuovo tutto ciò da cui aveva cercato di scappare rifugiandosi in un'illusione. E nonostante fosse ormai forte abbastanza da riconoscere ed evitare le false vie d'uscita, trovava sempre molto doloroso ripercorrere quei pezzi di vita passata. L'avrebbero condotto a lui e non era ancora sceso a patti con quel senso di colpa. A volte pensava che non ci sarebbe mai davvero riuscito ma non aveva mai avuto una motivazione valida per provarci seriamente. Fino a quel momento anche un solo passo in quella direzione l'avrebbe fatto crollare.

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