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17.

*H*

Continuavo a chiedermi per quale assurdo motivo Niall avesse deciso di dare una festa a casa nostra per il suo compleanno. Era un buco poco accogliente già per due persone, figuriamoci per venti. Le temperature erano estive già da un po', cosa che rendeva l'appartamento un forno anche di notte e i vicini avrebbero di certo fatto storie per la musica ad alto volume e il casino prodotto da un gruppo di ubriachi. Perché quella era la fine che avremmo fatto tutti considerando il quantitativo di alcol presente in ogni stanza. Niall aveva disseminato birre anche in bagno, diceva che non c'era più spazio nel resto della casa. Avevo comunque accettato di aiutarlo e, dopo la mattinata passata a preparare la sua torta preferita, ero ora impegnato a sistemare patatine e snack nelle ciotole ancora vuote.
Sentii il mio coinquilino aprire la porta d'ingresso e salutare Liam con entusiasmo. Gli rivolsi un cenno di saluto e spostai lo sguardo alle sue spalle dove sapevo avrei incontrato gli occhi che preferivo al mondo.
«Ehi Louis» lo accolse Niall senza alcuna ostilità.
«Niente porta in faccia oggi?»
«Non voglio indispettire Liam, so quanto è legato a te».
Louis scoppiò a ridere. «Lo fai solo per la sua tv da sessanta pollici, ammettilo» gli diede una pacca sulla spalla, incurante delle sue proteste. «Stavo quasi per sentirmi in colpa per aver fatto sesso sulla tua scrivania ma in questo caso...»
Mi sfuggì un'imprecazione tra i denti ma nessuno sembrò accorgersene.
«Bel tentativo ma non ci casco» Niall sorrise vittorioso affiancandolo. Non ero abituato a vederli nella stessa stanza e non sentire tensione nell'aria.
«H, hai buttato via il mio bigliettino di ringraziamento?» Louis rubò una patatina dalla ciotola che avevo tra le mani e, prima che potessi ribattere, mi fece un occhiolino e mi sorrise. Era racchiuso tutto in quell'unico sorriso: la tentazione e l'appagamento dei sensi, la condanna e l'assoluzione, il paradiso tanto agognato e l'eterna dannazione.
«Harry!?» piagnucolò Niall, perdendo un po' della sua sicurezza.
Presi fiato di colpo e per poco non mi strozzai. «Sta scherzando, vero Lou?» lo rimproverai con un pizzicotto al sedere.
Lui si limitò a ridere, prendere Niall per le spalle e condurlo al tavolino da pranzo, pieno di bibite, dove stappò una birra per entrambi.
Liam si mise al mio fianco e, fingendo di aiutarmi a sistemare, mi bisbigliò all'orecchio: «Il piano cucina e il divano sono sottoposti a igienizzazione quotidiana da mesi, devo forse far aggiungere alla lista anche la mia scrivania?»
Da quando ci aveva beccato avvinghiati contro il bancone della cucina, Liam ci prendeva in giro a ogni occasione.
«Ma che dici?!» borbottai sentendo le guance andarmi a fuoco. Al momento giusto avrei strangolato Louis con le mie stesse mani.

~

In realtà, fu lui ad attaccare me a serata inoltrata. Non che mi dispiacesse avere le sue labbra contro le mie o le sue mani premute contro i fianchi, ma ci stavamo lasciando andare un po' troppo e non era il caso di dare spettacolo di fronte a tutti gli altri invitati.
«Lou, che ti prende?» alzai la voce per farmi sentire sopra il volume della musica.
«Ho pensato...» bacio, «fosse necessaria una distrazione...» bacio, «temo non saresti stato contento...» bacio, «di vedermi mettere ko Culo-a-papera».
Dovevo immaginare che c'entrasse lui. Louis si era incupito appena l'aveva visto entrare.
Lo strattonai per la maglietta e gli feci cenno di seguirmi in camera mia.
«Cos'ha fatto di così grave da meritarsi un ko?» chiesi richiudendo la porta dietro di noi.
«Scherzi? Non ti ha tolto gli occhi di dosso da quando è arrivato».
Mi scappò un sorriso. «Allora è questo che dovrei fare io con Aaron, metterlo al tappeto?»
«Cosa c'entra Aaron? Non è nemmeno qui adesso».
«Chris è amico di Niall da prima che lavorasse con me e da quando mi sono licenziato non lo vedo più. Aaron invece è il primo ad arrivare e l'ultimo ad andarsene dalla tua lezione del mercoledì, pende dalle tue labbra e non perde occasione per farsi mettere a terra solo per farsi toccare da te».
«Ha solo tanta voglia di imparare» provò a giustificarlo.
«Davvero non te ne accorgi, Lou? L'unica voglia che ha è di portarti a letto».
«Ha una fidanzata».
«Chi te l'ha detto, lui? Non mi stupirei se se la fosse inventata».
Mi guardò con gli occhi sgranati e il divertimento scolpito sulle labbra. «Quindi è per questo che mi passi a trovare in palestra ogni mercoledì da più di un mese?»
Distolsi lo sguardo. Non potevo ammettere che vedere l'espressione infastidita di Aaron quando Louis veniva a salutarmi dopo la lezione mi riempiva di soddisfazione. Anche se non riuscivo a controllarlo, sapevo che fosse crudele e ingiusto.
«Sempre gentile, comprensivo, così razionalmente distaccato...» mi rimbeccò. «Saperti così geloso mi eccita quasi più delle tue gambe» si avvicinò mantenendo l'espressione impassibile nonostante il tono provocatorio.
«Così è questo che ti piace di me, le gambe» lo sfidai portandomi a pochi centimetri dal suo viso. Con un ghigno mi costrinse a indietreggiare fino a toccare la porta.
«Sì, è solo per quelle se sto con te».
Con un gesto rapido mi afferrò per le cosce e mi sollevò. Gli circondai la vita con le gambe sostenendomi al suo collo mentre esplorava il mio corpo: le spalle, i fianchi, le mani, il sedere, i ricci, il mento. Toccava ogni parte come cercasse conferma della sua esistenza, come avesse paura si rivelasse tutto un sogno.
Lo baciai aggrappandomi ai suoi capelli, avevo bisogno che lui mi sentisse come io sentivo lui ovunque.
Riuscimmo a staccarci solo perché il suo cellulare sembrava non smettere più di suonare.

*L*

«Ciao, Lou».
«Daisy, tutto ok?» chiese preoccupato lasciando Harry alle sue spalle, ancora addossato alla porta con i capelli spettinati dopo il passaggio frenetico delle sue dita.
Era la prima volta che riceveva una telefonata dalla sua famiglia dopo le undici di sera e temeva non fossero buone notizie nonostante il saluto di sua sorella non gli era apparso allarmante.
«Sì, benis... Phoebe, ridammelo!»
«Ehi, Lou, quando vieni a trovarci?» riconobbe la voce dell'altra sorella.
Louis ridacchiò rilassandosi all'istante. «Presto, ma che ci fate sveglie a quest'ora?»
«Non è così tardi. E comunque domani è domenica» ribatté lei senza esitazioni.
«Abbiamo visto un film bellissimo, Lou» sentì urlare Daisy in sottofondo.
«Eravamo tutti sul divano, come lo scorso Natale» riprese Phoebe. «Lottie ha preparato i popcorn al caramello e la mamma i biscotti al cioccolato».
«Mancavi solo tu» intervenne di nuovo l'altra sorella.
Louis si sedette sul letto di Harry trattenendo un sospiro. Non tornava a casa da più di sei mesi e nonostante sentisse terribilmente la loro mancanza, non si era ancora deciso a far loro visita.
«La mamma si è addormentata accanto a voi come al solito?»
«No, è di sopra con i gemelli. Oh, aspetta, ti passo Lottie».
Non ebbe tempo di controbattere né di chiudere la conversazione con una scusa, cosa che aveva preso l'abitudine di fare ogni volta che la maggiore delle sue sorelle provava a parlare con lui da sola. Le piccole erano facili da rassicurare e distrarre con domande e battute, lei invece non si faceva abbindolare e finiva col metterlo alle strette.
«Fratellone, sto per inviarti un po' di foto della serata. Ernie e Doris erano così adorabili addormentati in grembo a mamma che non ho resistito dal riempire la mia galleria».
Lottie riusciva a essere crudele restando innocente agli occhi di chiunque altro. Sapeva quanto Louis non restasse indifferente ai suoi fratelli, soprattutto i più piccoli, e non si faceva nessuno scrupolo a utilizzarli per provocare in lui una reazione.
«Ma ne ho fatta qualcuna anche a noi meno adorabili» aggiunse con una risatina.
«D'accordo, Lots. Per il resto tutto ok?»
«Al solito: papà è fuori per lavoro, mamma si divide tra lavoro e casa, i piccoli passano le giornate a raccogliere lombrichi e cavallette, le gemelle hanno scoperto il mascara e il rossetto».
«E tu?»
«Oh beh... io... potrei aver fatto domanda per un paio di cose e potrei avere novità ma te le racconterò la prossima volta».
Perfida. Lasciare le cose in sospeso e far leva sulla sua curiosità: un grande classico per tentare di accorciare i tempi della prossima visita.
«Ora vado, Lou. Ti saluta anche mamma. Buonanotte».
«Notte».
Si ritrovò così con la testa piena di voci, il silenzio e il buio attorno, e il cellulare che emetteva un bip all'arrivo di ogni singola foto.
Si accorse di essersi imbambolato quando sentì il materasso accanto a lui abbassarsi sotto il peso di Harry. Non spostò però lo sguardo dallo schermo che stava fissando da diversi minuti.
Quella che aveva davanti era un'immagine come tante: ritraeva tutte le sue sorelle e il suo fratellino seduti più o meno composti sul grande divano di casa, chi con il cibo in mano o direttamente in bocca, chi con lo sguardo rivolto all'obiettivo e il sorriso bene in mostra. E quella immagine all'apparenza banale racchiudeva il suo mondo, la sua casa, quella da cui era scappato perché lo stava schiacciando e quella che continuava a portarsi ovunque, senza accorgersene. O fingendo di non accorgersene.
Si era allontanato per capire chi fosse e alla fine ritrovava in quei volti tutte le parti di sé: la testardaggine di Phoebe, l'arguzia di Lottie, la rumorosità dei gemellini, la spontaneità di Daisy.
«Ti mancano» disse Harry in un sussurro. Non l'aveva posta come domanda.
Louis strinse le spalle senza incontrare il suo sguardo, la vista di colpo velata.
«Potresti andare a trovarli uno dei prossimi weekend» suggerì con una carezza.
«Vieni con me?»
No, non ci aveva riflettuto. Le parole erano uscite da sole, come l'aria entra ed esce dai polmoni. Ma anche pensandoci un po' di più, continuava a trovarle giuste.
«Cosa?»
«Vorrei venissi anche tu».
«Lou, sei sicuro? Non stavo cercando di passare un qualche messaggio subliminale con la mia proposta, era so—»
«Sono sicuro. Ma se non te la senti, lo capisco, non voglio metterti fretta».
Harry si lanciò contro di lui in un abbraccio che per poco li fece cadere a terra entrambi. «Certo che voglio conoscere la tua famiglia. Se lo vuoi, sono con te, Boo».
«Ti voglio sempre con me» confermò prima di regalargli un bacio.

*H*

L'intero contenuto del mio armadio giaceva in mucchi scomposti sul letto e io odiavo lasciare la stanza in disordine, soprattutto prima di uscire. Per di più, questo avrebbe aumentato il mio già inaccettabile ritardo. Mi sembrava di girare come una trottola da ore, correndo da un angolo all'altro della casa come fossi inseguito da un mostro. Che forse un mostro alle calcagna ce l'avevo davvero, uno di quelli invisibili e subdoli, che ti prendono quando meno te lo aspetti: ansia da prestazione.
Perso nella lotta contro le palpitazioni e il senso di nausea crescente, mi accorsi dell'arrivo di Louis solo quando sentii Niall aprire la porta d'ingresso.
«Grazie al cielo sei qui» lo sentii borbottare.
«Che succede?» notai anche a distanza il tono allarmato di Louis.
«Harry è isterico, ti prego portalo via prima che gli faccia del male».
«Ti ho sentito!» urlai dalla mia camera lanciando l'ennesima maglietta sul letto prima di lasciarmici cadere sopra. Era vero ma sentirmelo dire non mi aiutava a calmarmi.
Louis entrò silenzioso come un filo di vento. «Stai facendo spazio nell'armadio?»
«No, sto cercando di farmi soffocare dal peso dei miei stessi vestiti» brontolai senza guardarlo.
«Ti conviene far fondo al reparto invernale allora, questi tessuti sono troppo leggeri per schiacciare anche solo una formica».
Sospirai coprendomi il volto. Volevo sprofondare in quella montagna di stoffa così da nascondere me e la mia stupida agitazione.
«Haz» mi scostò le mani incontrando i miei occhi, «se non te la senti, possiamo rimandare».
«No» mi tirai su di scatto. «No, non è necessario rimandare. Sono pronto».
Louis alzò le sopracciglia continuando a guardarmi in silenzio.
«Sono solo un po' spaventato» confessai, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo. Terrorizzato sarebbe stato il termine più azzeccato ma non volevo rischiare di risultare melodrammatico. Era Louis quello che esagerava sempre tutto, preferivo che i ruoli restassero invariati.
«Per cosa?» mi accarezzò una guancia.
«Hai detto di non aver mai presentato nessuno alla tua famiglia...» lasciai la frase a metà, sapevo che Louis avrebbe percepito il peso che sentivo di essere il primo per lui in quel senso. Forse perché in cuor mio speravo di essere anche l'ultimo.
«Credo che non esista nessuno sulla faccia della Terra che possa non amarti all'istante».
«Lou, sono serio» gli lanciai un'occhiataccia.
«Anche io. C'è mai stato qualcuno che sia stato nei tuoi confronti apertamente ostile?»
«Sì, tu».
Sorrise, forse ricordando il nostro primo incontro.
«Qualcuno che sia durato più di trenta secondi? E comunque non dovrai chiedere alla mia famiglia di fingersi il tuo ragazzo per salvarti dalle attenzioni soffocanti di un ex, quindi non hai di che preoccuparti» ridacchiò.
«Se ben ricordo mi hai tenuto a distanza per molto più di trenta secondi, per non parlare di come mi hai trattato dopo averti offerto panino e patatine».
«Era solo autodifesa, non eri tu il problema...»
Quella era la prima volta che affrontavamo l'argomento, non avevamo mai parlato del nostro incontro e dei suoi modi poco amichevoli. Non ce n'era mai stato bisogno perché mi era sembrato di conoscerlo e capirlo fin dal primo momento. Avere la conferma delle mie impressioni era comunque rassicurante.
«Sono certo che andrà tutto benissimo ma, se preferisci aspettare, possiamo farlo. Non voglio metterti a disagio né farti pressioni» continuò.
Posai una mano sulla sua nuca e presi a giocherellare con i suoi capelli. «Ho davvero voglia di conoscere la tua famiglia, Boo».
Mi regalò uno dei suoi sorrisi all'apparenza timidi, quelli che faceva per trattenersi e non mostrare le sue emozioni. Ma io le sentivo tutte prima ancora di vederle nei suoi occhi e non potei fare a meno di attirarlo in un bacio prolungato, in una specie di lunga boccata d'aria prima dell'apnea.

~

Superata da poco la metà strada, Louis si fermò in un'area di servizio per sgranchirsi le gambe e comprare qualche snack. Prima di ripartire, però, mi disse che voleva farmi una sorpresa e mi convinse a trascorrere il resto del viaggio bendato.
L'auto era molto spaziosa e comoda ma questo non mi impedì di arrovellarmi per capire dove fossimo diretti. Si trattava del SUV di Liam, compratogli dal padre per raggiungere ogni giorno l'azienda di famiglia. Lui però lo usava solo per i viaggi lunghi perché per andare al lavoro preferiva prendere i mezzi ed evitare il traffico londinese, così l'auto finiva per passare gran parte del suo tempo in garage.
Provai a estorcergli qualche informazione sapendo fin da subito di non avere alcuna speranza di riuscita e alla fine mi rassegnai ad attendere con il cuore in gola e il sorriso che non voleva saperne di andarsene. Bastarono pochi istanti per spazzarlo via.
Louis aveva fermato l'auto e fatto scivolare la benda dai miei occhi. Quello era davvero l'ultimo posto in cui mi sarei aspettato di essere.
«Cosa significa, Louis?» sentii la mia voce tremare.
Cercavo con tutte le forze di trovare un senso a ciò che stava succedendo. «Hai organizzato il viaggio per questo? Conoscere la tua famiglia era una scusa solo per farmi salire in macchina e portarmi qui?»
Dirlo ad alta voce era ancora più doloroso di averlo pensato. L'idea che avesse potuto ingannarmi in maniera così meschina mi stava facendo venire il voltastomaco.
«No, aspetta. Ho davvero intenzione di portarti a casa mia, più tardi. Questa è solo una fermata intermedia».
«Non scenderò dall'auto quindi puoi anche ripartire subito» lo guardai fisso negli occhi con tutta la determinazione che avevo in corpo.
«Harry, ti prego. Sai anche tu che la cosa va avanti da troppo tempo. Dovete sistemare le cose».
Avevo una voglia tremenda di sbattere porte o tirare calci a qualcosa ma l'unica cosa che potevo fare era restare fermo nella mia posizione e lanciare parole al posto degli oggetti.
«Io non devo sistemare proprio niente, men che meno perché sei tu a dirmelo. Non sono una bambola che risponde ai comandi come e quando ti è più comodo. Te l'ho già detto una volta: questo non ti riguarda, smettila di intrometterti e lascia che la gestisca come voglio io».
«L'ho fatto, dannazione! Per mesi. Ho lasciato che ignorassi le chiamate, che evitassi l'argomento e ho finto di non accorgermi del dolore nei tuoi occhi ogni volta che leggevi un suo messaggio. Se ti avessi visto sereno e convinto delle tue scelte ti avrei appoggiato, ma fin dall'inizio è stato chiaro il contrario».
«Non spetta a te stabilirlo, Louis» sbottai battendo le mani sulle mie cosce.
Lui rimase impassibile. Prese un lungo respiro prima di parlare con calma: «Il mio scopo è proteggerti. Sempre. Anche da te stesso».
«Tu davvero non vuoi capire» mormorai esasperato. Cominciava a girarmi la testa.
«Invece capisco benissimo, so come ti sei sentito ma comprendo anche le intenzioni di tua madre».
«Se davvero mi capissi, non faresti questo».
«Sei furioso con tua madre? Allora devi esserlo anche con me».
Lo guardai senza capire.
«Lei ha mentito, proprio come me» iniziò. «Se avesse detto subito la verità le cose sarebbero state molto diverse, lo stesso vale per me».
«Lei ha mentito sapendo di farmi del male mentre tu l'hai fatto per proteggere te stesso pensando che io non ci fossi più. Le situazioni sono molto diverse».
«Voleva solo risparmiarti della sofferenza. È tua madre, Harry».
«Non le è mai fregato un cazzo della mia sofferenza, e ora a me non importa della sua».
Era così fastidiosamente ostinato. Oltrepassava il limite della mia sopportazione con una facilità disarmante.
«Stai mentendo» disse sorridendo. Uno dei suoi ghigni da sbruffone che avrei voluto cancellare a pugni e poi baciare.
«Io vado». Sfilò le chiavi e uscì dall'auto senza rivolgermi un altro sguardo.
Non lo aveva specificato ma sapevo che non ce ne saremmo andati finché non avessi affrontato la questione. La prepotenza con cui mi stava di fatto costringendo a fronteggiare mia madre mi mandava fuori di testa. Per un attimo mi sfiorò l'idea di chiamare Niall e farmi venire a prendere ma poi ricordai che lui non aveva a disposizione un'auto e, una volta capito dove mi trovassi e per quale motivo, mi avrebbe detto di alzare il culo dal sedile e comportarmi da adulto.
Potevo sempre prendere un treno, però. Il centro non era proprio di strada ma con un po' di pazienza sarei arrivato alla stazione e me ne sarei tornato a Londra.

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