8.
Nel cuore della notte, udii un suono lontano. Indistinto. Cercai di scacciarlo dalla mente. Immaginando che fosse solo un fastidioso sogno. Non volevo ancora svegliarmi. Era troppo presto. La camera era ancora illuminata solo dalla tenue luce dell'abatjour, quindi dedussi che non poteva ancora essere mattina. Avevo la sensazione di aver appena chiuso gli occhi. Dopo alcuni momenti quel rumore ancora non accennava a smettere. Era sempre più fastidioso. Più impertinente.
Ormai avevo capito che quel rumore non era solo nella mia testa. Doveva pur provenire da qualche parte. Aprì controvoglia un occhio, poi piano anche l'altro. Scrutai con lo sguardo l'intera stanza. Una tenue luce blu proveniva dal mio cellulare. Qualcuno mi stava chiamando. Lo presi dal comodino e tolsi la suoneria. Senza neanche guardare chi fosse, intenzionata a non rispondere, lo rimisi dov'era prima.
Non accennava a smettere. Continuò ad infastidirmi per quello che mi sembrò un tempo infinito. Poteva essere qualcosa di importante. Così alla fine decisi di rispondere.
«Pronto?» chiesi con voce assonnata e preoccupata.
«Elle...ma già dormivi?» domandò una voce femminile con dolcezza. Non riuscii a capire subito a chi appartenesse. Controllai sullo schermo, per non scervellarmi a capire chi fosse. Vidi lampeggiare il nome di Beth sullo schermo. Lessi l'ora che indicava la sveglia. Era quasi l'una di notte.
«Beth hai notato per caso che ore sono...?» dissi infastidita, con una nota sarcastica nella voce.
«Effettivamente è quasi l'una di notte. Però non dirmi che già ti eri addormentata...» e le pareva questa un'ora consona per chiamare la gente? Non provai neanche a spiegarglielo. Volevo solo tornare a dormire. Sentivo gli occhi farsi sempre più pesanti.
«Certo che dormivo, sai le persone normali a quest'ora della notte dormono cara Elizabeth...» stavo parlando con gli occhi chiusi, nella speranza che riattaccasse in fretta. Era davvero molto seccata.
«Ok, hai ragione! Ma devo chiederti un favore molto grande...» a quelle parole iniziai a preoccuparmi. Tutto ciò che comprendeva uscire dal mio caldo e comodo letto, era completamente fuori discussione.
«Non puoi chiedermelo domani? Voglio tornare a dormire...è tardi!» piagnucolai, cercando di intenerirla. Magari avrebbe funzionato e mi avrebbe lasciata riposare in pace. Tenni le dita incrociate.
«No, quel favore mi serve ora...» lo sapevo. Non avrei dovuto rispondere. Avrei dovuto lasciare che il cellulare squillasse all'infinito, finché non fosse entrata la segreteria. Forse avrei fatto addirittura meglio a spegnerlo.
«Che cosa ti serve...?» domandai scocciata. Sperai che trasparisse dalla mia voce. E che potesse cambiare idea, lasciandomi riposare in pace.
«Mi servirebbe un passaggio per tornare a casa, quindi se fossi così gentile da venirmi a prendere...» lasciò la frase in sospeso. Lo sapevo. Era indubbio che mi avesse fatto uscire dal letto. Se ci avessi messo la mano sul fuoco, non me la sarei bruciata.
«E se non fossi così gentile?» chiesi sempre più infastidita. Sapevo di poter risultare sgarbata. Ma si rendeva conto di cosa mi stava chiedendo? Aveva per caso dato un'occhiata all'orologio. «Non c'è nessuno che può accompagnarti...?» suggerii speranzosa. Ma se qualcuno poteva darle un passaggio, perché aveva chiamato te brutta scema? Ormai mi insultavo mentalmente da sola. Questo, succedeva soprattutto, a chi restava in arretrato di sonno.
«Non ti avrei chiamata se avessi trovato un passaggio e poi lo so quanto mi vuoi bene...» si stava davvero giocando questa carta? Era arrivata davvero alla frutta. La situazione era quasi comica. Se non mi fossi dovuta alzare, avrei riso di gusto.
«Ok!» mi rassegnai alla fine. Non avrebbe smesso di torturarmi. Prima andavo a prenderla, prima potevo tornare al mio sonno. Lì dove ero stata interrotta. «Dammi il tempo di vestirmi e arrivare però...» dissi aprendo controvoglia gli occhi. Mi diede un indirizzo che impostai immediatamente sul navigatore. O l'avrei dimenticato nell'arco di pochi minuti.
Non persi troppo tempo nel vestirmi, tanto non mi avrebbe visto nessuno.
Mi lasciai il pigiama che avevo indosso. Con il pantaloncino corto e il top color albicocca. Infilai addosso un semplice cardigan di filo grigio. Faceva fresco in giro. Di sicuro, non mi avrebbe visto nessuno. Sarei rimasta in macchina, aspettando che Beth entrasse. Era tutto perfetto.
Dopo aver messo un paio di ballerine uscii velocemente da casa, afferrando al volo la borsa e le chiavi.
*
Arrivata nel parcheggio riservato ai clienti davanti al locale, c'erano poche macchine. Non fu difficile trovare il posto esatto. Spensi il motore dell'auto e bloccai gli sportelli dall'interno, per stare più sicura. Mi assicurai con il navigatore che fosse l'indirizzo giusto. Effettivamente non mi ero sbagliata.
Provai diverse volte a chiamare Beth sul cellulare. Ma un'irritante vocetta mi ripeteva che al momento la mia amica non era raggiungibile. Aspettai un altro po', poi riprovai a chiamarla di nuovo. L'esito fu sempre lo stesso. Negativo.
Sbuffai decidendo di scendere dall'auto. Mi pentii subito per non aver impiegato un paio di minuti in più a vestirmi. Il mio pigiamino e il cardigan, mi facevano sembrare una bambina appena uscita dal letto. In fondo non era stato così? Però se avessi indossato dei vestiti decenti, sarebbe stato sicuramente meglio. I pantaloncini erano troppo corti e il top così striminzito. Sembravo quasi nuda. Il color pesca, che di certo non aiutava, ad allontanare quest'idea. Mi congratulai mentalmente con me stessa, per la fantastica scelta.
Cercai di sistemare come meglio potevo i capelli, trattenuti da un fermaglio. Se solo avessi saputo di dover scendere dalla macchina, per andare a cercare Beth. Non c'entravo niente vestita in quel modo, in un locale.
All'entrata c'erano un paio di ragazzi che immaginai fossero i buttafuori. Erano vestiti di nero. Sulle loro magliette c'era stampato il nome del locale, con caratteri molto visibili. Quando mi videro entrare, mi lanciarono sguardi lascivi. Chissà cosa gli passava per la testa. Sicuramente pensieri non troppo dolci.
Si poteva essere più frana di me? Mi strinsi di più nel mio cardigan. Cercando di coprirmi il più possibile.
All'interno mi feci strada per arrivare fino al centro del locale, dove era posizionato il bancone. Lasciai scorrere lo sguardo, non era rimasta molta gente. Ma non riuscii comunque ad individuare la mia amica. A dire la verità non riuscivo a riconoscere nessuno. Per poter chiedere se l'avevano vista.
Le luci soffuse e la vista notturna sulla città, rendevano il locale molto bello. Delle grandi finestre ad arco, fatte interamente di vetro, davano la possibilità di spaziare con lo sguardo. Forse era una delle più belle vedute, che mi era capitato di osservare in vita mia.
«Sembri disorientata...» sentii una voce sconosciuta sussurrare alle mie spalle. Quasi saltai per lo spavento. Un ragazzo era seduto poco distante da dove ero io. Non mi ero accorta di aver attirato l'attenzione di qualcuno. «Cosa ci fa una brava ragazza come te, in un posto del genere a quest'ora?» chiese con uno strano sguardo negli occhi.
«Cerco una mia amica...» affermai sicura. Celando il mio spavento.
«Posso aiutarti a cercarla, se vuoi...» si offrì gentile. Ma i suoi modi dissentivano con quello che leggevo nel suo sguardo. Credei poco alla sua gentilezza. «Intanto posso offrirti qualcosa?» chiese sfoderando un sorriso che immaginai avesse provato mille altre volte. Sembrava talmente finto.
«Ti ringrazio molto, ma non bevo! Posso cercarla da sola la mia amica...» non lasciai spazio a repliche. Cercai di nuovo Beth con lo sguardo.
«Resta un altro po' qui con me...giuro non mordo!» mi afferrò per il polso, togliendomi la possibilità di allontanarmi. Non gli diedi a vedere che mi stava facendo male. Stringeva troppo. Ma non dovevo farmi vedere debole. O non ci sarebbe stato più niente da fare. «Mi chiamo David!» disse ancora insistente.
Avvertì una strana sensazione, percorrermi la schiena. Io la conoscevo bene, era paura. Troppe volte in vita mia l'avevo provata. Ma mai mi ero trovata da sola. Avevo sempre avuto accanto qualcuno pronto ad aiutarmi.
Cercai qualcuno con lo sguardo, mi accontentavo anche di un semplice barman. Non riuscii ad attirare l'attenzione di nessuno.
«Non vuoi dirmi il tuo nome?» chiese impaziente. Il suo modo di fare era cambiato repentinamente. Era così viscido, che mi salii un conato. Cercai di tenere la situazione sotto controllo. Non dovevo perdere la calma. Mi ripetevo. Non poteva farmi del male.
«David lasciala!» sentii Brian ringhiare alle mie spalle. Riconobbi subito la sua voce roca e profonda. L'aveva chiamato per nome, quindi si conoscevano. Dedussi.
Si era messo tra me e quello sconosciuto. Facendomi scudo con il suo corpo. Mi sentii al sicuro. Il macigno che avevo in petto scomparve. Era sinceramente l'ultima persona che pensavo di vedere. David mi lasciò andare subito il polso, come se il contatto con la mia pelle l'avesse bruciato. Fui grata a Brian per avermi tirato fuori da quella situazione. Per un attimo avevo avuto davvero paura.
«Vattene ora! Evapora!» ordinò, senza curarsi di nulla. Si scambiarono sguardi di fuoco. David fu il primo ad abbassarlo. Decidendo saggiamente di andarsene, come gli era stato consigliato.
«La prossima volta che vai in giro vestiti...ok!?» mi rimproverò.
«Fossi in te, penserei a come vanno in giro vestite le tue amichette!» consigliai con tutta la calma del mondo.
Mi guardò scuotento la testa. Cercava di nascondere un sorriso che gli era salito alle labbra. Mi prese con delicatezza una mano, senza pronunciare parola.
Ricacciai indietro le lacrime. Che minacciavano di uscire. Mi ero presa un bello spavento. Ma non mi sarei mai mostrata fragile davanti a lui.
Poco più lontano vidi Beth seduta ad un tavolo. Accanto a lei c'era Josh. Erano di spalle rispetta a me, quindi non mi videro arrivare. Sfilai la mia mano da quella di Brian. Non volevo che nessuno fraintendesse quel gesto innocuo.
Nei suoi occhi, lessi qualcosa diverso dalla rabbia, delusione forse. Non avrei saputo dirlo con certezza.
«Ce l'hai fatta finalmente ad arrivare...» urlò Beth venendomi incontro. Mi saltò al collo, abbracciandomi. «Pensavo che non saresti più venuta! Ma non dirmi che sei venuta in pigiama...?» roteai gli occhi. Però che perspicacia che aveva la mia amica. Certo che ero in pigiama, non pensavo mica di doverla andare a cercare. Si aspettava forse di vedermi in tiro? Dopo avermi svegliata nel cuore della notte?
«Andiamo è tardi!» protestai. «Se qualcuno deve venirti a prendere, assicurati che il cellulare abbia campo! E non lamentarti dei miei vestiti! Sono qui dentro a cercarti da almeno mezz'ora...» sottolineai polemica come non mai.
*
Il viaggio di ritorno fu particolarmente silenzioso. Se non fosse stato per la musica in sottofondo, ci sarebbe stato assoluto silenzio. Beth se ne stava sdraiata sul sedile posteriore. Con la testa poggiata sulle gambe di Josh. Brian era seduto di fianco a me. Quando la mia amica mi aveva chiesto un passaggio, mai mi sarei aspettata questa situazione. Se ne era ben guardata dal dirmi che il pacchetto includeva anche Brian.
Ogni tanto l'avevo trovavo ad osservarmi. Subito aveva distolto la sguardo. Avrei dovuto ringraziarlo per come mi aveva aiutata. Non era obbligato a farlo. Avrebbe anche potuto ignorarmi, ma quella volta non l'aveva fatto.
Non era obbligato, vista la situazione tra noi. Forse l'avevo giudicato troppo in fretta come persona. Magari era come mi aveva detto Josh quel pomeriggio. Quando eravamo rimasti soli a parlare. Ma sicuramente non si era comportato bene con me. E di sicuro non mi voleva tra i piedi. Era poco ma sicuro.
Gli ero grata anche per non aver raccontato niente, di quello che era successo Mi dispiaceva far preoccupare Beth, per una cosa passata. Preferivo sempre risolvere le cose da me. Senza gettare le mie preoccupazione su qualcun altro.
Quando accostai di fronte al vialetto di casa. Mi accorsi di non sapere dove accompagnare i ragazzi. Ero all'oscuro di dove abitassero. Non mi ero preoccupata di chiedere prima di partire. Che stupida era stata!
Prima che potessi formulare una qualsiasi domanda Beth mi anticipò.
«Avevo detto a Brian che poteva restare a dormire da noi...» esordì come se niente fosse. «Sempre se per te va bene ovviamente. Può sistemarsi sul divano...» non diedi a vedere quanto mi scocciava.
«Come ti pare...» non mi importava dove andava a dormire. Bastava che non mi disturbasse.
Scesi al piano di sotto con un paio di coperte. Di cuscini ce n'erano un'infinità sul divano. Lui mi stava aspettando, immobile in mezzo alla stanza. Cos'aveva? Ora non si sentiva a suo agio in questa casa?
Il divano non era molto comodo per dormirci. Lui era così alto che ci sarebbe stato stretto di sicuro. Ma almeno per quella notte doveva adattarsi.
Brian osservava con attenzione i miei movimenti. Mentre sistemavo bene le coperte per lui. creando un letto di fortuna.
«Io...» balbettò. «Io volevo...» la frase gli rimase fra le labbra. Era impacciato, diverso da come lo avevo sempre visto. Non era quel ragazzo spavaldo, che mi ero abituata ad allontanare.
«Volevo ringraziarti per prima!» ero sincera. «Non sentirti in dovere di essere gentile con me, perché resti qui sta notte...» gli dissi voltandomi di spalle per andarmene. Lui mi fermò. Trattenendomi per la mano. Lo fece con delicatezza. Quasi spaventato di sfiorarmi la pelle.
«Lasciami parlare un attimo, per favore te lo chiedo...» aspettai in silenzio che continuasse. Gli lasciai tutto il tempo necessario. Non avevo fretta, ormai ero completamente sveglia.
«Volevo chiederti scusa per Victoria, mi dispiace per quello che ti ha detto. Dovevo intervenire, ma non l'ho fatto. Mi sono comportato da coglione, hai ragione a essere arrabbiata per questo!» ammise, lasciandomi sconcertata. Non mi aspettavo questo da lui.
«Le allusioni che ho fatto dopo erano fuori luogo, ma non volevo che te ne andassi. E non sapevo cosa dire, senza farmi prendere in giro dai miei amici...» annuì con la testa. Dentro di me sapevo che le cose erano andate così.
«Tu non sei uno che corre dietro alle ragazze, piuttosto il contrario...» constatai ad alta voce. Ma era più un pensiero tra me e me. Non lo stavo giudicando. Era solo una semplice constatazione.
«Quando mi sono presentato qui con quella ragazza, non so perché l'ho fatto. Volevo chiarire con te, però mi hai chiuso la porta in faccia...e avevi ragione a comportarti così...» restai incredula. Non potevo credere che mi stesse dando ragione su tutto.
«E della festa in quell'appartamento, che mi dici?» rimase un attimo perplesso, come se non sapesse di cosa stavo parlando. Non sembrava fingere. Iniziavo a chiedermi cosa avessi visto. Non potevo aver avuto un'allucinazione. Ma quello che aveva detto Josh, continuava a ronzarmi nella mente. Brian non era alla festa. Allora che cosa avevo visto? Se non era lui, di certo era uno che gli assomigliava molto.
«Josh mi ha accennato qualcosa, dice che sei scappata via e niente riusciva a calmarti...vuoi dirmi cosa è successo?» chiese con una dolcezza che non sapevo appartenergli.
«Ora non voglio parlarne...» dovevo assimilare ancora assimilare tutto. Mi aveva detto troppe cose in poco tempo. «Accetto le tue scuse. Per qualsiasi cosa sono al piano di sopra, è meglio se riposiamo un po'...» tagliai corto. Sapevo che la mia voce risultava fredda. Ma non potevo dimenticare tutto in una sera.
Si era scusato. E io avevo fatto un passo verso di lui, accettando le sue scuse. Ma tra noi non era cambiato nulla.
Quando mi allontanai, notai la sua aria sconfitta. Aveva la testa piegata verso il basso. Non mi rispose e non mi guardò neanche una volta.
Salii al piano di sopra come se stessi scappando. Forse in un certo senso era così. Scappavo dalle mie paure. Inciampai sull'ultimo gradino. Se non mi fossi tenuta saldamente al corrimano, sarei caduta.
*
Un rumore leggero ma costante, mi riscosse dal mio sonno. Notai che qualcuno bussava alla mia porta. Lo faceva piano, come per non dare fastidio.
«Entra...» dissi sottovoce. Potevo immaginare benissimo chi fosse, senza dover chiedere. La porta si aprì lentamente e Brian infilò la sua testa dentro. Mi misi a sedere sul letto e gli feci cenno con la mano di entrare.
«Posso dormire qui con te?» chiese richiudendosi la porta alle spalle. Lo disse con un'innocenza disarmante. No sapevo cosa rispondergli. Era pur sempre un ragazzo dopotutto, e non eravamo neanche amici. Prima di poter formulare qualsiasi frase fui interrotta.
«Anche se mi piacerebbe passarti qualche malattia sessualmente trasmissibile, non voglio farti strane proposte. Per lo meno non sta sera, ok?» la buttò sullo scherzo per sciogliere la tensione. «Il divano è davvero troppo scomodo, e non riuscivo a dormire...» confessò.
Il mio letto era abbastanza grande per tutti e due, ne ero consapevole. Non doveva essere un grande problema, se ognuno avesse dormito dalla propria parte. Senza invadere quella dell'altro. Scostai la trapunta per invitarlo ad entrare.
«Però...» lo avvertii.
«Ti prometto che sarò un vero gentiluomo...» sembrò sincero. Niente mi diede modo di dubitare.
Si avvicinò al letto. Iniziò a spogliarsi, tirando giù la zip dei jeans e li sfilò. Poi si tolse felpa e maglia insieme. Sentii le guance arrossire dalla vergogna. Mai mi ero trovata in una situazione del genere. In un letto, con un ragazzo seminudo. Con addosso solo un paio di miseri boxer.
C'era solo un semplice lenzuolo a dividerci. Mi sentivo a disagio. Ma non perché dubitavo delle sue intenzioni. Non mi aveva sfiorato neanche questo pensiero. Ma era la prima volta per me. Era una strana sensazione. Ma allo stesso tempo mi faceva sentire bene. Come se fossi nel posto giusto. Al sicuro. Protetta. Era come se lo conoscessi già. Sembrava familiare. Come era possibile? Non ci eravamo mai visti prima della settimana precedente.
«Cosa pensi di fare?» chiesi in un sussurro. Per fortuna la stanza era immersa quasi nella totale oscurità. Filtrava solo un raggio di luna dalla tenda semiaperta. Così riuscii a nascondere bene il mio imbarazzo.
«Tu di solito dormi vestita?» chiese canzonatorio.
«No, ma neanche mezza nuda...» precisai.
«A me non dispiacerebbe!» affermò ammiccante. Il suo tono era diventato giocoso. Mi piaceva questo lato di lui. Anche se era la prima volta che me lo mostrava. Ed ero sicura che non lo facesse con tutti.
«Buona notte Brian!» mi voltai dall'altra parte, sparendo sotto le lenzuola.
«Aspetta, ho detto qualcosa di sbagliato...?» si affrettò a chiedere.
«No, pensavo che fossi venuto per dormire...» mi rigirai dalla sua parte. Osservando i bei tratti del suo volto. Sentivo una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Mi sentivo stranamente agitata.
«Anche per parlare con te» ammise sincero. «Sai starti accanto mi fa sentire diverso, ho come la sensazione di conoscerti già da tempo...» anche lui aveva avuto la mia stessa sensazione? Che singolare coincidenza. Anche io avevo avuto la stessa identica sensazione, ma non glielo dissi.
«Vorrei sapere cosa hai visto a quella festa...» ero titubante. Non sapevo se era meglio parlare, o trovare la soluzione da sola. Restai in silenzio pensierosa. Mi sembrava una cosa talmente privata, per essere raccontata ad alta voce.
«Sai...» esordii cambiando discorso. Avevo deciso che non gli avrei raccontato di quella sera, almeno per un po'. «Tu non sai ancora il mio nome...» sviai la conversazione in un'altra direzione.
«Sarà sicuramente bellissimo...» sussurrò ad un passo dal mio viso. Il mio cuore aveva accelerato il suo battito, non riuscivo a frenarlo. Possibile che riuscisse sempre a farmi quest'effetto? Dovevo smettere di comportarmi in quella maniera. «Me lo vuoi dire?»
«Il mio nome è Allison. Per gli amici sono Elle, ma io e te non siamo amici...» precisai anche a me stessa. Quella frase sembrò non toccarlo minimamente. Come se gli fosse scivolata addosso e non ne avesse percepito il significato.
«Piacere di conoscerti Allison!» mi rivolse un bellissimo sorriso. Però dovevo ammettere che se l'era sudato il mio nome. Era così bello pronunciato da lui. «Per me resterai sempre la mia Occhioni verdi...» sussurrò così piano che quasi non lo sentii. Come se non avessi dovuto ascoltare quel pensiero, sfuggito alle sua labbra. Arrossii violentemente.
Sfiorò la mia mano poggiata sul cuscino, con la sua. Accarezzandola con i polpastrelli. Salì piano sul braccio nudo. Mi venne la pelle d'oca. Ma lui sembrò non curarsene. Forse per non imbarazzarmi ancora di più, di quanto non fossi già stata. Quando arrivò alla spalla, sentii dei brividi scendermi lungo la schiena. Glielo lasciai fare, era talmente piacevole quella sensazione. Anche se mi lasciava senza fiato. Avevo il respiro affannato. Accarezzò il mio viso con una tale dolcezza, da non poterlo far smettere. Delineò i miei tratti con le sue mani. La mascella, gli zigomi, le palpebre e poi la bocca. Era così sensuale quel suo gesto. Erano così sensuali le sue mani sulle mie labbra.
Giocò a lungo con una ciocca dei miei capelli, riportandola poi dietro l'orecchio.
Non provò mai ad andare oltre il consentito. Mai si prese libertà che non gli avevo concesso. Ogni carezza era seguita da un suo sguardo, come a chiedere il permesso. Questo mi fece fidare un pochino di più di lui.
Ci addormentammo così. Guardandoci negli occhi e con le sue carezze delicate sulla mia pelle.
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