7.
Il giorno successivo, quando tornai a casa dal lavoro, trovai Beth ad aspettarmi. Seduta comodamente nel divano del salotto. Con la sua solita coperta azzurra poggiata sulle gambe.
Sul tavolinetto basso davanti alla televisione c'erano tutti gli snack che si potevano desiderare. Anche le mie patatine preferite e la Dr. Pepper alla ciliegia. Restai un attimo perplessa, Beth amava il cibo spazzatura. Mai avrei pensato di mangiare tutta quella roba, in uno stato mentale normale.
Tutta questa tavola imbandita, significava solo una cosa, in quei giorni era stata in pensiero per me.
Dovevo essere sembrata davvero a pezzi, per ricevere questo trattamento. Di solito riservato alle occasioni speciali. Era così che mi tirava su il morale, in momenti particolarmente critici.
«Pensavo ti andasse una sera tra ragazze...» spiegò cauta. Tirandosi su dal divano per salutarmi. «Sai profumi di ciambelle, potremmo mangiare te!» propose scherzando. Mi venne da sorridere. Aveva ragione odoravo di ciambelle da star male. Al locale non avevano ordinato altro che quelle, per tutto il giorno. Era inevitabile che mi fosse rimasto l'odore addosso. Invadendomi i vestiti e i capelli.
Ne aveva portate anche un paio per Beth. Sapevo quanto le piacessero. Ne andava matta. Erano glassate con crema al burro fucsia e zuccherini al cioccolato. Estrassi la bustina che le conteneva, dalla borsa e gliele passai.
Quando le vide, iniziò a saltellare sul divano. Bastava davvero poco per farla felice.
«Mi va, dammi solo il tempo di una doccia e di mettere qualcosa di comodo» non mi sarei fatta sfuggire l'occasione di passare un po' di tempo con lei. Come facevamo ai vecchi tempi, ad ingozzarci di schifezze. Fino a star male l'intera notte. E poi era davvero da troppo che non passavamo del tempo insieme. Chiacchierando tranquillamente, facendo discorsi leggeri. Scherzando. Prendendoci poco sul serio.
Dopo essere uscita dalla doccia e aver indossato un comodo pantaloncino e una felpa grigia con delle rose, scesi al piano di sotto. Beth mi aspettava per scegliere insieme, il film da guardare. Aveva il viso tutto sporco di glassa e appiccicoso. Così le passai delle salviette per ripulirsi.
Potevo scegliere tra due film: il primo era "Una notte da leoni", con il relativo seguito "Una notte da leoni 2" e l'altro invece era "Parto col folle". Aveva scelto tutti film da ridere. Questo diceva che mi conosceva bene. Ne avevo bisogno, era un da po' che non lo facevo. Non avevo visto nessuno di quei film, quindi persi qualche minuto in più per leggere la trama sul retro del dvd.
Ero intenta a leggere, quando sentì la voce di Beth parlare in un sussurro.
«Mi hai fatto preoccupare davvero tanto Elly, non ti avevo mai vista così abbattuta...» disse piano, facendomi segno di sedermi accanto a lei sul divano. Era arrivato il momento di mettere le carte in tavola. Non volevo raccontarle di mio padre. E meno che mai volevo raccontarle di quello che avevo visto alla festa. L'avrei taciuto finché avessi potuto con lei. «Ti va di raccontarmi cosa è successo? Penso che qualsiasi cosa tu possa aver visto alla festa, non poteva ridurti in quello stato. Sembravi confusa, spaventata...non puoi mentire con me. Lo sai che ti conosco meglio di chiunque altro! E che ti voglio bene come se fossi mia sorella...» spiegò con dolcezza per rassicurarmi. Mi strinse la mano per incoraggiarmi a vuotare il sacco.
Avrei dovuto parlarle. Raccontarle tutto e lasciare che sapesse.
Era difficile mantenere un segreto con lei, non ne avevamo mai avuto uno. Se avesse saputo, avrebbe fatto di tutto per proteggermi. Lei era fatta così. E io ancora una volta pensavo a mio padre, a quello che avrebbe potuto pensare di lui. Alla brutta opinione che se ne sarebbe fatta, invece di pensare a me stessa.
Restai in silenzio senza rispondere. Un gran sospiro mi uscii dalle labbra. Era troppo imbarazzante ammettere che il mio stesso genitore mi detestava con tutto se stesso. Chi sarebbe stato contento di ammetterlo?
Beth non si sarebbe arresa tanto facilmente, non l'avrebbe fatto davanti a niente, caparbia com'era. Quindi presi coraggio e iniziai a raccontarle cosa era successo. Le confessai della telefonata ricevuta la settimana precedente. Parlai con un filo di voce, vergognandomi di quello che avevo da dire.
A fatica ricacciai indietro le lacrime. Avevo un gran nodo che mi attanagliava la gola. Era difficile parlare così. Mi sforzai con tutta me stessa per non versare neanche una lacrima.
«Non capisco perché tutto quest'odio nei miei confronti. Faccio qualcosa di sbagliato?» chiesi facendomi piccola piccola nell'abbraccio in cui mi aveva stretto.
«Non provarci neanche a fare un pensiero del genere, te non hai colpa di quello che ti dice! Sono anni che ti colpevolizzi per niente, smettila di farlo! Se io avessi avuto un padre così, non sarei stata dolce e gentile come te, me ne sarei andata da casa il prima possibile lasciandolo solo. Perché solo questo si merita dopo tutto quello che ti ha fatto passare...» disse con durezza. Erano vere le parole che diceva. E faceva male esserne consapevoli.
«Sono rimasta per i miei fratelli, loro non mi hanno mai abbandonato. Sono sempre stati per me, quello che non è stato lui...» ammisi. Beth annuì con la testa, sapeva che era così.
«Devi farmi una promessa!» annuii, facendole segno di continuare. Era serissima. «Non escludermi mai più dalla tua vita, per nessun motivo al mondo! Io non ti ho mai giudicata e mai lo farò...» mi rimproverò. Aveva ragione, avrei dovuto parlarle prima.
La abbracciai forte e restammo così per un tempo che mi sembrò infinito. Le avrei parlato di Brian in un secondo momento. Era troppo da assimilare tutto insieme.
Dopo tanto sciolsi l'abbraccio e tornai ad occuparmi del film da vedere insieme. Quando di punto in bianco il campanello di casa prese a suonare. Interrompendo la mia scelta.
«Aspettavi qualcuno?» le chiesi, ma lei scosse la testa in segno negativo. Era sorpresa quanto me.
Andai ad aprire io, dato che Beth non dava segno di alzarsi. Sulla soglia trovai Josh, con un sorriso smagliante e un'enorme mazzo di rose rosse in mano. Lo salutai, lasciandolo entrare.
«Non restare sulla porta, vieni...» lo esortai. Alle mie spalle era apparsa Beth. Sorpresa quasi quanto me di vederlo. Quando si accorse delle rose che aveva in mano le brillarono gli occhi. Formavano davvero una bella coppia. Potevo vedere l'amore negli occhi di entrambi. Io l'avrei mai trovato?
«Festeggiamo piccola, oggi il test è andato benissimo!» la mia amica ormai aveva gli occhi a cuoricino. Arrossì imbarazzata. Sapevo cosa le passava per la testa: non avrebbe voluto lasciarmi sola. Era da troppo tempo che non passavamo una serata solo noi due. Ma capivo la sua voglia di accettare l'invito di Josh.
«Dai, vai a prepararti! E non dispiacerti per me...» la esortai, ma lei rimase ancora immobile titubante se andare o meno.
«Intendevo tutti e tre insieme, ovviamente! Vieni anche tu Elle, non saremo solo noi due...» si affrettò a dire Josh, capendo che avevamo organizzato la serata in modo differente. Ma io non avevo proprio voglia di uscire. Avrei potuto fare incontri indesiderati. E poi ero tornata da poco a casa. Declinai gentilmente l'invito. Preferivo restarmene in tranquillità a vedere un film. Magari avrei potuto sentire Maddy, se le andava di venire da me. Era da un po' che non ci vedevamo, al di fuori dell'università.
«Vai tranquilla Beth, non preoccuparti per me! Chiederò a Madison se le va di passare...» la rassicurai. Dicendole che non sarei rimasta sola.
«Ci saranno anche i miei amici, non ti sto invitando a fare da terzo incomodo...» scherzò Josh, provando ancora a convincermi. Sinceramente preferivo proprio evitarne uno in particolar modo. Scossi la testa. Beth sconfitta, se ne andò al piano di sopra a cambiarsi. Mentre io restai a tenere compagnia a Josh.
«Ci sarà anche Chase, pensavo ti piacesse la sua compagnia...» buttò lì una volta soli. «Parla troppo spesso di te ultimamente. Ma so anche che la tua testa pensa ad altro...vero?» chiese diretto. Senza fare troppi giri di parole. Cosa avrei dovuto rispondergli? Era tutto vero, quello che aveva detto. Ma ero certa che quello che intendeva lui dicendo altro, non era lo stesso che intendevo io. Alludeva a Brian.
«Vuoi che io sia sincera?» annuì in segno affermativo. «A chi pensa la tua testa, mi ha detto chiaramente che non vuole avere niente a che fare con me. Non a parole, ma con i fatti, che mi sembra renda meglio l'idea...» gli rivelai. Non sapevo bene per quale motivo, mi stavo aprendo proprio con lui. Lo conoscevo da così poco tempo. Forse era proprio per questo, mi sentivo libera di dire tutto ciò che mi passava per la testa.
«Io lo conosco bene, e so ce le cose non stanno così...» affermò senza spiegarsi meglio e io non chiesi. Ero sicura che l'avesse fatto apposta, a parlare in maniera poco chiara. Per instillare in me il dubbio. Scatenare la mia curiosità, ma non ci sarebbe riuscito di certo con questi giochetti. Mi trattenni dal fare domande.
«Hai paura di lui! È incostante, non ti dà certezze, ai tuoi occhi resta un mistero. Mentre invece è più semplice di quello che pensi...» rivelò senza aggiungere altro. «Cosa è successo quella sera alla festa? Cos'è che ti ha fatto scappare in quel modo?» pensavo che Brian si fosse sfogato con lui. Raccontandogli cosa avevo visto. Invece a quanto pareva non l'aveva fatto. Perché lo voleva tenere nascosto? Se ne vergognava? Restai perplessa per un attimo senza riuscire a proferire parola.
«Non ti ha detto cosa ho visto quella sera?» domandai cauta.
«No, lui quella sera non c'era neanche alla festa. Cosa hai visto?» incalzò, con sempre con più curiosità. Era impossibile che lui non fosse alla festa. Io l'avevo visto in quella stanza, con Victoria. Ne ero più che sicura. Non stavo diventando pazza. Però perché Josh avrebbe dovuto dirmi una bugia? Era strano. Non capivo. Ma qualcosa all'interno di quel puzzle non mi quadrava. «Allora...?» proseguì a chiedere ancora. Non riuscendo ad aspettare che rispondessi.
«Perché mi menti? Io l'ho visto, lui c'era...» rimase basito dalle mie parole. Sbarrò gli occhi. Evidentemente confuso dalle mie parole.
Proprio in quel momento, Beth scese le scale. Troncando quella strana conversazione che stavamo avendo. Non avrebbe potuto scegliere momento migliore. Josh la stava mangiando con gli occhi. Apparentemente aveva dimenticato di cosa stavano parlando appena qualche minuto prima.
La mia amica aveva indossato un paio di jeans molto stretti. A tal punto che si poteva vedere se aveva qualcosa nelle tasche. Sopra aveva messo un bel top che le lasciava la schiena scoperta. Ai piedi dei tacchi altissimi. Mi davano le vertigine solo a guardarli.
Riuscivo a vedere le rotelle girare nella testa del suo ragazzo. La guardava con occhi innamorati.
Una volta usciti di casa Beth e Josh, scrissi a Maddy. Fu felicissima del mio invito. Avevo scritto anche a Tyler. Ma era in giro con un paio di suoi amici. Non volevo sapere con chi era. Ancora non potevo credevo che fosse amico con Chase, Josh e gli altri. Sembrava uno strano e inaspettato gioco del destino. Ma come avevo fatto a non accorgermene prima? Eppure eravamo amici da tempo.
*
Con Madison guardammo un film che passavano in tv, avendo bocciato tutti i dvd che avevamo a disposizione. Era del genere che di sicuro avrebbe apprezzato Ty. Tutto thriller e azione. Cercammo qualche informazione su internet per capirci qualcosa. Dato che era gia iniziato da un quarto d'ora abbondante. Quindi ci eravamo perse buona parte dell'inizio.
Quel film aveva vinto addirittura sei premi Oscar. Anche solo per verificare la veridicità di questo, mi pareva giusto guardarlo.
Era ambientato in un futuro apocalittico, dove gli umani stavano scomparendo. Max, un ex poliziotto che aveva perso la sua famiglia, era uno dei pochi sopravvissuti. Mentre vagava nel deserto, venne fatto prigioniero. Diventando un donatore di sangue.
Di certo alcune delle scene, non mi lasciarono impassibile. Ero molto suggestionabile e mi sentii debole, alla vista del sangue. Come se fossi dovuta svenire da un momento all'altro. Non volevo cambiare canale, però. Ero curiosa di sapere come andava a finire. Ma Madison si lagnava così spesso, che alla fine lo tolsi. Anche solo per non sentirla più lamentarsi.
«Guarda come sei bianca come un lenzuolo, sicura di stare bene?» annuii debolmente. Mi serviva ancora qualche minuto per riprendermi. Andò in cucina a prendermi un bicchiere d'acqua. Dovevo essere davvero bianca come un lenzuolo. Ne mandai giù un grande sorso. Avevo bisogno di qualcosa di dolce per sentirmi meglio. Così mangiai delle gelatine interamente ricoperte di zucchero. Mi sentì meglio quasi subito.
«Avrò gli incubi sta notte per colpa tua...» piagnucolò quando ripresi colore.
«È tutto inventato Maddy, sono cose che non esistono nella realtà...» cercai di rassicurarla, come meglio potei. Provai a farla ragionare. Non poteva davvero credere che esistessero cose del genere.
«Vallo a dire tu al mio inconscio mentre dormo...» a me scappò una risata. Riusciva ad essere comica, senza neanche accorgersene.
Facendo zapping trovammo un film con Nicholas Cage e Meg Ryan. "City of Angels".
Quando Seth, il protagonista maschile, decise di abbandonare la sua condizione di angelo, per amore di Maggie. Diventando a tutti gli effetti un uomo. Scoppiammo a piangere come due sceme. Sembrava due vecchie zitelle.
«È una cosa così romantica...» farfugliò Madison tra le lacrime. Presi la confezione di salviette, vicino alla lampada e gliele porsi. Sembrava un fiume in piena. Non riusciva più a smettere. Di solito non piangeva così senza una motivo. Quindi mi sembrò alquanto strano. Di sicuro c'era altro sotto, che non mi aveva detto.
«Si è fatto sentire di nuovo...» si sfogò poco dopo. Senza che io avessi avuto il tempo di chiedergli qualcosa. Sapevo a chi si riferiva. Al suo ragazzo delle superiori. Sospirò forte. Cercando di rimandare indietro le lacrime. «Non ho avuto il coraggio di ignorarlo, così quando ho visto la sua chiamata ho risposto...» ammise con sincerità. Le tremava un po' la voce.
«Quando è successo?» le accarezzai i capelli con dolcezza per rassicurarla. Quando lo facevano con me funzionava sempre.
«Due giorni fa, ma non ti arrabbiare. Non me la sono sentita di dirtelo subito...» parlò con un filo di voce. Poi restò in silenzio per qualche minuto, e io aspettai che continuasse. Non le feci pressioni di alcun tipo. Doveva essere lei a decidere se aprirsi con me oppure no. «Dice che ha sbagliato a lasciarmi un anno fa, dice che è stata la decisione più stupida che abbia preso, che non troverà mai una come me e che mi ama ancora...» singhiozzò.
Sapevo bene come erano andate le cose tra loro. Una volta partiti per college diversi, il suo ragazzo del liceo si era accorto di non volere una storia a distanza. Non aveva avuto nemmeno la decenza e il coraggio di comportarsi da uomo, dicendole in faccia come stavano le cose.
«Ma?» domandai. L'avevo intuito dal tono della sua voce che c'era un ma.
«Ma io non provo più le stesse cose per lui. Ho incontrato un ragazzo molto carino e voglio conoscerlo meglio, uscirci insieme...» l'imbarazzo per aver ammesso quest'ultima cosa era misto a qualcos'altro.
«Allora dov'è il problema?» non capivo da cosa nasceva il suo turbamento.
«Mi sento una tale stronza a farlo soffrire così...» ammise asciugandosi una lacrima. «Se mi avesse detto queste cose prima l'avrei perdonato. Saremmo tornati insieme. Tutti possono avere un momento di defiance. Sbagliare è umano. Ma ormai non posso più fingere, per farlo stare bene...» cercai di tranquillizzarla in ogni modo possibile e immaginabile. Lei non aveva colpe. Era solo andata avanti per la sua strada. Non le si poteva fare una colpa per questo.
*
Più tardi quella sera la salutai sulla porta, quando se ne andò. Restai a guardare la sua macchina sparire alla mia vista. Finché non divenne un puntino indistinto e lontano.
Riordinai la sala, chiudendo in bustine ermetiche tutti gli snack avanzati. Riponendoli con cura nella dispensa. Poi me ne andai dritta in camera mia.
Non avevo molto sonno. Era ancora abbastanza presto, così mi misi a leggere un libro. Lo avevo iniziato da poco ed ero ancora ai primi capitoli. Ce lo aveva consigliato il professor Wilson un paio di settimane prima. A dire il vero ce ne aveva consigliati parecchi, tutti dello stesso scrittore.
Io avevo scelto di leggere "Per chi suona la campana". La storia in se per se era molto bella. Niente da ridire, ma quello che mi aveva colpito era altro. Mi affascinava il significato nascosto dietro il titolo. Seguiva un concetto interessante, secondo cui nessun uomo poteva considerarsi indipendente dal resto dell'umanità. Mi piaceva pensare che ognuno fosse concatenato ad un'altra persona, magari anche sconosciuta. Ognuno aveva bisogno dell'altro. Che lo ammettesse o meno. E a mio avviso era realmente così.
Riponendo il volume nella libreria. Mi imbattei nel libro che mi leggeva sempre mia mamma da piccola. Non potei fare a meno che tirarlo fuori. E portarlo sul letto con me. Ne accarezzai la copertina con nostalgia. Ogni sera prima di addormentarmi mia mamma mi leggeva sempre una storia. Quella che preferivo era "L'usignolo". La costringevo sempre a leggerla almeno un paio di volte, prima che mi addormentassi. Iniziai a leggerla a voce alta. Concedendomi per una volta di abbandonarmi ai ricordi.
«In Cina, lo sai bene, l'imperatore è un cinese e anche tutti quelli che lo circondano sono cinesi. La storia è di molti anni fa, ma proprio per questo vale la pena sentirla, prima che venga dimenticata. Il castello dell'imperatore era il più bello del mondo, tutto fatto di finissima porcellana, costosissima ma così fragile e delicata, che, toccandola, bisognava fare molta attenzione...» per un momento tornai con la mente al passato. Mi rividi nel mio lettino, con le coperte rimboccate. Mia mamma seduta di fianco a me a leggere. Avevo ancora impressa nei miei ricordi la sua voce. Così dolce. Quando mi una raccontava una storia, era come se lei ci fosse stata dentro. Coinvolgeva anche me in maniera totale.
Ero una bambina dalla fervida fantasia. Con gli occhi chiusi, riuscivo a vedere quello di cui lei leggeva. Immaginavo i mondi di cui mi raccontava.
«...grandi navi potevano navigare fin sotto i rami del bosco e tra questi rami viveva un usignolo, e cantava in modo così meraviglioso che persino il povero pescatore, che aveva tanto da fare, sentendolo cantare si fermava a ascoltarlo...»
Non percepii il momento esatto in cui la storia, si mescolò al sogno. Sentii solo una grande sensazione di pace.
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